mercoledì 6 giugno 2012

Gli individualisti che salvarono Malatesta

Gli individualisti che salvarono Malatesta da Anarcotico.net
Il già più volte menzionato e rammentato individualista novatoriano Enzo Martucci, impossibilitato a pubblicare presso la Libreria Internazionale d'Avanguardia di Bologna una sua nuova opera, dopo "La Bandiera dell'Anticristo" del 1950, per gravi contrasti insorti tra di lui e la proprietà editrice in questione, non più disposta ad editare libelli dai così smaccati accenti provocatori ed insubordinati, benchè colpito ancora una volta da una forma di ostracismo repellente non si arrese, e presso le Industrie Grafiche Riccardo De Arcangelis di Pescara si diede alle stampe nel 1953 la sua "La Setta Rossa". In essa egli andò avanzando e precisando le sue concezioni baluginate e scaturite dall'individualismo stirneriano-nietzscheano, tratteggiò nella figura immortale di Jules Bonnot l'esempio dell'Anarchico più puro, determinato, coerente e conseguente, autentico modello di comportamento da perseguire, e al contempo abbozzò le vicissitudini della sua romantica e perigliosa vita, di cui aveva già narrato in parte nella sua opera antecedente, che fino a quel punto ebbe a condurre. In questi suoi ricordi, Martucci espose un episodio-crocevia simbolico di un'intera epoca, la cosiddetta strage del Diana del 23 Marzo 1921, analizzandone e contestualizzandone le origini, lo svolgimento e le conseguenze.

Così il nostro anarchico favorito scrive:
"Io criticavo Malatesta per l'atteggiamento, non troppo simpatico, assunto nei riguardi dei bombardieri del Diana. Infatti egli era stato arrestato qualche mese dopo di me, il 17 Ottobre 1920, come istigatore alla rivoluzione. In Italia si stava per scatenare rabbiosamente la reazione fascista, resa possibile dalla viltà dei socialisti che non avevano saputo fare le barricate; e questa reazione, aiutata e sovvenzionata dalla borghesia e dal suo Stato, aveva sentito il bisogno di togliere subito di circolazione l'unico rivoluzionario di una certa serietà, o presunto tale, che vi fosse nella penisola italica. Malatesta, carcerato da parecchi mesi, aveva iniziato a San Vittore lo sciopero della fame per protestare contro la magistratura liberal-giolittiana che non si decideva mai a fissare la data del suo processo - trattavasi di prorogata ed ingiustificata carcerazione preventiva, nota del curatore. Ma la magistratura non cedeva e Malatesta, dopo varii giorni di digiuno, estenuato dalla debolezza, stava per morire. Nessuno si levava in suo favore. Il proletariato, l'eterno pecorone, cornuto e belante, che s'era ammantato della criniera del leone per un solo istante ma che, poi, avvilito dall'indecisione e dalla codardia dei suoi capi e terrorizzato dalle manganellate fasciste, era ritornato umile e servo come prima, non si scuoteva dall'inerzia e lasciava che il vecchio agitatore morisse di fame in galera, dopo averlo tanto omaggiato al momento del suo ritorno in Italia. I socialisti che s'erano divisi dai comunisti, non pensavano ad altro che a cantarsi corna tra loro. Gramsci dalle colonne de "L'Ordine Nuovo" rovesciava contro Nenni tutti gli aggettivi qualificativi pescati nel dizionario dei bordelli, e Nenni (l'attuale, strenuo sostenitore dei comunisti) rispondeva a Gramsci e ai bolscevichi, dalle colonne de "L'Avanti!", servendosi degli epiteti che usano le ciane nei litigi più feroci. Così tra le accuse che si lanciavano reciprocamente, la lotta intestina che li dilaniava e la reazione che li indeboliva, non pensavano, i militanti di entrambi i partiti, neppure lontanamente, a muovere un dito in difesa di Malatesta. E, d'altronde, ad essi non avrebbe fatto dispiacere se un negatore dello Stato fosse scomparso da questa terra. Gli anarchici organizzatori facevano molto rumore ma nulla di concreto. Gigi Damiani, dalle colonne di "Umanità Nova", spronava gli altri all'azione dichiarando che, se nessuno si fosse mosso in difesa del vecchio, egli avrebbe spezzato la penna come protesta. Ma nessuno si muoveva e Damiani non spezzava la penna proprio perchè essa gli serviva allora, come gli serve oggi, per mantenersi uno stipendio di giornalista anarchico. Gli unici che intervennero in favore di Malatesta furono gli individualisti. Proprio quegli individualisti che lui aveva sempre combattuto e schernito. Ed agirono, si badi bene, non solo per difendere un povero vecchio abbandonato da tutti, dopo un'intera vita di lotta rivoluzionaria, ma anche perchè credettero colpire sia l'imbelle rassegnazione delle folle che tolleravano senza fiatare il martirio di colui che era stato il loro Apostolo, sia la bieca ferocia della classe dominante che voleva, con la violenza, mantenere imperituramente il suo potere. Giuseppe Boldrini, Ettore Aguggini e Giuseppe Mariani fecero esplodere una bomba nel teatro Diana di Milano. Vi furono morti e feriti. L'opinione pubblica si indignò contro gli anarchici. Malatesta, appena conosciuta la notizia, condannò l'attentato e, in segno di protesta contr'esso, interruppe lo sciopero della fame. Con questa scappatoia si salvò. Altrimenti non avrebbe potuto riprendere a mangiare senza coprirsi di ridicolo e demolire di conseguenza la sua fama di eroe che preferisce morire piuttosto che cedere. E sempre condannando l'attentato del Diana, compiuto da quelli che definì "disperati che non sono anarchici perchè l'anarchico crede nell'avvenire", egli si presentò alla Corte d'Assise di Milano, sotto il vello dell'utopista rifuggente dal terrore, e venne assolto. Ma Mariani, Aguggini e Boldrini, che avevano agito in sua difesa, subirono la condanna dell'ergastolo. E furono condannati tanto più duramente in quanto, nel pubblico, tutti dissero che il loro atto era stato così infame da suscitare la riprovazione dello stesso Malatesta. E in carcere Boldrini e Aguggini sono morti; ed il povero Mariani ne è uscito dopo 25 anni, stremato e fiaccato, ed è caduto nelle mani dei seguaci di Sant'Errico Malatesta i quali lo hanno costretto a rinnegare il suo gesto. Le considerazioni non favorevoli all'atteggiamento di Malatesta nei riguardi dei terroristi, io le esponevo francamente nelle riunioni dei fuorusciti della "Maison Comune" attirando contro di me le proteste e le ire degli idolatri malatestiani imbecilli. Mi dicevano costoro che Sant'Errico era stato sempre coerente perchè aveva sempre condannato la rivolta individuale. Ed io rispondevo come naturale che, nel caso del Diana, gli era stato più che utile e conveniente bollare il terrorismo d'infamia. Litigavamo ferocemente e, molte volte, giungemmo alle mani".

Queste pagine di una chiarezza abbagliante, di un nitore sconvolgente, ci adducono alcune delucidazioni decisive e forniscono i tasselli mancanti del mosaico che ci consente di ricostruire la figura storica di Errico Malatesta in tutta la sua sordida, inimmaginabile ed ipocrita viltà ed in tutto il suo sconfortante e disgustoso opportunismo. Inoltre, esse ci confermano inequivocabilmente come da sempre gli individualisti, nella loro straripante generosità ed assidua e implacabile tenerezza, si siano prodigati in favore della causa di tutti i perseguitati e di tutti gli oppressi, senza perdersi in sottigliezze metafisiche ed anche spendendosi a soccorso di rivendicazioni non pedestremente coincidenti con la propria, che è Indicibile, verso fenomeni e personaggi, quindi, anche decisamente e nettamente distanti dal loro Unico Sentire, come nel caso di questa azione del 1921 testè evocata, pro-Malatesta.
Tante e siffatte lezioni dolorose devono comunque aprirci gli occhi sulle grottesche, paradossali e nondimeno autoritarie vicende che si spalancherebbero ineluttabilmente presso di noi nell'eventualità, per nostra buona sorte assolutamente remota, che i malatestiani e i berneriani assumessero le redini del potere nella nostra piccola società. Ma costoro, benchè adoratori della stupida e grossolana plebaglia, la cui tirannia schiaccerebbe la nostra Irripetibile Individualità non meno di quella del Capitale che odiernamente ci attanaglia, la cui società ci evirerebbe non meno ed anzi più tartufescamente dell'orrenda e tetragona società capitalistica che ora ci soggioga, ci comprime, ci soffoca e ci schianta, da questa stessa massa amorfa, dalle volgari, ignominiose ed insensate velleità, sono totalmente ignorati; anzi, una delle poche certezze che si fanno largo faticosamente nelle deliranti vie del nostro scetticismo assoluto, è proprio questa: le masse, della F.A.I., dei malatestiani e delle loro ipotesi societarie neoautoritarie non hanno lontanamente il benchè minimo sentore, così come della loro medesima esistenza in sè. Lo stesso discorso vale ovviamente e superiormente anche per noi individualisti stirneriani-nietzscheani, ma a differenza di quegli altri, sedicenti anarchici così come li dipingeva Martucci, questo per noi è da considerarsi un vanto, un orgoglio. Stendhal ha scritto come Dio abbia una sola attenuante, il fatto cioè che non esiste. Penso che, in conclusione, questa massima possa bene attagliarsi, parafrasandola, alla Federazione Anarchica Italiana, il cui mallevadore fu proprio quel profittatore e buffone accclarato nomato Errico Malatesta.

"Io sono un discepolo di Stirner e di Nietzsche, un amoralista convinto, e credo con La Rochefoucauld che il male abbia, come il bene, i suoi propri eroi. Comprendo Alessandro Magno che conquista l'Oriente e muore di stravizi a Babilonia, Nerone che, per soddisfare una fantasia artistica, fa incendiare Roma, Napoleone che insanguina l'Europa sognando il dominio mondiale, Bonnot che saccheggia le banche e cade eroicamente a Choisy le Roi, combattendo da solo contro cinquecento poliziotti e morendo con l'arma in pugno. Comprendo il tiranno come il ribelle, l'Io che si afferma nella libertà, ma disprezzo lo schiavo come la spia, l'io che si umilia e striscia. Ammetto il male che rende grandi, anche quando non è fortunato, il male che traduce il conato prometeo, la lotta strenua contro il mondo, contro tutto e contro tutti; ma detesto l'abiezione che riduce l'uomo simile ad un verme e lo piega nell'accettazione dell'esistente di cui sfrutta i lati più turpi. Barabba non mi nausea, ma Giuda Iscariota mi fa schifo. E quest'è, per me, questione di sentimento, non di morale".

Enzo Martucci, "La Setta Rossa", 1953

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