Gli individualisti che salvarono Malatesta da Anarcotico.net
Il già più volte menzionato e rammentato
individualista novatoriano Enzo Martucci, impossibilitato a pubblicare
presso la Libreria Internazionale d'Avanguardia di Bologna una sua nuova
opera, dopo "La Bandiera dell'Anticristo" del 1950, per gravi contrasti
insorti tra di lui e la proprietà editrice in questione, non più
disposta ad editare libelli dai così
smaccati accenti provocatori ed insubordinati, benchè colpito ancora una
volta da una forma di ostracismo repellente non si arrese, e presso le
Industrie Grafiche Riccardo De Arcangelis di Pescara si diede alle
stampe nel 1953 la sua "La Setta Rossa". In essa egli andò avanzando e
precisando le sue concezioni baluginate e scaturite dall'individualismo
stirneriano-nietzscheano, tratteggiò nella figura immortale di Jules
Bonnot l'esempio dell'Anarchico più puro, determinato, coerente e
conseguente, autentico modello di comportamento da perseguire, e al
contempo abbozzò le vicissitudini della sua romantica e perigliosa vita,
di cui aveva già narrato in parte nella sua opera antecedente, che fino
a quel punto ebbe a condurre. In questi suoi ricordi, Martucci espose
un episodio-crocevia simbolico di un'intera epoca, la cosiddetta strage
del Diana del 23 Marzo 1921, analizzandone e contestualizzandone le
origini, lo svolgimento e le conseguenze.
Così il nostro anarchico favorito scrive:
"Io criticavo Malatesta per l'atteggiamento, non troppo simpatico,
assunto nei riguardi dei bombardieri del Diana. Infatti egli era stato
arrestato qualche mese dopo di me, il 17 Ottobre 1920, come istigatore
alla rivoluzione. In Italia si stava per scatenare rabbiosamente la
reazione fascista, resa possibile dalla viltà dei socialisti che non
avevano saputo fare le barricate; e questa reazione, aiutata e
sovvenzionata dalla borghesia e dal suo Stato, aveva sentito il bisogno
di togliere subito di circolazione l'unico rivoluzionario di una certa
serietà, o presunto tale, che vi fosse nella penisola italica.
Malatesta, carcerato da parecchi mesi, aveva iniziato a San Vittore lo
sciopero della fame per protestare contro la magistratura
liberal-giolittiana che non si decideva mai a fissare la data del suo
processo - trattavasi di prorogata ed ingiustificata carcerazione
preventiva, nota del curatore. Ma la magistratura non cedeva e
Malatesta, dopo varii giorni di digiuno, estenuato dalla debolezza,
stava per morire. Nessuno si levava in suo favore. Il proletariato,
l'eterno pecorone, cornuto e belante, che s'era ammantato della criniera
del leone per un solo istante ma che, poi, avvilito dall'indecisione e
dalla codardia dei suoi capi e terrorizzato dalle manganellate fasciste,
era ritornato umile e servo come prima, non si scuoteva dall'inerzia e
lasciava che il vecchio agitatore morisse di fame in galera, dopo averlo
tanto omaggiato al momento del suo ritorno in Italia. I socialisti che
s'erano divisi dai comunisti, non pensavano ad altro che a cantarsi
corna tra loro. Gramsci dalle colonne de "L'Ordine Nuovo" rovesciava
contro Nenni tutti gli aggettivi qualificativi pescati nel dizionario
dei bordelli, e Nenni (l'attuale, strenuo sostenitore dei comunisti)
rispondeva a Gramsci e ai bolscevichi, dalle colonne de "L'Avanti!",
servendosi degli epiteti che usano le ciane nei litigi più feroci. Così
tra le accuse che si lanciavano reciprocamente, la lotta intestina che
li dilaniava e la reazione che li indeboliva, non pensavano, i militanti
di entrambi i partiti, neppure lontanamente, a muovere un dito in
difesa di Malatesta. E, d'altronde, ad essi non avrebbe fatto dispiacere
se un negatore dello Stato fosse scomparso da questa terra. Gli
anarchici organizzatori facevano molto rumore ma nulla di concreto. Gigi
Damiani, dalle colonne di "Umanità Nova", spronava gli altri all'azione
dichiarando che, se nessuno si fosse mosso in difesa del vecchio, egli
avrebbe spezzato la penna come protesta. Ma nessuno si muoveva e Damiani
non spezzava la penna proprio perchè essa gli serviva allora, come gli
serve oggi, per mantenersi uno stipendio di giornalista anarchico. Gli
unici che intervennero in favore di Malatesta furono gli individualisti.
Proprio quegli individualisti che lui aveva sempre combattuto e
schernito. Ed agirono, si badi bene, non solo per difendere un povero
vecchio abbandonato da tutti, dopo un'intera vita di lotta
rivoluzionaria, ma anche perchè credettero colpire sia l'imbelle
rassegnazione delle folle che tolleravano senza fiatare il martirio di
colui che era stato il loro Apostolo, sia la bieca ferocia della classe
dominante che voleva, con la violenza, mantenere imperituramente il suo
potere. Giuseppe Boldrini, Ettore Aguggini e Giuseppe Mariani fecero
esplodere una bomba nel teatro Diana di Milano. Vi furono morti e
feriti. L'opinione pubblica si indignò contro gli anarchici. Malatesta,
appena conosciuta la notizia, condannò l'attentato e, in segno di
protesta contr'esso, interruppe lo sciopero della fame. Con questa
scappatoia si salvò. Altrimenti non avrebbe potuto riprendere a mangiare
senza coprirsi di ridicolo e demolire di conseguenza la sua fama di
eroe che preferisce morire piuttosto che cedere. E sempre condannando
l'attentato del Diana, compiuto da quelli che definì "disperati che non
sono anarchici perchè l'anarchico crede nell'avvenire", egli si presentò
alla Corte d'Assise di Milano, sotto il vello dell'utopista rifuggente
dal terrore, e venne assolto. Ma Mariani, Aguggini e Boldrini, che
avevano agito in sua difesa, subirono la condanna dell'ergastolo. E
furono condannati tanto più duramente in quanto, nel pubblico, tutti
dissero che il loro atto era stato così infame da suscitare la
riprovazione dello stesso Malatesta. E in carcere Boldrini e Aguggini
sono morti; ed il povero Mariani ne è uscito dopo 25 anni, stremato e
fiaccato, ed è caduto nelle mani dei seguaci di Sant'Errico Malatesta i
quali lo hanno costretto a rinnegare il suo gesto. Le considerazioni non
favorevoli all'atteggiamento di Malatesta nei riguardi dei terroristi,
io le esponevo francamente nelle riunioni dei fuorusciti della "Maison
Comune" attirando contro di me le proteste e le ire degli idolatri
malatestiani imbecilli. Mi dicevano costoro che Sant'Errico era stato
sempre coerente perchè aveva sempre condannato la rivolta individuale.
Ed io rispondevo come naturale che, nel caso del Diana, gli era stato
più che utile e conveniente bollare il terrorismo d'infamia. Litigavamo
ferocemente e, molte volte, giungemmo alle mani".
Queste pagine
di una chiarezza abbagliante, di un nitore sconvolgente, ci adducono
alcune delucidazioni decisive e forniscono i tasselli mancanti del
mosaico che ci consente di ricostruire la figura storica di Errico
Malatesta in tutta la sua sordida, inimmaginabile ed ipocrita viltà ed
in tutto il suo sconfortante e disgustoso opportunismo. Inoltre, esse ci
confermano inequivocabilmente come da sempre gli individualisti, nella
loro straripante generosità ed assidua e implacabile tenerezza, si siano
prodigati in favore della causa di tutti i perseguitati e di tutti gli
oppressi, senza perdersi in sottigliezze metafisiche ed anche
spendendosi a soccorso di rivendicazioni non pedestremente coincidenti
con la propria, che è Indicibile, verso fenomeni e personaggi, quindi,
anche decisamente e nettamente distanti dal loro Unico Sentire, come nel
caso di questa azione del 1921 testè evocata, pro-Malatesta.
Tante e
siffatte lezioni dolorose devono comunque aprirci gli occhi sulle
grottesche, paradossali e nondimeno autoritarie vicende che si
spalancherebbero ineluttabilmente presso di noi nell'eventualità, per
nostra buona sorte assolutamente remota, che i malatestiani e i
berneriani assumessero le redini del potere nella nostra piccola
società. Ma costoro, benchè adoratori della stupida e grossolana
plebaglia, la cui tirannia schiaccerebbe la nostra Irripetibile
Individualità non meno di quella del Capitale che odiernamente ci
attanaglia, la cui società ci evirerebbe non meno ed anzi più
tartufescamente dell'orrenda e tetragona società capitalistica che ora
ci soggioga, ci comprime, ci soffoca e ci schianta, da questa stessa
massa amorfa, dalle volgari, ignominiose ed insensate velleità, sono
totalmente ignorati; anzi, una delle poche certezze che si fanno largo
faticosamente nelle deliranti vie del nostro scetticismo assoluto, è
proprio questa: le masse, della F.A.I., dei malatestiani e delle loro
ipotesi societarie neoautoritarie non hanno lontanamente il benchè
minimo sentore, così come della loro medesima esistenza in sè. Lo stesso
discorso vale ovviamente e superiormente anche per noi individualisti
stirneriani-nietzscheani, ma a differenza di quegli altri, sedicenti
anarchici così come li dipingeva Martucci, questo per noi è da
considerarsi un vanto, un orgoglio. Stendhal ha scritto come Dio abbia
una sola attenuante, il fatto cioè che non esiste. Penso che, in
conclusione, questa massima possa bene attagliarsi, parafrasandola, alla
Federazione Anarchica Italiana, il cui mallevadore fu proprio quel
profittatore e buffone accclarato nomato Errico Malatesta.
"Io
sono un discepolo di Stirner e di Nietzsche, un amoralista convinto, e
credo con La Rochefoucauld che il male abbia, come il bene, i suoi
propri eroi. Comprendo Alessandro Magno che conquista l'Oriente e muore
di stravizi a Babilonia, Nerone che, per soddisfare una fantasia
artistica, fa incendiare Roma, Napoleone che insanguina l'Europa
sognando il dominio mondiale, Bonnot che saccheggia le banche e cade
eroicamente a Choisy le Roi, combattendo da solo contro cinquecento
poliziotti e morendo con l'arma in pugno. Comprendo il tiranno come il
ribelle, l'Io che si afferma nella libertà, ma disprezzo lo schiavo come
la spia, l'io che si umilia e striscia. Ammetto il male che rende
grandi, anche quando non è fortunato, il male che traduce il conato
prometeo, la lotta strenua contro il mondo, contro tutto e contro tutti;
ma detesto l'abiezione che riduce l'uomo simile ad un verme e lo piega
nell'accettazione dell'esistente di cui sfrutta i lati più turpi.
Barabba non mi nausea, ma Giuda Iscariota mi fa schifo. E quest'è, per
me, questione di sentimento, non di morale".
Enzo Martucci, "La Setta Rossa", 1953
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