SCHIACCIAMO IL BOLSCEVISMO
Io non
credo, con Windelband, che esista una coscienza normale che sopra la
relatività delle valutazioni individuali e della moralità dei singoli
popoli, pone e fissa i valori assoluti. Non credo, con Paulsen, nella
necessità di un tipo normale di uomo o di vita umana che costituisca la
misura per l’apprezzamento del valore delle azioni e delle doti. Accetto
invece la varietà e le attitudini
diverse e, nelle contrastanti manifestazioni dell’esistenza e nella
singolarità dei pensieri e delle condotte, ammiro la ricchezza della
realtà e la sua feconda produzione di tipi genuini e di valutazioni
antinomiche.
V’è però un modo d’intendere la vita che non ha,
secondo me, diritto di cittadinanza nella moltitudine delle forme etiche
e dei giudizi discordanti: ed è il modo bolscevico, quel modo che
riduce l’uomo all’animalità, anzi all’automatismo materialista, e lo
priva di ogni sentimento e d’ogni passione.
L’essere inanimato, il
pezzo di legno che abiterà la simmetrica città del sole del futuro
comunista, sfugge ad ogni classificazione morale e ripugna ad ogni
coscienza. Francesco d’Assisi è comprensibile: risponde ad un sentimento
umano, la pietà. Federico Nietzsche è anch’esso comprensibile; risponde
ad un altro sentimento, la volontà di potenza. Ma il fantoccio che non
ama e non odia, e che non è spinto da nessun impulso buono o cattivo, e
non è attirato, come dice Dostoevskij, né dall’ideale di Sodoma, né da
quello della Madonna, ma vive meccanicamente per produrre e consumare,
evade dall’umanità e non è concepibile che nel mondo vegetale.
Le
morali della generosità e della rinunzia coesistono con le morali della
lotta, della conquista, dell’aggressione, perché rispondono alle diverse
tendenze della nostra natura; e non è possibile creare una morale unica
o un solo tipo di uomo, senza impoverire la vita riducendola a qualcuno
dei suoi molteplici aspetti.
Tuttavia un apprezzamento delle azioni
che ignora i sentimenti, gli slanci dell’anima, i tormenti del cuore e
si basa soltanto sui bisogni fisiologici e sulla loro materiale
estrinsecazione, ci trasporta fuori i limiti della nostra realtà, fuori
dell’antropologia e della zoologia, nel dominio della botanica. La
morale comunista aspira alla creazione dell’uomo automatico, scevro di
passioni, privo di scatti, esente da spontaneità. Questa gelida creatura
che non si sentirà mai attirata verso i suoi simili dall’amore e dalla
simpatia ma accederà a rapporti necessari di produzione determinati dal
bisogno economico; questa macchina umana che non conoscerà il sogno,
l’ideale, l’ambizione, l’odio, la lotta, ma si unirà agli altri per
riempirsi il ventre e rendere la vita comoda; questo brutto congegno che
non avrà pensieri e idee all’infuori di quelle confacenti ai suoi
interessi materiali e inspirate dallo stomaco; sarà il cittadino
dell’avvenire, il campione del grigio mondo marxista. Egli si muoverà
oltre il bene ed oltre il male, non nel senso dell’abbandono alle varie
ed opposte tendenze dell’anima e della natura umana, ma nel senso più
mostruoso della mancanza d’ogni tendenza psichica, d’ogni anima, d’ogni
natura. Sarà il rappresentante d’una vita ridotta a pura fisiologia e
l’incarnazione di un amoralismo derivante non dal riconoscimento delle
azioni e delle valutazioni diverse, ma dalla realtà di un’azione e di
una valutazione unica, in un’umanità spaventosamente uguale, nel
generale abbrutimento.
Per realizzare, in un prossimo futuro, questo
tipo meccanico ed insensibile la morale comunista crea immediatamente
un altro tipo che spianerà la strada al primo: la bestia fanatica e
sanguinaria, assetata di dominio e desiderosa d’impadronirsi del mondo
con tutti i mezzi, con la strage e la calunnia, la menzogna e
l’ipocrisia. Il bolscevismo deve precedere il marxismo e la teocrazia
dei preti rossi preparare la snaturalizzazione del genere umano sul
quale potrà meglio imperare. Quando l’uomo sarà ridotto un fantoccio
senza sentimenti e senza volontà, una macchina che avrà bisogno del solo
lubrificante, l’oligarchia bolscevica dominerà eternamente senza temere
rivolte.
Da oggi fino ad allora, violenze e lusinghe, pervertimenti
e illusioni, per piegare la natura. E si riuscirà nello scopo. Cavat
gutta lapidem.
Molti, allettati dal paradiso terrestre che il
comunismo promette, si raccolgono intorno alla sua bandiera senza
comprendere che l’eudemonismo sociale e l’armonia generale della città
futura s’identificheranno, nella pratica, con la passività e l’inerzia
dei pezzi di legno usati despoticamente dalla bestiaccia trionfante e da
questa arbitrariamente riuniti nell’assurda disposizione di un ordine
artificioso e tirannico. Le folle, quasi sempre, respingono le idee
sincere che non promettono felicità chimeriche, non rinnegano la lotta e
il dolore e cercano migliorare la vita nei limiti del possibile; invece
sono attirate da quelle altre idee, risplendenti e false, che ingannano
col miraggio dell’Eden in cui la libertà non si conquista ma si ottiene
senza sforzo, in cui la pace regna sovrana e il benessere e la gioia
allietano tutti.
Gli uomini, affascinati dall’illusione, somigliano
ai prigionieri nella caverna che Platone ricorda nel libro 7° della
Repubblica: incatenati nel desiderio dell’età dell’oro essi non possono
voltarsi e guardare la realtà della quale non vedono che l’ombra sulla
parete di fronte. Le masse, gabbate dai pastori ed ebbre di cuccagna,
considerano le promesse della demagogia come mete raggiungibili e
precipitano nell’abisso nell’istante in cui credono toccare il fine
ultimo, lo scopo definitivo, il punto di confluenza dell’amore e del
piacere. Esse non sanno ciò che Dostoevskij insegna, cioè « che il fine
al quale l’umanità tende sulla terra consiste in questo slancio
ininterrotto verso un fine, ossia nella vita stessa, piuttosto che nel
fine vero che, evidentemente, deve essere una formula immobile del
genere di due e due fanno quattro. Perché due e due fanno quattro, non è
più la vita ma è il principio della morte (1)».
Il bolscevismo
vuole distruggere la vecchia civiltà non per sostituirla con una civiltà
nuova o con una barbarie eroica come quella della saga odinica ma bensì
con una barbarie piatta, vile e nauseante. L’era futura che promette
all’umanità, non è che l’era dell’ultimo uomo di cui parla, con
disprezzo, Zarathustra e nella quale tutto è rimpicciolito, castrato,
suinizzato. Ed è questo regno dei porci, questo mondo meccanico dove non
si vive che per mangiare, che le folle stupide invocano credendo che
apporterà il nuovo paradiso terrestre, il trionfo benefico della
fratellanza e della libertà.
Ma, per fortuna, vi sono ancora pochi
uomini che sentono l’orgoglio e la bellezza della vita e stimano l’acre
gioia della lotta più della rammollente beatitudine della quiete. E a
questi uomini lancio il mio grido di guerra: Schiacciamo il bolscevismo!
Schiacciamo l’eudemonismo falso ed ipocrita! Distruggiamo la menzogna
del bene universale! Facciamo sì che la vita diventi sempre più grande
ed eroica, tumultuosa e proteiforme, eterna sorgente d’imprevisto,
feconda matrice di novità!
Nel crepuscolo del vecchio mondo
borghese e pavido, sulle rovine degli idoli consacrati dall’ignavia
delle masse, saluteremo la morte della bestia rossa, ripetendo con
Nietzsche:
« Noialtri filosofi e spiriti liberi alla notizia
che il dio antico è morto, ci sentiamo illuminati da una nuova aurora;
il nostro cuore trabocca di riconoscenza, di stupore, d’apprensione e
d’attesa; finalmente l’orizzonte ci sembra nuovamente libero, anche
ammettendo che non sia chiaro; finalmente le nostre navi possono di
nuovo spiegare le vele, vogare incontro al pericolo; tutti i colpi
d’azzardo di colui che cerca il sapere sono nuovamente permessi; il
mare, il nostro alto mare s’apre di nuovo davanti a noi, e forse non vi
fu mai un mare altrettanto pieno (1)».
(1) F. Nietzsche, La gaia scienza.
Enzo martucci
tratto da "la setta rossa"
Qui non ho capito bene una cosa, "Tuttavia un apprezzamento delle azioni che ignora i sentimenti, gli slanci dell’anima, i tormenti del cuore e si basa soltanto sui bisogni fisiologici e sulla loro materiale estrinsecazione, ci trasporta fuori i limiti della nostra realtà, fuori dell’antropologia e della zoologia, nel dominio della botanica." Si rimprovera quindi al bolscevismo l'idea che gli uomini si ritrovino alfine uniti e organizzati nell'idea di trarre vantaggio o aiuti e sicurezza gli uni dagli altri. Io sono assolutamente d'accordo se l'altro viene visto solo in questa funzione e non nella sua umanità, tuttavia il mutuo aiuto può essere una concezione del lavoro - più ludica, non più militarizzata - della società mutuale e solidale, cosa in sè non certo bolscevica, per quanto possa avere, su eventuale base volontaria (possibilismo) una sua sistematicità nelle esigenze di sicurezza, ma che sappia tenere conto delle esigenze reciproche e distribuire bene svaghi e eventuali sacrifici e rinunce, che oggi toccano solo* agli strati più svantaggiati, tuttavia su ispirazioni di Bob Black ripeto che il lavoro può essere impegnativo e ludico al tempo stesso, e comunque sarebbe giusto non stare, come ci ha insegnato il capitalismo, nelle sue declinazioni più subdole a stare a misurare il capello con pretese di freddezza razionale, riducendo a macchina produttiva il lavoratore (sia anche sè stesso il bersaglio, vale lo stesso), pretendere di controllarlo.
RispondiEliminaNon sarebbe auspicabile riproporre le stesse dinamiche di sfruttamento e di controllo malfidato, sia pure reciproco, in una società anarchica.
Il collettivismo (ci vado piano con gli "ismi" ma è per capirsi) in certe sue declinazioni rischia questo genere di riduzione ad oraetlabora, perchè è vero che l'organizzazione è necessaria e i furbi approfittatori, come ci sono ora, ma servendosi delle dinamiche di sistema attuali, potrebbero esistere anche lì, ma attenzione i ruoli troppo definiti nell'organizzazione possono diventare gerarchici.
Rischia anche l'individualismo nichilista, per i motivi opposti, tuttavia la disumanizzazione
dell'altro che ho citato tra virgolette, nella misantropia autistica del rifuggire ogni relazione si rischia di sbrodolarsi addosso e vedere l'altro del cui servizio ci si voglia eventualmente avvalere, solo in funzione del vantaggio materiale che può darci. Nell'"amico", infatti, l'individualista in questione, alla fine snobba completamente ogni idea di empatia come inutile sentimentalismo, e questo articolo pare proprio in polemica con ciò.
*si fa per dire, sono sempre di più.