Alcuni schiavi felici
La distruzione
totale della società è un percorso difficile e tortuoso. Essa poggia su
fondamenta resistenti: la religione, lo stato, il lavoro, l’abitudine,
la certezza e via dicendo. Tra queste, ce n’è una particolarmente
insidiosa e difficile da estirpare: la compiacente accettazione di ciò
che ci circonda. Ed è questo che il seguente testo vuole sottolineare:
la sicurezza di una vita fatta di
certezze piega molti al volere della società stessa, che dispensa
miseria e ciclicità e induce gli individui al proprio sacrificio nel
nome di chissà quale divinità, sia essa metafisica o meno.
Siamo
convinti del fatto che la rottura con ciò che ci limita debba partire da
un agire individuale, da noi stessi, cominciando con l’abbattere i
nostri freni morali e la nostra educazione, per poi esplodere in un
attacco contro tutto l’esistente. Non abbiamo fiducia nelle masse, non
aspettiamo un fantomatico risveglio del popolo: l’attacco si porta
avanti giorno per giorno, minuto per minuto, in ogni respiro, in ogni
sguardo ed in ogni pensiero.
Non c’è alcuna intenzione di chiedere
più diritti, più uguaglianza nella sottomissione, un miglioramento del
carcere in cui siamo quotidianamente rinchiusi; c’è solo l’ardente
desiderio di distruzione.
ParoleArmate
Alcuni schiavi felici
Come hanno ben detto alcuni: “non c’è peggior schiavo dello schiavo
felice. Non c’è tirannia più sicura di quella che si sopporta con
allegria”.
Questa semplice frase è di grande profondità, al di là
del fatto che racchiude una grande verità. La gioia di essere schiavi,
nell’attuale ordine sociale, sta riempiendo le prigioni di vittime
volontarie, desiderose di essere schiavizzate, senza arrossire in alcun
modo, e dinanzi a qualsiasi cenno di messa in discussione dei ceppi con i
quali lo spettacolo sociale li ha incatenati, questa massa amorfa e
uniforme di schiavi felici, e desiderosi di approfondire la propria
schiavitù, non dubiterà neanche per un istante di piangere e supplicare i
poteri perché “agiscano”, perché la sicurezza imposta dai loro padroni
perduri, e, pertanto, sopravviva la tirannia dello Stato/capitale.
Oggi la felicità della schiavitù è data da altri fattori, oggi non è più
la sicurezza del tetto e del cibo dei secoli passati, al contrario, la
schiavitù si è trasformata, è molto più sottile, è travestita attraverso
i diritti, della cittadinanza, della democrazia, del lavoro, dei
diritti umani, dei beni di consumo, vacanze, carte di credito, ecc.
Tuttavia, lontani dall’analizzare i distinti aspetti della schiavitù, è
più conveniente sollevare alcune riflessioni sulla psicologia delle
masse, che volontariamente si lasciano schiavizzare. Ma anche commentare
la caducità dei vecchi discorsi ideologici, che non sono altro che
vecchie cantilene piene di concezioni morali, di martirio e di
sacrificio, che non è altro che un semplice cambio di padrone.
Il
fattore chiave che permette allo Stato/capitale di possedere un esercito
di schiavi felici, è semplicemente l’alienazione di milioni di
individui, non solo sottomettendoli attraverso le loro istituzioni di
dominio, controllo, coercizione e punizione sociale, ma è anche
fondamentale l’agire pratico e quotidiano di un insieme di mediazioni
sociali, politiche ed ideologiche, le cui funzioni coadiuvano nella
perpetuazione della sottomissione e della conseguente soddisfazione
della maggioranza degli individui schiavizzata dal potere.
Benché
l’ordine sociale si sia trasformato lungo i secoli della storia umana,
mutando le manette e le catene, in altre di natura visibile, che sono
state descritte come i “diritti”, “comodità”, “sicurezze”,
“prevedibilità”, ecc.
Le entità di massa non si sono affatto
spogliate delle proprie catene tramite una pratica di rottura e di
negazione dell’estetica e delle finzioni originate dallo spettacolo
sociale. Alla fine prevarranno soltanto le motivazioni oscure, poiché la
costituzione di queste entità di massa come soggetto collettivo sarà
esattamente l’antitesi della rottura e della negazione che costituisce
un atto eminentemente individuale. Sarà una riaffermazione della
schiavitù, per mezzo di nuove catene e di nuovi padroni.
Risultano
fallaci le interpretazioni che hanno origine hegeliana, come lo sviluppo
delle masse come soggetto, ossia come fattore di emancipazione. Ma come
rompere con la schiavitù? Come smettere di essere uno schiavo felice?
In primo luogo abbandonando l’idealismo di essere parte di un soggetto
unico e riaffermandosi come individuo. Questo atto, che costituisce la
prima fase della rottura, non implica il trasformarsi in uno spettro,
pieno di frustrazioni, ma proprio il contrario, è il principio della
rottura e della negazione di tutti i valori sociali e morali, che lo
spettacolo ci impone, e con i quali ci incatena al suo dominio.
La
schiavitù, non è sinonimo unicamente, né esclusivamente, di
sottomissione economica degli individui, come pretende il determinismo
marxista, che l’aspetto economico costituisca un fattore della schiavitù
è certo, ma non è l’unico.
Accanto alla servitù di natura
economica, si uniscono una serie di fattori essenziali – proprietà,
lavoro, appropriazione di spazio/tempo, massificazione, perdita
dell’individualità tramite il discorso religioso del classismo, la
pazienza, la speranza, il programma politico, ecc. Tutti questi
coadiuvano il fatto che gli individui non generino una propria rottura e
negazione col sistema, sia per paura, sia perché si annida nel suo
essere la falsa idea di “libertà”.
Bisogna tener presente che una
società che si strutturi sul lavoro e l’appropriazione dell’esistenza
individuale è indubbiamente un ordine sociale schiavista, qualunque sia
l’estetica che lo spettacolo sociale abbia adottato, poiché questo
richiede l’adozione di dogmi e valori che contribuiscano alla
massificazione pecorile degli individui.
Spezzare le catene della
schiavitù nelle decadenti società moderne, senza l’intenzione di
migliorarle né cambiarle, che abbiano il loro fondamento
nell’individualità di ognuno di noi, sarà ciò che si pone l’insurrezione
infinita dell’individuo, e la distruzione assoluta di tutti i parametri
sociali e le loro conseguenze, che significano la sottomissione ad un
ente esteriore a noi, come lo Stato/capitale.
Il contrario
significherà perpetuare la schiavitù individuale, sotto i disegni di un
programma politico e delle istituzioni create o propugnate per quello.
Smettiamo di essere schiavi, mostriamo ostilità e insubordinazione
all’ordine sociale e alle sue ombre e spettri, non importa che noi
ribelli siamo pochi. Rompere, Rompere, anche con l’atto isolato, che sia
dimostrativo del fatto che quest’ordine sociale deve essere distrutto, e
che non esiste felicità alcuna nella schiavitù e nell’alienazione
individuale.
NIHIL
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