Il Canto
Maledetto
Oh!… Perché non sono io nato su di una nave corsara,
sperduto nell’Oceano infinito, fra mezzo ad un pugno di uomini, rudi e
gagliardi, che montano furiosamente all’arrembaggio, cantando la selvaggia
canzone della distruzione e della morte? Perché non sono nato nelle sconfinate
praterie dell’America fra i gauchi, liberi e fieri, che domano col «lazo»
l’igneo puledro e attaccano impavidi, il giaguaro terribile?… Perché? Perché?…
I figli della notte, i miei fratelli insofferenti di ogni legge e di ogni
freno, mi avrebbero compreso. Essi, spiriti assetati di libertà e d’infinito, avrebbero
saputo leggere in quel gran libro che è l’animo mio, tutto un meraviglioso
poema di dolore e di lotta, di aspirazioni sublimi e di sogni impossibili… Il
mio patrimonio spirituale sarebbe stato il loro tesoro intangibile ed alla
limpida fonte del mio orgoglio satanico e dell’eterna mia ribellione, essi
avrebbero ritemprata la propria forza, già squassata da mille uragani. Invece
sono fatalmente nato fra mezzo al nauseabondo gregge di schiavi proni
nell’immondo brago, dove la Menzogna impera sovrana e l’ipocrisia si scambia
con viltà il bacio della fratellanza. Sono nato nella civile società ed il
prete, il giudice, il moralista ed il gendarme hanno voluto caricarmi di ceppi
e trasformare il mio organismo, esuberante di vitalità e di energia, in una macchina
incosciente ed automatica per la quale non doveva esistere che una parola:
Obbedire. Hanno voluto assassinarmi!… E quando sono scattato in un impeto
d’irresistibile forza ed ho gridato selvaggiamente il mio «no», il volgo idiota
mi ha lanciato, fra spruzzi di fetida bava, il suo raca…
Ora rido… La folla è incapace di comprendere certe
profondità spirituali, né ha uno sguardo tanto acuto da penetrare gli ascosi
recessi del mio cuore… Maleditemi, maleditemi pure, dall’ora maculata
d’ignavia sulla quale, da sessanta secoli, consumate il rito della menzogna;
maleditemi, osannando alle vostre leggi ed agli idoli vostri… io vi lancerò
sempre sul volto i fiori rossi del mio disprezzo.
***
Dalla vetta sulla quale vivo con l’aquila e con il lupo,
fedeli compagni della mia solitudine, io miro, con immensa nausea l’umanità,
questa grottesca parodia del rettile. Intorno a me la natura rigogliosa
avviluppa la roccia in un verde manto di boscaglia, la cui bellezza selvaggia
dona all’animo un sentimento ineffabile di potenza e di gioia. Giù, alle falde
del monte, si stendono i campi ubertosi, macchiettati qua e là da casolari e da
villaggi nei quali gli uomini rinsaldano, con sciagurata cecità, le millenarie
catene.
Ed io rido… Rido guardando gli uomini, questi mostriciattoli
rimpiccioliti dallo spazio, quando si avvelenano nelle officine, dove i gas
mefitici e puteolenti fanno strazio dei loro polmoni… quando passano
salmodiando, in processione, curvi sotto gli idoli del fanatismo e
dell’incoscienza… e quando consacrano vigliaccamente la propria schiavitù,
lambendo la mano del padrone che ferocemente percuote… Io vedo svolgersi sotto
i miei piedi la miserabile commedia dell’ipocrisia e della grettezza umana ed
un profondo senso di ribrezzo m’invade ed uno schifo indicibile mi serpeggia
nel cuore… Però rido… E mentre dal villaggio sale, nel silenzio della notte, il
rintocco delle campane suonanti a festa, io canto all’aquila ed al lupo, i
fedeli compagni della mia solitudine, la mia canzone più pura, la canzone del
mio dolore e della mia passione…
Ed il mio canto dice: «O Dio della distruzione, o terribile e mostruoso Dio,
sorgi dall’ime viscere dell’ignoto e, attraverso le piaghe squarciate della
vecchia terra, vieni a me… vieni con la furia travolgente del turbine e
schianta, devasta, distruggi questo mondo, infrollito e decadente che ha
bisogno di un lavacro di sangue per rinnovarsi… io ti presterò il mio braccio
ed il mio pensiero. Insieme lotteremo, finché un tempio sorgerà a testimoniare
la superstizione e l’ignavia degli uomini... finché una legge scolpita sulle
tavole della menzogna vorrà imporre al ribelle la dedizione di se stesso... e
finché la vita, conculcata ed oppressa, non potrà risorgere trionfante, alla
luce del giorno... Poi, quando dalle macerie fumanti si leveranno minacciosi
verso il cielo cupo nembi di fiamme, noi, satanici, demoniaci, folli, canteremo
il nostro inno iconoclastico di negazione e di rivolta…». Così dico! E la mia
voce è sì possente ed arcana, sì ricca d’odio e di emozione, che la mia aquila
s’innalza superba nell’orizzonte saettato da lampi sinistri… e il mio lupo
dagli occhi di bracia si scaglia, ululando, nelle stradicciuole fangose del
villaggio, dove porta il terrore e la morte…
Su, nella mia vetta, eccelsa ed inaccessibile, palpita al
vento il simbolo fatidico del mio riscatto: la nera bandiera.
***
Ora danzo sull’orlo dell’abisso, in fondo al quale
serpeggiano, sinuosamente, le acque limacciose della morte… Danzo,
tragicamente, con l’anima fissa nell’aurora della mia «vera» vita, di quella
vita, libera ed intensa, che voglio conquistarmi, contro tutto e contro tutti,
a costo d’ogni più fiera lotta e d’ogni sacrificio più duro. Perché io
appartengo a quella razza d’indomiti giganti per i quali il pericolo non è una
barriera, ma un aculeo, uno sprone che li spinge a realizzare più fortemente la
propria volontà. E io danzo, danzo… Le pallide e clorotiche virtù che
spadroneggiano in questo mondo di eunuchi e di servi, hanno cercato di
adescarmi… Ma ai loro vezzi, alle loro minacce, io ho risposto con il cachinno
diabolico del mio sarcasmo atroce. Umanità, Società, Stato, Legge, Morale… Voi
già conoscete la potenza dei miei colpi come io conobbi quella dei vostri… E
pure non smettete dall’attaccarmi, non desistete dal carezzare il folle
proposito di ridurre la mia tempra inflessibile nelle pastoie dell’obbedienza…
Ebbene, scendete pure nella lizza, trascinate al vostro seguito questa massa
brulla ed informe di flaccidi schiavi, aguzzate le vostre armi che
s’infrangeranno sull’usbergo mio invulnerabile… io vi attendo a pie’ fermo. Io,
il maledetto, il ribelle… vi attendo con la mia aquila e il mio lupo, i fedeli
compagni della mia solitudine. Ed al mio fianco, schierati in battaglia, vi
aspettano pure i miei fratelli, gli eroici ed invitti figli del Male…
Su, dunque, venite! L’iconoclasta sacrilego e distruttore
vi ha lanciato la sua sfida. E in una ebbrezza di entusiasmo, in un delirio di
energia, in una esaltazione di audacia, egli combatterà la sua guerra, palese
ed occulta… Poi, quando i dardi velenosi avranno forata la corazza e raggiunto
il suo cuore, egli scivolerà, sogghignando, in fondo all’abisso cupo dove
serpeggiano, sinuosamente, le acque minacciose della Morte…
Enzo Martucci
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