La morte del più orribile mostro
Ero
solo e triste. Sotto la sferza del sole meridiano camminavo senza meta,
per la deserta campagna, con l’unico scopo di vivere alcune ore nella
solitudine, lontano dalla folla dei gaudenti e dei miserabili. Cupi
pensieri martellavano il mio cervello, avevo l’animo in tumulto e
camminavo, camminavo senza stancarmi, senza rendermi conto del tempo che
trascorreva, né dei sentieri che attraversavo, i quali mi erano totalmente sconosciuti.
Il sole stava per volgere al tramonto quando mi trovai in un luogo, che io chiamai il regno della morte. Il terreno era tutto fangoso, non un albero, non un filo d’erba. Un fetore ammorbante emanava da quello stagno, al di sopra del quale il cielo era quasi coperto da una miriade d’insetti e da strani uccellacci neri, che volteggiavano per l’aria ferma senza produrre alcun rumore. Dov’ero capitato? Volsi le spalle e ripresi il cammino con l’intenzione di fare ritorno a casa, ma non avevo percorso neppure dieci passi che una voce tuonò in quel pantano e mi chiamò per nome. Mi diressi, un po’ titubante, verso il punto donde la voce era venuta e scorsi qualche cosa che si muoveva nel fango. Chi poteva essere? Fatti pochi passi, distinsi un orribile mostro, che m’invitava con gesti ad avvicinarmi. Che orrore! Era un mostro spaventevole. Il suo corpo era rivestito di lunghissimi peli ispidi, infangati e insanguinati.
Il capo enorme era ricoperto da tanti serpentelli, che spalancavano la bocca con movimento ritmico. Gli occhi, il naso, la bocca e le orecchie del mostro erano sostituiti da sei grandi fori circolari. Le mani, i piedi, invece delle dita avevano artigli lunghissimi ed adunchi. E che fetore mandava il suo corpo!
Il mostro, con una voce che non aveva nulla di umano, mi disse:
«Oh, ci sei finalmente! Perché non ridi ora, maledetto discepolo di Stirner, solitario abitatore di vette, flagellatore di morali? perché non ridi?»
«Ma che Stirner d’Egitto! — risposi. — Io non sono discepolo di nessuno. Ma tu chi sei, e come mi conosci?»
«Io — replicò il mostro — sono la Morale e ti chiedo ragione degli insulti che mi prodighi da una ventina d’anni, insieme con quelle canaglie dei tuoi compagni individualisti. Tu mi hai sempre vituperata, pur sapendo che io sono l’emanazione diretta di Dio e come lui sono eterna ed onnipotente. Se non ti ricrederai, io, con queste mani divine, ti sgozzerò e berrò il tuo sangue dannato».
«Ecco, o Morale, — soggiunsi sgomento — io posso avere sbagliato e lo voglio ammettere. Cerca di persuadermi dell’errore commesso e sarò lieto di diventare tuo servo fedele e tuo fervente ammiratore».
Ma il mostro rispose pieno di collera:
«No, no, qui non si tratta di essere convinti o persuasi, qui si tratta di credermi ciecamente come fanno gli altri, e tu non sei diverso dagli altri, hai capito?»
«Ho capito divinamente — mi azzardai a dichiarare — solo vorrei pregarti di parlarmi dell’alta missione che hai nel mondo; accontentami».
«Ti accontenterò — disse il mostro — ma prima voglio mangiare».
In così dire si sedette, aprì un sacco che aveva vicino a sé, ne levò un bambino morto, gli addentò la testina e si mise a mangiare avidamente.
Inorridii.
La Morale mi domandò: «Vuoi favorire?»
«Grazie tante — risposi — noi individualisti non siamo poi cannibali come insinuò un grande uomo, un moralista dell’ultim’ora. Dimmi, se è lecito, chi ti fornisce codesti poveri bambini?»
Essa confessò candidamente:
«Tutti i moralisti me li portano in cambio dei servizi che io rendo loro».
Il sole stava per volgere al tramonto quando mi trovai in un luogo, che io chiamai il regno della morte. Il terreno era tutto fangoso, non un albero, non un filo d’erba. Un fetore ammorbante emanava da quello stagno, al di sopra del quale il cielo era quasi coperto da una miriade d’insetti e da strani uccellacci neri, che volteggiavano per l’aria ferma senza produrre alcun rumore. Dov’ero capitato? Volsi le spalle e ripresi il cammino con l’intenzione di fare ritorno a casa, ma non avevo percorso neppure dieci passi che una voce tuonò in quel pantano e mi chiamò per nome. Mi diressi, un po’ titubante, verso il punto donde la voce era venuta e scorsi qualche cosa che si muoveva nel fango. Chi poteva essere? Fatti pochi passi, distinsi un orribile mostro, che m’invitava con gesti ad avvicinarmi. Che orrore! Era un mostro spaventevole. Il suo corpo era rivestito di lunghissimi peli ispidi, infangati e insanguinati.
Il capo enorme era ricoperto da tanti serpentelli, che spalancavano la bocca con movimento ritmico. Gli occhi, il naso, la bocca e le orecchie del mostro erano sostituiti da sei grandi fori circolari. Le mani, i piedi, invece delle dita avevano artigli lunghissimi ed adunchi. E che fetore mandava il suo corpo!
Il mostro, con una voce che non aveva nulla di umano, mi disse:
«Oh, ci sei finalmente! Perché non ridi ora, maledetto discepolo di Stirner, solitario abitatore di vette, flagellatore di morali? perché non ridi?»
«Ma che Stirner d’Egitto! — risposi. — Io non sono discepolo di nessuno. Ma tu chi sei, e come mi conosci?»
«Io — replicò il mostro — sono la Morale e ti chiedo ragione degli insulti che mi prodighi da una ventina d’anni, insieme con quelle canaglie dei tuoi compagni individualisti. Tu mi hai sempre vituperata, pur sapendo che io sono l’emanazione diretta di Dio e come lui sono eterna ed onnipotente. Se non ti ricrederai, io, con queste mani divine, ti sgozzerò e berrò il tuo sangue dannato».
«Ecco, o Morale, — soggiunsi sgomento — io posso avere sbagliato e lo voglio ammettere. Cerca di persuadermi dell’errore commesso e sarò lieto di diventare tuo servo fedele e tuo fervente ammiratore».
Ma il mostro rispose pieno di collera:
«No, no, qui non si tratta di essere convinti o persuasi, qui si tratta di credermi ciecamente come fanno gli altri, e tu non sei diverso dagli altri, hai capito?»
«Ho capito divinamente — mi azzardai a dichiarare — solo vorrei pregarti di parlarmi dell’alta missione che hai nel mondo; accontentami».
«Ti accontenterò — disse il mostro — ma prima voglio mangiare».
In così dire si sedette, aprì un sacco che aveva vicino a sé, ne levò un bambino morto, gli addentò la testina e si mise a mangiare avidamente.
Inorridii.
La Morale mi domandò: «Vuoi favorire?»
«Grazie tante — risposi — noi individualisti non siamo poi cannibali come insinuò un grande uomo, un moralista dell’ultim’ora. Dimmi, se è lecito, chi ti fornisce codesti poveri bambini?»
Essa confessò candidamente:
«Tutti i moralisti me li portano in cambio dei servizi che io rendo loro».
***
«Ora, ascoltami bene, ti parlerò francamente e sinceramente, ma non fare lo schizzinoso se ti mostrerò delle verità troppo amare e scottanti.
Sappi, innanzi tutto, che la mia natura e le mie funzioni cambiano col mutare delle epoche storiche e sociali e variano da luogo a luogo. In certi luoghi sono morali, ad esempio, il cannibalismo e la poligamia, mentre da noi sono delitti della massima atrocità. E anche qui, ciò che era permesso ieri, oggi è vietato, perché ritenuto immorale, mentre domani potrà ancora essere giudicato moralissimo, anzi reso addirittura obbligatorio.
Le mie funzioni cambiano, inoltre, a seconda delle classi sociali, dei partiti, delle sette, delle organizzazioni, ecc., di cui gli individui fanno parte, perché il mio spirito è come un poliedro di mille facce e ciascuna faccia è destinata a un dato gruppo o categoria di uomini».
***
Per te è morale vivere alle spalle dei lavoratori, viaggiare in treni di lusso, in automobile, in dirigibile, vestire di seta, spendere centomila lire in un gingillo, mantenere cento prostitute dorate, possedere palazzi in città, ville sui monti e al mare e servi in livrea e cavalli e carrozze e tutto, perché la proprietà è sacra ed inviolabile. Cerca, dunque, di educare la plebe al rispetto di codesto principio e se la turba dei miserabili e degli schiavi oserà alzare la testa, tu ricorri ai sicari che, in nome della legge o per un pugno di monete, sapranno mettere a posto i profanatori del diritto sacro di proprietà».
***
«Predicate la rassegnazione e l’umiltà, oscurate le intelligenze, assopite gli animi, promettete il paradiso d’oltre tomba, spogliate sempre i poveri quando si battezzano, si cresimano, si comunicano, si sposano, quando sono ammalati, quando muoiono e vengono seppelliti e anche dopo cento e mille anni da che sono sepolti, recitando salmi in suffragio della loro anima. Così sia.
E non vi venga l’idea di formare la famiglia, perché è una grave preoccupazione. La donna?… Eh, ci sono tante donne dei poveri e dei ricchi che corrono al vostro confessionale! Non temete. Anche molti sovversivi vi mandano le mogli, le sorelle, le figlie. E poi ci sono le monache, le figlie di Maria, le educande, ecc. e, alla fin fine, non è detto che dobbiamo scartare i fanciulli che vengono affidati alle vostre religiose cure. Divertitevi sempre, poiché i gonzi pagano bene. Evviva la messa nera!»
***
Le madri, le spose, i figli, le sorelle piangeranno e malediranno invano. Vi saranno soldati recalcitranti che non vorranno partire, che non vorranno assassinare degli sconosciuti, i quali non hanno recato loro mai alcun male? Ma vi pare? I lavoratori sono patrioti, sono eroi, combatteranno da leoni e riporteranno la vittoria.
Se, poi, non si mostrassero tali, penserebbero i nostri bravi carabinieri, le guardie regie, i finanzieri e altri birri a colpirli alle spalle e a spingerli all’attacco e al contrattacco. Avanti, Savoia, per amore o per forza!
Gli odii divamperanno, la sete di sangue diverrà inestinguibile, diverrà libidine. Sarà una lotta feroce corpo a corpo, scorreranno fiumi di sangue e s’innalzeranno montagne di cadaveri. Più l’uomo sarà belva e più sarà giudicato eroe. Così avvenne nell’ultima guerra mondiale. Vi furono milioni e milioni di morti, milioni e milioni fra ciechi, sordi, muti, pazzi, delinquenti, tubercolotici, mutilati delle braccia e delle gambe, inebetiti e via dicendo, ma che importa?
La guerra generò la fame e la peste. I vecchi e i bambini dei lavoratori piansero e stesero la mano alla pietà della gente, le giovani si prostituirono, ma i ricchi ebbero più denaro, più potenza, più gloria. Così è la guerra, così è la patria, così è la Morale».
***
La polizia e la magistratura assicurano loro l’impunità, la borghesia somministrò un discreto stipendio, la stampa per bene diede il suo plauso, ed essi poterono adottare su vasta scala la pratica del terrore.
Fiancheggiati dalle guardie regie e dai poliziotti in camicia nera, essi commettono giornalmente ogni sorta di bravata. Fanno obbligo ai cittadini di sporgere dalle finestre il tricolore, di portare un nastrino all’occhiello della giacca, di levarsi in piedi senza cappello alle prime note della marcia reale, di gridare Viva il re! In compenso, si dicono tendenzialmente repubblicani come il loro duce. E incendiano le stamberghe dei lavoratori. Tutto è permesso loro fuorché di colpire i capi dei partiti avversari, perché, venendo a mancare i capi, nessuno eserciterebbe più l’opera del pompiere e della spia».
***
«Tu forse ignori la mia infinita potenza e perciò mi combatti, o empio. Per formarti un concetto del mio sommo potere, ti dico che io penetro nei cuori umani, dirigo gli affetti e le passioni e tutte le relazioni carnali fra l’uomo e la donna. In tal caso prendo il nome di morale sessuale.
Fra popoli civili come il nostro, io proclamo l’amore unico, monogamico, esclusivista. È vero che pochissimi uomini e donne lo seguono, che la quasi totalità preferisce la pluralità degli affetti e degli accoppiamenti, perché tutti sono amanti del nuovo e del vario in tutte le manifestazioni della vita e specialmente nell’amore, ma che può importarmi?
Io esigo l’unicità nell’amore, se non nella sostanza, almeno nella forma perché le apparenze debbono essere assolutamente salvate.
Lo so che tu non sei di questo parere, che ti piace folleggiare di fiore in fiore, assaporare i piaceri peccaminosi, aspirare a pieni polmoni i profumi della carne vellutata, adornarti dei fiori del male. Ma io rido di te, delle delusioni e dei dolori che ti creo. T’ho promesso di essere sincero e ti parlerò anche dei gravissimi inconvenienti che derivano dalle proibizioni della morale sessuale.
I giovinetti e le giovinette, cui l’accoppiamento — per la tenera età — è vietato, si consumano e si straziano nella pratica della masturbazione.
Qualche anno fa — lo ricorderai — i giornali parlarono di una signorina dell’alta aristocrazia, la quale, mentre si sollazzava in stanza col suo cane, sentì muovere la maniglia dell’uscio. Per nascondere la sua colpa, tentò di svincolarsi dall’amplesso cagnesco, ma la bestia, non potendo tollerare la brusca interruzione del piacere, la strangolò.
Non sono rari poi i casi in cui qualche donna, per distruggere la prova del suo amore non legalizzato, tenti di abortire e vada a finire i suoi giorni all’ospedale.
Qualche altra donna, sempre in omaggio alla morale, strangola con le sue mani il frutto del suo seno e lo getta in un canale o in una fogna. Vi sono poi delle donne bellissime, esuberanti di vita giovanile, assetate d’ebbrezza, le quali sono obbligate a darsi in braccio ad un uomo anziano, malato, ripugnante».
«Ah, — interruppi io — non avevo torto quando scrivevo in una rivista che le malattie veneree, gli accoppiamenti coi cani, l’infanticidio e tutti i delitti per passioni amorose hanno avuto origine dalle limitazioni imposte dalla morale!»
«Non permetto che mi s’interrompa — protestò la Morale — perché le mie verità non devono essere discusse, ma accettate».
***
Tutti i partiti si equivalgono, tutti si basano sulla ragione di stato, sul principio d’autorità. Trattasi di una lotta non per la libertà, bensì per la sostituzione di una tirannia ad un’altra più o meno idiota e feroce. In Russia, ad esempio, allo Zar successe Lenin, a Lenin succederà… Lenone e via dicendo, perché così vuole la legge morale».
***
Anch’essi si organizzano, ossia s’illudono ed illudono gli altri. Anch’essi vogliono redimere il mondo, come se la libertà potesse venir concessa. La libertà, invece, dev’essere vissuta. E parlano alle folle di un domani radioso; e le folle, o non comprendono nulla, o volgono lo sguardo abbacinato verso la Terra promessa. Domani la rivoluzione e l’espropriazione, domani l’eguaglianza, la libertà, la felicità per tutti. Intanto si muoia d’inedia.
La teoria dell’avvenire è la teoria dei sogni più o meno rosei, ma tanto lontani dalla realtà. È la teoria del Cristianesimo.
Cristo è morto venti secoli fa, ma il Cristianesimo è sempre vivo e trionfante. Cristo, per amore degli uomini, diceva Domani!
Il socialismo di tutte le scuole ripete pappagallescamente Domani!, Domani! È la mia ombra — l’ombra della Morale — che, per offuscare la realtà del presente, parla della luce dell’avvenire.
Io ho indebolito e addomesticato gli anarchici, li ho resi onesti e civili, ho parlato loro d’amore contro l’odio, di giustizia e non di vendetta, ed essi — forti della mia protezione — sono saliti in pulpito e — come rivoluzionari — hanno predicato contro gli atti di terrorismo individuale e — come espropriatori — contro l’espropriazione dei singoli. Non ti sembrano abbastanza logici? Sicuro, perché per essi l’individuo vale molto meno del microbo patogeno, mentre la società è tutto.
Bisogna distruggere l’egoismo degli uo¬mini — essi gridano con ossessione — perché quando sarà distrutto l’egoismo, gli uomini vivranno felici sulla terra da buoni fratelli. Mentre tu dici a tutti, specialmente ai rivoluzionari: Siate egoisti, perché più sarete egoisti e più sarete assetati di libertà e di felicità e meno potrete tollerare il vostro stato di miseria e di schiavitù.
Oggi, in seguito alla reazione poliziesca fascista, si torna a parlare sulla stampa della necessità dell’anarchismo eroico. Ma sta pur certo che non mancheranno mai gli anarchici moralisti, che stigmatizzeranno ogni atto di ribellione individuale. Furono i social-anarchisti che declassificarono, bollarono, lapidarono Ravachol, Henry, Vaillant, Duval, Bonnot, Mariani, Aguggini e tanti altri vindici dell’Anarchia. E ciò fu merito mio, unico mio vanto. Io sono la Morale, nata dalla cieca ignoranza e dallo spirito autoritario dell’uomo e debbo compiere la mia funzione di oscurare le menti, di creare paurosi e biechi fantasmi, di spegnere ogni spirito di rivolta, e finché io vivrò gli uomini saranno schiavi, miserabili e vili. E neppure tu sarai risparmiato dalla mia ira miserabile e spietata, o demonio infernale».
***
Ma, immaginate voi, o miei fratelli, l’impressione da me provata quando, al posto del cuore, io trovai una grossa pietra? Rimessomi subito dallo stupore, esclamai: «va bene lo stesso». Questa mi servirà a perfezionare per colpire in fronte qualche carogna di moralista, se ancora ve ne fossero.
Erinne Vivani
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