mercoledì 11 luglio 2012

IO E MARIANI

IO E MARIANI
Lo scrittore Mario Mariani ha avuto con me uno scambio di lettere nelle quali si è manifestata l’originale diversità che separa la sua concezione socialista libertaria dalla mia anarchica individualista.
Tanto io che lui siamo contrari alla società borghese ed a quell’altra che vorrebbe imporci Stalin. Però abbiamo un vario modo d’intendere il passato e il presente, l’uomo ed il mondo, la storia e la vita.
Riportandosi alle origini, Mariani ha affermato in un primo momento, che il nostro lontano antenato da cui ha avuto principio la specie, era un bruto antropofago, un animale antisociale che viveva appartato con le sue femmine, senza cercare relazioni con i propri simili contro i quali si scagliava tutte le volte che poteva. Però alcuni uomini eccezionali, dotati di maggiore intelligenza e di sentimenti più buoni, sono riusciti ad insegnare la socievolezza agli altri e a piegarli al mutuo appoggio, alla collaborazione fattiva ed al rispetto reciproco. Con l’etica, dunque, è cominciata la società.
A questa teoria ho replicato osservando che, fin dagl’inizi, l’uomo possedeva, accanto alle inclinazioni opposte, anche una tendenza spontanea ad intendersi con gli altri uomini e a cooperare. Questa tendenza era forse innata ed ereditata dagli antropoidi, se è vero, come sostiene Kropotkin, che noi discendiamo dallo scimpanzé socievole e non già dal gorilla solitario. O pure tale tendenza era stata acquistata durante l’epoca glaciale quando l’uomo non trovando più nella natura gelata i vegetali con i quali si cibava, aveva dovuto adattarsi a mangiare la carne e, vincendo l’instintiva insocievolezza, ad accordarsi con i suoi simili per ottenere, con le forze riunite, una caccia più abbondante, e per vincere, più facilmente, la resistenza delle altre specie animali.
Qualunque ne sia stata la causa quest’impulso allo scambio di aiuti si è rivelato fin dalle epoche remote ed ha determinato la nascita delle prime società nel cui seno, molto tempo dopo, alcuni individui superiori insegnarono agli altri le prime norme etiche e giuridiche per sviluppare e cementare meglio la socievolezza istintiva e dare all’unione una stabilità e consistenza maggiore. Ma se la naturale propensione all’intesa non ci fosse stata e non avesse avvicinato gli uomini, nessuno avrebbe potuto insegnare nulla ai suoi simili: perché se avessi avuto la cattiva idea d’approssimarmi ad un altro, questo sarebbe fuggito o mi avrebbe accoppato con un colpo di mazza, intuendo, nella mia vicinanza, un pericolo. Inoltre non sarebbe esistito nemmeno il linguaggio ch’e sorto per effetto delle relazioni fra gli uomini, e quindi non avrei potuto comunicare le mie idee a nessuno, anche se avessi trovato qualcuno disposto a non schivarmi. Perciò la socievolezza è, alle origini, un prodotto della natura, non già della ragione.
A questa mia dimostrazione Mariani ha risposto:
«Distinguo esattamente tra collaborazione animale incosciente e collaborazione umana cosciente. La collaborazione istintiva delle rondini, delle api, dei pinguini è, per me, un fenomeno animale che non chiamo socievolezza. Fino ai pitecantropi esisteva anche nei primi antropoidi una forma di collaborazione animale; e nient’altro. L’uomo diventò il re della creazione quando la sua collaborazione cominciò a diventare norma progressiva. Lei preferisce credere che tutti l’avessero ingenita in sé e che gliela avesse insegnata il ghiaccio senza seltz perché allora non c’era.
Io preferisco credere che alcuni più dotati d’intelligenza e sentimento l’abbiano insegnata agli altri. Non nego che molti potessero avere qualche penchant alla collaborazione, ma credo che alcuni l’avessero più degli altri».
Molto bene. Però Mariani si contraddice. Perché se è vero che «fino ai pitecantropi esisteva anche nei primi antropoidi una forma di collaborazione animale», allora non è vero quanto Mariani ha affermato prima e ciò che l’uomo delle origini è stato un bruto antropofago antisociale tutto di un pezzo. La collaborazione istintiva, se non è la socievolezza nel senso che l’intende Mariani, non è però nemmeno l’antisocialità, la ripugnanza ad avvicinarsi e ad intendersi con il proprio simile. E poi perché la collaborazione animale non sarebbe socievolezza? Etimologicamente questa parola significa tendenza alla società, al mutuo appoggio, all’accordo. Quindi se l’inclinazione è determinata da un istinto naturale o da una considerazione razionale, da un impulso spontaneo o da una volontà cosciente, la conseguenza è sempre la stessa, è sempre la tendenza che esiste e ci porta a costituire la società.
Mariani osserva: «Lei mi dice: come avrebbero potuto gli uomini accettare educazione, morale, norme giuridiche se già non ci fosse stata in loro un’inclinazione spontanea ad avvicinarsi? Ma anche i pinguini, gli ornitorinchi, i canguri s’avvicinano per accoppiarsi, per scegliersi una tana, per
collaborare. E perché non formano una società? Perché non accettano un contratto sociale? Perché essi restano allo stadio della collaborazione animale, bestiale, e noi abbiamo progredito verso la collaborazione umana e sociale? Due socievolezze, come vuol chiamarle lei, per me, assolutamente distinte ».
Agl’interrogativi di Mariani rispondo osservando che negli animali la socievolezza è rimasta nei limiti stabiliti dalla natura, accanto a tendenze opposte che con essa si equilibrano. Di modo che l’animale è, secondo le circostanze, sociale o antisociale e riesce così ad appagare i suoi bisogni con i mezzi idonei ad ogni caso particolare. Nella specie umana invece, alcuni uomini, dotati di maggiore intelligenza e ambizione, hanno voluto correggere, modificare la natura, ed hanno perciò inventato l’educazione la quale si propone lo scopo di soffocare le nostre inclinazioni antisociali e sviluppare al massimo le tendenze sociali, fino al punte da farle rimanere uniche dominatrici in noi. Quindi gli animali sono rimasti alle società libere, momentanea, nelle quali il bisogno di aiuto reciproco è il solo vincolo che mantiene uniti gli individui che si separano non appena possono bastare da soli a se stessi, in condizioni mutate. Invece gli uomini sono passati da queste società primitive all’organizzazione etico giuridica. Questo trapasso, secondo Mariani, è stato utile. Secondo me nocivo. Ed è perciò che Mariani è un entusiasta della civiltà ed io un sostenitore del ritorno o del riavvicinamento alla natura.
Io penso che l’uomo sarebbe stato sempre, per la sua mente più sveglia, superiore alla bestia, anche se non si fosse organizzato con i suoi simili e non avesse creato la radio, l’aeroplano, il grattacielo e la bomba atomica. E credo che sarebbe stato meno infelice e avrebbe trovato più gusto a vivere se non avesse dovuto comprimere e straziare la sua natura per far piacere ai totem, ai tabù, agli dei, alle morali, alle regole e alle leggi, insegnate da alcuni impostori ed imposte agli altri, con l’inganno e la suggestione.
Quali sono gli effetti dell’educazione che pretende mutilare, trasformare, riplasmare la nostra personalità, soffocare certe nostre tendenze, sviluppare ipertroficamente altre, e dirigere il nostro io, coattivamente modificato, verso un fine che ci è estraneo?
L’educazione se è imposta ad individui che hanno istinti e sentimenti deboli, volontà fiacca e personalità non accentuata, comprime e distrugge quel poco di individuale, di genuino, di proprio, che c’era in ciascuno di questi individui e li riduce tanti fantocci uguali, tante macchine, tanti automi che pensano, sentono e agiscono come l’educatore stabilisce.
Se l’educazione è, però, impartita ad uomini che hanno istinti e sentimenti forti, volontà gagliarda e personalità sviluppata, allora essa soffoca violentemente la loro natura; ma, soffocandola, la esaspera, la incattivisce, la rende freneticamente desiderosa di quei piaceri che le sono negati. Talché poi, quando questa natura, non riuscendo più a trattenersi, esplode con tutta la forza accumulata sotto il giogo, giunge a parossismi e ad eccessi ai quali non sarebbe mai giunta se fosse rimasta libera fin da principio.
Ma anche in questo caso gl’individui, ancora influenzati dai precetti dell’educazione, fingono di soddisfare i loro istinti per servire gl’interessi dei maestri, per realizzare le idee dei maestri e combattere i nemici di quest’ultimi.
Cosi i leviti accolsero di buon grado l’invito di Mose, suggerito da Dio, e scannarono gli adoratori del vitello d’oro; così la plebaglia alessandrina accettò lietamente le esortazioni di San Cirillo e dei suoi monaci e fece a pezzi Ippazia e i filosofi neoplatonici, così i musulmani misero a ferro e a fuoco l’Asia e l’Africa per ubbidire al comando di Maometto che aveva ordinato la conversione degl’infedeli per mezzo della forza; cosi i cattolici, infiammati dalla predicazione d’Innocenzo III e di Domenico Guzman, seguirono Simone di Montfort e trucidarono gli albigesi, stuprarono le femmine ed arsero le città degli eretici; così i riformati si scagliarono come belve contro i contadini anabattisti condannati da Lutero; così i calvinisti bruciarono vivo Michele Servet; cosi i nazisti hanno massacrato sei milioni di ebrei e scatenato il conflitto mondiale, per il trionfo di Hitler e dell’ideale razziale; cosi i piloti americani, in nome della libertà e della democrazia, si sono divertiti a mitragliare le donne e i bambini che passeggiavano pacificamente nelle strade di Napoli.
Tutta questa gente non sentiva altro bisogno che quello di soddisfare i propri istinti esasperati dalla compressione del codice e dell’etica, dell’educazione e della proibizione. Non avvertiva altra necessità che di lottare, uccidere, stuprare, depredare; e trovava comodo farlo battendosi per la santa causa, per il trionfo del bene sul male. In tal modo conciliava lo stimolo potente della natura con la tranquillità della coscienza e la protezione della Società.
Del resto, anche oggi, quando gli onesti cittadini linciano un malfattore, quando le signore per bene inveiscono contro l’adultera o la ragazza leggera, quando gli uomini amanti dell’ordine e della legalità lanciano una sedia tra le gambe del ladro che fugge e lo consegnano ai poliziotti, non ubbidiscono forse alla tendenza che li spinge a nuocere ai loro simili e che, soltanto in quell’occasione, possono appagare, rimanendo d’accordo con la legge e con la morale e ricevendone un attestato di lode?
Vi sono, è vero, individui che agiscono senza ipocrisia e si soddisfano immediatamente, senza attendere l’istante nel quale potrebbero farlo al servizio della buona causa. Ma quest’individui la società li chiama delinquenti, li bolla con il marchio dell’infamia e li getta in galera. Eppure è stata la società, nel maggior numero dei casi che li ha determinati a quell’azione, comprimendo la loro natura, esasperando i loro istinti e costringendoli ad esplodere con straordinaria violenza.
Tali sono gli effetti benefici dell’educazione che Mariani loda. Egli dirà che questa educazione è malvagia, che anche lui la condanna, ma vuole un’educazione migliore, più razionale ed umana. Ma io gli risponderò che tutti i sistemi pedagogici si equivalgono perché mirano tutti a soffocare, a mutilare, a trasformare la natura, a raccorciarla o a stiracchiarla sul letto di Procuste da cui escono mostri od automi.
Lasciamo invece che l’uomo sia se stesso, che si sviluppi seguendo le sue inclinazioni spontanee. Permettiamogli d’imparare da solo, con la propria esperienza, nella più ampia libertà, a conoscere quello che gli è utile e quello che gli è nocivo. Consigliamolo, quando crediamo di metterlo in guardia contro un pericolo, ma riconosciamogli la facoltà di accettare o respingere il consiglio. Rendiamolo insomma padrone di sé, arbitro dei suoi pensieri e delle sue azioni.
Solo così sarà possibile creare una nuova umanità libera e sincera, altrimenti non avremo che gesuiti e fantocci.
Mariani dice: « Lei vuole respingere l’uomo allo stato di natura. Rifare un ladro e assassino biologico, libero e aggressivo».
Veramente in natura non c’è soltanto la tendenza a rubare e ad ammazzare, ma anche l’inclinazione ad aiutare e a collaborare. Kropotkin ha sostenuto che l’impulso al mutuo appoggio è più forte, rispetto agli altri impulsi, sia nell’animale che nell’uomo. Mariani crede il contrario e cita un giudizio di Hans Much:
«Il vegetale è organicamente strutturato meglio dell’animale ed è anche più innocente: l’animale vive esclusivamente di furto e di assassinio».
Ma sono esagerazioni tanto da una parte che dall’altra. Quello ch’è certo è che Mariani, per conservare l’educazione, vuole che l’uomo resti un assassino civile che scanna in nome della virtù e dell’amore.
Mariani aggiunge: «Se io debbo lottare per ricondurre gli uomini alla legge della selva, da questo non può nascere che un male. E allora come faccio a lottare? Con che entusiasmo? Come le dico: ho cercato di ottenere da lei chiarimenti maggiori di quelli che erano nel suo libro «Più oltre», ma non ci sono riuscito. Come non riesco mai a trovarli né in Stirner, né in Nietzsche.
«Fin quando restiamo alla parte critica della società borghese, capitalistica, cristiana, siamo tutti d’accordo, ma quando si tratta di ricostruire tutti rispondono: vedremo come andrà a finire.
«E io le dico che secondo l’esperienza del passato corriamo il gravissimo rischio che vada a finir peggio.
«Le domandavo: chi decide? Lei dice: la maggioranza no, la minoranza nemmeno, il dittatore nemmeno. E allora chi? ».
In un mondo anarchico ciascun individuo decidere per sé, rispondo.
Chiunque altro, anche se più intelligente o più esperto di me, non può conoscere i miei bisogni, le mie necessità come le conosco io. Quindi la sua decisione non può mai soddisfarmi.
Nell’assenza di ogni legge e d’ogni morale, d’ogni governo e d’ogni padrone, io vivrò come meglio mi piacerà. Se sentirò di starmene isolato lo farò e provvederò a me stesso prendendo, dai mezzi di produzione che saranno messi in comune, la terra e gli strumenti di lavoro che mi occorreranno. Se preferirò vivere associato potrò intendermi con gli altri, in tanti modi diversi e liberi, potrò tentare tutte le esperienze e aderire o a qualcuno di quei gruppi che praticheranno il sistema del comunismo integrale (possesso comune dei mezzi di produzione e del prodotto del lavoro, ove ciascuno dà secondo le sue forze e prende dal mucchio secondo i suoi bisogni); o a qualcuno di quegli altri gruppi che realizzeranno il mutualismo (proprietà collettiva dei mezzi di produzione ma possesso individuale del frutto del lavoro che resta all’individuo il quale lo consuma o lo cambia come vuole); o pure a qualche altro gruppo che seguirà un sistema diverso.
Da ogni associazione potrò uscire quando vorrò e, per farlo, non dovrò attendere il permesso dei consociati crime pretende Armane. Perché se volontariamente, in un momento qualsiasi, avrò voluto partecipare ad un’unione per soddisfare un mio bisogno spirituale o materiale, potrò in un altro momento, quando questo bisogno sarà soddisfatto uscire dall’associazione e nessuno potrà pretendere che dovrò rimanere vincolato alla mia volontà di ieri. L’esperienza però m’insegnerà che non dovrò essere eccessivamente volubile e disdire ogni contratto subito dopo averlo concluso, altrimenti non offrirò agli altri alcuna garanzia e non troverò infine nessuno disposto ad associarsi con me.
Nei casi di lotta mi difenderò da solo se mi sentirò una tale capacità, o richiederò l’aiuto degli amici, o stabilirò con i miei collaboratori un patto col quale c’impegneremo di difenderci reciprocamente per tutto il tempo che rimarremo uniti.
Mariani crede che il più forte riuscirà sempre a trionfare e imporrà agli altri le sue leggi, dando origine ad un nuovo ordinamento sociale retto dall’autorità. Ma gli rispondo che il più forte non lo è mai tanto per poter rimanere sempre tale; e il meno forte potrà sempre cercare i mezzi per resistergli e per equilibrarsi o alleandosi con altri, o ricorrendo all’astuzia, o escogitando un diverso espediente. Quindi il più forte, incontrando resistenza, sarà costretto a fermarsi se non vorrà perdere la vita. Il comando il governo, la tirannia diverranno impossibili quando nessuno più sarà disposto a tollerarli. E siccome in un ambiente anarchico i sentimenti individualistici, l’amore della libertà e l’insofferenza di ogni catena, sarebbero risvegliati nel cuore di ogni uomo, pronto a sfidare la morte piuttosto che rinunziare all’indipendenza, l’autorità non potrebbe rinascere.
Mariani pensa inoltre che una società polimorfa, decentrata, disorganizzata, nella quale vi sarebbero tanti gruppi anarchici che praticherebbero diversi sistemi e nella quale ogni individuo potrebbe, a suo arbitrio, passare da un gruppo all’altro o rimanere isolato, non sarebbe conciliabile
con la civiltà attuale, con la civiltà del macchinismo e dello standard ch’egli vuole conservare.
In questo siamo completamente d’accordo: l’Anarchia, nella sua realizzazione universale, non potrà produrre che una vita naturale o una civiltà, fisiocratica ed artistica vicina alla natura.
La civiltà odierna, che trasforma l’individuo in una rotella che s’ingrana meccanicamente nel congegno sociale, richiede necessariamente, per la sua conservazione, un centro, una direzione, una disciplina che conformizza l’attività dei singoli. Altrimenti scompare.
Ma è proprio la morte di questa civiltà che desidero e credo che sia più vicina di quanto non si crede. Infatti se non sarà la rivoluzione anarchica, se non sarà il delitto stirneriano a spazzarla, provvederà la bomba atomica a distruggerla. E questo lo stesso Mariani lo prevede.
Del resto se anche l’Anarchia non potesse mai affermarsi come forma di vita generale, rimarrebbe ugualmente una realtà che si estrinseca nella rivolta di pochi uomini, eccezionali e refrattari, di pochi anomali, strani ed eroici, i quali, in ogni tempo e in ogni luogo, insorgono contro i pastori e le pecore ed impediscono il trionfo assoluto del gregarismo.
Bonnot è un fatto che Mariani non può negare. La potenza demolitrice dell’iconoclasta è un flagello temuto dai sostenitori dell’ordine. Dunque l’Anarchia è tutt’altro che inattuabile anche se destinata a rivelarsi sempre sotto l’aspetto di Prometeo che sfida Giove ed osa l’impossibile.
Nel suo libro più recente «Gli ultimi uomini» Mariani indica il mezzo, secondo lui migliore, per rigenerare l’umanità.
La terza, inevitabile guerra mondiale distruggerà la nostra specie. I popoli si stermineranno a vicenda con la bomba atomica ed il raggio cosmico, con i gas tossici e le armi scientifiche, per servire gli interessi e le ambizioni di Stalin e della sua cricca o di Truman e del capitalismo americano.
Prima che la guerra scoppi due rigeneratori, (nel libro di Mariani si chiamano Magda Ziska e Harry Hogarth), si rifugeranno nel cuore dell’Africa o in un’isola dell’Oceania, in un luogo selvaggio, sconosciuto che sfuggirà, per la sua lontananza dalla vita civile, alle devastazioni della furia bellica. E porte-ranno con loro molti bambini d’ambo i sessi e li educheranno con una pedagogia severa, draconiana, feroce che tenderà a trasformare la natura degli educati, soffocando in essi gli istinti che spingono alla lotta, alla competizione, alla sopraffazione e rafforzando gl’istinti opposti che spronano all’amore, alla tolleranza, al mutuo appoggio. Dovranno « sottoporli alla pressione di uno spaventoso frantoio morale, per vedere se si riuscirà a spremere dalle loro vene l’egoismo, la crudeltà, la menzogna, la perfidia e tutti i vizi e le colpe della specie; e lasciar sopravvivere, dopo l’ecatombe universale, solo questi pochi campioni epurati ».
Se qualche bambino si rivelerà refrattario, se resisterà all’educazione trasformatrice, conservando tutti gli istinti ricevuti dalla natura, allora gli educatori dovranno sopprimerlo. Essi si preoccuperanno inoltre di distruggere, grazie al loro aeroplano e alle mitragliatrici perfette, gli ultimi
residui di cainiti, cioè di vecchi uomini scampati, per caso, al flagello della guerra. Così nel mondo non rimarranno che i bimbi educati col sistema di Magda e di Harry, che daranno principio ad una nuova umanità di tipo unico, cioè del tipo dell’uomo-angelo che avrà «il corpo dell’Apollo Sauroctono e l’anima di Francesco d’Assisi ».
Fin qui Mariani. Però il suo libro mi richiama alla memoria un vecchio proverbio ch’è pur sempre attuale: i peggiori nemici dell’umanità sono proprio gli umanitari. Tutti quelli che vogliono correggere, migliorare, elevare la natura umana, creare un solo tipo di uomo scevro delle pecche rimproverate agl’ individui contemporanei finiscono col massacrare — col desiderare di massacrare — tutti quegli altri che non sono riducibili al tipo da essi sognato.
Ma questo è fanatismo pretino: la Verità è mia, il modello è in mio possesso e chi non si uniforma a tale modello costituisce una degenerazione che dev’essere stroncata!
Di tale fanatismo sono stati partecipi gl’inquisitori del medioevo, anche quelli in buona fede come Torquemada e Borromeo. Essi volevano creare il vero tipo d’uomo, il tipo dell’uomo cattolico che, secondo le loro vedute, raggiungeva il fine al quale la specie tende e per il quale è stata creata da Dio. Quindi bruciavano vivi tutti i deviatori, gli eretici, i miscredenti, gli eterodossi, ossia tutti coloro che, nella loro vita, col pensiero o con l’azione si allontanavano da quel fine.
Una tale aberrazione l’ha avuta anche Hitler. Bramava creare il tipo unico dèll’uomo superiore, dell’uomo germanico e, per realizzarlo, ha eliminato tutti gli elementi diversi. Ha cominciato con lo sterminare sei milioni di ebrei che, per il sangue semita Serpeggiante nelle loro vene, non «potevano mai acquistare quei caratteri di forza, eroica, d’energia spietata, di creazione geniale che secondo — il razzismo — sono propri della razza ariana della quale i tedeschi pretendono essere i soli eredi. Poi egli — inspirato dalla Provvidenza che nei suoi discorsi, continuamente invocava — ha Scatenato la seconda guerra mondiale con lo Scopo di assoggettare e, progressivamente, eliminare tutte le altre razze considerate inferiori rispetto alla teutonica. Il risultato è stato: decine di milioni di morti, altre decine di milioni di mutilati ed invalidi, il mondo immerso nella miseria e nel terrore. Hitler, per creare l’uomo superiore, ha precipitato nell’abisso l’umanità reale.
Un altro prete — pazzo e fanatico — dello stesso genere è Stalin. Per lui il tipo d’uomo a cui dobbiamo pervenire è l’uomo collettivo: cioè l’uomo conformista e disciplinato, della caserma perfetta. Questo è il termine ultimo dell’evoluzione, il risultato della dialettica del materialismo marxista. Per raggiungere tale fine egli elimina — con ferocia inumana ed accelerando i tempi del processo della storia — tutti gl’irriducibili all’ideale che egli accarezza.
Le grandi purghe, i milioni di massacrati, il popolo russo ridotto nella condizione degl’iloti, le masse costrette ai lavori forzati e ai salari di fame sotto la ridicola etichetta del socialismo, non possono trovare altra origine alle loro sciagure se non l’ossessione di un maniaco che, credendo di avere scoperto il paradiso per l’umanità, la obbliga, a pedate, ad entrare in tale paradiso e schiaccia crudelmente tutti coloro che si rifiutano o che, una volta sorpassata la soglia, non sanno adattarsi al nuovo ambiente edenico, regolato e diretto dai caporali e deliziato dall’assillo poliziesco, dalle forche ospitali e dallo scorbuto del confino siberiano.
Mariani, per fortuna, non è affetto dalla pazzia di questi torvi preti. Egli non ha l’anima di un Hitler o di uno Stalin. E’ un fine scrittore, possiede la squisita sensibilità dell’artista e mai e poi mai sarebbe capace di mitragliare a sangue freddo, per solo effetto di un ragionamento, i miserabili scampati alla guerra atomica o i bambini riottosi alla sua educazione.
Queste cose, nel libro, egli le fa fare alla sua irreale Magda. Ma lui, l’autore de «La madonna dei sette dolori», sarebbe il primo ad opporsi se Magda vivesse e tentasse attuare i suoi feroci propositi. Però io qui, non discuto con Mariani qual è. Discuto con l’atteggiamento di dubbio gusto che Mariani assume in «Gli ultimi uomini». Cioè con l’atteggiamento alla Torquemada, alla Calvino, all’Hitler, alla Stalin, all’epuratore della specie per il trionfo del nuovo tipo d’uomo, unico ed assoluto.
E dico: lei lotta per una menzogna. Lei tende all’impossibile. Lei non potrà creare l’uomo-angelo, come Stalin non potrà creare l’uomo-collettivo, come Hitler non ha potuto produrre l’uomo-germanico, come gl’inquisitori non poterono generare l’uomo-cattolico. Mai e poi mai si addiverrà ad un tipo unico di uomo del quale tutti gli altri saranno tante copie uguali. Anche se gli educatori e rigeneratori stermineranno a milioni o a diecine di milioni tutti gl’individui che da questo tipo si allontaneranno.
Gl’inquisitori bruciarono vivi innumerevoli eretici ma i distacchi, col pensiero e con l’azione, dal credo chiesastico rimasero vivi in tanti uomini che non si lasciarono assorbire dal cattolicesimo e dalle masse da questo fanatizzate. Hitler ha assassinato milioni di ebrei e scatenato la guerra conquistatrice ma è stato infine travolto e non ha potuto inaugurare nel mondo l’era dell’uomo ariano. Stalin opprime i russi e li ha abituati alla vita del formicaio. Pure all’uomocollettivo non giungerà mai perché i mammiferi non sono come certi insetti e non possibile ridurli all’identità delle funzioni impersonali. Mariani non produrrà l’angelo e ben pochi fra, gli allievi della sua Magda si lasceranno spogliare dei loro caratteri propri per rendersi simili ai compagni in altruismo e generosità.
E ciò per una ragione molto semplice: perché l’umanità di tipo unico, tutto buono o tutto cattivo, non potrà mai esistere. E non potrà mai esistere pro-prio perché gl’individui sono diversi gli uni dagli altri, hanno gl’istinti generosi e gl’istinti perversi, diversamente sviluppati in ciascuno e, quindi, ciascuno, rappresenta una personalità, un microcosmo, una realtà a se, con, bisogni, sentimenti ed inclinazioni particolari che sono irriducibili ad una unità collettiva in cui tutti gli esseri umani s’identificherebbero.
Roscellino non aveva, forse, torto quando affermava che l’individuo solo è reale, il genere non è che una parola, flatus vocis, ed esso non può esistere, altrimenti in ogni uomo vi sarebbero due uomini e cioè l’uomo e quell’uomo. In sostanza se il genere è indimostrabile, se è logicamente impossibile, esso si rivela a noi come un fatto naturale determinato dalle somiglianze fisiche e psichiche, fra certi individui. Ma accanto alle somiglianze si mostrano le dissomiglianze, ossia quello ch’è peculiare ch’è proprio in ognuno e che distingue un io dall’altro.
Se volete distruggere queste particolarità, se volete ridurre gli uomini tanti fantocci uguali, tante copie fedeli di un solo modello, allora voi annientate l’individuo e, annientandolo, distruggete anche il genere ossia le somiglianze che l’individuo ha con altri dai quali pur si distingue per la sua propria personalità. Ecco il motivo per cui l’umanità di tipo unico non è mai esistita, ne mai esisterà.
Gli uomini rimarranno diversi: tutti col bene e il male in sé, tutti con Abele e con Caino nel proprio sangue e nella propria anima, ma diversamente sviluppati in ciascuno e, quindi, producendo in ciascuno bisogni, gusti ed aspirazioni originali. E poi anche se, parlando per assurdo, Mariani potesse compiere il miracolo e generare l’uomo-angelo, sarebbe questo un progresso? Sarebbe un miglioramento?
Io dico di no. Perché l’uomo-angelo sarebbe un eunuco. Nietzsche ha osservato che le passioni definite cattive e antisociali sono necessarie alla vita, sono qualche cosa che deve esistere profondamente, essenzialmente, nella sua economia. L’egoismo, la cupidigia, la superbia, la perfidia, lo spirito di aggressione e di ribellione, suscitano nell’uomo forza, virilità, risolutezza, audacia. Toglietegli questi sentimenti, lasciategli soltanto l’amore, la pietà, la socievolezza, l’altruismo e la conseguenza sarà un essere debole, fiacco, pavido, zuccherato, cioè la pecora belante, l’angelo di Mariani.
Come pure se all’uomo portate via tutti i sentimenti buoni e gli lasciate solo i cattivi, avrete l’uomo germanico di Hitler, il seviziatore di Buchenwald e Mauthausen, un mostro orrendo, una tigre ubriaca di sangue.
La natura mutilata degenera. Dunque noi dobbiamo accettarla tutt’intera com’è, senza esclusioni né limitazioni, con tutti gl’istinti ch’essa ci dà, con il bene e il male che sono entrambi necessari. Ma per seguire la spontaneità, per vivere naturalmente per secondare le opposte tendenze, noi dobbiamo liberarci dell’educazione, della morale e delle abitudini gregarie che la società ci ha istillato, e proporci come fine non già un’impossibile umanità di tipo unico, ma la conservazione della diversità fra gl’individui che la natura ha creato diversi.
Solo allora si stabilirà fra gli uomini un equilibrio, sia pur mutevole ed oscillante, quando ciascuno rimarrà se stesso e potrà, con i suoi mezzi peculiari, intendersi con gli altri o difendersi dai loro attacchi, secondo le varie occasioni.
Mariani aspira, dunque, ad un’Anarchia edenica realizzata dagli uomini-angeli che saranno resi tali dal sistema pedagogico di Magda Ziska. Io tendo invece ad un’Anarchia polimorfa vissuta dagli uomini naturali che avranno infranto tutti i ceppi, etici, religiosi e giuridici, seguendo il grande esempio di Giulio Bonnot. Le due concezioni sono separate da un abisso ed è possibile dire che le nostre Anarchie si negano a vicenda, si escludono reciprocamente.
Però, malgrado questo, io stimo Mario Mariani perché è uno scrittore valoroso ed un uomo sincero ed audace che ha saputo lottare per le sue idee ed affrontare le aggressioni e le persecuzioni dei fascisti, senza mai indietreggiare di un passo. Quindi deploro profondamente l’attacco sleale che contro lui ha sferrato il giornale « Umanità Nova » riproducendo un articolo scritto 25 anni or sono da Camillo Berneri «Mario Mariani borghese».
Berneri, si noti bene, è stato reso simpatico dalla sua morte perché è caduto vittima dell’intolleranza feroce dei preti staliniani in Spagna. Ma era, in vita, un prete anche lui ed aggrediva fanaticamente tutti coloro che non entravano nella sua chiesa. Anch’egli anelava una futura umanità di tipo unico che avrebbe seguito una sola regola di condotta, praticato un solo sistema sociale, quello comunista libertario, ed eliminato i non-conformisti, i refrattari, i ribelli. La sua Anarchia conventuale era più vicina all’Anarchia edenica di Mariani, che non alla mia Anarchia istintiva, naturalista, multiforme. Scagliandosi, nel 1920, contro me, sedicenne, e contro Renzo Novatore ci chiamò, sulla rivista «L’Iconoclasta» che ospitava tutte le polemiche fra anarchici, «megalomani, grafomani e paranoici, deboli imitatori dei filosofi pazzi e dei poeti decadenti, smidollati dall’oppio, dall’hascisc e dalle sirene a un tanto l’ora».
Io non potei rispondere perché nel frattempo, ero stato arrestato. Ma Renzo Novatore, lo strano e grande artista caduto poi eroicamente in un conflitto con la sbirraglia, replicò per entrambi e definì Camillo «un topo di biblioteca, dogmatico e pedante, che sa solo imparare ma non creare, sa solo vivacchiare ma non vivere, ed odia coloro che non si contentano, come lui, di rimanere coi piedi sulla terraferma della mediocrità, ma mettono l’ali per volare verso i cieli più lontani e discendere negli abissi profondi».
Quindi, da quel buon mediocre ch’egli era, Berneri, nelle sue critiche, non usava che gli argomenti banali accettati dal gusto comune. E li ha usati anche contro Mariani accusandolo di pornografia.
Ma cosa significa ciò? Significa semplicemente che il professore Berneri era un tartufo in cattedra, un moralista da sagrestia, non certamente un anarchico. La pornografia non esiste e, come ha risposto acutamente Mariani, essa non è altro «che l’amour des autres, come dicono i francesi, nella vita. E nella letteratura Oscar Wilde che se ne intendeva, scrisse g’à: non esistono libri morali e libri immorali, esistono libri scritti bene e libri scritti male».
Dimostrare che nella natura umana vi sono certe tendenze sessuali che non è possibile negare o soffocare, come verrebbe la stupida morale corrente, significa fare della pornografia? Ma allora io sono più pornografico di Mariani perché sono andato molto più in là di lui. E più pornografici di Mariani e di me sono Gide, Proust, Lawrence, Sartre e tutti i più grandi scrittori contemporanei. E D’Annunzio dove lo mettiamo? E Mirbeau, Gauthier. Flaubert? E il fine Petronio, autore del «Satyricon»? E Anacreonte e Saffo e tutti i poeti greci? Dal che si desume che se il professore Camillo Berneri fosse vissuto e diventato Alto Commissario per l’istruzione nella Federazione dei Comuni Libertari d’Italia, avrebbe cacciato dalle scuole e dalle biblioteche tutte le opere della letteratura antica, moderna e modernissima e fatto rimanere soltanto «I promessi sposi» di Manzoni, il libro che elegia i sentimenti morali, le virtù casalinghe e l’insuperabile santità del focolare domestico.
Berneri ha anche accusato Mariani di voler distruggere la famiglia. Ebbene, cosa c’è di grave in rio? Si è scandalizzato il professore? E perché allora non ha mosso l’accusa anche contro Platone che ne «La Repubblica» auspica il libero amore ed il figlio collettivo?
La realtà è questa: Berneri non era un anarchico come non lo sono i suoi discepoli odierni, i comunisti libertari, i redattori di «Umanità Nova», Pier Carlo Masini, Cesare Zaccaria, Carlo Doglio et similia. Questi signori definiscono Anarchia il loro ideale sociale ch’è invece un regime democratico a-statale, ossia un regime in cui l’autorità è esercitata dalla maggioranza. Ora l’Anarchia è qualche cosa di più: è una vita nella quale non esiste nessuna autorità perché nessuno la riconosce e nessuno si sottomette ad essa. E’ una vita nella quale non v’è un solo sistema sociale, il comunismo libertario, ma vi sono tanti sistemi diversi, tante forme varie prodotte dalla varietà dei bisogni, dei gusti e delle opinioni degl’individui. E tutte queste forme non si fossilizzano ma evolvono e si trasformano, si dissolvono e si ricostituiscono man mano che i singoli avvertono nuove necessità o sentono cambiate le loro disposizioni o mutate le loro idee. L’Anarchia non è una società organizzata, disciplinata, conciliabile con l’attuale civiltà industriale meccanica, ma è la restaurazione della libertà naturale che non assume un aspetto unico, ma si realizza sotto aspetti diversi mediante tanti modi diversi d’associazione, d’intesa, di rapporti vari e di equilibri variamente producentisi fra gli uomini senza dio e senza padrone.
Perciò l’Anarchia, non solo comporta la distruzione dello Stato, ma anche di tutti quegli altri gruppi organizzati che i comunisti libertari vorrebbero conservare e che, come lo Stato, assorbono l’individuo e gl’impongono una disciplina ch’egli deve necessariamente accettare. Questi gruppi-famiglia, sindacato, comune, federazione dei comuni, ecc. — sono catene che assoggettano la libertà personale. L’anarchico, invece, non partecipa che al gruppo libero, all’associazione nella quale s’intende con i compagni per propria volontà, non perché gli altri lo costringono, e dalla quale si ritrae quando vuole, senza che nessuno possa trattenerlo.
Qualcuna, poche o molte di queste associazioni potranno tentare l’esperienza del comunismo alla Kropotkin, mentre altre associazioni tenteranno altre esperienze. Allora il comunismo, rimanendo libero, non essendo organizzato, non contraddirà l’esigenze della vita anarchica. Ma se il comunismo riuscirà a trasformarsi, come i suoi teorici pretendono, in un’organizzazione sociale, universalmente estesa, che imporrà all’individuo la disciplina del Demos, la norma di condotta stabilità dalla maggioranza e dai suoi capi o maestri in ogni comune autonomo allora esso si risolverà in una nuova tirannia che l’anarchismo dovrà combattere come ha combattuto le altre.
Al posto dello Stato unitario, autoritario ed accentratore di Mussolini o di Stalin, vi saranno tanti staterelli cioè i comuni, ciascuno organizzato, gerarchicamente e burocraticamente, come l’antico Stato. Alla testa di ogni comune si troverà un capo, eletto dalla massa, un Masini qualsiasi che per l’interesse pubblico ed il bene collettivo, stabilirà l’obbligo della prassi comunista per tutti e le pene per gli inadempienti. I comuni saranno federati e i loro rapporti coordinati da un comitato centrale, presieduto da un autorevole prete come Zaccaria. E non mancherà la nuova chiesa, ringiovanita ed epurata, nella quale, in luogo di Pio XII, pontificherà Ferdinando Tartaglia.
Però una tale organizzazione che sovraccaricherà l’individuo di regole, norme, morali e doveri, e lo costringerà al più stretto conformismo dettato da un capo imbonitore di greggi, non solo non presenterà nessuna somiglianza con l’anarchismo integrale, ch’è individualismo puro, ma nemmeno con il socialismo libertario concepito da Bakunin, Kropotkin, Malatesta i quali credevano nella possibilità dell’adozione volontaria universale di un unico sistema sociale, etico ed economico e, solo nei casi più gravi, ammettevano l’imposizione della maggioranza ai dissidenti.
La società comunista libertaria sarà costruita sul modello della F. A. I. cioè del partitino pseudo anarchico in cui i soldati, ubbidienti e disciplinati, ricevono dai superiori la regola infallibile di pensiero e di condotta e si scagliano contro chiunque la respinge o la critica. E tutto andrà come prima, peggio di prima, più tartufescamente di prima. Pecore e pastori, commedia e impostura...
Ma qui s’affaccia, spontanea, una domanda: perché i faisti, che son persone per bene, non lasciano a noi individualisti, per il nostro ideale, il nome infamato d’Anarchia? Perché non scelgono per la loro organizzazione un’altra denominazione, per esempio, quella di partito comunista libertario italiano?
Ci guadagnerebbero in decoro, Masini e Zaccaria. E sarebbero più stimati dai marescialli dei carabinieri e dai parroci di campagna.
E. Martucci

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