Alcune riflessioni sulla classe
Senza dare alcun giudizio di valore o opinione rispetto alla definizione che il marxismo realizza sul concetto di classe sociale, risulta necessario realizzare alcune riflessioni su cosa sia la classe, attraverso il prisma Anarchico.
In primo luogo, si respinge la mistificazione marxista della cosiddetta “centralità della classe operaia”, che non significa assolutamente niente, e chiarisce molto meno sul concetto di “classi”, dal momento che la definizione stessa è erede della tradizione hegeliana, dal momento che è deterministica e messianica sull’ipotetico ruolo redentore di una particolare classe sociale, e nulla si pone sulla distruzione delle classi, come fonte di privilegi, gerarchie dominanti, e così via.
Perciò, risulta necessario eliminare questa nozione, che non tiene in considerazione la profonda dinamica di trasformazione, che opera costantemente nel concetto di classe.
Storicamente, le distinte società distinguevano i suoi membri se “possedevano” o “non possedevano” beni, fossero questi mobili o immobili. Col trascorrere del tempo, la possessione faceva riferimento alla proprietà di strumenti e mezzi di produzione, per distinguere gli sfruttatori dagli sfruttati. Ma la nozione di “possessione” o di “carenza di possessione”, è andata mutando lungo il tempo nelle società divise in classi antagoniste.
Tuttavia, la possessione delle “ricchezze”, non costituisce oggi nell’attuale decorso del capitalismo, e la conseguente realtà produttiva, una spiegazione sufficiente per definire la natura delle classi sociali in questo stadio del capitalismo.
È necessario segnalare, che la “carenza” o la “possessione”, da parte della classe operaia, non era assoluta, in quanto possedeva la forza lavoro.
Ma, oggi, nel capitalismo post-industriale, e la nuova realtà tecnologica, che in maniera disuguale abbraccia globalmente il mondo intero, la “non-possessione” acquisisce un nuovo significato sociale, poiché le passate contraddizioni delle classi, le vecchie conflittualità tra di esse, così come anche le distinzioni tra operai e borghesi, hanno perso virtualità.
È così, dato che la nuova realtà scientifico-tecnologica ha generato un nuovo codice o linguaggio, che differenzia gli individui tra quelli che possiedono il dominio dello stesso (inclusi) e quelli che mancano dello stesso (esclusi). Il che implica che non solo si son persi i ponti comuni tra gli individui, prodotto di un codice comune, ma anche che i diseredati e gli esclusi non potranno scalare le alte mura che li separano dagli inclusi e dal loro nuovo linguaggio. E, questa impossibilità, costituisce l’asse per la quale lo Stato/capitale eserciterà il dominio e il controllo sociale sui diseredati e gli esclusi.
Le distinzioni delle classi, lontane dall’essere scomparse, si mantengono più vive che mai. Ma la domanda che sorge davanti a questa nuova realtà sociale è: verso dove deve dirigersi il progetto rivoluzionario? Qual è la metodologia che possa avvicinarci alla distruzione di questo sistema e delle classi sociali?
Si ritiene che risulti indispensabile eliminare il concetto di classe della visione produttivistica, cioè, tra il proprietario dei mezzi di produzione e la forza lavoro, poiché accettare questa logica, significa un’accettazione espressa dalla visione idealista della produzione promossa dal capitale.
È per questo che gli sfruttati devono negarsi come classe produttrice, così come stabilisce il marxismo, poiché parafrasando quello che han detto altri, “il proletariato come classe non frantumerà questo mondo, perché… appartiene a questo mondo”. E, ciò costituisce una grande verità, pertanto è necessario negare se stessi come appartenenti ad un ghetto sociale.
Bisogna rompere con la dinamica economista, non solo per spiegare l’esistenza delle classi, ma anche per la necessaria distruzione delle stesse, poiché appropriarsi di questo concetto ci condurrà necessariamente a rimanere intrappolati all’interno delle reti del sistema stesso, in quanto si realizzerebbe una critica della società divisa in classi utilizzando concetti e logiche proprie di questo ordine sociale classista.
Per questo, risulta necessaria una rottura reale, non solo nella critica radicale, ma anche nella pratica stessa che prende vita, rompere con tutta la logica che sostenta l’edificio che alberga le distinzioni e la sopravvivenza delle classi sociali, la merce, ecc.
È vero che il capitale si trasforma, è evidente che i ruoli degli individui nella società classista sono stati soggetti di profonde mutazioni lungo la storia, è chiaro che i nuovi linguaggi che la nuova realtà produttiva ha imposto abbiano ampliato le brecce e reso impossibile ogni tipo di comunione tra gli individui, è certo che le classi sociali nonostante le trasformazioni continuino ad esistere.
Nonostante tutto ciò, l’Anarchico, è negatore e distruttore di ogni logica gerarchica, autoritaria e mercantile. Per questo, si deve considerare non solo la negazione di ogni tipo di valore che ci imprigiona e schiavizza, ma anche una rottura con la condizione, o classe, che lo stesso spettacolo sociale ci ha imposto, e solo così si potrà considerare seriamente in maniera germinale un progetto negatore e distruttivo, perché l’abbiamo abbandonato, e ha rotto con la sua logica e dinamica.
Se ciò è fattibile. Questo dipende da ogni individualità, l’Anarchico non è un messia né un sacerdote che porta verità rivelate, è semplicemente parte del movimento reale di lotta. Ma questo è un altro discorso.
NIHIL
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