venerdì 15 giugno 2012

Culmini e lenticchie

Culmini e lenticchie

La grande marmellata contemporanea si espande. Ogni individuo irriducibile, ogni idea ribelle, ogni esperienza singolare si sta sbriciolando, sciogliendo, liquefacendo, per finire mescolato con composti di origine diversa, altrimenti inassimilabili. Il risultato è questo impiastro appariscente quanto stucchevole, appiccicoso quanto insulso, in grado di far combaciare preghiera e bestemmia, ordine e rivolta. Fa capolino un po' dappertutto, nei nostri piatti come nei nostri pensieri. Sebbene non sia null'altro che mercificazione, adulterazione e recupero, ci viene spacciato come una novità da non perdere, come un superamento da acclamare.
Sabato 21 aprile era la giornata di apertura della XII edizione della fiera dell'Altrolibro, iniziativa che si tiene a Napoli in un contesto incantevole quanto sorprendente, un'antica chiesa. Nulla di strano che un simile appuntamento attragga molti fra coloro per cui il libro non è una merce, bensì uno strumento di liberazione. A margine della rassegna in questa giornata inaugurale ci doveva essere anche la presentazione del libro di Osvaldo Bayer, Severino Di Giovanni, c'era una volta in America del Sud, da poco pubblicato dalla Agenzia X a cura di Alberto Prunetti, qui invitato per l'occasione.
E chi era Severino Di Giovanni? Un anarchico italiano emigrato in Argentina negli anni 20, redattore ed editore di giornali e libri sovversivi, ma anche rapinatore di banche ed amante della chimica esplosiva. Una vita dedicata all'anarchia, pensiero e dinamite, recisa precocemente da un plotone di esecuzione. Nessun rimpianto, nessun rimorso, nessun pentimento, perché — sono parole dello stesso Di Giovanni — alla vita si deve offrire la squisita elevazione del braccio e della mente.
Purtroppo in quest'epoca di ogm c'è chi alla sopravvivenza si ritrova ad offrire la squallida prostituzione del culo e del cuore. È il caso degli editori e del curatore di questo libro; lo scorso millennio anarchici, oggi liberi professionisti e consulenti editoriali che campano sfruttando la rivolta altrui. Senza pudore, con disinvoltura, nella certezza che tutti gradiscano la loro putrida marmellata.
Una certezza forse comprensibile vista la diffusione della servitù volontaria, ma infondata. Così la presentazione prevista a Napoli non si è tenuta, perché c'è chi ha ritenuto che non si dovesse tenere. Prunetti ha potuto parlare solo pochi minuti prima di essere interrotto da chi, lì capitato per puro caso, aveva fretta di esprimergli il proprio disprezzo verso un prodotto culturale sulla vita e la morte di un anarchico, fucilato dallo Stato argentino che aveva combattuto con tutte le sue forze. Un libro pubblicato «nel quadro del programma "Sur" di supporto alle traduzioni del Ministero degli affari esteri, del commercio internazionale e del culto della repubblica argentina» (come si può leggere nella seconda pagina del libro).
Sì, proprio così. Lo Stato argentino, prima ammazza Di Giovanni e poi lo ricorda con un contributo editoriale! Quanto è generoso, nevvero? Ci ricorda Benetton, disponibile a costruire un mausoleo in ricordo dei Mapuche che la sua azienda sta contribuendo a sterminare. O il governo degli Stati Uniti, che rende omaggio ai pellerossa che ha massacrato e rinchiuso nelle riserve. Ma pensate che bello sarebbe un libro sui partigiani sovversivi uccisi a bastonate in via Tasso a Roma, pubblicato con l'alto patrocinio del Parlamento («Una storia di sangue e insurrezione, puro stornello-punk rossonero e ribelle», pubblicizzerebbero eccitati quelli di Agenzia X). D-i-s-g-u-s-t-o-s-o.
Coperto di insulti e non sapendo che pesci pigliare, da parte sua il curatore ha barbugliato qualcosa sulla differenza fra vecchia dittatura (brutta e cattiva come i suoi generali) e nuova democrazia (bella e buona come i suoi finanziamenti). Oppure sul fatto che tutti i libri sull'Argentina ricevono contributi dallo Stato, e quindi...
Tutto fiato sprecato. Non c'è stato nulla da fare, i toni si sono alzati ed i prodotti culturali esposti per essere venduti sono volati in aria. Nemmeno il tentativo di mettere da parte la merce stampata e proseguire limitandosi a fare una discussione sull'anarchico abruzzese ha funzionato, giacché il buon Prunetti voleva continuare a tenere banco. Zittito nuovamente, si stava consolando firmando autografi.
È finita come doveva finire. Pochi minuti dopo che i guastafeste lasciassero la sala, sono stati gli stessi organizzatori a decretare la fine di una presentazione diventata palesemente una farsa. E lo hanno fatto senza troppe esitazioni, essendosi resi conto (come poi hanno riconosciuto) che quanto accaduto era davvero il minimo che potesse accadere. Perché pubblicare un libro su un anarchico trucidato dallo Stato con i soldi dei suoi carnefici, è un affronto che grida furore. E lo grida ancora più forte se a compiere questa infamia non è nemmeno uno sprovveduto imbrattacarte accademico, mai sfiorato dalla seduzione sovversiva, bensì chi ha conosciuto dall'interno il movimento anarchico.
E poiché le parole volano, mettiamo qui per iscritto quanto detto durante la contestazione: auspichiamo che ovunque vada a presentare questo schifo di libro, Prunetti-sei-una-merda si trovi dinanzi qualche anarchico che gli ricordi la differenza fra la ricerca della sovversione dell'esistente e la questua della sovvenzione dell'esistente. È ora che lui e tutti i recuperatori come lui — dai reduci affabulatori ai mitopoietici galoppini dell'industria culturale, passando per i dissociati rimembranti per convenienza — imparino a lasciar perdere per sempre quella rivolta che non fa più parte della loro vita. Se vogliono far carriera con i libri, che si limitino a quelli per bambini, alle ricette di cucina, ai tatuaggi, ai funghetti, ai semini...

[23/04/12]

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