martedì 26 giugno 2012

Dell'Individualismo e della Ribellione

Dell'Individualismo e della Ribellione

C’è chi afferma che l’uomo sia per natura un essere sociale. Altri affermano che per natura l’uomo è antisociale.
Ecco; io confesso che non sono mai riuscito bene a comprendere che cosa essi intendano di dire con quel loro «per natura»: ma ho compreso però che gli uni e gli altri hanno torto inquantoché l’uomo è sociale ed antisociale nello stesso tempo.
La necessità, il bisogno, gli affetti, l’amore e la simpatia sono gli elementi che lo spingono alla socievolezza ed all’unione.
La brama d’indipendenza e il desiderio di libertà, lo spingono verso la solitudine e l’individualismo. Ma, mentre l’individualismo funziona e si realizza contro la società, la società si difende dagli attacchi di questo. La guerra tra il «societarismo» e l’«individualismo» è dunque guerra feconda di vitalità e di energia. Ma, mentre l’individuo è necessario alla società, questa è a sua volta necessaria a quello.
Non ci sarebbe alcuna possibilità di esistenza per l’individualismo se non vi fosse una società contro la quale questi potesse affermarsi e vivere; espandersi e tripudiare!
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Soltanto il ribelle è — tra gli uomini — la figura più bella e l’essere più completo. Egli sa essere lo strumento potenziale della sua volontà di volere. Sa obbedirsi e comandarsi: conservarsi e distruggersi. Perché il ribelle è colui che ha imparato il segreto del vivere e l’arte del morire.
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Colui che cade ribellandosi a tutti ed a tutto, anche cadendo domina.
E dominare vuol dire infondere negli altri la fiamma del proprio pensiero ed imporre la luce delle proprie idee.
Ma il più vero discepolo del ribelle che cade, è colui che cadendo sa ribellarsi anche contro la «ribellione» dell’eroe già caduto.
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Chi vuole che lo spirito di ribellione si eterni deve volere che la ribellione del figlio non si trasformi a sua volta in tirannia di padre.
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Se mio padre si ribellò a mio nonno per non essere schiavo della «fede» paterna, io mi ribello a mio padre per non essere schiavo di quella sua «fede» che lo fece a sua volta ribelle.
Come potrebbe fare mio figlio ad essere domani quello ch’io oggi sono?
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Soltanto dalle macerie di tutto ciò che il ribelle ha distrutto può nascere il genio creatore.
Ma che cosa prepara la creazione del genio se non una nuova rivolta?
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Sono d’accordo con Federico Nietzsche nel credere che non ci sia mai stato il bisogno di interrogare un martire per sapere la verità. Ma la forza che vuole, l’audacia che osa e la volontà capace che crea, sono tesori che si ereditano dal genio, dal ribelle e dall’eroe soltanto.
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Ho veduto un genio «rubare» ed un idiota lanciare un ordigno di morte contro un ministro di Stato.
Il primo ha rubato per vivere indipendente e creare nella libertà. Il secondo ha ucciso per un segreto odio personale e per volontà di morire.
Il primo ha consumato un «volgare reato comune» ed è un «delinquente comune», il secondo ha consumato un «reato politico» ed è un «nobile e generoso delinquente politico». Io domando ora a tutti gli uomini politici di parte sovversiva in generale, ed agli anarchici in particolare — se innanzi a questo fatto sia il caso di innalzare ancora il «reato politico» fra lo splendore della gloria e le feste del sole per gettare il «reato comune» nel fango.
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Troppi sono ancora, ohimé! coloro che guardano all’opera. Ma io prima di guardare l’opera guardo l’autore di questa. Ma anche per molti — troppo molti — anarchici, sembra che l’individuo conta molto poco…
La maggioranza di costoro si trovano ancora tra la plebaglia che dice: «Gli uomini non contano. Contano i fatti e le idee.». Ed è questa la ragione per cui anche tra noi, molti esseri superiori e sublimi sono stati gettati nel fango, mentre molti idioti sono stati innalzati nel sole.
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Nego il diritto di giudicarmi a tutti coloro che non comprendono la voce delle mie brame, l’urlo della mia necessità, i voli del mio spirito, il dolore dell’anima mia, il fremito delle mie idee e l’ansia del mio pensiero. Ma tutto ciò lo comprendo io solo. Volete giudicarmi? E sia! Ma voi non giudicherete mai il vero me stesso. Bensì quel «me» che voi vi siete inventati. Ma mentre voi crederete di avermi tra le dita e stritolarmi, Io sarò lassù a ridere in lontananza!
Renzo Novatore

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