PRIMAVERA D’EROISMO
Ai nomadi, ai vagabondi, ai ribelli.
Dov’è l’uomo, fratelli, dov’è l’uomo che io cerco?
Dov’è il prode e scapigliato ribelle, dove l’eroico guerriero che pervaso da un argolico sogno di libertà o di grandezza, affronta giocondamente la titanica lotta contro l’universo, per la conquista di una vita più elevata e più bella? Dove sono la forza e il coraggio e l’ardire che il mio spirito pagano, anarchicamente, ama? Dove sono mai? … Oh!… È bene inutile che mi affanni a cercare… Nella società borghese, industriale dell’oggi, non vi sono che vili ed imbelli… Non vi sono che servi e schiavi…
L’eroe appartenne ad una epoca passata, ai fasti dell’epopea cavalleresca e della libera energia, avventurosa e guerriera… Egli apparterrà, forse, alla futura Anarchia, quando l’individuo, non più frenato dal giogo legale, rinnoverà per il completo trionfo di se stesso, le audaci gesta di un giorno…
Ma oggi? Oggi non v’è che il plebeo abbrutito e rassegnato alla propria sorte e non v’è che il borghesuccio gretto e meschino, tronfio di boria e saturo di volgarità… Nella melma che ricopre il mondo di un triste sudario diguazzano, simili a vermi di pantano, il suddito ossequiente ed il padrone dispotico. Ma sotto i cenci dell’uno e sotto le vesti sfarzose dell’altro, batte un cuore di coniglio. Entrambi sono deboli, infrolliti… Così il proletario che non sa emanciparsi, come il tiranno che domina non per virtù della propria forza ma solo per la passività e per la rinunzia dei popoli…
Oggi non v’è che strame, che fango, che sterco…
I pirati sono scomparsi dagli Oceani, i briganti sono scomparsi dalle foreste… Gli istinti maschi ed i sentimenti gagliardi dell’umanità — rimembranze lontane… L’eroe è morto…
Dov’è l’uomo, fratelli, dov’è l’uomo che io cerco?
Dov’è il prode e scapigliato ribelle, dove l’eroico guerriero che pervaso da un argolico sogno di libertà o di grandezza, affronta giocondamente la titanica lotta contro l’universo, per la conquista di una vita più elevata e più bella? Dove sono la forza e il coraggio e l’ardire che il mio spirito pagano, anarchicamente, ama? Dove sono mai? … Oh!… È bene inutile che mi affanni a cercare… Nella società borghese, industriale dell’oggi, non vi sono che vili ed imbelli… Non vi sono che servi e schiavi…
L’eroe appartenne ad una epoca passata, ai fasti dell’epopea cavalleresca e della libera energia, avventurosa e guerriera… Egli apparterrà, forse, alla futura Anarchia, quando l’individuo, non più frenato dal giogo legale, rinnoverà per il completo trionfo di se stesso, le audaci gesta di un giorno…
Ma oggi? Oggi non v’è che il plebeo abbrutito e rassegnato alla propria sorte e non v’è che il borghesuccio gretto e meschino, tronfio di boria e saturo di volgarità… Nella melma che ricopre il mondo di un triste sudario diguazzano, simili a vermi di pantano, il suddito ossequiente ed il padrone dispotico. Ma sotto i cenci dell’uno e sotto le vesti sfarzose dell’altro, batte un cuore di coniglio. Entrambi sono deboli, infrolliti… Così il proletario che non sa emanciparsi, come il tiranno che domina non per virtù della propria forza ma solo per la passività e per la rinunzia dei popoli…
Oggi non v’è che strame, che fango, che sterco…
I pirati sono scomparsi dagli Oceani, i briganti sono scomparsi dalle foreste… Gli istinti maschi ed i sentimenti gagliardi dell’umanità — rimembranze lontane… L’eroe è morto…
***
Oasi sbocciate nel
triste deserto della putredine umana — rose fiorite fra i miasmi
pestiferi della cloaca — noi, nomadi, vagabondi, ribelli, produrremo il
divino miracolo. Noi, riesumeremo l’Eroe. Banditi dalla Società e
maledetti dalle folle ignare, noi conserviamo nelle aiuole fragranti dei
nostri cuori un gentile usignolo che canta delle melodiose canzoni di
Nostalgia e di dolore.
Temprati dalla lotta e dall’arduo periglio, noi ospitiamo nei cupi meandri degli animi nostri un rosso demonio, sempre pronto a scatenarsi con irresistibile forza.
E quando l’usignolo gorgheggia il demonio si scaglia negli insanguinati campi di battaglia, dove le furie danzano la macabra ridda della distruzione ed il valzer della morte.
Noi siamo i poeti della negazione e della rivolta, i cantori e gli autori di ogni più sublime follia.
Nell’ardente cratere del nostro vulcano interiore, fatto con lava di sentimento e con fuoco di passione, noi abbiamo alimentato la nostra brama di vita… Ed alla Società che voleva imporci le sue leggi e le sue morali, noi già rispondemmo recisamente il nostro «no», mentre tutti vilmente ripetevano «sì».
Oggi siamo in balìa della lotta. Della lotta decisiva e mortale… Col sorriso sulle labbra ci siamo lanciati nell’abisso della suprema avventura, in fondo alla quale ci attendono la ninfa e l’arpia. O l’ebbrezza del trionfo e della liberazione da ogni ceppo, o la fine gloriosa nel turbinio della guerra.
Fieri e sprezzanti, abbiamo giocato, valorosamente, la nostra ultima carta ed occorre, quindi, che intensifichiamo lo sforzo e centuplichiamo l’energia per conseguire la vittoria.
Siamo già stati dei prodi combattenti. Ora dobbiamo divenir degli eroi. È necessario, indi-spensabile.
Per il buon esito della nostra causa, per l’elevazione delle nostre individualità.
Temprati dalla lotta e dall’arduo periglio, noi ospitiamo nei cupi meandri degli animi nostri un rosso demonio, sempre pronto a scatenarsi con irresistibile forza.
E quando l’usignolo gorgheggia il demonio si scaglia negli insanguinati campi di battaglia, dove le furie danzano la macabra ridda della distruzione ed il valzer della morte.
Noi siamo i poeti della negazione e della rivolta, i cantori e gli autori di ogni più sublime follia.
Nell’ardente cratere del nostro vulcano interiore, fatto con lava di sentimento e con fuoco di passione, noi abbiamo alimentato la nostra brama di vita… Ed alla Società che voleva imporci le sue leggi e le sue morali, noi già rispondemmo recisamente il nostro «no», mentre tutti vilmente ripetevano «sì».
Oggi siamo in balìa della lotta. Della lotta decisiva e mortale… Col sorriso sulle labbra ci siamo lanciati nell’abisso della suprema avventura, in fondo alla quale ci attendono la ninfa e l’arpia. O l’ebbrezza del trionfo e della liberazione da ogni ceppo, o la fine gloriosa nel turbinio della guerra.
Fieri e sprezzanti, abbiamo giocato, valorosamente, la nostra ultima carta ed occorre, quindi, che intensifichiamo lo sforzo e centuplichiamo l’energia per conseguire la vittoria.
Siamo già stati dei prodi combattenti. Ora dobbiamo divenir degli eroi. È necessario, indi-spensabile.
Per il buon esito della nostra causa, per l’elevazione delle nostre individualità.
***
E verso l’Anarchia — matrice di libertà, fonte di gaudio, tesoro di
potenza — noi, figli dell’Orgoglio e dell’eterna Rivolta, procederemo
con lena e con forza più grande verso quell’Anarchia che non è il sogno
dei pietisti, non è il fine dei deboli, ma il mezzo con cui gli
intrepidi e disperati iconoclasti riescono a sbarazzarsi di ogni più
rude catena.
Noi tutti marceremo mentre l’azzurro fiume del coraggio strariperà dall’imo ed il vento pazzo dell’Audacia ci sbatterà, con furore selvaggio, nel più folto della mischia.
E contro i fortilizi della legge e della Società, noi scoccheremo i nostri dardi, aguzzati dell’odio… E sugli altari profanati di Cristo, noi abbracceremo la libertà… Gli ipocriti e i vili tremeranno di noi; la plebaglia ci griderà il «crucifige» dell’incoscienza… Ma cosa c’importerà la maledizione degli stolti?
Noi siamo gli aristocratici del pensiero e dell’azione, i solitari abitatori delle vette più eccelse, e la bava dei rettili non potrà tangerci giammai…
Noi tutti marceremo mentre l’azzurro fiume del coraggio strariperà dall’imo ed il vento pazzo dell’Audacia ci sbatterà, con furore selvaggio, nel più folto della mischia.
E contro i fortilizi della legge e della Società, noi scoccheremo i nostri dardi, aguzzati dell’odio… E sugli altari profanati di Cristo, noi abbracceremo la libertà… Gli ipocriti e i vili tremeranno di noi; la plebaglia ci griderà il «crucifige» dell’incoscienza… Ma cosa c’importerà la maledizione degli stolti?
Noi siamo gli aristocratici del pensiero e dell’azione, i solitari abitatori delle vette più eccelse, e la bava dei rettili non potrà tangerci giammai…
Enzo Martucci
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