lunedì 30 settembre 2013

IL CANTO DELLE CRISALIDI



Vita, morte, 
la vita nella morte; 
morte, vita, 
la morte nella vita. 

Noi col filo 
col filo della vita 
nostra sorte 
filammo a questa morte. 

E più forte 
è il sogno della vita - 
se la morte 
a vivere ci aita 

ma la vita 
la vita non è vita 
se la morte 
la morte è nella vita 

e la morte 
morte non è finita 
se più forte 
per lei vive la vita. 

Ma se vita 
sarà la nostra morte 
nella vita 
viviam solo la morte 

morte, vita, 
la morte nella vita; 
vita, morte, 
la vita nella morte.-


Carlo Michelstaedter

venerdì 27 settembre 2013

CASA DI BAMBOLA

"Casa di bambola" (titolo originale "Et dukkehjm") è un testo teatrale scritto da Henrik Ibsen nel 1879 e rappresentato la prima volta il 21 dicembre dello stesso anno a Copenaghen. Tra le tante rappresentazioni dell’opera, resta memorabile quella che vide come protagonista l'intensa attrice russa Alla Nazimova, che interpretò per la prima volta lo spettacolo nel 1907 e che nel 1922 fu la protagonista della relativa trasposizione cinematografica.


Pungente critica nei confronti dei tradizionali ruoli maschili e femminili, nell'ambito del matrimonio durante l'epoca vittoriana, Henrik Ibsen nel personaggio di Nora ha delineato il vuoto interiore di una vita vissuta all'ombra di un uomo, l'angosciante desolazione di chi nasconde la sua forza dietro la maschera della debolezza, l'ingenuità artefatta, mirata a negare la mancanza di intimità, comprensione, fiducia nel rapporto coniugale.


L'opera teatrale si apre sul rientro a casa di Nora: è quasi Natale e lei sorride, canticchia, sgranocchia, un po' furtiva, alcuni dolcetti.

Torvald: - E’ la mia lodoletta che trilla lì fuori?
Nora: - Sì, è proprio lei!
Torvald: - E' lo scoiattolo che ruzza?
Torvald: - Quando è rincasato lo scoiattolino?
Nora: - In questo momento. (Caccia in tasca l'involto dei dolci e si pulisce la bocca). - Torvald, vieni a vedere cosa ho comprato!
Torvald: - Non mi disturbare! (Poco dopo apre la porta e guarda nella stanza, con la penna in mano). - Comprato, hai detto? Tutta quella roba, il passerotto sventato se ne è di nuovo andato in giro a sciupar denaro?
Nora (accostandosi alla stufa): - Ma sì, come vuoi tu, Torvald.
Torvald (la segue): - Già, ma non voglio che la lodoletta trascini le ali. Cosa c'è? Lo scoiattolino fa il broncio? (Tira fuori il portafogli) Nora, indovina cosa ho qui?

La seduttività manipolatoria di Nora gioca con il compiacimento di Torvald, che si sente forte del potere esercitato su di lei.


Torvald: - Ed io non ti vorrei diversa da quel che sei, mia cara piccola allodola canterina. Però , ora che ci penso; oggi hai un'aria così... come dire?... sospetta...
Nora: - Io? -
Torvald: - Sì, tu. Guardami bene negli occhi.
Nora (lo guarda): - E ora?
Torvald (minacciandola col dito): - La piccola golosa non ha trovato qualcosa da sgranocchiare oggi in città?
Nora: - Ma no, cosa ti viene in mente?
Torvald: - Davvero la ghiottoncella non ha fatto una scappata in pasticceria?
Nora: - No, Torvald, ti assicuro.
Torvald: - Non ha assaggiato un po' di marmellata?
Nora: - No, davvero.
Torvald: - E neanche rosicchiato due o tre amaretti?
Nora: - Ma no, Torvald, ti assicuro, proprio...
Torvald: - Via, via... dico per scherzo, si capisce...
Nora (va verso il tavolo di destra): - Non mi verrebbe mai in mente di fare cose che ti dispiacciono...
Torvald: - No, lo so anch'io. E poi m'hai dato la tua parola.

Nella sua vita, cosparsa di piccole, grandi menzogne, Nora ha rinnegato anche il diritto di mangiare dei dolci, giacché ha barattato la sua libertà per la comodità di un ruolo da sempre recitato, fin dai primi tempi di suo padre, per eludere il cambiamento.
In quel momento, mentre progetta col marito la festa mascherata in programma per la sera, non sa che il destino ha in serbo per lei il ricatto, l'onta del disonore, la disperazione della perdita, ed, infine, il riscatto della sua dignità di donna, nelle vesti di Krogstad, l'usuraio.
Molto tempo prima, per pagare un viaggio di convalescenza a suo marito, gravemente malato, ella aveva contratto un grosso debito con l'uomo, falsificando la firma di suo padre che, poco dopo era morto, senza poter avallare le cambiali. Lavorando in silenzio, di nascosto, conscia che l'orgoglio di Torvald non le avrebbe perdonato quell'umiliazione, ha quasi estinto quei debito; ma, quella sera, l'usuraio si reca da lei, chiedendole di intercedere presso il marito, che vuole farlo licenziare. Terrorizzata dal ricatto, cerca dapprima di usare il suo fascino di scoiattolina per convincere Torvald a conservare l'impiego a Krongstad, poi, resasi conto di non poter eludere il confronto con lui, decide di confessargli la verità, certa della sua comprensione, ma preoccupata che l'onore e l’amore gli impongono di addossarsi la sua colpa e, quindi, decisa ad uccidersi per evitarlo. Ma dopo le prime battute, scopre quanto, in realtà, lei poco lo conosca.


Torvald: - Dunque è vero? E’ vero ciò che egli scrive? Orrore! No, non può essere!
Nora: – E’ vero. Ti ho amato sopra tutto al mondo!
Torvald: - Risparmiami queste miserevoli scuse.
Nora (facendo un passo verso di lui): - Torvald!
Torvald: - Disgraziata! Cosa hai fatto?
Nora: - Lasciami andare. Tu non dovrai espiare per me. Non devi addossarti la mia colpa.
Torvald: - Basta con queste commedie.(Chiude la porta dell'anticamera). Tu resterai qui e mi renderai conto delle tue azioni. Capisci quello che hai fatto? Rispondimi! Lo capisci?
Nora (lo guarda fisso e parla irrigidendosi sempre più in volto): - Sì. Ora incomincio a capire perfettamente.
Torvald (muovendosi per la stanza): - Ah, che risveglio terribile! Per questi otto anni... lei che è stata la mia gioia e il mio orgoglio... una bugiarda, un'ipocrita ... peggio ancora, una criminale... laidezza senza fondo! Orrore. Orrore! (Nora tace e continua a guardarlo fisso. Torvald si arresta davanti a lei.) Ma avrei dovuto esservi preparato, avrei dovuto prevederlo. Quel tuo padre spregiudicato. Taci! La spregiudicatezza l'hai ereditata da lui. Nessuna religione, nessuna morale, nessun senso del dovere. Ah, come sono punito di aver chiuso un occhio sulla tua condotta. L'ho fatto per te. E tu mi ricompensi così.
Nora: - Sì... così.
Torvald: - Hai distrutto la mia felicità. Hai stroncato il mio avvenire... Dovrò andare alla malora per la sventatezza di una donna!
Nora: - Quando avrò lasciato questo mondo, tu sarai libero.
Torvald: - Basta coi paroloni. Anche tuo padre sfoderava sempre frasi del genere. A che mi gioverebbe che tu lasciassi il mondo, come vai dicendo? Proprio a nulla. Egli potrebbe tuttavia propalare la cosa; e se lo facesse, mi si incolperebbe magari di essere stato complice della tua azione criminale. Potrebbero credere ch'io ne sia stato l'ispiratore, l'istigatore. E di tutto questo posso dir grazie a te, a te che ho sempre portato in palmo di mano durante la nostra vita in comune. Ti rendi conto, ora, di quello che hai fatto?
Torvald: - Bisogna ch'io cerchi in qualche modo di tacitare quell'uomo; la cosa deve essere soffocata a qualunque prezzo. In quanto a te e a me, in apparenza tutto deve restare immutato, ma naturalmente solo agli occhi del mondo. Tu dunque resterai qui, s'intende. Ma non sarai tu l'educatrice dei bambini, non oserei affidarteli... Oh, dover dire questo alla donna che ho così intensamente amata, e che ancora ... ! No. Tutto questo deve finire. D'ora innanzi non si tratta più della nostra felicità, ma soltanto di salvare i resti, i relitti, le apparenze…

Ad interrompere la squallida scena, una lettera dell'usuraio che, invaghitosi di un’amica di Nora, rinuncia ai suoi propositi, permettendo a Torvald di rimettersi la sua maschera paternalistica: ora che è 'salvo', è pronto a perdonare la moglie, a mettere una pietra sull'accaduto, a riprendere la solita vita, recitando i soliti ruoli.


Torvald: - Mi hai amato come una moglie deve amare il marito. Soltanto ti è mancato il giudizio necessario nella scelta dei mezzi. Ma credi forse di essermi meno cara perché sei incapace di agire da sola? No, no, appoggiati a me e troverai guida e consiglio. Non sarei un uomo, se appunto questa tua femminile incapacità non ti rendesse ai miei occhi ancor più seducente. Non far caso alle parole dure che ti ho rivolto nel primo sgomento, quando credevo che tutto crollasse intorno a me. Ti ho perdonato, Nora, giuro che ti ho perdonato. Come hai potuto temere che io ti scacciassi o che ti rivolgessi anche un solo rimprovero? Oh, Nora, tu non conosci il cuore maschile. Per un uomo v'è un'infinita dolcezza, un'indicibile soddisfazione nella coscienza di avere perdonato alla sua donna... In tal modo ella diviene per così dire doppiamente sua; come se egli l'avesse ricreata una seconda volta. Ella diventa allora sua sposa e figlia al tempo stesso... io sarò la tua volontà e anche la tua coscienza…

Ma colei che ha di fronte, la donna dal viso impenetrabile e l'espressione decisa, non è più la sua Nora, il suo scoiattolino, è un essere umano che rivendica il suo diritto a pensare.


Nora: - Siamo sposati da otto anni. Non t'accorgi che noi due, tu ed io, marito e moglie, oggi per la prima volta stiamo parlando di cose serie? Mai abbiamo cercato di vedere il fondo delle cose.
Torvald: - Ma, cara Nora, sarebbe forse stata un'occupazione adatta a te?
Nora: - Ecco il punto. Tu non mi hai mai capita. Avete agito molto male, con me, Torvald, Prima il babbo, e poi tu.
Torvald: - Che cosa? Tuo padre ed io... Noi che ti abbiamo amata sopra ogni cosa al mondo?
Nora (scuotendo il capo): - Voi non mi avete mai amata, vi siete divertiti ad essere innamorati di me.
Torvald: - Ma, Nora, che cosa dici mai?
Nora: - Sì, è cosi, Torvald. Quando stavo col babbo egli mi comunicava tutte le sue idee, e quindi quelle idee erano le mie. Se per caso ero di opinione diversa, non glielo dicevo, perché non gli sarebbe affatto piaciuto. Mi chiamava la sua bambolina e giocava con me, come io giocavo con le mie bambole. Poi venni a casa tua...
Torvald: - Ti esprimi in modo strano a proposito del nostro matrimonio.
Nora: - Voglio dire che dalle mani di papà passai nelle tue mani. Tu regolasti ogni cosa secondo i tuoi gusti e così il tuo gusto io lo condivisi. O forse fingevo, non so neanch'io... forse un po’ l'uno e un po' l'altro, ora questo ora quello. Se ora mi guardo indietro, mi sembra di avere vissuto qui come una mendicante, alla giornata. Ho vissuto delle piroette che eseguivo per te, Torvald. Ma eri tu che volevi cosi. Tu e il babbo siete molto colpevoli verso di me. E’ colpa vostra se io non sono buona a nulla... Ma la nostra casa non è mai stata altro che una stanza da gioco. Qui sono stata la tua moglie-bambola, come ero stata la figlia-bambola di mio padre. E i bambini sono stati le bambole mie.

Squarciato il velo della finzione, Nora per la prima volta si guarda e, alla luce della consapevolezza, comprende che deve lasciare quella casa, Torvald, i bambini, per intraprendere il lungo viaggio alla scoperta di se stessa e del mondo.


Torvald: - Oh, è rivoltante. Così tradisci i tuoi più sacri doveri?
Nora: - Che cosa intendi per i miei più sacri doveri?
Torvald: - E debbo dirtelo? Non sono forse i doveri verso tuo marito e i tuoi bimbi?
Nora: - Ho altri doveri che sono altrettanto sacri.
Torvald: - No, non ne hai. E quali sarebbero?
Nora: - I doveri verso me stessa.
Torvald: - In primo luogo tu sei sposa e madre.
Nora: - Non lo credo più. Credo di essere prima di tutto una creatura umana, come te... o meglio, voglio tentare di divenirlo. So che il mondo darà ragione a te, Torvald, e che nei libri sta scritto qualcosa di simile, ma quel che dice il mondo e quel che è scritto nei libri non può essermi di norma. Debbo riflettere col mio cervello per rendermi chiaramente conto di tutte le cose.
Torvald: - E con questa lucidità e sicurezza tu abbandoni tuo marito e i tuoi figli?
Nora: - Sì.
Torvald: - Allora c'è una sola spiegazione possibile.
Nora: – Qual è ?
Torvald: -Tu non m'ami più.
Nora: - Sì, è proprio questo.
Torvald: - E puoi anche spiegarmi come ho perduto il tuo amore?
Nora: - Certo. E’ avvenuto questa sera, quando ho atteso invano il prodigio. Allora ho capito che tu non eri l’uomo ch'io credevo….. Per otto anni, ho atteso pazientemente. Mio Dio, lo capivo anch'io che il prodigio non può capitare come una cosa di tutti i giorni. Poi la rovina piombò su di me; e allora attesi con fede incrollabile. Mentre la lettera di Krohstad era là nella cassetta... nemmeno un istante ho pensato che tu potessi piegarti alle pretese di quell'uomo. Ero convinta che gli avresti risposto: va' pure e fallo sapere a tutto il mondo. E, quando ciò fosse avvenuto, io ero certissima che ti saresti fatto avanti e, prendendo tutto su di te, avresti affermato sono io il colpevole!
Torvald: - Nora!…
Nora: - Tu vuoi dire che io non avrei mai accettato un simile sacrificio? Certo che no! Ma a che sarebbero valse le mie affermazioni di fronte alle tue? Questo era il prodigio che io aspettavo tra la speranza e l'angoscia. E, per impedirlo, mi sarei tolta la vita.
Torvald: - Sarei felice di lavorare giorno e notte per te, Nora... di sopportare affanni e dolori per amor tuo. Ma nessuno sacrifica il suo onore a quelli che ama.
Nora: - Migliaia di donne l'hanno fatto.
Torvald: - Ah, tu pensi e parli come una bimba incosciente.
Nora: - Può darsi. Ma tu non pensi, né parli come l'uomo a cui potrei rimanere vicina. Quando il tuo timore è svanito... il timore, non del pericolo che mi minacciava, ma di quello che potevi correre tu stesso, quando ogni paura è passata... tu hai fatto come se nulla fosse accaduto; io ero di nuovo, esattamente come prima, la tua lodoletta... in quel momento ho capito d'avere vissuto qui per otto anni con un estraneo e di aver avuto tre figli da lui… Oh, non posso pensarci! Vorrei lacerare me stessa in mille pezzi!
Torvald (tristemente): - Capisco, capisco, Infatti un abisso s'è spalancato fra noi due. Ma, dimmi, Nora, non lo si può colmare?
Nora: - Cosi come sono ora, non posso essere tua moglie…
Torvald: - Io sento in me la forza di diventare un altro.
Nora: - Forse... se ti portano via la tua bambola.

Fredda e determinata, Nora restituisce a Torvald l'anello nuziale, come simbolo della riconquistata libertà, giacché nulla ella può accettare da un estraneo.


Torvald: - Nora... non sarò mai più altro che un estraneo per te? 
Nora: - Ah, Torvald, dovrebbe accadere il meraviglioso, il prodigio... Dovremmo trasformarci tutti e due a tal punto che... Ah, Torvald, io non credo più ai prodigi.
Torvald: - Ma io voglio credere. Dimmi! A tal punto che ... ?
Nora: - Che la nostra convivenza diventi un matrimonio. Addio!

giovedì 26 settembre 2013

IN LOTTA COL TEMPO



Il tempo è denaro. Se lanciassimo tutto il denaro del mondo in un implacabile mare di fuoco, il tempo si fermerebbe? Si pietrificherebbe ogni cosa, e l'eternità sfiderebbe immutabilmente i venti? O verrebbe tutto ridotto in cenere e in una manciata di secondi quelle ceneri sarebbero gettate in tutte le direzioni diventando invisibili?
Il movimento generato sarebbe tale che il tempo non avrebbe più alcuna influenza, e non potrebbe che assistere impotente allo scorrere degli avvenimenti...

Vivere significa lottare. Singolare il numero di persone che sarebbero d'accordo con questo, ciascuno, forse, attribuendovi un altro significato. E tuttavia. La sveglia suona e ci catapulta sul ring, tentiamo di ricordare ma, di fatto, non sappiamo più se nel frattempo abbiamo mai lasciato quel ring. Lottare col tempo. Il pensiero di poter vincere ci fa restare sul ring, poco importa a che punto la scena diventi oscena. Le regole sono fissate, e chiunque rispetti le regole si rende conto che la resistenza è la migliore carta vincente.

L'operaio o l'impiegato sa che le lancette dell'orologio girano, che la spartizione è lungi dall'essere equa, ma che se rimarrà abbastanza a lungo all'interno delle mura di una fabbrica o di un ufficio, il resto del tempo gli apparterrà. È doloroso vedere che di recente è stato mangiucchiato ancora qualche anno, la resistenza sarà di nuovo messa a dura prova. Anche per il disoccupato le lancette girano, ma questo non gli reca danno perché può usare il suo tempo oppure affondare sempre più perché non sa cosa farsene di tutto quel tempo, che preferirebbe restituire il più velocemente possibile ad un padrone o ad un'azienda. Il padrone adora il tempo. Vede l'evoluzione sul suo conto in banca e la fine del mese non gli fa paura. Anche se il suo sonno è di tanto in tanto disturbato dai lavoratori che rivendicano più tempo per se stessi col sabotaggio e lo sciopero.

E poi ci sono quelli che vogliono liberarsene per sempre. Si guardano attorno e rubano il tempo ovunque possono, distogliendolo da quello che si vorrebbe che fosse, attaccando ciò che rende immutabile quel tempo e che tuttavia dipende da noi. 

Il mondo dei meccanismi di acciaio e dei desideri di ghiaccio sa ammaliare sempre più abilmente il tempo per metterlo al servizio del suo ritmo necessario. Mettendo noi al servizio del suo ritmo necessario. Così le strade e i treni sono straripanti, soprattutto al mattino presto e a tarda sera, di tutti coloro che pagano la loro corsa contro il tempo della propria vita. Senza rendersi conto che il tempo ha già vinto, vincerà sempre finché scorrerà al servizio di questo mondo. Eppure in genere si confonde il premio di consolazione col primo premio, e tutti fanno rientro a casa pensando di aver guadagnato tempo. La loro malsana venerazione tuttavia può solo provarci che il tempo non ci appartiene mai molto a lungo. Anche per chi riuscisse sul serio a strapparlo per qualche istante ai suoi guardiani abituali, il tempo rimarrebbe un nemico imbattuto. Per quelli che, malgrado loro, non ne trovano per questi vagabondaggi di conquista, il tempo resta un nemico incontrastato, un padrone eccellente.

E se non volessimo più attenuare il peso del tempo che grava sulle nostre spalle? Quale gioia sarebbe mandare in frantumi tutti gli orologi, per non doverli più guardare? Che festa indescrivibile, quasi impossibile da concepire, espropriare di colpo tutto il tempo dal quotidiano e dai suoi padroni? Non per tornare indietro, o per fermare il tempo, ma per renderlo definitivamente estraneo alla sua influenza, e poi abbandonarlo all'oblio...

[da Salto, subversion & anarchie, n. 1, Bruxelles, maggio 2012

mercoledì 25 settembre 2013

SVASTICA



Il Presidente degli Stati Uniti d’America entrò nell’auto, circondato dagli agenti. Prese posto sul sedile posteriore. Era una mattina anonima e scura. Nessuno parlò. Filarono via, e i pneumatici si fecero sentire sulla strada ancora bagnata dalla pioggia della notte precedente.
C’era un silenzio molto strano, come mai lo era stato prima.
Andarono per un po’ e ad un certo punto il Presidente disse:
«Senti, questa non è la strada per l’aeroporto».
I suoi agenti non risposero. Era stata programmata una vacanza. Due settimane nella sua residenza privata. L’aereo lo attendeva all’aeroporto.
Cominciò a piovigginare. Sembrava che dovesse piovere ancora. Gli uomini, compreso il Presidente, indossavano pesanti soprabiti; cappelli; tutto ciò faceva sembrare l’auto strapiena.
Fuori c’era un vento freddo e insistente.
«Autista», disse il Presidente, «ritengo che stia andando per la direzione sbagliata».
Il conducente non rispose. Gli altri agenti non batterono ciglio.
«Sentite», disse il Presidente, «qualcuno vuol riferire a quell’uomo la via esatta per l’aeroporto?».
«Non andiamo all’aeroporto», disse l’agente alla sinistra del Presidente.
«Non stiamo andando all’aeroporto?» domandò il Presidente.
Gli agenti rimasero indifferenti. La pioggerella diventò pioggia. Il conducente azionò i tergicristalli.
«Sentite, che c’è?» chiese il Presidente. «Che succede qui?»
«Piove da settimane», disse l’agente accanto all’autista. «Deprime. Come sarò contento di godermi un po’ di sole.»
«Sicuro, anch’io», disse l’autista.
«C’è qualcosa che non quadra», disse il Presidente, «esigo sapere… »
«Non sei più nella condizione di esigere», disse l’agente alla destra del Presidente.
«Vuoi dire?… »
«Vogliamo dire!» disse l’agente.
«È un assassinio?» chiese il Presidente.
«Andiamo… è fuori moda.»
«E allora cosa… »
«Per favore. Abbiamo l’ordine di non discutere con lei.»
Viaggiarono per alcune ore. Continuava a piovere. Nessuno parlò.
«Ora», disse l’agente alla sinistra del Presidente, «fai un altro giro, e poi svolta all’interno.
Così non verremo seguiti. La pioggia ci è stata di grande aiuto».
L’auto tratteggiò l’area suggerita, quindi svoltò in una piccola strada sterrata. Era molto fangosa e i pneumatici ogni tanto giravano, slittavano, poi facevano di nuovo presa e l’auto procedeva. Un uomo con un impermeabile giallo, impugnando una torcia, li diresse all’interno di un garage aperto. Si trattava di un’area isolata, con molti alberi. Alla sinistra del garage c’era una piccola casa di campagna. Gli agenti aprirono le portiere.
«Fuori», dissero al Presidente. Il Presidente obbedì. Gli agenti stavano intorno al Presidente con circospezione, sebbene per miglia non ci fosse essere umano, eccetto l’uomo con la torcia e l’impermeabile giallo.
«Non vedo perché non avremmo potuto sistemare la faccenda qui», disse l’uomo con l’impermeabile giallo. «Sembra certamente più rischioso nell’altro modo.»
«Ordini», fece uno degli agenti. «Lo sai com’è. Ha sempre agito secondo intuito. E così anche adesso, più che mai.»
«Fa molto freddo. Avete tempo per una tazza di caffè? È già pronto.»
«Molto gentile, grazie. È stato un lungo viaggio. Presumo che l’altra auto sia già pronta.»
«Certo. È stata controllata più volte. Comunque abbiamo dieci minuti di anticipo sul programma. È per questo che ho suggerito il caffè. Lo sai come la pensa sulla precisione.»
«O.K. Allora, entriamo.»Entrarono nella casa di campagna, tenendo con molta attenzione il Presidente tra di loro.
«Tu siediti lໂ disse uno degli agenti al Presidente.
«È un ottimo caffè», disse l’uomo con l’impermeabile giallo, «macinato a mano».
Fece il giro con la caffettiera. Ne versò uno per sé, si sedette, con l’impermeabile giallo ancora indosso e il cappuccio gettato sulla stufa.
«Ah, veramente buono», disse uno degli agenti.
«Panna e zucchero?» domandò un altro al Presidente.
«Va bene», rispose…
Non c’era molto spazio nella vecchia macchina, ma fecero in modo di entrare con il Presidente di nuovo sul sedile posteriore… La vecchia auto slittò nelle grosse buche e sul fango, ma riuscì a tornare sulla strada. Fu di nuovo per la maggior parte un viaggio silenzioso.
Uno degli agenti si accese una sigaretta.
«Maledizione, non riesco proprio a smettere!»
«Beh, è difficile, tutto lì. Non preoccuparti.»
«Non sono preoccupato. Solo disgustato.»
«Senti, non pensarci. Questo è un gran giorno per la Storia.»
«Eccome!» fece quello con la sigaretta.
Quindi, aspirò…
Parcheggiarono nei pressi di una vecchia pensione. Continuava a piovere. Rimasero lì alcuni istanti.
«Ora», disse l’agente di fianco all’autista, «fatelo uscire. È sgombro. Nessuno in giro».
Camminarono con il Presidente in mezzo a loro, prima attraverso la porta di ingresso, quindi su per tre piani di scale, sempre tenendo il Presidente in mezzo a loro. Si fermarono e bussarono alla 306. Il segnale: battuta, pausa, tre battute, pausa, due battute…
La porta fu aperta e gli uomini spinsero dentro il Presidente. La porta fu poi chiusa a chiave e sprangata. Dentro attendevano tre uomini. Due avevano una cinquantina d’anni. L’altro era vestito con una vecchia camicia da manovale, pantaloni di seconda mano molto larghi e scarpe da dieci dollari scalcagnate e sporche. Stava seduto al centro della stanza su una sedia a dondolo. Poteva avere una ottantina d’anni, sorrideva… e gli occhi erano gli stessi; naso, mento, fronte non erano molto cambiati.
«Benvenuto, Signor Presidente. Ho aspettato molto la Storia, la Scienza e Voi; siete arrivati tutti secondo i piani, oggi… »
Il Presidente guardò il vecchio sulla sedia a dondolo. «Mio Dio! Tu sei… tu sei… »
«Mi hai riconosciuto! Altri tuoi concittadini hanno scherzato sulla somiglianza! Troppo stupidi per rendersi conto che io ero… »
«Ma fu provato che… »
«Certo che fu provato. I bunker: 30 aprile 1945. Abbiamo voluto così. Sono stato paziente.
La Scienza era con noi ma a volte ho dovuto accelerare la Storia. Volevamo l’uomo giusto. Tu sei l’uomo giusto. Era impossibile per gli altri – troppo lontani dalla mia filosofia politica… tu sei l’ideale. Adoperando te sarà più facile ma come ti ho detto dovevo accelerare un po’ il percorso della Storia… la mia età… ho dovuto… »
«Vuoi dire…?»
«Sì, io ho fatto assassinare il tuo presidente Kennedy. E poi, suo fratello »
«Ma perché il secondo assassinio?»
«Ci avevano informati che quell’uomo avrebbe vinto le elezioni presidenziali.»
«Ma che ne farete di me? Mi è stato detto che non mi avreste assassinato »
«Posso presentarti i dottori Graf e Voelker?»
I due uomini salutarono il Presidente con un cenno del capo e sorrisero.
«Ma allora cosa succederà?» chiese il Presidente.
«Scusa un attimo. Devo chiedere ai miei uomini; Karl, com’è andata con il Doppione?»
«Bene. Abbiamo telefonato dalla fattoria. Il Doppione è arrivato all’aeroporto come previsto. Il Doppione ha annunciato che, viste le condizioni del tempo, avrebbe annullato il volo fino al giorno dopo. Quindi ha annunciato che avrebbe fatto un giro in macchina… che gli piaceva essere accompagnato in giro sotto la pioggia… »
«E poi?» chiese il vecchio.
«Il Doppione è morto.»
«Bene. Andiamo avanti. Storia e Scienza sono arrivate alla loro ora.»
Gli agenti fecero andare il Presidente verso uno dei due tavoli operatori. Gli dissero di spogliarsi. Il vecchio andò verso l’altro tavolo. I dottori Graf e Voelker indossarono i camici e si prepararono per l’incarico…

L’uomo dall’aspetto più giovane si alzò da uno dei due tavoli operatori. Si vestì con gli abiti del Presidente, poi andò verso il grande specchio sul muro a nord. Stette lì per buoni cinque minuti. Poi si girò.
«Miracoloso! Neanche una cicatrice… niente riabilitazione. Congratulazioni, signori!
Come fate?»
«Sì, Adolf», rispose uno dei due dottori, «abbiamo fatto molta strada da quando… ».
«Aspetta! Non voglio mai più sentire il nome Adolf… fino al momento giusto, finché non lo dico IO!… Sino ad allora non si parlerà più tedesco… ORA sono il Presidente degli Stati Uniti d’America!»
«Sì, Signor Presidente!»
Poi si toccò sopra il labbro superiore:
«Mi mancano i miei vecchi baffi!».
Sorrisero.
Quindi egli chiese:
«E il vecchio?».
«L’abbiamo messo a letto. Non si sveglierà per ventiquattro ore. In questo momento… ogni cosa… tutte le prove dell’operazione sono state distrutte, dissolte. Tutto quel che dobbiamo fare è uscire di qui», disse il dottor Graf. «Ma… Signor Presidente, quest’uomo… io suggerirei… »
«No, ti dico, è indifeso! Lascialo soffrire come ho sofferto io!»
Andò verso il letto e guardò l’uomo. Un vecchio di ottant’anni con i capelli bianchi.
«Domani sarò nella sua residenza privata. Chissà se a sua moglie piacerà il mio modo di fare l’amore.» Fece una risatina.
«Sono sicuro, mein Führer… oh, mi scusi! Sono sicuro, Signor Presidente, che le piacerà moltissimo il suo modo di fare l’amore.»
«Lasciamo questo posto, allora. Prima i dottori, per la loro strada. Poi noi… uno o due alla volta… una comitiva di auto, quindi una buona dormita alla Casa Bianca.»

Il vecchio con i capelli bianchi si alzò. Era solo nella stanza. Poteva fuggire. Uscì dal letto in cerca dei suoi vestiti e come attraversò la stanza, vide un vecchio in un grosso specchio.
No, pensò, oh mio dio, no!
Alzò un braccio. Il vecchio nello specchio alzò un braccio. Si mosse in avanti. Il vecchio nello specchio si ingrandì. Guardò le sue mani – aggrinzite, non erano le sue mani! Guardò i suoi piedi! Non erano i suoi piedi! Non era il suo corpo!
«Dio mio!» disse ad alta voce. «O MIO DIO!»
Allora sentì la sua voce. Neanche la voce era la sua. Avevano anche scambiato le corde vocali. Si toccò la gola, la testa. Nessuna cicatrice! Nessuna cicatrice da nessuna parte. Si mise gli abiti del vecchio e scese le scale. Bussò alla prima porta, c’era scritto “Proprietaria”.
La porta si aprì. Una donna anziana.«Sì, signor Tilson?» chiese.
«Signor Tilson? Signora, io sono il Presidente degli Stati Uniti d’America! È un’emergenza!»
«Oh, signor Tilson, siete così divertente!»
«Senta, dov’è il telefono?»
«Proprio dove è sempre stato, signor Tilson, alla destra della porta d’ingresso.»
Si frugò nelle tasche. Gli avevano lasciato qualche spicciolo. Guardò nel portafoglio.
Diciotto dollari. Mise una moneta nel telefono.
«Signora, qual è l’indirizzo qui?»
«Signor Tilson, voi SAPETE l’indirizzo. Vivete qui da anni! Vi comportate molto stranamente oggi, signor Tilson. E vi dirò di più!»
«Sì, sì… cosa?»
«Vi ricordo che l’affitto scade proprio oggi!»
«Oh, signora, per favore mi dica questo indirizzo!»
«Come se non lo sapesse! È 2435 Shoreham Drive.»
«Sì», disse al telefono, «tassì? Voglio un tassì al 2435 di Shoreham Drive. Aspetterò al primo piano. Il mio nome? Il mio nome? Va bene, il mio nome è Tilson… ».
È inutile andare alla Casa Bianca, pensò, hanno quella copertura… Andrò dal più grosso giornale. Glielo dirò. Dirò tutto all’editore. Tutto quel che è accaduto…

Gli altri pazienti risero di lui. «Vedi quel tipo? Che somiglia un po’ a quel tizio, quel dittatore, come si chiama, solo molto più vecchio. Comunque, quando venne qui un mese fa, pretendeva di essere il Presidente degli Stati Uniti d’America. Questo un mese fa. Adesso non lo dice più tanto. Ma di sicuro gli piace leggere il giornale. Non ho mai visto uno così ansioso di leggere un giornale. Bisogna dire che se ne intende di politica, però. Penso sia quello che l’ha fatto impazzire. Troppa politica.»
Suonò la campana della cena. Tutti i pazienti se ne accorsero. Eccetto uno.
Un infermiere andò verso di lui.
«Signor Tilson?»
Non ci fu risposta.
«SIGNOR TILSON!»
«Oh… sì?»
«È ora di cena, signor Tilson!»
Il vecchio con i capelli bianchi si alzò e andò lentamente verso il refettorio.

Charles Bukowski

martedì 24 settembre 2013

MASTURBAZIONE





Strade deserte
brulicanti
di chiromanti disoccupati
che analizzano il passato
sono indifferenti al presente
e profetizzano il futuro.

Mentre scocca il medesimo tempo
in tane velate alla luce
ladri rubano ai ladri
mentre nei palazzi dorati
ladri laccati e lucenti
scrivono codici imposti agli altri.

Nel tempio della giustizia
la casta dei giudici
spazzolandosi antiche ragnatele
assolve faccendieri
condannando un sciuscià dei bassi.

Ride il corvo
e la fantasmagorica fenice
si lecca una piuma.

Nei giardini della rassegnazione
piangono lacrime di sangue
siringhe usa-e-getta.

Chi voleva cambiare il mondo
è sepolto sotto secoli d'indifferenza
oppure
molto spesso ormai
si struscia a giudici e preti.

Ma
(e voi ancora non lo sapete)
un uomo vestito di nero
e con una strana luce negli occhi
arrota il suo coltello
per lacerare l'indifferenza.

E PIANGERANNO I BUONI ED I CATTIVI.


Horst, 31 ottobre 1985

lunedì 23 settembre 2013

LA SOCIETA' FUTURA



    


Gli individualisti si occupano poco di una società futura. Questa idea è stata sfruttata e può nutrire il credente come lo sfruttamento del paradiso nutre il sacerdote; ma il paradiso assomiglia ad una mera descrizione snervante delle sue meraviglie, un'influenza soporifera su coloro che l'ascoltano, che gli fa dimenticare l'oppressione presente, la tirannia e la schiavitù. Indebolisce l'energia, evira l'iniziativa. L'individualista non mette la sua speranza nella società del futuro. Vive nel momento presente, e vuole trarne il massimo dei risultati. L'attività individualista è essenzialmente un lavoro per il presente per un risultato per il presente. L'individualista sa che il presente è erede del passato ed è gravido del futuro. Non è in un domani che vuole vedere la fine dell'invasione da parte della società sull'individuo o l'invasione e l'oppressione di una persona su un'altra. E' oggi che vuole questa fine: che l'individualista vinca la sua indipendenza.



    A dire il vero, l'individualista spesso fallisce nei suoi tentativi di liberarsi dal giogo del dominio esistente. Considerando le forze di opposizione e di oppressione, questo è molto naturale. Ma il futuro beneficerà automaticamente da ciò che guadagna in questo presente. L'individualista sa bene che non potrà esplorare tutta la foresta, ma il percorso che si apre resterà, e quelli che lo seguono, se vogliono, lo amplieranno sempre di più.

    E' vero che l'individualista è incapace di delineare in dettaglio la mappa del "futuro dell'umanità" non appena le sue richieste diventano vittoriose. Così egli non può fare un lavoro topografico, ma d'altra parte può prevedere con certezza quale sia la natura del terreno e la qualità del liquido che riempie i fiumi, ed i possibili tipi di cultura. "L'umanità nuova" non è per lui assolutamente una terra incognita. L'individualista può, quindi, fin d'ora indicare una "futura umanità" che sarà. Egli sa che sarà simile al mondo attuale, ma con cambiamenti nel dettaglio che da una completa trasformazione della mentalità generale, una diversa comprensione delle relazioni tra gli uomini, un cambiamento universale e individuale dello stato d'animo, che renderà certi metodi e certi istituzioni impossibili.

    Così l'individualista può affermare con certezza che l'autoritarismo non potrà in nessun caso proseguire nella società futura. Immaginare un "mondo futuro", dove ci sarebbe ancora una traccia di dominio, la coercizione e il dovere, significa parlare di sciocchezze.

    L'individualista è sicuro che non ci sarà più spazio per l'intervento dello Stato, di un organismo statale, sociale, legislativa, penale, di un'istituzione disciplinare o amministrativo nel pensiero e nel comportamento e nell'attività degli esseri umani.

L'individualista sa che le relazioni e gli accordi tra gli uomini saranno sempre raggiunti volontariamente; le intese e i contratti saranno per uno scopo specificato e attuato col tempo, senza nessun obbligo; essi saranno sempre soggetti a termine; non ci sarà una clausola o un articolo di un accordo o contratto che non sarà pesato e discusso prima di essere accettato per raggiungere un contratto unilaterale, non obbligando qualcuno a impegnarsi personalmente e consapevolmente se non accetta ciò. L'individualista sa che non ci saranno fattori economici, maggioranze politiche o religiose -e di qualunque gruppo sociale- in grado di essere imposte a un singolo uomo e di conformarsi contro la sua volontà alle sue decisioni o decreti.

    Abbiamo qui tutta una serie di certezze su cui non esistono cavilli. L' "Umanità del futuro", come la concepisce l'individualista, "si srotola" senza una stazione terminale, senza un punto di arrivo. Si diventa eterni, a tempo indeterminato, sempre in costante evoluzione. Un'umanità di tipo dinamico ignora le fermate lungo il percorso; o se ci sono le fermate nelle stazioni, si capisce che questo è il tempo strettamente necessario per far fuori quelli che vogliono provare un'esperienza che coinvolgerà solo loro.

    L'umanità futura, "la nuova umanità", come gli individualisti affermano, costituisce una gigantesca arena dove, tanto nel pensiero e nella personalizzazione come tecnica, tutti i progetti che si possono immaginare, i piani, le associazioni e le pratiche lottano e concorrono tra loro. È a causa di queste consolidate caratteristiche che "la nuova umanità", in nessun modo simile, non può avere nessun punto di incontro con la nostra "umanità vecchia". Sarà poli-dinamica, polimorfa, multilaterale.

    Quando qualcuno chiede esattamente come vogliono gli individualisti questa "futura umanità", si risolverà un certo punto litigioso, in cui è chiaro che l'interrogante non capisce. Ma si può rispondere con certezza che non ci sarà mai un ricorso alla violenza, costrizione o alla forza per regolare la differenza.

    Un buon numero di individualisti pensano che la venuta della "futura umanità" che gli individualisti vogliono, dipende da un attacco fondato su una seria, razionale e continua propaganda contro l'autoritarismo in tutte le sfere dell'attività umana, sia economia, sia politica e sia sociale, oltre che nella morale , nell'arte, nella scienza, nella letteratura. Argomentando il fatto che l'individuo è nato in una società organizzata, senza avere il permesso di acconsentire o rifiutare essa, o in grado di difendersi da essa o opporvisi, si deduce che da questo fatto primordiale, conferisce alla vittima il diritto alla vita, senza restrizioni o riserve. Cioè, il diritto di consumo, indipendente dalla politica economica, il diritto di libera scelta del metodo di produzione e dei mezzi di produzione, il diritto di scegliere i consumatori che desiderano beneficiare dal suo scambio, il diritto di scegliere se associarsi con gli altri e, se si rifiuta di associarsi, il diritto ai mezzi di produzione sufficiente a mantenere se stesso, il diritto di scegliere i suoi collaboratori e lo scopo per cui egli si associa.

    In altre parole, il diritto di comportarsi come egli trova più vantaggioso, a suo rischio e pericolo, senza altro limite che l'invasione sul comportamento altrui (per dirla in altro modo, l'uso della violenza, costrizione o coercizione nei confronti di colui che si comporta in modo diverso da te). Il diritto a garantire che egli non costringa a fare qualcosa che proprio lui ritiene personalmente antipatico o svantaggioso, o impedisce di fare ciò che vuole (che non sarà, pertanto, ricorrere alla forza fisica, l'inganno o la frode, al fine di ottenere ciò che appare utile, vantaggioso o gradito a lui). Il diritto di circolare liberamente, di muoversi dovunque gli piace, di propagare le dottrine, opinioni, proposte senza limitazioni e senza l'uso della violenza in qualsiasi forma per mettere in pratica questo diritto; il diritto di sperimentare in tutti i i campi e tutte le forme, per far conoscere le proprie esperienze, reclutando vari soci per la loro realizzazione, a condizione che partecipano solo chi vuole veramente ciò e che coloro che non vogliono più partecipare, possano ritirasi; il diritto al consumo e ai mezzi di produzione, anche se si rifiuta di partecipare a qualsiasi metodo di sistema o istituzione che sembra a lui sfavorevole. Il diritto alla vita, vale a dire, il diritto di essere felici come uno si sente spinto da quello che lo attira -che sia da solo o insieme-, senza timore di un intervento o l'intrusione di personalità o organizzazioni incompatibili con il proprio ego o con l'associazione di cui si fa parte momentaneamente.


Gli individualisti pensano che la garanzia del diritto alla vita, così concepito, è il minimo che
un individuo umano possa richiedere quando si rende conto di quello che un atto autoritario e arbitrario è stato impegnato nel portarlo al mondo. Pensano anche che tutta la propaganda per queste esigenze, favorisca l'avvento di una trasformazione della mentalità, caratteristica di tutta l'umanità nuova. La lotta per l'abolizione del monopolio dello Stato, o di qualsiasi altra forma esecutiva sostitutiva - contro il suo intervento come accentratore, amministratore, regolatore, moderatore, organizzatore o in altro modo in ogni relazione tra gli individui - favorisce allo stesso modo il pensiero di questi individualisti, l'emergere di questa mentalità.
    

Sono consapevole del fatto che un buon numero di individualisti anarchici non hanno alcun interesse per la "futura umanità". Per loro: "Senza il rischio di sbagliare troppo, ci si può assumere: 
1. Che ci sarà mai un generale, collettivo, vita da cui l'autorità è assolutamente esclusa, 
2 Che in tutte le società ci saranno persone o gruppi che sono protestanti, scontenti, critici e negatori.
 Senza dubbio, si assisterà a delle trasformazioni, miglioramenti, modifiche...anche sconvolgimenti. Il sistema di produzione capitalista può svanire alla fine, gradualmente o con la forza; si lavorerà di meno, si guadagnerà di più; verranno le riforme, inevitabilmente minacciose. Ci può essere un regime economico differente da quello che vogliamo. Ma qualunque sia il sistema sociale, il buon senso indica che la sua permanenza dipende da un sistema di regolazione adatto alla mentalità media delle persone in cui essi vivono. Se essi vogliono o meno, che siano a destra o a sinistra, devono conformare il loro comportamento ad essa, e poco importa se la sua base è esclusivamente economica, biologica o morale.

    "L'esperienza indica che verso i refrattari, essi useranno gli argomenti di cui gli uomini possono disporre, quali: politica o violenza, persuasione o costrizione, contrattazione o comando. La folla va sempre verso colui che ha un buon portamento e che parla bene. La collera durerà poco a dispetto delle sue ammirazioni. E' sempre facile ingannare e sedurre. Uno non può più basarsi semplicemente su di esso come un secolo o mille anni fa. La massa appartiene al più forte, al più superficiale, al più scivoloso. In una tale situazione, che cosa fanno o faranno gli individualisti anarchici? 

    "1. Alcune risposta di essi che rimarranno all'interno dell'ambiente e della lotta per affermare, senza preoccuparsi troppo della scelta dei mezzi, in quanto la loro preoccupazione, la grande preoccupazione della loro vita, è quelli di reagire a tutti i costi alla determinazione esterna che attenta alla loro vita. Affermano se stessi, se non per ridurre la pressione dell'ambiente dominante circostante. Essi reagiscono, sono refrattari, propagandisti, rivoluzionari; utilizzano tutti i mezzi possibili per la battaglia: istruzione, violenza, inganno, illegalismo. Essi colgono le occasioni in cui il Potere abusa degli individui e susciti ribellione tra le sue vittime. Ma è per piacere che agiscono, e non per il profitto tipico dei malati o per abusare di loro con le parole vane. Essi vanno, vengono, mescolandosi in un movimento o ritirandosi, se la loro indipendenza è o meno in pericolo di restrizione; si separano da coloro che hanno chiamato alla rivolta non appena questi pretendono di farli confluire in un partito. Forse lo fanno più di quello che sono.

    "2. Altri si collocano al margine dell'ambiente sociale. Avendo ottenuto in qualche modo dei mezzi di produzione, si preoccupano nel fare la loro separazione dall'ambiente ad una realtà, cercando di produrre abbastanza per se stessi, eliminando il fittizio e l'eccesso. Perché agli uomini, in generale, sembra che non gli interessi preoccuparsi di ciò, mantenendo solo le relazioni con poche persone ed istituzioni umane; e la loro vita sociale è limitata nella società di selezionati quali i "compagni di idee". Essi si raggruppano insieme, a volte, ma solo temporaneamente; e l'associazione limitata di cui fanno parte, non delega il potere di disporre del loro prodotto. Per loro, il resto del mondo esiste solo nella misura di cui ne hanno bisogno. Forse lo sono più di quelli che lo fanno.

    "Tra queste due concezioni di vita individualista, i vari temperamenti degli anarchici individualisti, si uniscono per un unico scopo. Per i compagni, queste opinioni che ho appena trascritto, sono solo uno schizzo per la "futura umanità", un ipotesi per un ambiente individualista, un lavoro di fantasia, pura fantasia letteraria. Essi sostengono che, per la mentalità, la volontà generale, è necessaria una trasformazione, in quanto "le specie sulla strada degenerano, le dirette categorie consegnano la terra della loro presenza: e questo non è probabile." E' stata solo la giustizia a far conoscere questo punto di vista che non dimentica l'individualista, anche quando parla del divenire sociale.

 Per aver descritto a grandi linee un quadro della "nuova umanità" a cui vorremmo evolvere, noi non possiamo pontificare con l'essere "al futuro della società". L'individualista anarchico non è il futuro della società; agisce nel presente. Egli non può pensare di sacrificare il suo essere per la venuta di uno stato di cose che non può immediatamente godere. Il pensiero individualista non ammette equivoci su questo punto. E' in mezzo alla vecchia umanità, l'umanità di dominatori e dittatori di ogni genere, che la "nuova umanità" appare, prende forma, diventa. Gli individualisti sono rivoluzionari permanenti e personali: cercano di praticare, in se stessi, nella loro cerchia, nei loro rapporti con i loro compagni di idee, le loro concezioni particolari della vita individuale e di gruppo. Ogni volta che una delle caratteristiche della "nuova umanità" si impianta nei costumi, ogni volta che uno o più esseri umani, a loro rischio e pericolo, agiscono con parole o azioni, "la nuova umanità si realizza." Nel campo dell'arte, delle lettere, della scienza, dell'etica, del comportamento personale, anche in campo economico, si trovano persone che pensano e agiscono in contrasto con le abitudini, usi, pregiudizi e convenzioni della "vecchia società", e tentano di buttare giù il tutto. Nel loro tipo di attività, anche loro rappresentano la nuova umanità. Già gli individualisti ne prendono parte, con il loro modo di comportarsi nei confronti del vecchio mondo, perché rivelano in ciascuna delle loro azioni, la loro intenzione, la loro vittoria, la loro speranza di vedere l'individuo liberarsi dal vincolo della mandria, della mentalità della massa.

    Si può sperare che dopo più di un flusso e riflusso di un triste tentativo di molti, l'umanità possa un giorno prendere la coscienza pratica della reciprocità, per l'anti-autoritarismo, per la soluzione individualista-anarchica, per la soluzione di eguale libertà?

Si può anticipare che, più illuminata, più educata, più informata, gli abitanti del nostro pianeta finalmente arriveranno a capire che né la coercizione, né il dominio della maggioranza, dell'élite, della dittatura di una classe autocrate o di una casta, sono in grado di garantire la felicità -cioè, di ridurre la sofferenza evitabile. E' il segreto del futuro. Ma, ottimisti o pessimisti a questo proposito, l'individualista anarchico non sarà da meno nel continuare a denunciare il pregiudizio che dà l'autorità statalista e la sua forza: la superstizione del governo necessario e vivere come se il pregiudizio e la superstizione non esistono.

Emile Armand

sabato 21 settembre 2013

TRASFORMAZIONI




In un giardino c'era un melo in fiore
e in questo giardino c'era anche un'ape che s'innamorò
d'uno dei bianchi fiori del melo.

Entrambi s'amarono appassionatamente e si fidanzarono.

Poi l'ape, d'estate, se ne andò e quando tornò
il fiore si era trasformato in un frutto acerbo.

L'ape si desolò, il frutto ne fu addolorato,
ma che fare in simile circostanza!

Nelle rovine della muraglia, sotto il melo
abitava un piccolo e casto topo.

Egli sospirava amorosamente: Oh! frutto delizioso,
se tu mi appartenessi; il mio buco sarebbe un paradiso!

Allora l'ape fedele se ne andò con tristezza; quando tornò il frutto era maturo.

L'ape si desolò e il frutto ne fu addolorato,
ma che fare in simile circostanza!

sotto un tetto vicino al melo, un nido era sospeso,
in questo nido un passero
sospirava amorosamente: O frutto delizioso,

se tu mi appartenessi il mio nido sarebbe un paradiso.
E l'ape si desolò, il frutto ne fu addolorato,
ma che fare in simile circostanza!

Lo stesso topo pianse e il passero si attristò

Un giorno il frutto marcì e il topo morì sospirando.
Il passero pure nel suo nido tacque, e lo trovarono morto
quando tornarono a rinnovare il tetto di paglia.

Quando l'ape tornò, i frutti e i fiori erano scomparsi,
allora essa si rifugiò nell'alveare ove in pace morì lavorando.

Ahimè! tutti questi dolori sarebbero stati risparmiati se l'ape
fosse stata sorcio quando il fiore divenne frutto acerbo.

E tutto sarebbe finito pel meglio se il topo fosse diventato
passero quando il frutto maturò!

Henrik Ibsen