L’illegalista anarchico di Emilè Armand
L’illegalista anarchico è nostro compagno?
Nel momento in cui consideriamo il ladro in sé non possiamo dire che lo troviamo meno umano delle altre classi della società.
I componenti di grosse bande di ladri hanno tra loro relazioni
fortemente improntate di comunismo. Se essi rappresentano una
sopravvivenza di una memoria possiamo anche considerarli come i
precursori di un’età migliore nell’avvenire.
Essi sanno, in tutte le
città, dove rivolgersi per essere accolti e nascosti. Si mostrano, fino
ad un certo punto, generosi e prodighi verso quelli della loro cerchia.
Se essi considerano i ricchi come loro nemici naturali, come una preda
legittima, punto di vista molto difficile da contraddire, un gran numero
di essi è animato dallo spirito di Robin Hood: nei confronti dei
poveri, molti ladri danno prova di buon cuore.
(Edward Carpenter: Civilazation, its Cause and Cure.)
Non sono un fanatico dell’illegalismo. Sono un alegale.
L’illegalismo è un ripiego pericoloso per colui che vi si dedica anche
solo temporaneamente, un ripiego che non è né da predicare, né da
esaltare.
Ma la questione che mi propongo di studiare non è quella
di chiedersi se la pratica di un mestiere illegale sia rischiosa oppure
no, ma se l’anarchico che si procura il proprio pane quotidiano
ricorrendo a mestieri condannati da polizia e tribunali abbia ragione
oppure torto ad aspettarsi, di essere trattato da compagno
dall’anarchico che accetta di lavorare per conto di un padrone.
Da
compagno di cui si difenda il punto di vista alla luce del giorno e che
non si rinneghi quando cade nelle grinfie dei poliziotti o degli
sputasentenze. (a meno che non chieda che si faccia silenzio sul suo
caso).
L’anarchico che pratica l’illegalismo, in effetti, non vuole
che lo si tratti da "parente povero", che non si osi riconoscerlo
pubblicamente perché ciò danneggerebbe la causa anarchica; perché il non
prendere le distanze da lui, quando i rappresentanti della vendetta
capitalista gli si accaniscono contro, rischierebbe di allontanare dal
movimento anarchico la simpatia di sindacalisti o la clientela degli
anarchici piccolo borghesi.
E’ per questo che l’anarchico
illegalista si rivolge al suo compagno sfruttato dal padrone, vale a
dire a colui che si sente sfruttato. Non si aspetta tanto di esser
compreso da quelli che fanno un lavoro di proprio gradimento. Tra
questi, mi sembra scontato, egli vi annovera i dottrinari ed i
propagandisti anarchici che diffondono, difendono, espongono delle idee
che rispondono alle proprie opinioni.
Sebbene essi non ricavino dal
proprio lavoro, che un misero, molto misero salario, la loro situazione
morale non è paragonabile alla posizione di un anarchico che lavora
sotto la sorveglianza di un caposquadra ed obbligato a subire tutta la
giornata la promiscuità di una umanità la cui pratica gli è antagonista.
Ecco perché l’anarchico illegalista nega a colui che svolge un lavoro
di suo gradimento di giudicare la propria professione ai margini della
legge. Tutti coloro che fanno una propaganda scritta o orale a loro
piacimento, tutti coloro che esercitano una professione che gli aggrada,
dimenticano troppo spesso di essere dei privilegiati rispetto alla
grande massa degli altri, loro compagni, quelli che sono costretti a
dedicarsi dalla mattina alla sera, e dal primo gennaio a San Silvestro, a
dei compiti per i quali non provano alcun piacere. (1)
L’anarchico
illegalista pretende di essere un compagno così come il piccolo
commerciante, il segretario del Comune o il maestro di danza che non
modificano in nulla e non più di lui, le condizioni di vita economica
dell’ambiente sociale attuale.
Un avvocato, un medico, un maestro,
possono inviare degli articoli ad un giornale anarchico e fare delle
discussioni in piccoli circoli libertari, ciò non elimina i sostegni e i
sostenitori di quel sistema che ha rilasciato loro il monopolio di
esercitare la propria professione né i regolamenti al quale sono
obbligati a sottomettersi se vogliono continuare il proprio mestiere.
Non è esagerato dire che ogni anarchico che accetta di essere sfruttato
per conto di un padrone particolare o di un padrone-Stato, commette un
atto di tradimento nei confronti dell’ideale anarchico.
In effetti,
in tutti i casi, rafforza il dominio e lo sfruttamento, contribuendo a
mantenere in vita il sistema autoritario. Senza dubbio, prendendo
coscienza delle proprie incoerenze, si sforza di riscattare o di
riparare al proprio modo di comportarsi, facendo della propaganda; ma,
nonostante la propaganda che possa fare uno sfruttato, si annida sempre
in lui un complice dello sfruttatore, un cooperatore del sistema che
amministra le condizioni nelle quali ha luogo lo sfruttamento.
Ecco
perché non è esatto dire che l’anarchico "che lavora", che si sottomette
al sistema di dominio e di sfruttamento in vigore è una vittima. Egli è
sia complice che vittima. Ogni sfruttato, legale o illegale, coopera
allo stato di sfruttamento; ogni dominato, legalmente o illegalmente,
coopera allo stato di dominio.
Non c’è differenza tra l’operaio
anarchico che ha guadagnato 175.000 o 200.000 franchi in trentanni di
lavoro e, coi suoi risparmi, si è comprato una casa in campagna, e
l’anarchico illegalista che, appropriandosi di una cassaforte contenente
200.000 franchi acquista con questa somma una casa in riva al mare.
L’uno e l’altro sono degli anarchici a parole, è vero, ma la differenza
che esiste tra loro è che l’anarchico operaio si sottomette ai termini
del contratto economico che i dirigenti dell’ambito sociale gli
impongono, mentre l’anarchico rapinatore non vi si sottomette.
La
legge protegge sia lo sfruttato che lo sfruttatore, il dominato così
come il dominatore, nei rapporti sociali che essi hanno tra loro, e, nel
momento in cui si sottomette, l’anarchico è tanto ben protetto nei suoi
beni e nella sua persona quanto l’autoritario; la legge non fa
distinzione tra l’autoritario e l’anarchico se tutte e due ottemperano
alle ingiunzioni del contratto sociale.
Che lo vogliano o no, gli
anarchici che si sottomettono, padroni, operai, impiegati, funzionari,
hanno dalla loro parte la forza pubblica, i tribunali, le convenzioni
sociali, gli educatori ufficiali. E’ la ricompensa della propria
sottomissione; quando costringono con la persuasione morale, la forza
della legge, il datore di lavoro autoritario a pagare il suo lavoratore
anarchico, le forze di conservazione sociale si preoccupano poco del
fatto che nella sua intima coscienza o anche esteriormente, il salariato
sia ostile al sistema del salario...
Al contrario il
non-sottomesso, il refrattario al contratto sociale, l’anarchico
illegale, ha contro di lui tutta l’organizzazione sociale, quando, per
"vivere la sua vita", si mette a bruciare le tappe per arrivare
immediatamente al traguardo a cui l’anarchico sottomesso non arriverà
che più tardi oppure mai. Corre un rischio enorme ed è giusto che questo
rischio venga ricompensato da un risultato immediato; se risultato
c’Lire.
Il ricorso all’astuzia praticato costantemente
dall’anarchico illegalista è un procedimento che impiegano tutti i
rivoluzionari. Le società segrete sono un aspetto dell’astuzia. Per
affiggere dei manifesti sovversivi, si aspetta che gli agenti se ne
vadano in un’altra zona. Un anarchico che se ne va in America nasconde
il suo punto di vista morale, politico, filosofico.
Che sia,
apparentemente sottomesso o decisamente insubordinato, l’anarchico è
sempre un illegale rispetto alla legge; nel momento in cui propaganda le
sue idee anarchiche contravviene alla legge speciale che reprime la
propaganda anarchica, e ancora di più per la sua mentalità anarchica si
oppone alla legge scritta in quanto tale, poiché la legge è la
concretizzazione del sistema.(2)
All’anarchico sottomesso che sente
di esserlo, l’anarchico insubordinato non può che essergli simpatico;
nella sua attitudine illegale, l’anarchico che non ha potuto o voluto
rompere con la legalità si riconosce, ovviamente realizzato. Il
temperamento, le riflessioni dell’anarchico sottomesso possono portarlo a
disapprovare certi gesti compiuti dagli insubordinati, mai a rendergli
l’insubordinato personalmente antipatico. (3)
All’anarchico
rivoluzionario che gli rimprovera di cercare subito il proprio benessere
dal punto di vista economico, l’illegalista ribatte che lui,
rivoluzionario, non fa diversamente.
Il rivoluzionario economico si
aspetta dalla rivoluzione un miglioramento della propria situazione
economica personale; altrimenti, non sarebbe un rivoluzionario; la
rivoluzione gli darà ciò che sperava o no, come un’operazione illegale
fornirà o meno a colui che la esegue ciò che era previsto. Anche quando
la questione economica non entra in gioco, una rivoluzione si fa perché
ci si aspetta personalmente dei benefici, un vantaggio di tipo
religioso, politico, intellettuale, etico, forse.
Ogni rivoluzionario è un egoista.
Le analisi delle azioni di "riappropriazione" commesse dagli
illegalisti hanno una influenza sfavorevole sulla propaganda anarchica,
in generale ed in particolare?
Per rispondere a questa obiezione,
che è la più importante di tutte, non bisogna perdere di vista un solo
istante che l’unità umana trova, venendo al mondo o approdando in un
paese qualsiasi, delle condizioni di vita economica che gli vengono
imposte.
Quali che siano le proprie opinioni bisogna che lui si
sottometta ad una costrizione per vivere tranquillamente (o morire).
Laddove c’è costrizione, il contratto non è più valido, poiché è
unilaterale, e gli stessi codici borghesi riconoscono che un impegno
sottoscritto sotto l’imperio della minaccia è senza valore legale.
L’anarchico quindi si trova costantemente in situazione di legittima
difesa contro il dominio o i partigiani del contratto economico imposto.
Non si è mai sentito un anarchico che esercita un mestiere illegale
teorizzare una società basata sul banditismo universale, per esempio.
La sua situazione, i suoi gesti sono relativi unicamente al contratto
economico che i capitalisti o gli unilaterali impongono anche a quelli
che alle sue clausole si ribellano.
L’illegalismo degli anarchici non è che transitorio: un ripiego.
Se il contesto sociale concedesse agli anarchici il possesso
inalienabile del mezzo di produzione personale, se potessero disporre
liberamente e senza alcuna restrizione fiscale (tasse, dogane, dazi),
del proprio prodotto, se li lasciasse utilizzare tra loro un valore di
scambio che non colpisse con alcuna tassa, a loro rischio e pericolo,
l’illegalismo, a mio avviso, ne sarebbe escluso (l’illegalismo
economico, si intende).
L’illegalismo economico è dunque puramente
accidentale.(4) D’altronde economico o altro, l’illegalismo è funzione
del legalismo.
Il giorno in cui l’autorità sarà scomparsa,
-l’autorità politica, intellettuale, economica- gli illegalisti
scompariranno a loro volta.
E’ su questa via che bisogna orientarsi per far si che la spiegazione delle gesta illegaliste giovi alla propaganda anarchica.
Ogni anarchico, sottomesso o non, considera come un compagno colui tra i
suoi, che rifiuta di accettare la servità militare. Non ci si spiega
perché la sua attitudine cambi quando si tratta del rifiuto di servire,
economicamente parlando. Si comprende chiaramente come degli anarchici
non vogliano contribuire alla vita economica di un paese che non accorda
loro la possibilità di esprimersi con l’inchiostro, con la parola, che
limita le loro facoltà o le loro possibilità di realizzazione o di
associazione, in ogni campo. Dal momento che essi lascerebbero i non
anarchici comportarsi a loro piacimento.
Gli anarchici che
acconsentono di partecipare al funzionamento economico delle società
nelle quali non possono vivere a proprio piacimento sono degli
incoerenti. Non si capisce perché obiettino a coloro che si ribellino
contro questo stato di cose.
Il refrattario alla servità economica
si trova obbligato dall’istinto di conservazione, dal bisogno e dalla
volontà di vivere, di appropriarsi della produzione altrui. Questo
istinto non è solamente primordiale, ma è legittimo, affermano gli
illegalisti, se lo paragoniamo all’accumulazione capitalista,
accumulazione di cui il capitalista, preso singolarmente, non ha bisogno
per esistere, accumulazione che dunque è una cosa superflua.
Ora,
chi è questo "altro", col quale l’illegalista ponderato -l’anarchico che
esercita una professione illegale- entra in conflitto? Questi "altri",
sono coloro che vogliono che le maggioranze dominino o opprimino le
minoranze, sono i partigiani del dominio o della dittatura di una classe
o di una casta su un’altra, sono gli elettori, i sostenitori dello
Stato, dei monopoli e dei privilegi che implicano.
Questo altro in
realtà è un nemico per l’anarchico - un avversario inconciliabile. Nel
momento in cui, economicamente se la prende con lui, l’illegalista
anarchico non vede più in lui, non può più vedere in lui che uno
strumento del regime autoritario.
Date queste spiegazioni, non
sapremmo dare torto all’anarchico illegalista che si considera come
tradito nel momento in cui gli anarchici che hanno preferito seguire un
cammino meno tortuoso di quello che egli ha intrapreso, l’abbandonano o
non si preoccupano di spiegare la propria attitudine.
Ripeto quello
che ho detto all’inizio di queste righe; poiché il ripiego c’è, quello
offerto dall’illegalismo è pericoloso all’ennesima potenza ed è tutto da
dimostrare che i benefici superino i costi; quando avviene è un caso
del tutto eccezionale.
L’anarchico illegalista che è gettato in
prigione non ha da sperare in alcun favore, dal punto di vista della
libertà condizionata o della riduzione della pena; il suo dossier, come
si dice, è segnato con l’inchiostro rosso.
Ma fatta questa messa in
guardia, bisogna inoltre segnalare che l’illegalismo esige, per essere
praticato seriamente, un temperamento eccezionalmente saldo, un sangue
freddo, una sicurezza di sé che non sono alla portata di tutti.
Come
per tutte le esperienze della vita anarchica che non si accordino con
la routine dell’esistenza quotidiana, c’è da temere che la pratica
illegalista si impossessi ad un punto tale della volontà e del pensiero
dell’illegalista che lo renda insensibile a qualsiasi altra attività, a
qualsiasi altra attitudine. E’ d’altronde lo stesso per certi piccoli
mestieri legali che risparmiano a colui che li esercita la presenza in
fabbrica o all’ufficio.
CONCLUSIONI
Les anarchistes économiques,
i dirigenti e i governanti economici impongono ai lavoratori delle
condizioni di lavoro incompatibili con la nozione anarchica della vita,
ossia con l’assenza di sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
In
principio, un anarchico rifiuta di lasciarsi imporre delle condizioni di
lavoro, di lasciarsi sfruttare: non accetta che alla condizione di
abdicare, di sottomettersi. E non c’è differenza tra sottomettersi a
pagare le tasse, sottomettersi allo sfruttamento e sottomettersi al
servizio militare.
Che la maggior parte degli anarchici si
sottometta, è sottinteso. "Si ottengono vantaggi dalla legalità giocando
d’astuzia con lei, ingannandola piuttosto che prendendola di petto."
E’ esatto. Ma l’anarchico che gioca d’astuzia con la legge non ha da
esserne fiero. Così facendo fugge alle pericolose conseguenze della non
sottomissione, alle galere, alla "più abietta delle schiavità". Ma se
non ha da subire tutto ciò l’anarchico sottomesso deve fare i conti con
la "deformazione professionale"; a forza di essere esteriormente
conforme alla legge, numerosi anarchici finiscono per non reagire
affatto e passare dall’altra parte della barricata.
Ci vuole un temperamento eccezionale per giocare d’astuzia con la legge senza cadere nella rete della legalità!
Quanto all’anarchico produttore n el contesto economico attuale, è un
mito. Dove sono gli anarchici che producono valori antiautoritari? Quasi
tutti gli anarchici concorrono con la loro produzione a mantenere lo
stato di cose economico.
Non mi si farà mai credere che l’anarchico
che costruisce prigioni, caserme, chiese; fabbrica armi, munizioni,
uniformi; imprime codici, libri religiosi, li restauri, li trasporti, li
venda, fa della produzione antiautoritaria.
Anche l’anarchico che
confeziona degli oggetti di prima necessità ad uso degli elettori e
degli eletti mente alle proprie convinzioni. Non ci provino neanche dei
propagandisti verbali o uomini di lettere ad accusare gli individualisti
oscuri di trarre del beneficio materiale dalle proprie idee.
Non
conta affatto il beneficio "morale" e a volte pecuniare che gli
procurano i loro sforzi? La celebrità diffonde i loro nomi "da una parte
all’altra del mondo"; hanno dei discepoli, dei traduttori, dei
diffamatori, dei persecutori.
Perché contano così tanto? Trovo
ragionevole che ogni sforzo riceva salario, in tutti i campi: è
ragionevole che se si patisce per le proprie opinioni, se ne tragga
anche del profitto. Ciò che importa, è che con la violenza, con
l’inganno, con l’astuzia, con il furto, con la frode o l’imposizione di
qualsiasi tipo, questo profitto non si realizzi ai danni dei propri
compagni, di quelli del "proprio mondo".
Nell’attuale contesto
sociale, l’anarchia si estende da Tolstoi a Bonnot: Warren, Proudhon,
Kropotkine, Ravachol, Caserio, Louise Michel, Libertad, Pierre Chardon,
Tchorny, le tendenze che essi rappresentano o che rappresentano certi
animatori o incitatori viventi, i cui nomi importano poco, sono come le
sfumature di un arcobaleno dove ogni individualità sceglie il colore che
meglio si addice alla propria visione.
Da un punto di vista
strettamente individualista anarchico, ed è qui che concluderei, il
criterio del cameratismo non sta nel fatto di essere impiegato di
ufficio, operaio di fabbrica, funzionario, venditore ambulante,
contrabbandiere o scassinatore - ma in come, legalmente o illegalmente,
il MIO compagno cercherà prima di forgiare la propria individualità e di
diffondere le idee antiautoritarie ovunque potrà e infine - rendendosi
la vita tra affini la più gradevole possibile - nel ridurre ad un minimo
sempre più tenue la sofferenza inutile ed evitabile.
Note
(1) Un giorno a Bruxelles, discutevo la questione con Elisée Reclus. Mi
dice, per concludere: "Faccio un lavoro che mi piace e non mi riconosco
il diritto di dare un giudizio su quelli che non vogliono fare un lavoro
che non gli piace"
(2) Benché non abbia le statistiche, la
lettura dei giornali anarchici indica che il numero dei condannati , a
torto o a ragione, -alla prigione, all’ergastolo, alla ghigliottina, o
uccisi sul campo- per fatti di agitazione anarchica rivoluzionaria (tra
cui "la propaganda del fatto") supera di gran lunga il numero dei
condannati, a torto o a ragione, o uccisi sul campo, per illegalismo. In
queste condanne, i teorici dell’anarchismo rivoluzionario hanno una
grossa responsabilità, poiché non hanno mai dedicato alla propaganda in
favore del gesto rivoluzionario quelle riserve che oppongono alla
pratica dell’illegalismo gli "interpreti" seriosi del gesto illegalista.
(3) L’anarchico, il cui illegalismo attacca lo Stato o degli
sfruttatori conosciuti, non ha mai indisposto "il lavoratore" nei
confronti dell’anarchismo. Mi trovavo ad Amiens durante il processo
Jacob, che sovente si attaccò a degli ufficiali coloniali; grazie alle
spiegazioni di Germinal i lavoratori di Amiens simpatizzavano molto per
Jacob e per le idee di esproprio individuale. Anche se non anarchico,
l’illegale che se la prende con un banchiere, un industriale, un
fabbricante, un tesoriere, un furgone postale, ecc., resta simpatico
agli sfruttati che considerano come dei servitori o delle spie i
salariati che difendono i quattrini o le banconote del padrone, privato o
Stato. Centinaia di volte ho avuto modo di constatarlo.
(4)
Socialmente parlando, il giorno in cui le spese a guardia della
proprietà supereranno quello che fruttano, la proprietà, figlia dello
sfruttamento, sarà sparita.
Molto interessante l'unico punto che contesto, non perchè inesatto, attenzione, ma per una categoricità che non gli appartiene, è l'idea che il rivoluzionario anarchico si batta sempre per il miglioramento della propria situazione economica, valido sì, per i poveri, ma se così fosse solo loro si batterebbero per il cambiamento della società. Ci si batte anche colui o colei, non dico ricco, ma frugalmente soddisfatto della sua situazione, ma che vuole un mondo più libero, non ipocrita e dove il benessere concentrato nelle mani di pochi, poggi sullo sfruttamento dei più.
RispondiEliminaUno dei limiti della teorizzazione individualista di stampo "puro" basata sul semplice egoismo (attenzione so che tutto è egoismo, mi riferisco all'egoismo miope e a corto respiro, puramente materiale) è proprio la possibilità che chi si trovi in una situazione favorevole, al momento, si senta poco motivato.
Personalmente sono comunque un filosofo dell'anarchismo della sintesi e della convergenza, per cui secondo me, mutualismo, individualismo e collettivismo, possono tranquillamente convivere in una società anarchica realizzata e non in contrasto-contrapposizione fra loro. Il mutualista in breve si suppone sostiene l'idea che pagare corrisponda a mettere a disposizione il proprio lavoro o aiutare un altro in difficolta (si noti la differenza con il baratto) e si è pagati nel momento in cui si attinge a servizi o beni che altri hanno prodotto, il collettivista potrebbe auspicare una assoluta condivisione e finchè ciò avviene su base di adesione volontaria è perfettamente compatibile col libertarismo. L'individualista può essere mutualista, ma più raramente collettivista, per ovvi motivi. L'individualista puro che non voglia spartire o scambiare nel tempo ciò che produce, può tranquillamente provare a bastare a se stesso autoproducendo ciò di cui ha bisogno, dal momento in cui debba attingere alla collettività (ed egoisti e individualisti attuali attingono eccome) stipulerà un accordo anche non formale con gli attori coinvolti.