lunedì 25 giugno 2012

Il Canto Maledetto

Il Canto
Maledetto

Oh!… Perché non sono io nato su di una nave corsara, sperduto nell’Oceano infinito, fra mezzo ad un pugno di uomini, rudi e gagliardi, che montano furiosamente all’arrembaggio, cantando la selvaggia canzone della distruzione e della morte? Perché non sono nato nelle sconfinate praterie dell’America fra i gauchi, liberi e fieri, che domano col «lazo» l’igneo puledro e attaccano impavidi, il giaguaro terribile?… Perché? Perché?… I figli della notte, i miei fratelli insofferenti di ogni legge e di ogni freno, mi avrebbero compreso. Essi, spiriti assetati di libertà e d’infinito, avrebbero saputo leggere in quel gran libro che è l’animo mio, tutto un meraviglioso poema di dolore e di lotta, di aspirazioni sublimi e di sogni impossibili… Il mio patrimonio spirituale sarebbe stato il loro tesoro intan­gibile ed alla limpida fonte del mio orgoglio satanico e dell’eterna mia ribellione, essi avrebbero ritemprata la propria forza, già squassata da mille uragani. In­vece sono fatalmente nato fra mezzo al nauseabondo gregge di schiavi proni nell’immondo brago, dove la Menzogna impera sovrana e l’ipocrisia si scambia con viltà il bacio della fratellanza. Sono nato nella civile società ed il prete, il giudice, il moralista ed il gendarme hanno voluto caricarmi di ceppi e trasformare il mio organismo, esuberante di vitalità e di energia, in una macchina incosciente ed automatica per la quale non doveva esistere che una parola: Obbedire. Hanno voluto assassinarmi!… E quando sono scattato in un impeto d’irresistibile forza ed ho gridato selvaggiamente il mio «no», il volgo idiota mi ha lanciato, fra spruzzi di fetida bava, il suo raca…
Ora rido… La folla è incapace di comprendere certe profondità spirituali, né ha uno sguardo tanto acuto da penetrare gli ascosi recessi del mio cuore… Male­ditemi, maleditemi pure, dall’ora maculata d’ignavia sulla quale, da sessanta secoli, consumate il rito della menzogna; maleditemi, osannando alle vostre leggi ed agli idoli vostri… io vi lancerò sempre sul volto i fiori rossi del mio disprezzo.
***
Dalla vetta sulla quale vivo con l’aquila e con il lupo, fedeli compagni della mia solitudine, io miro, con immensa nausea l’umanità, questa grottesca parodia del rettile. Intorno a me la natura rigogliosa avviluppa la roccia in un verde manto di boscaglia, la cui bellezza selvaggia dona all’animo un sentimento ineffabile di potenza e di gioia. Giù, alle falde del monte, si stendono i campi ubertosi, macchiettati qua e là da casolari e da villaggi nei quali gli uomini rinsaldano, con sciagurata cecità, le millenarie catene.
Ed io rido… Rido guardando gli uomini, questi mostriciattoli rimpiccioliti dallo spazio, quando si avvelenano nelle officine, dove i gas mefitici e puteo­lenti fanno strazio dei loro polmoni… quando passano salmodiando, in processione, curvi sotto gli idoli del fanatismo e dell’incoscienza… e quando consacrano vigliaccamente la propria schiavitù, lambendo la mano del padrone che ferocemente percuote… Io vedo svol­gersi sotto i miei piedi la miserabile commedia dell’ipo­crisia e della grettezza umana ed un profondo senso di ribrezzo m’invade ed uno schifo indicibile mi serpeggia nel cuore… Però rido… E mentre dal villaggio sale, nel silenzio della notte, il rintocco delle campane suonanti a festa, io canto all’aquila ed al lupo, i fedeli compa­gni della mia solitudine, la mia canzone più pura, la canzone del mio dolore e della mia passione… 
Ed il mio canto dice: «O Dio della distruzione, o terribile e mostruoso Dio, sorgi dall’ime viscere dell’ignoto e, attraverso le piaghe squarciate della vecchia terra, vieni a me… vieni con la furia travolgente del turbine e schianta, devasta, distruggi questo mondo, infrollito e decadente che ha bisogno di un lavacro di sangue per rinnovarsi… io ti presterò il mio braccio ed il mio pensiero. Insieme lotteremo, finché un tempio sorgerà a testimoniare la superstizione e l’ignavia degli uomini... finché una legge scolpita sulle tavole della menzogna vorrà imporre al ribelle la dedizione di se stesso... e finché la vita, con­culcata ed oppressa, non potrà risorgere trionfante, alla luce del giorno... Poi, quando dalle macerie fumanti si leveranno minacciosi verso il cielo cupo nembi di fiamme, noi, satanici, demoniaci, folli, canteremo il nostro inno iconoclastico di negazione e di rivolta…». Così dico! E la mia voce è sì possente ed arcana, sì ricca d’odio e di emozione, che la mia aquila s’innalza superba nell’orizzonte saettato da lampi sinistri… e il mio lupo dagli occhi di bracia si scaglia, ululando, nelle stradicciuole fangose del villaggio, dove porta il terrore e la morte…
Su, nella mia vetta, eccelsa ed inaccessibile, palpita al vento il simbolo fatidico del mio riscatto: la nera bandiera.
***
Ora danzo sull’orlo dell’abisso, in fondo al quale serpeggiano, sinuosamente, le acque limacciose della morte… Danzo, tragicamente, con l’anima fissa nel­l’aurora della mia «vera» vita, di quella vita, libera ed intensa, che voglio conquistarmi, contro tutto e contro tutti, a costo d’ogni più fiera lotta e d’ogni sacrificio più duro. Perché io appartengo a quella razza d’indomiti giganti per i quali il pericolo non è una barriera, ma un aculeo, uno sprone che li spinge a realizzare più fortemente la propria volontà. E io danzo, danzo… Le pallide e clorotiche virtù che spadroneggiano in questo mondo di eunuchi e di servi, hanno cercato di adescarmi… Ma ai loro vezzi, alle loro minacce, io ho risposto con il cachinno diabolico del mio sarcasmo atroce. Umanità, Società, Stato, Legge, Morale… Voi già conoscete la potenza dei miei colpi come io conobbi quella dei vostri… E pure non smettete dall’attaccarmi, non desistete dal carezzare il folle proposito di ridurre la mia tempra inflessibile nelle pastoie dell’obbedienza… Ebbene, scendete pure nella lizza, trascinate al vostro seguito questa massa brulla ed informe di flaccidi schiavi, aguzzate le vostre armi che s’infrangeranno sull’usbergo mio invulnerabile… io vi attendo a pie’ fermo. Io, il maledetto, il ribelle… vi attendo con la mia aquila e il mio lupo, i fedeli compagni della mia solitudine. Ed al mio fianco, schierati in battaglia, vi aspettano pure i miei fratelli, gli eroici ed invitti figli del Male…
Su, dunque, venite! L’iconoclasta sacrilego e di­struttore vi ha lanciato la sua sfida. E in una ebbrezza di entusiasmo, in un delirio di energia, in una esaltazione di audacia, egli combatterà la sua guerra, palese ed occulta… Poi, quando i dardi velenosi avranno forata la corazza e raggiunto il suo cuore, egli scivolerà, sog­ghignando, in fondo all’abisso cupo dove serpeggiano, sinuosamente, le acque minacciose della Morte…
Enzo Martucci

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