Una “Femmina”
«Io t’amo soprattutto
quando la tua gioia fugge dalla tua fronte oppressa; quando il tuo cuore
si annega ne l’orrore, quando sul tuo presente si stende la nube
orribile del tuo passato.»
Carlo Baudelaire
Io sono un poeta strano e maledetto.
Tutto ciò che è anormale e perverso esercita su di me un morboso fascino.
Il mio spirito — farfalla velenosa dalle sembianze divine — è attratto dai peccaminosi profumi che emanano i fiori del male.
Oggi canto la bellezza perversa d’una «Femmina», — d’una Femmina nostra che io non ho mai posseduta e che non possiederò mai...
Ella cammina ora senza un nome, dimenticata ed ignorata, attraverso le
tortuose vie della vita con chiuso nel cuore un così cupo e profondo
dolore che l’innalza al di sopra della Donna e la rende divina.
Questo gran fiore del male — contaminato e contaminatore — racchiude
ancora in sé tanta purezza umana da sublimare tutta una vita e
divinarla.
***
Femmina?
Sì; forse!...
***
Intorno al
suo nome circola una strana leggenda. Dice: «Il di lei corpo bello e
peccaminoso spasimò tra le braccia dei vagabondi e dei ladri, dei
nottambuli e dei poeti, dei ribelli e degli eroi...
Tutti i mostri della notte conoscono i voluttuosi segreti delle sue carni bianche...
Tutti gli assetati d’amore hanno bevuto i suoi baci...
Ma ovunque Ella è passata ha lasciato cuori feriti e anime sanguinanti; carni piangenti e spiriti in rivolta...
Perché Ella — la Folle — fu — come il poema di Zarathustra — un’Arpe dionisiaca di voluttà per tutti e per nessuno...
Mentre il di lei corpo peccaminoso e fremente giaceva avvolto in
voluttuosi spasimi sul letto dell’amore travolto negli abissi della gran
dedizione, il di lei spirito inquieto, vagabondo e ribelle, vagava
attraverso le sterminate regioni dell’infinito per dar corpo e forma ad
un impalpabile sogno etereo. La sua anima ammalata di solitudine e di
lontananza non si lasciò mai travolgere dalla febbre spasmodica della
insaziabile carne.
Ella non amò che se stessa...
***
Qualcuno tra coloro che strinsero tra le loro braccia il corpo odoroso e
perverso di questa «Femmina» bianca gettò nel suo grembo — purtroppo
fecondo — i germi fatali di un’altra infelicissima vita. La «Femmina»
sotto l’imperioso comandamento della natura divenne Madre. E la società
che fu ingiusta, vendicativa e crudele, verso la Femmina, lo fu anche
contro la Madre e contro lo stesso bambino. Egli — solo ed impotente —
fu lanciato tra la travolgente tempesta della vita in preda alla più
triste solitudine materiata di miseria e di disperazione.
La madre,
sola, derisa, perseguitata, maledetta, schernita. Lui, triste e
melanconico. Figlio d’una vittima, fu vittima prematura a sua volta.
***
Fisso lo sguardo nell’alba misteriosa di quest’anima di Femmina strana
per raccoglierne i rottami dispersi e ricostruirne il segreto.
So
che sotto la dionisiaca giocondità di queste creature perverse e
scapigliate, scorre quasi sempre un filo sottile di mistica
malinconia...
Attraverso la mia poetica fantasia ricostruttrice la
rivedo vergine adolescente quando la prima volta il sole caldo e
perverso della voluttà e del piacere s’immerse come una lama d’oro nelle
sue carni pulsanti di desiderio, facendole risuonare nell’anima il
grido irresistibile della giovinezza esuberante: amore, amore, amore!
Forse era un’aurora tiepida e bionda; forse era un crepuscolo rosso.
Ella si concesse al primo amplesso d’amore, e da quel giorno il suo
corpo bianco fu un’Arpe di voluttà, un poema di piacere in preda alle
fiamme pagane; un inno d’ebbrezza cantato al di là del bene e del male,
ove gli spiriti liberi celebrano il rito iconoclastico alla gioia del
vivere umano.
Ma sotto la dionisiaca giocondità di questa creatura perversa e scapigliata scorreva un filo sottile di mistica melanconia.
Un giorno — forse uno di quei tristi giorni che gli astri a mezzo di
quelle forze occulte e magnetiche che preannunciano all’essere l’oscura
fatalità del proprio destino — in una via formicolante di popolo d’una
grande città rumorosa tre o quattro colpi di pistola echeggiarono
sinistramente.
Un pallido adolescente giunto sul culmine orrendo
della più tragica disperazione prima di cadere esausto e vinto sul fango
della via volle fare udire il rombo cupo della sua protesta
all’insensibile umanità che tutto ignora.
Cosa tragica e triste.
Insieme ad un membro della colpevole umanità cadde un compagno di rivendicazione.
Chi era il pallido adolescente che tramutò la sua esile mano di giglio bianco in artiglio vendicatore?
Il figlio della Femmina ribelle: della spregiudicata!
***
Alla tragica annunciazione, la Femmina perversa si ripiegò su se stessa
come un melanconico salce piangente sotto l’imperversar dell’uragano e
si purificò nel gran dolore della Madre ferita a morte nel più intimo,
caro e segreto, di tutti i suoi affetti! Quel voluttuoso fiore del male
si lavò l’anima, forse impura ma bella, nella divina e benedetta rugiada
del pianto, e divenne fiore di lilio e di bellezza pura ed
incontaminata.
Quell’anima sua insensibile che forse nessuno
possedette mai per intiero, era riservata a racco-gliere il grande
dolore che lo stesso figlio delle sue viscere doveva arrecargli per
vendicarla, mentre si vendicava.
***
La «Femmina» scapigliata e
gioconda è oggi la Madre solitaria che chiusa nel cerchio del proprio
dolore, muta e tragica come un’impenetrabile sfinge cammina senza un
nome attraverso le velenose vie della vita, forse a perdonare; forse a
maledire...
La furibonda Anarchia del suo libero istinto si è fusa
nella raffinata sensibilità del suo nuovo sentimento di madre, e dalla
condensazione di questi due elementi profondamente umani deve ora
scintillare una spiritualità così affascinante da irradiare le più
sconosciute costellazioni del dolore umano.
Io spalanco la bocca verso l’ignoto e chiamo a gran voce questa Femmina-madre per salutarla col nome di Sorella!
La «donna»?
Che me ne importa?
Questa Femmina vive oggi al di sopra di lei: in una vetta più alta!
Io amo le creature scapigliate e gioconde sotto la di cui dionisiaca
paganità scorre sempre un filo sottile di mistica malinconia. E le amo
maggiormente quando sul loro presente si stende la nube orribile di
tutto il loro passato...
Renzo Novatore
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