IO E MARIANI
Lo scrittore Mario Mariani ha
avuto con me uno scambio di lettere nelle quali si è manifestata
l’originale diversità che separa la sua concezione socialista libertaria
dalla mia anarchica individualista.
Tanto io che lui siamo contrari
alla società borghese ed a quell’altra che vorrebbe imporci Stalin.
Però abbiamo un vario modo d’intendere il passato e il presente, l’uomo
ed il mondo, la storia e la vita.
Riportandosi alle origini, Mariani ha affermato in un primo momento, che
il nostro lontano antenato da cui ha avuto principio la specie, era un
bruto antropofago, un animale antisociale che viveva appartato con le
sue femmine, senza cercare relazioni con i propri simili contro i quali
si scagliava tutte le volte che poteva. Però alcuni uomini eccezionali,
dotati di maggiore intelligenza e di sentimenti più buoni, sono riusciti
ad insegnare la socievolezza agli altri e a piegarli al mutuo appoggio,
alla collaborazione fattiva ed al rispetto reciproco. Con l’etica,
dunque, è cominciata la società.
A questa teoria ho replicato
osservando che, fin dagl’inizi, l’uomo possedeva, accanto alle
inclinazioni opposte, anche una tendenza spontanea ad intendersi con gli
altri uomini e a cooperare. Questa tendenza era forse innata ed
ereditata dagli antropoidi, se è vero, come sostiene Kropotkin, che noi
discendiamo dallo scimpanzé socievole e non già dal gorilla solitario. O
pure tale tendenza era stata acquistata durante l’epoca glaciale quando
l’uomo non trovando più nella natura gelata i vegetali con i quali si
cibava, aveva dovuto adattarsi a mangiare la carne e, vincendo
l’instintiva insocievolezza, ad accordarsi con i suoi simili per
ottenere, con le forze riunite, una caccia più abbondante, e per vincere, più facilmente, la resistenza delle altre specie animali.
Qualunque ne sia stata la causa quest’impulso allo scambio di aiuti si è
rivelato fin dalle epoche remote ed ha determinato la nascita delle
prime società nel cui seno, molto tempo dopo, alcuni individui superiori
insegnarono agli altri le prime norme etiche e giuridiche per
sviluppare e cementare meglio la socievolezza istintiva e dare
all’unione una stabilità e consistenza maggiore. Ma se la naturale
propensione all’intesa non ci fosse stata e non avesse avvicinato gli
uomini, nessuno avrebbe potuto insegnare nulla ai suoi simili: perché se
avessi avuto la cattiva idea d’approssimarmi ad un altro, questo
sarebbe fuggito o mi avrebbe accoppato con un colpo di mazza, intuendo,
nella mia vicinanza, un pericolo. Inoltre non sarebbe esistito nemmeno
il linguaggio ch’e sorto per effetto delle relazioni fra gli uomini, e
quindi non avrei potuto comunicare le mie idee a nessuno, anche se
avessi trovato qualcuno disposto a non schivarmi. Perciò la socievolezza
è, alle origini, un prodotto della natura, non già della ragione.
A questa mia dimostrazione Mariani ha risposto:
«Distinguo esattamente tra collaborazione animale incosciente e
collaborazione umana cosciente. La collaborazione istintiva delle
rondini, delle api, dei pinguini è, per me, un fenomeno animale che non
chiamo socievolezza. Fino ai pitecantropi esisteva anche nei primi
antropoidi una forma di collaborazione animale; e nient’altro. L’uomo
diventò il re della creazione quando la sua collaborazione cominciò a
diventare norma progressiva. Lei preferisce credere che tutti l’avessero
ingenita in sé e che gliela avesse insegnata il ghiaccio senza seltz
perché allora non c’era.
Io preferisco credere che alcuni più dotati
d’intelligenza e sentimento l’abbiano insegnata agli altri. Non nego
che molti potessero avere qualche penchant alla collaborazione, ma credo
che alcuni l’avessero più degli altri».
Molto bene. Però Mariani si
contraddice. Perché se è vero che «fino ai pitecantropi esisteva anche
nei primi antropoidi una forma di collaborazione animale», allora non è
vero quanto Mariani ha affermato prima e ciò che l’uomo delle origini è
stato un bruto antropofago antisociale tutto di un pezzo. La
collaborazione istintiva, se non è la socievolezza nel senso che
l’intende Mariani, non è però nemmeno l’antisocialità, la ripugnanza ad
avvicinarsi e ad intendersi con il proprio simile. E poi perché la
collaborazione animale non sarebbe socievolezza? Etimologicamente questa
parola significa tendenza alla società, al mutuo appoggio, all’accordo.
Quindi se l’inclinazione è determinata da un istinto naturale o da una
considerazione razionale, da un impulso spontaneo o da una volontà
cosciente, la conseguenza è sempre la stessa, è sempre la tendenza che
esiste e ci porta a costituire la società.
Mariani osserva: «Lei mi
dice: come avrebbero potuto gli uomini accettare educazione, morale,
norme giuridiche se già non ci fosse stata in loro un’inclinazione
spontanea ad avvicinarsi? Ma anche i pinguini, gli ornitorinchi, i
canguri s’avvicinano per accoppiarsi, per scegliersi una tana, per
collaborare. E perché non formano una società? Perché non accettano un
contratto sociale? Perché essi restano allo stadio della collaborazione
animale, bestiale, e noi abbiamo progredito verso la collaborazione
umana e sociale? Due socievolezze, come vuol chiamarle lei, per me,
assolutamente distinte ».
Agl’interrogativi di Mariani rispondo
osservando che negli animali la socievolezza è rimasta nei limiti
stabiliti dalla natura, accanto a tendenze opposte che con essa si
equilibrano. Di modo che l’animale è, secondo le circostanze, sociale o
antisociale e riesce così ad appagare i suoi bisogni con i mezzi idonei
ad ogni caso particolare. Nella specie umana invece, alcuni uomini,
dotati di maggiore intelligenza e ambizione, hanno voluto correggere,
modificare la natura, ed hanno perciò inventato l’educazione la quale si
propone lo scopo di soffocare le nostre inclinazioni antisociali e
sviluppare al massimo le tendenze sociali, fino al punte da farle
rimanere uniche dominatrici in noi. Quindi gli animali sono rimasti alle
società libere, momentanea, nelle quali il bisogno di aiuto reciproco è
il solo vincolo che mantiene uniti gli individui che si separano non
appena possono bastare da soli a se stessi, in condizioni mutate. Invece
gli uomini sono passati da queste società primitive all’organizzazione
etico giuridica. Questo trapasso, secondo Mariani, è stato utile.
Secondo me nocivo. Ed è perciò che Mariani è un entusiasta della civiltà
ed io un sostenitore del ritorno o del riavvicinamento alla natura.
Io penso che l’uomo sarebbe stato sempre, per la sua mente più sveglia,
superiore alla bestia, anche se non si fosse organizzato con i suoi
simili e non avesse creato la radio, l’aeroplano, il grattacielo e la
bomba atomica. E credo che sarebbe stato meno infelice e avrebbe trovato
più gusto a vivere se non avesse dovuto comprimere e straziare la sua
natura per far piacere ai totem, ai tabù, agli dei, alle morali, alle
regole e alle leggi, insegnate da alcuni impostori ed imposte agli
altri, con l’inganno e la suggestione.
Quali sono gli effetti
dell’educazione che pretende mutilare, trasformare, riplasmare la nostra
personalità, soffocare certe nostre tendenze, sviluppare
ipertroficamente altre, e dirigere il nostro io, coattivamente
modificato, verso un fine che ci è estraneo?
L’educazione se è
imposta ad individui che hanno istinti e sentimenti deboli, volontà
fiacca e personalità non accentuata, comprime e distrugge quel poco di
individuale, di genuino, di proprio, che c’era in ciascuno di questi
individui e li riduce tanti fantocci uguali, tante macchine, tanti
automi che pensano, sentono e agiscono come l’educatore stabilisce.
Se l’educazione è, però, impartita ad uomini che hanno istinti e
sentimenti forti, volontà gagliarda e personalità sviluppata, allora
essa soffoca violentemente la loro natura; ma, soffocandola, la
esaspera, la incattivisce, la rende freneticamente desiderosa di quei
piaceri che le sono negati. Talché poi, quando questa natura, non
riuscendo più a trattenersi, esplode con tutta la forza accumulata sotto
il giogo, giunge a parossismi e ad eccessi ai quali non sarebbe mai
giunta se fosse rimasta libera fin da principio.
Ma anche in questo
caso gl’individui, ancora influenzati dai precetti dell’educazione,
fingono di soddisfare i loro istinti per servire gl’interessi dei
maestri, per realizzare le idee dei maestri e combattere i nemici di
quest’ultimi.
Cosi i leviti accolsero di buon grado l’invito di
Mose, suggerito da Dio, e scannarono gli adoratori del vitello d’oro;
così la plebaglia alessandrina accettò lietamente le esortazioni di San
Cirillo e dei suoi monaci e fece a pezzi Ippazia e i filosofi
neoplatonici, così i musulmani misero a ferro e a fuoco l’Asia e
l’Africa per ubbidire al comando di Maometto che aveva ordinato la
conversione degl’infedeli per mezzo della forza; cosi i cattolici,
infiammati dalla predicazione d’Innocenzo III e di Domenico Guzman,
seguirono Simone di Montfort e trucidarono gli albigesi, stuprarono le
femmine ed arsero le città degli eretici; così i riformati si
scagliarono come belve contro i contadini anabattisti condannati da
Lutero; così i calvinisti bruciarono vivo Michele Servet; cosi i nazisti
hanno massacrato sei milioni di ebrei e scatenato il conflitto
mondiale, per il trionfo di Hitler e dell’ideale razziale; cosi i piloti
americani, in nome della libertà e della democrazia, si sono divertiti a
mitragliare le donne e i bambini che passeggiavano pacificamente nelle
strade di Napoli.
Tutta questa gente non sentiva altro bisogno che
quello di soddisfare i propri istinti esasperati dalla compressione del
codice e dell’etica, dell’educazione e della proibizione. Non avvertiva
altra necessità che di lottare, uccidere, stuprare, depredare; e trovava
comodo farlo battendosi per la santa causa, per il trionfo del bene sul
male. In tal modo conciliava lo stimolo potente della natura con la
tranquillità della coscienza e la protezione della Società.
Del
resto, anche oggi, quando gli onesti cittadini linciano un malfattore,
quando le signore per bene inveiscono contro l’adultera o la ragazza
leggera, quando gli uomini amanti dell’ordine e della legalità lanciano
una sedia tra le gambe del ladro che fugge e lo consegnano ai
poliziotti, non ubbidiscono forse alla tendenza che li spinge a nuocere
ai loro simili e che, soltanto in quell’occasione, possono appagare,
rimanendo d’accordo con la legge e con la morale e ricevendone un
attestato di lode?
Vi sono, è vero, individui che agiscono senza
ipocrisia e si soddisfano immediatamente, senza attendere l’istante nel
quale potrebbero farlo al servizio della buona causa. Ma quest’individui
la società li chiama delinquenti, li bolla con il marchio dell’infamia e
li getta in galera. Eppure è stata la società, nel maggior numero dei
casi che li ha determinati a quell’azione, comprimendo la loro natura,
esasperando i loro istinti e costringendoli ad esplodere con
straordinaria violenza.
Tali sono gli effetti benefici
dell’educazione che Mariani loda. Egli dirà che questa educazione è
malvagia, che anche lui la condanna, ma vuole un’educazione migliore,
più razionale ed umana. Ma io gli risponderò che tutti i sistemi
pedagogici si equivalgono perché mirano tutti a soffocare, a mutilare, a
trasformare la natura, a raccorciarla o a stiracchiarla sul letto di
Procuste da cui escono mostri od automi.
Lasciamo invece che l’uomo
sia se stesso, che si sviluppi seguendo le sue inclinazioni spontanee.
Permettiamogli d’imparare da solo, con la propria esperienza, nella più
ampia libertà, a conoscere quello che gli è utile e quello che gli è
nocivo. Consigliamolo, quando crediamo di metterlo in guardia contro un
pericolo, ma riconosciamogli la facoltà di accettare o respingere il
consiglio. Rendiamolo insomma padrone di sé, arbitro dei suoi pensieri e
delle sue azioni.
Solo così sarà possibile creare una nuova umanità libera e sincera, altrimenti non avremo che gesuiti e fantocci.
Mariani dice: « Lei vuole respingere l’uomo allo stato di natura. Rifare un ladro e assassino biologico, libero e aggressivo».
Veramente in natura non c’è soltanto la tendenza a rubare e ad
ammazzare, ma anche l’inclinazione ad aiutare e a collaborare. Kropotkin
ha sostenuto che l’impulso al mutuo appoggio è più forte, rispetto agli
altri impulsi, sia nell’animale che nell’uomo. Mariani crede il
contrario e cita un giudizio di Hans Much:
«Il vegetale è
organicamente strutturato meglio dell’animale ed è anche più innocente:
l’animale vive esclusivamente di furto e di assassinio».
Ma sono
esagerazioni tanto da una parte che dall’altra. Quello ch’è certo è che
Mariani, per conservare l’educazione, vuole che l’uomo resti un
assassino civile che scanna in nome della virtù e dell’amore.
Mariani aggiunge: «Se io debbo lottare per ricondurre gli uomini alla
legge della selva, da questo non può nascere che un male. E allora come
faccio a lottare? Con che entusiasmo? Come le dico: ho cercato di
ottenere da lei chiarimenti maggiori di quelli che erano nel suo libro
«Più oltre», ma non ci sono riuscito. Come non riesco mai a trovarli né
in Stirner, né in Nietzsche.
«Fin quando restiamo alla parte critica
della società borghese, capitalistica, cristiana, siamo tutti
d’accordo, ma quando si tratta di ricostruire tutti rispondono: vedremo
come andrà a finire.
«E io le dico che secondo l’esperienza del passato corriamo il gravissimo rischio che vada a finir peggio.
«Le domandavo: chi decide? Lei dice: la maggioranza no, la minoranza nemmeno, il dittatore nemmeno. E allora chi? ».
In un mondo anarchico ciascun individuo decidere per sé, rispondo.
Chiunque altro, anche se più intelligente o più esperto di me, non può
conoscere i miei bisogni, le mie necessità come le conosco io. Quindi la
sua decisione non può mai soddisfarmi.
Nell’assenza di ogni legge e
d’ogni morale, d’ogni governo e d’ogni padrone, io vivrò come meglio mi
piacerà. Se sentirò di starmene isolato lo farò e provvederò a me
stesso prendendo, dai mezzi di produzione che saranno messi in comune,
la terra e gli strumenti di lavoro che mi occorreranno. Se preferirò
vivere associato potrò intendermi con gli altri, in tanti modi diversi e
liberi, potrò tentare tutte le esperienze e aderire o a qualcuno di
quei gruppi che praticheranno il sistema del comunismo integrale
(possesso comune dei mezzi di produzione e del prodotto del lavoro, ove
ciascuno dà secondo le sue forze e prende dal mucchio secondo i suoi
bisogni); o a qualcuno di quegli altri gruppi che realizzeranno il
mutualismo (proprietà collettiva dei mezzi di produzione ma possesso
individuale del frutto del lavoro che resta all’individuo il quale lo
consuma o lo cambia come vuole); o pure a qualche altro gruppo che
seguirà un sistema diverso.
Da ogni associazione potrò uscire quando
vorrò e, per farlo, non dovrò attendere il permesso dei consociati
crime pretende Armane. Perché se volontariamente, in un momento
qualsiasi, avrò voluto partecipare ad un’unione per soddisfare un mio
bisogno spirituale o materiale, potrò in un altro momento, quando questo
bisogno sarà soddisfatto uscire dall’associazione e nessuno potrà
pretendere che dovrò rimanere vincolato alla mia volontà di ieri.
L’esperienza però m’insegnerà che non dovrò essere eccessivamente
volubile e disdire ogni contratto subito dopo averlo concluso,
altrimenti non offrirò agli altri alcuna garanzia e non troverò infine
nessuno disposto ad associarsi con me.
Nei casi di lotta mi
difenderò da solo se mi sentirò una tale capacità, o richiederò l’aiuto
degli amici, o stabilirò con i miei collaboratori un patto col quale
c’impegneremo di difenderci reciprocamente per tutto il tempo che
rimarremo uniti.
Mariani crede che il più forte riuscirà sempre a
trionfare e imporrà agli altri le sue leggi, dando origine ad un nuovo
ordinamento sociale retto dall’autorità. Ma gli rispondo che il più
forte non lo è mai tanto per poter rimanere sempre tale; e il meno forte
potrà sempre cercare i mezzi per resistergli e per equilibrarsi o
alleandosi con altri, o ricorrendo all’astuzia, o escogitando un diverso
espediente. Quindi il più forte, incontrando resistenza, sarà costretto
a fermarsi se non vorrà perdere la vita. Il comando il governo, la
tirannia diverranno impossibili quando nessuno più sarà disposto a
tollerarli. E siccome in un ambiente anarchico i sentimenti
individualistici, l’amore della libertà e l’insofferenza di ogni catena,
sarebbero risvegliati nel cuore di ogni uomo, pronto a sfidare la morte
piuttosto che rinunziare all’indipendenza, l’autorità non potrebbe
rinascere.
Mariani pensa inoltre che una società polimorfa,
decentrata, disorganizzata, nella quale vi sarebbero tanti gruppi
anarchici che praticherebbero diversi sistemi e nella quale ogni
individuo potrebbe, a suo arbitrio, passare da un gruppo all’altro o
rimanere isolato, non sarebbe conciliabile
con la civiltà attuale, con la civiltà del macchinismo e dello standard ch’egli vuole conservare.
In questo siamo completamente d’accordo: l’Anarchia, nella sua
realizzazione universale, non potrà produrre che una vita naturale o una
civiltà, fisiocratica ed artistica vicina alla natura.
La civiltà
odierna, che trasforma l’individuo in una rotella che s’ingrana
meccanicamente nel congegno sociale, richiede necessariamente, per la
sua conservazione, un centro, una direzione, una disciplina che
conformizza l’attività dei singoli. Altrimenti scompare.
Ma è
proprio la morte di questa civiltà che desidero e credo che sia più
vicina di quanto non si crede. Infatti se non sarà la rivoluzione
anarchica, se non sarà il delitto stirneriano a spazzarla, provvederà la
bomba atomica a distruggerla. E questo lo stesso Mariani lo prevede.
Del resto se anche l’Anarchia non potesse mai affermarsi come forma di
vita generale, rimarrebbe ugualmente una realtà che si estrinseca nella
rivolta di pochi uomini, eccezionali e refrattari, di pochi anomali,
strani ed eroici, i quali, in ogni tempo e in ogni luogo, insorgono
contro i pastori e le pecore ed impediscono il trionfo assoluto del
gregarismo.
Bonnot è un fatto che Mariani non può negare. La potenza
demolitrice dell’iconoclasta è un flagello temuto dai sostenitori
dell’ordine. Dunque l’Anarchia è tutt’altro che inattuabile anche se
destinata a rivelarsi sempre sotto l’aspetto di Prometeo che sfida Giove
ed osa l’impossibile.
Nel suo libro più recente «Gli ultimi uomini» Mariani indica il mezzo, secondo lui migliore, per rigenerare l’umanità.
La terza, inevitabile guerra mondiale distruggerà la nostra specie. I
popoli si stermineranno a vicenda con la bomba atomica ed il raggio
cosmico, con i gas tossici e le armi scientifiche, per servire gli
interessi e le ambizioni di Stalin e della sua cricca o di Truman e del
capitalismo americano.
Prima che la guerra scoppi due rigeneratori,
(nel libro di Mariani si chiamano Magda Ziska e Harry Hogarth), si
rifugeranno nel cuore dell’Africa o in un’isola dell’Oceania, in un
luogo selvaggio, sconosciuto che sfuggirà, per la sua lontananza dalla
vita civile, alle devastazioni della furia bellica. E porte-ranno con
loro molti bambini d’ambo i sessi e li educheranno con una pedagogia
severa, draconiana, feroce che tenderà a trasformare la natura degli
educati, soffocando in essi gli istinti che spingono alla lotta, alla
competizione, alla sopraffazione e rafforzando gl’istinti opposti che
spronano all’amore, alla tolleranza, al mutuo appoggio. Dovranno «
sottoporli alla pressione di uno spaventoso frantoio morale, per vedere
se si riuscirà a spremere dalle loro vene l’egoismo, la crudeltà, la
menzogna, la perfidia e tutti i vizi e le colpe della specie; e lasciar
sopravvivere, dopo l’ecatombe universale, solo questi pochi campioni
epurati ».
Se qualche bambino si rivelerà refrattario, se resisterà
all’educazione trasformatrice, conservando tutti gli istinti ricevuti
dalla natura, allora gli educatori dovranno sopprimerlo. Essi si
preoccuperanno inoltre di distruggere, grazie al loro aeroplano e alle
mitragliatrici perfette, gli ultimi
residui di cainiti, cioè di
vecchi uomini scampati, per caso, al flagello della guerra. Così nel
mondo non rimarranno che i bimbi educati col sistema di Magda e di
Harry, che daranno principio ad una nuova umanità di tipo unico, cioè
del tipo dell’uomo-angelo che avrà «il corpo dell’Apollo Sauroctono e
l’anima di Francesco d’Assisi ».
Fin qui Mariani. Però il suo libro
mi richiama alla memoria un vecchio proverbio ch’è pur sempre attuale: i
peggiori nemici dell’umanità sono proprio gli umanitari. Tutti quelli
che vogliono correggere, migliorare, elevare la natura umana, creare un
solo tipo di uomo scevro delle pecche rimproverate agl’ individui
contemporanei finiscono col massacrare — col desiderare di massacrare —
tutti quegli altri che non sono riducibili al tipo da essi sognato.
Ma questo è fanatismo pretino: la Verità è mia, il modello è in mio
possesso e chi non si uniforma a tale modello costituisce una
degenerazione che dev’essere stroncata!
Di tale fanatismo sono stati
partecipi gl’inquisitori del medioevo, anche quelli in buona fede come
Torquemada e Borromeo. Essi volevano creare il vero tipo d’uomo, il tipo
dell’uomo cattolico che, secondo le loro vedute, raggiungeva il fine al
quale la specie tende e per il quale è stata creata da Dio. Quindi
bruciavano vivi tutti i deviatori, gli eretici, i miscredenti, gli
eterodossi, ossia tutti coloro che, nella loro vita, col pensiero o con
l’azione si allontanavano da quel fine.
Una tale aberrazione l’ha
avuta anche Hitler. Bramava creare il tipo unico dèll’uomo superiore,
dell’uomo germanico e, per realizzarlo, ha eliminato tutti gli elementi
diversi. Ha cominciato con lo sterminare sei milioni di ebrei che, per
il sangue semita Serpeggiante nelle loro vene, non «potevano mai
acquistare quei caratteri di forza, eroica, d’energia spietata, di
creazione geniale che secondo — il razzismo — sono propri della razza
ariana della quale i tedeschi pretendono essere i soli eredi. Poi egli —
inspirato dalla Provvidenza che nei suoi discorsi, continuamente
invocava — ha Scatenato la seconda guerra mondiale con lo Scopo di
assoggettare e, progressivamente, eliminare tutte le altre razze
considerate inferiori rispetto alla teutonica. Il risultato è stato:
decine di milioni di morti, altre decine di milioni di mutilati ed
invalidi, il mondo immerso nella miseria e nel terrore. Hitler, per
creare l’uomo superiore, ha precipitato nell’abisso l’umanità reale.
Un altro prete — pazzo e fanatico — dello stesso genere è Stalin. Per
lui il tipo d’uomo a cui dobbiamo pervenire è l’uomo collettivo: cioè
l’uomo conformista e disciplinato, della caserma perfetta. Questo è il
termine ultimo dell’evoluzione, il risultato della dialettica del
materialismo marxista. Per raggiungere tale fine egli elimina — con
ferocia inumana ed accelerando i tempi del processo della storia — tutti
gl’irriducibili all’ideale che egli accarezza.
Le grandi purghe, i
milioni di massacrati, il popolo russo ridotto nella condizione
degl’iloti, le masse costrette ai lavori forzati e ai salari di fame
sotto la ridicola etichetta del socialismo, non possono trovare altra
origine alle loro sciagure se non l’ossessione di un maniaco che,
credendo di avere scoperto il paradiso per l’umanità, la obbliga, a
pedate, ad entrare in tale paradiso e schiaccia crudelmente tutti coloro
che si rifiutano o che, una volta sorpassata la soglia, non sanno
adattarsi al nuovo ambiente edenico, regolato e diretto dai caporali e
deliziato dall’assillo poliziesco, dalle forche ospitali e dallo
scorbuto del confino siberiano.
Mariani, per fortuna, non è affetto
dalla pazzia di questi torvi preti. Egli non ha l’anima di un Hitler o
di uno Stalin. E’ un fine scrittore, possiede la squisita sensibilità
dell’artista e mai e poi mai sarebbe capace di mitragliare a sangue
freddo, per solo effetto di un ragionamento, i miserabili scampati alla
guerra atomica o i bambini riottosi alla sua educazione.
Queste
cose, nel libro, egli le fa fare alla sua irreale Magda. Ma lui,
l’autore de «La madonna dei sette dolori», sarebbe il primo ad opporsi
se Magda vivesse e tentasse attuare i suoi feroci propositi. Però io
qui, non discuto con Mariani qual è. Discuto con l’atteggiamento di
dubbio gusto che Mariani assume in «Gli ultimi uomini». Cioè con
l’atteggiamento alla Torquemada, alla Calvino, all’Hitler, alla Stalin,
all’epuratore della specie per il trionfo del nuovo tipo d’uomo, unico
ed assoluto.
E dico: lei lotta per una menzogna. Lei tende
all’impossibile. Lei non potrà creare l’uomo-angelo, come Stalin non
potrà creare l’uomo-collettivo, come Hitler non ha potuto produrre
l’uomo-germanico, come gl’inquisitori non poterono generare
l’uomo-cattolico. Mai e poi mai si addiverrà ad un tipo unico di uomo
del quale tutti gli altri saranno tante copie uguali. Anche se gli
educatori e rigeneratori stermineranno a milioni o a diecine di milioni
tutti gl’individui che da questo tipo si allontaneranno.
Gl’inquisitori bruciarono vivi innumerevoli eretici ma i distacchi, col
pensiero e con l’azione, dal credo chiesastico rimasero vivi in tanti
uomini che non si lasciarono assorbire dal cattolicesimo e dalle masse
da questo fanatizzate. Hitler ha assassinato milioni di ebrei e
scatenato la guerra conquistatrice ma è stato infine travolto e non ha
potuto inaugurare nel mondo l’era dell’uomo ariano. Stalin opprime i
russi e li ha abituati alla vita del formicaio. Pure all’uomocollettivo
non giungerà mai perché i mammiferi non sono come certi insetti e non
possibile ridurli all’identità delle funzioni impersonali. Mariani non
produrrà l’angelo e ben pochi fra, gli allievi della sua Magda si
lasceranno spogliare dei loro caratteri propri per rendersi simili ai
compagni in altruismo e generosità.
E ciò per una ragione molto
semplice: perché l’umanità di tipo unico, tutto buono o tutto cattivo,
non potrà mai esistere. E non potrà mai esistere pro-prio perché
gl’individui sono diversi gli uni dagli altri, hanno gl’istinti generosi
e gl’istinti perversi, diversamente sviluppati in ciascuno e, quindi,
ciascuno, rappresenta una personalità, un microcosmo, una realtà a se,
con, bisogni, sentimenti ed inclinazioni particolari che sono
irriducibili ad una unità collettiva in cui tutti gli esseri umani
s’identificherebbero.
Roscellino non aveva, forse, torto quando
affermava che l’individuo solo è reale, il genere non è che una parola,
flatus vocis, ed esso non può esistere, altrimenti in ogni uomo vi
sarebbero due uomini e cioè l’uomo e quell’uomo. In sostanza se il
genere è indimostrabile, se è logicamente impossibile, esso si rivela a
noi come un fatto naturale determinato dalle somiglianze fisiche e
psichiche, fra certi individui. Ma accanto alle somiglianze si mostrano
le dissomiglianze, ossia quello ch’è peculiare ch’è proprio in ognuno e
che distingue un io dall’altro.
Se volete distruggere queste
particolarità, se volete ridurre gli uomini tanti fantocci uguali, tante
copie fedeli di un solo modello, allora voi annientate l’individuo e,
annientandolo, distruggete anche il genere ossia le somiglianze che
l’individuo ha con altri dai quali pur si distingue per la sua propria
personalità. Ecco il motivo per cui l’umanità di tipo unico non è mai
esistita, ne mai esisterà.
Gli uomini rimarranno diversi: tutti col
bene e il male in sé, tutti con Abele e con Caino nel proprio sangue e
nella propria anima, ma diversamente sviluppati in ciascuno e, quindi,
producendo in ciascuno bisogni, gusti ed aspirazioni originali. E poi
anche se, parlando per assurdo, Mariani potesse compiere il miracolo e
generare l’uomo-angelo, sarebbe questo un progresso? Sarebbe un
miglioramento?
Io dico di no. Perché l’uomo-angelo sarebbe un
eunuco. Nietzsche ha osservato che le passioni definite cattive e
antisociali sono necessarie alla vita, sono qualche cosa che deve
esistere profondamente, essenzialmente, nella sua economia. L’egoismo,
la cupidigia, la superbia, la perfidia, lo spirito di aggressione e di
ribellione, suscitano nell’uomo forza, virilità, risolutezza, audacia.
Toglietegli questi sentimenti, lasciategli soltanto l’amore, la pietà,
la socievolezza, l’altruismo e la conseguenza sarà un essere debole,
fiacco, pavido, zuccherato, cioè la pecora belante, l’angelo di Mariani.
Come pure se all’uomo portate via tutti i sentimenti buoni e gli
lasciate solo i cattivi, avrete l’uomo germanico di Hitler, il
seviziatore di Buchenwald e Mauthausen, un mostro orrendo, una tigre
ubriaca di sangue.
La natura mutilata degenera. Dunque noi dobbiamo
accettarla tutt’intera com’è, senza esclusioni né limitazioni, con tutti
gl’istinti ch’essa ci dà, con il bene e il male che sono entrambi
necessari. Ma per seguire la spontaneità, per vivere naturalmente per
secondare le opposte tendenze, noi dobbiamo liberarci dell’educazione,
della morale e delle abitudini gregarie che la società ci ha istillato, e
proporci come fine non già un’impossibile umanità di tipo unico, ma la
conservazione della diversità fra gl’individui che la natura ha creato
diversi.
Solo allora si stabilirà fra gli uomini un equilibrio, sia
pur mutevole ed oscillante, quando ciascuno rimarrà se stesso e potrà,
con i suoi mezzi peculiari, intendersi con gli altri o difendersi dai
loro attacchi, secondo le varie occasioni.
Mariani aspira, dunque,
ad un’Anarchia edenica realizzata dagli uomini-angeli che saranno resi
tali dal sistema pedagogico di Magda Ziska. Io tendo invece ad
un’Anarchia polimorfa vissuta dagli uomini naturali che avranno infranto
tutti i ceppi, etici, religiosi e giuridici, seguendo il grande esempio
di Giulio Bonnot. Le due concezioni sono separate da un abisso ed è
possibile dire che le nostre Anarchie si negano a vicenda, si escludono
reciprocamente.
Però, malgrado questo, io stimo Mario Mariani perché
è uno scrittore valoroso ed un uomo sincero ed audace che ha saputo
lottare per le sue idee ed affrontare le aggressioni e le persecuzioni
dei fascisti, senza mai indietreggiare di un passo. Quindi deploro
profondamente l’attacco sleale che contro lui ha sferrato il giornale «
Umanità Nova » riproducendo un articolo scritto 25 anni or sono da
Camillo Berneri «Mario Mariani borghese».
Berneri, si noti bene, è
stato reso simpatico dalla sua morte perché è caduto vittima
dell’intolleranza feroce dei preti staliniani in Spagna. Ma era, in
vita, un prete anche lui ed aggrediva fanaticamente tutti coloro che non
entravano nella sua chiesa. Anch’egli anelava una futura umanità di
tipo unico che avrebbe seguito una sola regola di condotta, praticato un
solo sistema sociale, quello comunista libertario, ed eliminato i
non-conformisti, i refrattari, i ribelli. La sua Anarchia conventuale
era più vicina all’Anarchia edenica di Mariani, che non alla mia
Anarchia istintiva, naturalista, multiforme. Scagliandosi, nel 1920,
contro me, sedicenne, e contro Renzo Novatore ci chiamò, sulla rivista
«L’Iconoclasta» che ospitava tutte le polemiche fra anarchici,
«megalomani, grafomani e paranoici, deboli imitatori dei filosofi pazzi e
dei poeti decadenti, smidollati dall’oppio, dall’hascisc e dalle sirene
a un tanto l’ora».
Io non potei rispondere perché nel frattempo,
ero stato arrestato. Ma Renzo Novatore, lo strano e grande artista
caduto poi eroicamente in un conflitto con la sbirraglia, replicò per
entrambi e definì Camillo «un topo di biblioteca, dogmatico e pedante,
che sa solo imparare ma non creare, sa solo vivacchiare ma non vivere,
ed odia coloro che non si contentano, come lui, di rimanere coi piedi
sulla terraferma della mediocrità, ma mettono l’ali per volare verso i
cieli più lontani e discendere negli abissi profondi».
Quindi, da
quel buon mediocre ch’egli era, Berneri, nelle sue critiche, non usava
che gli argomenti banali accettati dal gusto comune. E li ha usati anche
contro Mariani accusandolo di pornografia.
Ma cosa significa ciò?
Significa semplicemente che il professore Berneri era un tartufo in
cattedra, un moralista da sagrestia, non certamente un anarchico. La
pornografia non esiste e, come ha risposto acutamente Mariani, essa non è
altro «che l’amour des autres, come dicono i francesi, nella vita. E
nella letteratura Oscar Wilde che se ne intendeva, scrisse g’à: non
esistono libri morali e libri immorali, esistono libri scritti bene e
libri scritti male».
Dimostrare che nella natura umana vi sono certe
tendenze sessuali che non è possibile negare o soffocare, come verrebbe
la stupida morale corrente, significa fare della pornografia? Ma allora
io sono più pornografico di Mariani perché sono andato molto più in là
di lui. E più pornografici di Mariani e di me sono Gide, Proust,
Lawrence, Sartre e tutti i più grandi scrittori contemporanei. E
D’Annunzio dove lo mettiamo? E Mirbeau, Gauthier. Flaubert? E il fine
Petronio, autore del «Satyricon»? E Anacreonte e Saffo e tutti i poeti
greci? Dal che si desume che se il professore Camillo Berneri fosse
vissuto e diventato Alto Commissario per l’istruzione nella Federazione
dei Comuni Libertari d’Italia, avrebbe cacciato dalle scuole e dalle
biblioteche tutte le opere della letteratura antica, moderna e
modernissima e fatto rimanere soltanto «I promessi sposi» di Manzoni, il
libro che elegia i sentimenti morali, le virtù casalinghe e
l’insuperabile santità del focolare domestico.
Berneri ha anche
accusato Mariani di voler distruggere la famiglia. Ebbene, cosa c’è di
grave in rio? Si è scandalizzato il professore? E perché allora non ha
mosso l’accusa anche contro Platone che ne «La Repubblica» auspica il
libero amore ed il figlio collettivo?
La realtà è questa: Berneri
non era un anarchico come non lo sono i suoi discepoli odierni, i
comunisti libertari, i redattori di «Umanità Nova», Pier Carlo Masini,
Cesare Zaccaria, Carlo Doglio et similia. Questi signori definiscono
Anarchia il loro ideale sociale ch’è invece un regime democratico
a-statale, ossia un regime in cui l’autorità è esercitata dalla
maggioranza. Ora l’Anarchia è qualche cosa di più: è una vita nella
quale non esiste nessuna autorità perché nessuno la riconosce e nessuno
si sottomette ad essa. E’ una vita nella quale non v’è un solo sistema
sociale, il comunismo libertario, ma vi sono tanti sistemi diversi,
tante forme varie prodotte dalla varietà dei bisogni, dei gusti e delle
opinioni degl’individui. E tutte queste forme non si fossilizzano ma
evolvono e si trasformano, si dissolvono e si ricostituiscono man mano
che i singoli avvertono nuove necessità o sentono cambiate le loro
disposizioni o mutate le loro idee. L’Anarchia non è una società
organizzata, disciplinata, conciliabile con l’attuale civiltà
industriale meccanica, ma è la restaurazione della libertà naturale che
non assume un aspetto unico, ma si realizza sotto aspetti diversi
mediante tanti modi diversi d’associazione, d’intesa, di rapporti vari e
di equilibri variamente producentisi fra gli uomini senza dio e senza
padrone.
Perciò l’Anarchia, non solo comporta la distruzione dello
Stato, ma anche di tutti quegli altri gruppi organizzati che i comunisti
libertari vorrebbero conservare e che, come lo Stato, assorbono
l’individuo e gl’impongono una disciplina ch’egli deve necessariamente
accettare. Questi gruppi-famiglia, sindacato, comune, federazione dei
comuni, ecc. — sono catene che assoggettano la libertà personale.
L’anarchico, invece, non partecipa che al gruppo libero,
all’associazione nella quale s’intende con i compagni per propria
volontà, non perché gli altri lo costringono, e dalla quale si ritrae
quando vuole, senza che nessuno possa trattenerlo.
Qualcuna, poche o
molte di queste associazioni potranno tentare l’esperienza del
comunismo alla Kropotkin, mentre altre associazioni tenteranno altre
esperienze. Allora il comunismo, rimanendo libero, non essendo
organizzato, non contraddirà l’esigenze della vita anarchica. Ma se il
comunismo riuscirà a trasformarsi, come i suoi teorici pretendono, in
un’organizzazione sociale, universalmente estesa, che imporrà
all’individuo la disciplina del Demos, la norma di condotta stabilità
dalla maggioranza e dai suoi capi o maestri in ogni comune autonomo
allora esso si risolverà in una nuova tirannia che l’anarchismo dovrà
combattere come ha combattuto le altre.
Al posto dello Stato
unitario, autoritario ed accentratore di Mussolini o di Stalin, vi
saranno tanti staterelli cioè i comuni, ciascuno organizzato,
gerarchicamente e burocraticamente, come l’antico Stato. Alla testa di
ogni comune si troverà un capo, eletto dalla massa, un Masini qualsiasi
che per l’interesse pubblico ed il bene collettivo, stabilirà l’obbligo
della prassi comunista per tutti e le pene per gli inadempienti. I
comuni saranno federati e i loro rapporti coordinati da un comitato
centrale, presieduto da un autorevole prete come Zaccaria. E non
mancherà la nuova chiesa, ringiovanita ed epurata, nella quale, in luogo
di Pio XII, pontificherà Ferdinando Tartaglia.
Però una tale
organizzazione che sovraccaricherà l’individuo di regole, norme, morali e
doveri, e lo costringerà al più stretto conformismo dettato da un capo
imbonitore di greggi, non solo non presenterà nessuna somiglianza con
l’anarchismo integrale, ch’è individualismo puro, ma nemmeno con il
socialismo libertario concepito da Bakunin, Kropotkin, Malatesta i quali
credevano nella possibilità dell’adozione volontaria universale di un
unico sistema sociale, etico ed economico e, solo nei casi più gravi,
ammettevano l’imposizione della maggioranza ai dissidenti.
La
società comunista libertaria sarà costruita sul modello della F. A. I.
cioè del partitino pseudo anarchico in cui i soldati, ubbidienti e
disciplinati, ricevono dai superiori la regola infallibile di pensiero e
di condotta e si scagliano contro chiunque la respinge o la critica. E
tutto andrà come prima, peggio di prima, più tartufescamente di prima.
Pecore e pastori, commedia e impostura...
Ma qui s’affaccia,
spontanea, una domanda: perché i faisti, che son persone per bene, non
lasciano a noi individualisti, per il nostro ideale, il nome infamato
d’Anarchia? Perché non scelgono per la loro organizzazione un’altra
denominazione, per esempio, quella di partito comunista libertario
italiano?
Ci guadagnerebbero in decoro, Masini e Zaccaria. E
sarebbero più stimati dai marescialli dei carabinieri e dai parroci di
campagna.
E. Martucci
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