L'uomo e la folla – di Albert Libertad
18 maggio 1905
Non lontano da Chatellerault, nel piccolo villaggio di Usseau, l’Uomo ha fissato la sua roccaforte contro la società.
Si chiama François Roy. Ha più di sessant’anni. È entrato in rivolta
contro l’ordine, il giorno in cui l’ordine lo ha colpito. Ha risolto da
sé i suoi affari.
I suoi genitori coltivavano un pezzo di terra a Saint-Eloy; egli avrebbe continuato lo stesso lavoro.
Il reggimento gli fece abbandonare i campi: divenne agente di
assicurazioni, si avvicinò alla politica, cominciò a speculare e perse
la sua parte di terra che peraltro non lavorava più.
Allora conobbe
il dolore di stare sotto altri. Divenne guardacaccia. Si racconta che
cambiava posto in continuazione. E ciò non è per niente sbalorditivo,
difficilmente un Uomo si piega al ruolo di valletto o di capomastro.
Cacciava di frodo sulle terre che guardava. Diavolo, idiota è colui che
prepara il raccolto per gli altri mentre lui muore di fame.
Uno,
chiamato Grandpied, ex consigliere municipale di Usseau, lo fa
condannare a cinquanta franchi d’ammenda per caccia di frodo. Gli viene
tolto il titolo di guardacaccia.
A sessantasette o a sessantotto
anni, l’Uomo deve dunque conoscere nuovamente la dura ricerca del pane
per vivere: non può rassegnarvisi. L’idea della lotta si fa strada in
lui, vuole farla pagare a colui che passeggia, onesto e felice, nei
viali e nei campi, dopo averlo ridotto alla morte.
Incontra
Grandpied con sua figlia. Spara un colpo di fucile alla bocca del
padrone. Alcuni pallini deviano sulla figlia. L’altro probabilmente
resterà cieco. L’Uomo rientra. E la cricca poliziesca viene a cercarlo.
Vi è il procuratore della Repubblica, il giudice istruttore, il
cancelliere e un gran numero di cani poliziotto. La porta è chiusa.
Viene intimato di arrendersi, nessuno risponde. I
gendarmi si
avvicinano per sfondare la porta. Un colpo di fucile è la risposta
all’attacco. Il cancelliere e un gendarme sono feriti.
Il
distaccamento di solito impiegato per difendere le frontiere circonda la
casetta. Dovrà riportare adesso una di quelle vittorie che distinguono
l’esercito francese. Poi arriva la folla, la folla degli onesti, il
branco delle oche domestiche sempre contro le oche selvagge. Questa
getta manciate di pietre sul tetto del rifugio del l’Uomo. Egli risponde
ancora, e colpisce con mano sicura. Un
gendarme e un sergente
cadono. La paura afferra i muscoli di questa cricca sociale, il cerchio
s’allarga. È un vero e proprio assedio. I soldati del 31° e tutti i
gendarmi della regione sono là. La folla spia l’Uomo e l’Uomo spia la
folla. L’Uomo non vuole obbedire e la folla si indigna del fatto che su
questa terra di funzionari e di elettori esista un Uomo. Da un lato un
vecchio di settant’anni e
dall’altro una compagnia di linea, una brigata di gendarmeria; più ancora la muta rabbiosa dell’opinione pubblica.
L’Uomo spara per difendersi. Dalla folla, armi alla mano, sparano per
difendere il principio consacrato della proprietà e del rispetto delle
leggi. Morte al rivoltoso. La sua mano appare, arrivano colpi di fucile
da destra e da sinistra. Chi mai lo ucciderà?
Bisogna prenderlo,
vivo o morto: lo vuole l’onore della giustizia. Ognuno ha il suo mezzo.
L’uno parla di mandare un cane che lo azzannerà, l’altro parla di pompe,
il terzo di cannone, un quarto di armature. Grenier, il ciarlatano
musulmano, il deputato-clown che non ci sarebbe aspettati di ritrovare
nella storia, propone il gas asfissiante. Si vada dunque a spaccargli il
cervello.
Vi è del tragico e del comico. Armi alla mano, i soldati sono là, pronti a sparare. Dappertutto vi sono dei bivacchi.
Solo, l’Uomo prepara la sua difesa, sbircia dalla feritoia. Non è un
pazzo, è un Uomo. Egli non spara a caso. Una donna, malgrado i soldati,
passa alla sua portata seguendo dei montoni. Essa va lentamente e l’Uomo
sa che non è là il nemico.
La circolazione viene fermata. Non si
può andare ai mercati vicini; la strada è sbarrata. Per il passaggio di
una corsa automobilistica o di un corteo reale o di una caccia a
cavallo, il gregge belante degli ignoranti; degli stupidi, dei rognosi,
non mormora nemmeno. Ma pare odiare Roy, come si odia colui che dà un
esempio che non ci si sente la forza di seguire. La folla arriva
dappertutto. Mai gli albergatori hanno fatto tanta fortuna. Uno racconta
che ha fatto più in questi otto giorni che negli ultimi quattro anni.
Si vede tutto lo squilibrio di una società in cui il male dell’uno
arricchisce l’altro. Società ipocrita, annegata nella sana morale, in
cui si è obbligati a sopravvivere e conseguentemente a desiderare che
l’altro crepi per soddisfare la propria fame.
I ministeri
dell’Interno, della Guerra e della Giustizia, collaborano a questa
cattura. Tutti esitano nell’avanzare. Le autorità che sono là, generale,
prefetto, sottoprefetto, procuratore generale, comandante della
gendarmeria, dell’artiglieria, comprendono il ridicolo della situazione.
La folla solamente grida a morte.
Sono stati approntati dei viaggi
Parigi-Chatellerault e Chatellerault-Parigi. L’ordine sociale è turbato.
Quale esempio dà un uomo che si rivolta! Quanto è debole la società
vicino un Individuo!
Sarà il cannone? Sarà la melinite? Gente del Genio è venuta per porre gli ordigni e per attivarli tramite un filo, da lontano.
Sarà per questa sera. Allora, da tutti i posti, arrivano gli spettatori
della morte, gli uccelli notturni del crimine legale, i vampiri onesti
che succhiano il sangue solo secondo le regole del Codice.
Vengono a
piedi o in automobile, in carretto o in utilitaria. Tutte le puttane e
tutte le gran dame del paese, tutti i magnaccia e tutti i proprietari, i
malandrini e i commercianti sono là, fianco a fianco. Il pubblico del
Tourbillon della Morte, delle corride, dei velodromi e della
ghigliottina, è là. Nessuna diserzione.
Questo pubblico ha la bava alla bocca. Che gli si serva l’Uomo senza pericolo: esso lo mangerà.
Queste dame hanno paura, deliziosamente. Un brivido corre lungo la loro
schiena. Esse difendono l’ordine sociale. Esse sono per la giustizia
contro il criminale. Quando si apprende che non sarà per questa notte,
tutto questo mondo di ruffiani e di donne oneste, di nobili e di
prostitute, comincia a
gridare, come al teatro quando l’attore non è stato ben assassinato.
Alla fine, il giorno o, piuttosto, la notte è arrivata. Tutta la guarnigione di Chatellerault è pronta.
Bisogna che lo si faccia adesso. «Se non lo si finisce questa notte, si
potranno temere delle manifestazioni, perché la popolazione è
esasperata». (“Journal” del 14 maggio).
La melinite è là. I soldati
del genio sono là. Il luogotenente Le François è pronto. E Babin, il
generale, riporterà una vittoria. Gloria a lui. Onore all’esercito
francese.
Duecentotrenta ordigni formati da cento grammi di melinite
vengono piazzati. Il procuratore Vasco vorrebbe attendere l’ora legale.
Il generale Babin vuole operare nell’ombra. Egli vorrebbe anche fare
degli inviti alla resa, il comandante Sempe dichiara che è inutile;
l’uomo è in stato di ribellione contro la legge!
A ottocento metri dalla casa, nel piccolo bosco, la folla urla, danza, canta e “stappa lo champagne”.
«Arrivo alla borgata. Nella piazza, duecento automobilisti fanno ressa,
circondati da uomini e da donne vestiti di pelle, questi uomini e
queste donne ridono e cantano; alcuni lanciano delle freddure oscene.
Tutte le ragazze, i ruffiani, i malandrini, gli assassini sfuggiti alle
prigioni, bancarottieri e succhiatori di sangue sono là. Quale
spettacolo più bello di quello di un uomo che sta per essere
ucciso!
Questo non sarà ghigliottinato, come tanti altri, sarà dinamitato, non
esattamente come il negro di Gaud e di Toqué, ma quasi … Bisogna
assolutamente assistervi e tutti coloro che erano stati alla replica
generale della notte da venerdì a sabato erano presenti alla prima.
Altri che non erano presenti alla replica erano accorsi oggi. Il sabato
sera è favorevole agli spettacoli familiari, ci si riposerà la
domenica». (E Hauser, corrispondente del “Journal”, 15 maggio 1905).
Non siamo noi a parlare, è il “Journal”; la sua clientela gli impedisce
di dire tutta la verità. Ma ciascuno sa discernerla. Queste duecento
automobili, non sono ragazze e ruffiani illegali che li possiedono. Le
bestie villose e sadiche che stappavano champagne, non sono solo
bancarottieri e gente sfuggita alla galera: per noi, questa è gente
onesta, è quella che forma l’élite, sono fannulloni, ruffiani, ragazze,
ladri legali, fango, la feccia di tutti i popoli, che vive di coloro che
lavorano facendoli crepare.
Come ridono! Stanno facendo saltare in
aria l’Uomo, stanno ammazzando l’Uomo. Essi hanno paura! Dove sarebbe
l’ordine se un Uomo potesse vendicarsi da se stesso dei crimini della
società.
Infine, un suono di tromba, i soldati scappano. Il momento è
arrivato.Un bagliore intenso infiamma l’orizzonte, un rumore lungo come
un tuono, una nuvola di fumo ed è la cricca che applaude, che vocifera,
che urla.
La cricca selezionata: generale, prefetto, procuratore, sottoprefetto, giudice istruttore, gallonati, è riunita.
Il generale, al rimprovero che non si è aspettata l’ora, una quisquilia
d’altronde, dice che non uno dei suoi uomini è ferito. Quanto
all’altro, sotto le macerie, si andrà a portargli soccorso … al levar
del giorno.
E l’Uomo probabilmente muore fra i fumanti resti della
bicocca; i difensori dell’ordine, i rappresentanti dell’umanità,
attendono. Armi alla mano, infine i soldati del genio avanzano.
Si scava fra le rovine, si sparano altri colpi.
Si cerca. Non si trova niente. L’Uomo non è là. La paura riprende il
branco. Se fosse fuggito da qualche breccia del muro e potesse uccidere a
suo agio i cani che invadono la sua tana …
Ma un clamore si
estende. Un clamore di sollievo. Un grido di vittoria. Questa folla in
delirio balla la danza dello scalpo. L’ordine ha vinto.
Sì, tre
bruti l’hanno trovato. Che il loro nome passi ai posteri e che gli
uomini che li incontreranno sappiano dove mettere i loro piedi: René
Mounet, Grandin-Mounet e il suo piccolo, Eclairci.
L’Uomo respira
appena, il viso coperto di calcinacci. Al momento della terribile
detonazione, della distruzione, egli dormiva, è stato sollevato in aria
ed è ricaduto ricoperto di muri e di travi. Viene tirato fuori,
smarrito, terrificato, vinto dall’enorme dolore.
I quattro sostegni dell’ordine urlano infrangendo ogni loro regola: “Eccolo! Lo abbiamo preso”.
Allora lo spettacolo della gente diviene spaventoso, pietrificante,
atroce! Cento, duecento persone si precipitano sul vecchio in brandelli,
lo assalgono, lo gettano a terra, lo colpiscono, lo “fanno rotolare
come una salsiccia” fino in fondo alla scarpata.
Diecimila persone
urlano: “Mostratecelo!”. Una muta si precipita attorno ai gendarmi.
Vogliono squartare Roy. I soldati lo circondano. In mezzo alle urla,
viene portato al paesello vicino.
«E la folla che non sa come
soddisfare il suo desiderio di stritolare qualcosa si precipita allora
nella casa di Roy e nel suo giardino saccheggiando le camere e il
boschetto». (Stessa citazione).
È finita. La folla comincia a
sparpagliarsi, torna a riprendere le proprie funzioni quotidiane:
saccheggiare, rubare, violentare, avvelenare, assassinare, tutto
legalmente, beninteso.
E noi, noi ritorniamo più forti, più possenti alla nostra idea. Noi amiamo l’Uomo, odiamo la folla.
Ripetiamo il grido da questo foglio: Contro i pastori, contro le greggi.
Albert Libertad
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