mercoledì 11 luglio 2012

La sacra famiglia

LA SACRA FAMIGLIA
 
Il filosofo Giuseppe Ferrari considera la famiglia come un fatto ingiustificabile razionalmente ma vero naturalmente.

«La logica discioglie la famiglia — egli scrive — parlate della fedeltà coniugale? Non si danno leggi all’amore. Parlate del dovere del padre e della madre verso i figli? I figli son figli della natura e non della volontà dell’uomo (1). Parlate dei doveri dei figli verso i genitori? I figli non devono nulla ai parenti, che li generano non pensando che a sé. L’amore può intervertirsi, e la logica non sa scegliere tra la salute e l’infermità, tra la costituzione e la dissoluzione della famiglia».

Però questa è, secondo Ferrari, un prodotto della rivelazione naturale, un fatto creato dall’ apparenza, ch’è la nostra unica realtà e che non ci spiega e non ci dimostra l’utilità della famiglia ma ci la sentire ch’essa è necessaria.

E qui non mi trovo più d’accordo col filosofo positivista. L’uomo non sente istintivamente il bisogno della famiglia la quale non è la conseguenza fatale delle nostre inclinazioni naturali ma una istituzione artificialmente creata dalla società per permettere, come ha sostenuto Morgan, agl’individui divenuti proprietari, dopo le emigrazioni conquistatrici, di lasciare i loro beni a figli che fossero certamente propri.

Se la famiglia costituisse la forma necessaria nella quale l’uomo riesce a soddisfare i suoi bisogni sessuali noi dovremmo trovarla alle origini della nostra specie. Invece l’etnologia ci ha rivelato, con le osservazioni e gli studi di Morgan, Bachofen, Me Lennan, Lubbok ed altri che nei nuclei umani primevi esisteva la promiscuità. In questi gruppi tutto era in comune fra gl’individui spinti all’associazione da un istinto naturale o da un bisogno di cooperazione e di aiuto, acquisito durante l’epoca glaciale e trasmesso, per eredità, ai discendenti. I prodotti della caccia, della pesca, della raccolta delle frutta selvatiche appartenevano a tutti e ciascuno attingeva dal mucchio secondo i suoi bisogni.

Anche le femmine erano di tutti in questi gruppi primitivi che praticavano il sistema del comunismo anarchico. Non v’erano capi, non v’erano leggi, la socievolezza naturale era il solo vincolo che manteneva gl’individui uniti; ma ciascuno seguiva l’istinto e le femmine si concedevano indistintamente a tutti i maschi, appagando la loro tendenza alla poliandria, e i maschi possedevano, l’una dopo l’altra, tutte le femmine, appunto perché poligami. Anche l’incesto era permesso e la madre si lasciava coire dal figlio ed il fratello si accoppiava con la sorella. L’umanità giovane sentiva bruciare nel suo sangue una potente fiamma erotica della quale la nostra odierna umanità, vecchia e sfruttata, non conserva che una povera scintilla.

Se l’uomo attuale è ancora poligamo e cerca nella novità e nella varietà dei piaceri uno spasimo voluttuoso più acuto; se la donna contemporanea è ancora poliandra e passa, col massimo diletto, nelle braccia di molti maschi quando ha il coraggio d’infischiarsi della morale o quando crede d’essere protetta da un segreto ben mantenuto; figuriamoci quello che facevano i maschi e le femmine dei tempi preistorici, cioè quegli esseri ardenti, lussuriosi, innocenti, al di là del bene e del male, che soltanto nella promiscuità più sfrenata potevano trovare il completo appagamento della loro febbre lasciva.

Morgan ha notato che in certe isole del Pacifico i bambini chiamano madre la femmina che li ha generali e padre tutti i maschi adulti della tribù. Tale usanza dimostra che, fra quei selvaggi, la promiscuità è durata fino ad un’epoca recente, Talché ancor oggi l’infante chiama babbo un uomo qualsiasi come all’epoca in cui la paternità era ignorata perché tutti i maschi possedevano ogni femmina e, quindi, ciascun d’essi poteva essere il padre dei figli. Del resto fra i primitivi dell’Australia, della Melanesia, della Polinesia, ecc., esiste un sistema di discendenza materna che presuppone una promiscuità originaria.
Tale promiscuità è stata, per un lunghissimo tempo, la forma naturale nella quale si sono svolti i rapporti sessuali in tutta quanta l’umanità.

Dopo secoli e secoli, quando sono nate le credenze totemiche ed il gruppo anarchico primigenio si è trasformato nella tribù organizzata e suddivisa in clan, è stato posto il primo freno all’irruenza della natura libera; dapprima è stato proibito l’incesto, poi sono stati vietati i rapporti carnali anche fra coloro che appartenevano allo stesso clan, cioè che discendevano da una comune progenitrice la cui anima s’immaginava reincarnata in un animale adorato come sacro. Però se i maschi di un clan non potevano congiungersi con le femmine dello stesso clan, sposavano collettivamente le femmine di un altro clan e le possedevano in comune. Avveniva così quello che Lubbok. chiama communal marriage e che non era altro che la promiscuità appena limitata e disciplinata dalle regole del culto totemico.

Solo a distanza di millenni, quando è stata inventata l’agricoltura e molte tribù si sono unite per abbandonare le terre sterili sulle quali vivevano e cercarne altre più fertili, abbiamo avuto le migrazioni conquistatrici.
L’uomo più intelligente o scaltro che sapeva insegnare alla massa il mezzo come vincere gli ostacoli naturali; l’uomo che sapeva indicare il guado di un fiume, o immaginare la costruzione di un ponte, o escogitare la difesa più efficace contro gli attacchi a cui i migratori erano esposti da parte delle fiere e dei selvaggi dei luoghi che attraversavano, acquistava prestigio, diveniva il capo e otteneva quell’ubbidienza che prima, in nessun caso, i compagni gli avrebbero tributato. Giunti alla terra promessa il capo dirigeva i suoi nella conquista e nell’asservimento, con la forza, degl’indigeni; divideva le terre conquistate fra i suoi seguaci ciascuno dei quali diveniva proprietario non solo del pezzo di terra, ma anche dei vinti che su quel pezzo di terra abitavano; e si trasformava egli stesso nello Stato che dettava le leggi e regolava i rapporti sociali fra vincitori e vinti, fra possidenti e nullatenenti, a tutto beneficio dei primi e a tutto danno dei secondi. Così la libertà naturale ed il comunismo primitivo sparivano e al loro posto si piazzavano la proprietà e la schiavitù, lo Stato e la legge.

Il capo, morto, era adorato come un dio, la sua anima era ritenuta immortale e dotata di potenza soprannaturale, per proteggere il suo popolo, e si passava dalla credenza totemica a quella nella divinità eccelsa (teismo).

Al matrimonio collettivo si sostituiva il matrimonio personale perché l’individuo, divenuto proprietario voleva alcune donne o una sola unicamente per se allo scopo di avere dei figli che fossero certamente suoi e ai quali potesse lasciare, morendo, i propri beni.

Quindi la natura non ha fondato la famiglia. La natura ha fondato soltanto la promiscuità. La famiglia non è stata il prodotto della tendenza sessuale e dell’amore individuale, ma il frutto del organizzazione economica della società, dell’istituzione della proprietà privata e del diritto ereditario (1). E scomparirebbe se scomparissero le forme sociali che l’hanno generata e la mantengono.

Esaminiamo ora l’ipotesi opposta, quella ch’è stata sostenuta da Aristotele fino a Wundt, Westermark, Schopenhauer, Freud, ecc. La famiglia è un prodotto spontaneo della natura. Per Wundt lo è la famiglia monogama. Per Schopenhauer la poligama. Ma per entrambi l’umanità non è cominciata col gruppo comunista in cui esisteva la promiscuità sessuale, ma con l’unione esclusiva determinata dal bisogno che ha l’uomo di avere, per se solo, una o più donne, e di dominare queste donne e i figli ch’esse generano. Dall’intesa fra le famiglie e dalla loro organizzazione in un’entità collettiva, sarebbero sorte la comunità, la Società, lo Stato.

In questo caso vi sarebbe una tendenza naturale che spingerebbe l’uomo a costituire la famiglia. Ma ve ne sarebbe un’altra, ugualmente naturale e istintiva, che lo spingerebbe a distruggerla.
Nel maschio esiste la gelosia, il bisogno incoercibile di possedere per se solo le femmine o la femmina che ha sposato, rubato, comprato o ottenuto? Ebbene se tale bisogno non è acquisito, se non è nato quando l’uomo, per ragioni economiche, sociali o religiose, ha fondato la famiglia, allora possiamo riconoscere ch’esso esiste come un dato naturale, ma dobbiamo, nello stesso tempo, ammettere, perché provato dall’evidenza, che l’uomo sente naturalmente il bisogno di accoppiarsi con femmine che non sono sue. Alla propria o alle proprie donne impone la fedeltà. Ma egli tende alla poligamia. Ciò è vero, in ogni tempo e in ogni luogo, in Oriente e in Occidente, nell’antichità e nel medioevo, nel Rinascimento ed oggi.

La vita greca è piena d’adulteri. Il cittadino sposato cerca le etère e, anche, gli efèbi. La poesia dei trovatori non esalta che l’amore per la femmina d’altri. La modernità non conosce che tradimenti sessuali.
A sua volta la femmina giura fedeltà al maschio che sposa? Si, ma accanto all’impulso che la spinge ad essere d’uno «solo, si manifesta subito l’inclinazione che la sprona a concedersi a più maschi, a divenire Elena, Semiramide, Cleopatra, Teodora, Giovanna di Napoli, Caterina di Russia, a godere i piaceri diversi che maschi diversi possono darle a seconda del loro diverso modo di sentire, di amare e di possedere, brutalmente o raffinatamente, una donna. A questa donna uno di tali modi sessuali può piacere più degli altri e si sente ancorata, con i sensi e con il cuore, all’uomo che glielo offre. Ma avverte anche l’esigenza di gustare, sia pure come un diversivo erotico, le carezze degli altri maschi; e se, fra questi, ne trova uno capace di impressionarla più fortemente, si stacca dall’antico amore e si dedica, anche con l’anima, alla nuova passione. Quindi la tendenza poliandra coesiste sempre con la gelosia e con l’esclusivismo femminile.
I genitori amano i figli con un trasporto puramente sentimentale che rifugge da ogni rapporto sessuale? I figli amano i genitori con un affetto intessuto di rispetto e di gratitudine, di deferenza e di ossequio? I fratelli amano le sorelle soltanto col cuore e non con il senso?

A tali domande gli etnologi, per quanto riguarda i selvaggi, e gli storici per quanto concerne i civili, rispondono che nell’ambito della famiglia, primordiale e evoluta, gl’impulsi incestuosi si sono sempre manifestati lottando contro quei sentimenti che tendevano a mantenere la castità fra congiunti.
Nei tempi arcaici la madre coglieva le primizie del figlio, il padre violava la verginità della figlia, i fratelli si accoppiavano con le sorelle. L’incesto era liberamente praticato dagli uomini come lo è sempre stato dagli animali. Anche dopo che le proibizioni, religiose e sociali, lo soffocarono, esso rimase latente nella nostra natura e tornò a rispuntare, nel seno della civiltà fra i popoli più diversi.

Gli antichi egiziani e persiani sposavano le loro sorelle. Nell’ «Avesta» è scritto: «Approvo e lodo il santo matrimonio fra i congiunti che di tutti i presenti matrimoni e di quelli che saranno, è il maggiore, il migliore, il più bello, ahurico, zoroastriano ».
La Bibbia fa derivare il genere umano dall’accoppiamento di Eva col figlio Caino. Gl’incas del Perù sposavano, come gli egiziani le sorelle.
Aristippo, Cleante, Crisippo ed altri filosofi greci sostenevano la legittimità dell’incesto. E non avevano tutti i torti perché la madre, la sorella o la figlia sono femmine come tutte le altre, femmine che possono accendere i nostri sensi, suscitare nel nostro cuore una passione e prolificare con noi come con qualunque maschio.
Le prove prodotte da alcuni fisiologi per dimostrare che dall’unione fra consanguinei nascono esseri degenerati, fisicamente e intellettualmente, sono state smentite dalle prove prodotte da altri fisiologi i quali hanno dimostrato il contrario. Del resto la storia c’insegna che gli egiziani e i persiani, nati da accoppiamenti incestuosi, erano uomini fisicamente forti fino a sottomettere con le armi i popoli vicini, che non praticavano l’incesto, e a fondare vasti e potenti imperi. Ed erano anche intellettualmente superiori al punto da creare due fra le più antiche e splendide civiltà.

Freud (1) afferma che l’umanità è cominciata con famiglie poligame nelle quali il padre geloso impediva ai giovani figli di coire le sue femmine. Ma i figli si allearono, uccisero il padre e possederono in comune le sue donne, ossia le loro madri e sorelle. In seguito però i figli, che odiavano il padre che impediva l’amplesso incestuoso ma, contemporaneamente, l’amavano come guida e protettore, si pentirono, dopo averlo ammazzato, del delitto commesso e s’imposero, come espiazione, il divieto di ulteriori rapporti con le consanguinee. Nacquero così la morale ed il pudore, come dall’adorazione del padre ucciso, la cui anima s’immaginava reincarnata nel corpo di un animale, sorse la prima forma religiosa, il culto del totem.

Freud sostiene inoltre che, come nel selvaggio anche nel bambino l’impulso incestuoso si manifesta potentemente. Secondo il filosofo e scienziato austriaco la sensibilità erotica non nasce, nell’uomo, nell’età pubere e non è localizzata nei soli organi genitali, ma è diffusa anche in altri organi nei quali ha i propri centri ed è attiva nel bambino che, succhiando il seno materno ottiene il nutrimento e, dopo questo, l’appagamento della sua libidine mediante lo sfregamento piacevole che il capezzolo esercita sulle sue mucose labiali. Siamo qui nella prima fase dell’evoluzione sessuale, nella fase orale. Ad essa fa seguito la fase sadico-pederasta quando il bimbo, svezzato, soffre per la mancanza della mammella e si vendica istintivamente calpestando gl’insetti o facendo male ad altri esseri deboli.

Inoltre egli sostituisce il piacere del capezzolo con lo sfregamento che, nella fuoriuscita, le feci effettuano sulle sue mucose anali, altro centro di sensibilità erotica.
Divenuto più grandicello il bimbo ha un ritorno incestuoso verso la mamma, gode nel palparla, nello stringersi a lei, nel guardare sotto le sue vesti e odia il padre nel quale intuisce un rivale (fase edipica).
Infine, dopo attraversata la fase narcisista, il ragazzo giunge al punto d’arrivo della sua evoluzione sessuale perché i suoi organi genitali completamente sviluppati, lo rendono atto al coito normale e alla riproduzione.
Nei nuovi bisogni che si manifestano in quest’ultima fase rimangono assorbiti, secondo Freud, tutti i bisogni sessuali che si sono manifestati nelle fasi precedenti. Solo motivi patologici, (una forte impressione ed una scossa nervosa determinata dall’orrore che il bambino, scoperto in fallo e sgridato, ha sentito per se stesso), possono ancorare l’uomo, nell’età adulta, ai bisogni erotici dell’età infantile.

Però, contrariamente alle conclusioni di Freud, è possibile ritenere che questi bisogni, che sono nella nostra natura e promanano dalla necessità di soddisfare la libidine con tutti gli organi nei quali essa stabilmente risiede, continuino a rivelarsi anche nell’adulto, e non solo per le ragioni patologiche avanzate da Freud ma anche per cause normali. Solo così possiamo spiegare quella tendenza generale, in alcuni più sviluppata, in altri meno, ma presente in tutti, che spinge tanto il maschio come la femmina a desiderare di godere tutti i piaceri erotici e inebriarsi con tutte le voluttà. Solo così riusciamo ad intendere perché l’omosessualità — femminile e maschile — è stata ed è sempre tanto diffusa e si trova — latente o pronunziata — nel fondo della natura di tutti, accanto all’opposta tendenza eterosessuale.

Weininger, Ellis, Maranon hanno interpretato questo fatto con la coesistenza in ogni individuo di ambedue i sessi. Secondo Maranon nel sangue di ciascun maschio e dì ciascuna femmina si trovano confusi ormoni femminili e ormoni maschili. Nel maschio, però, gli ormoni maschili sono in numero maggiore degli ormoni femminili. Nella femmina avviene il contrario. Ma i due sessi si presentano sempre insieme nello stesso individuo, e quando quello predominante s’indebolisce sotto l’influenza di particolari condizioni fisiche, psichiche o ambientali, allora si rivela il sesso opposto e suscita bisogni e tendenze lesbiche nella donna e pederaste nell’uomo.

Vi sono poi moltissimi individui che si trovano in uno stato che Maranon chiama intersessuale e che hanno nel proprio sangue, in numero quasi pari, ormoni femminili e ormoni maschili. Qui i due sessi si equilibrano e l’individuo avverte normalmente tanto lo stimolo eterosessuale quanto quello omosessuale, o pure soltanto quest’ultimo.

Ammessa dunque la tendenza generale alla lascivia, variata ed intensa, occorre dedurne che se vi sono delle forze naturali che ci spingono a costituire la famiglia, basata sull’unione permanente fra uomo e donna, ci sono anche delle altre forze naturali che spingono l’uomo alla poligamia, la donna alla poliandria, entrambi all’omosessualità, entrambi all’incesto, e quindi entrambi alla libertà erotica della promiscuità nella quale soltanto è possibile l’appagamento completo della libidine nelle varie forme in cui essa si manifesta.
E se finora le tendenze che ci spronano alla formazione della famiglia sono risultate le più forti perché sostenute e potenziate dall’educazione, dalla morale e dalle istituzioni sociali, nell’avvenire, in un mondo restituito alla spontaneità della natura, potrebbero rivelarsi più forti le tendenze opposte e potremmo ritornare all’agamia e all’amore, promiscuo e libero, dei primordi.

La femmina attraversa le stesse fasi dell’evoluzione sessuale del maschio. Comincia col soddisfare la sua libidine succhiando il seno materno; poi, svezzata, gode nella defecazione e avverte un vago impulso di natura lesbica che la spinge verso le altre femminucce, come i maschietti, da un vago impulso pederasta, sono spinti verso gli altri maschietti. Fino a sette, otto, nove anni i bambini giuocano a fare l’amore con i bambini e le bambine con le bambine. Il giuoco, tenuto nascosto ai grandi che lo proibiscono, conduce ad una omosessualità incompleta, più platonica che erotica; ma dimostra tuttavia che la tendenza all’accoppiamento col proprio sesso si rivela parallela all’inclinazione ad accoppiarsi col sesso opposto.
Manifestatosi lo stimolo eterosessuale la bambina cerca i maschietti e avverte un trasporto incestuoso per il padre; come il maschietto si avvicina alle femminucce ma subisce soprattutto l’attrazione della madre nella quale, istintivamente, riconosce la donna sviluppata e completa.

Giunta, con la pubertà, alla fase ultima della sua evoluzione sessuale, a quella nella quale è portata a godere con i maschi mediante il coito normale, la femmina continua ad avvertire anche le tendenze erotiche che si sono rivelate nelle fasi precedenti. In alcune, queste tendenze, si manifestano continuamente con la massima intensità; in altre si mostrano debolmente e, solo in certe condizioni, determinano il bisogno della consumazione dell’atto. Ma esistono in tutte e in tutte rimangono durante l’intera vita. 

Potentissima è l’inclinazione all’incesto. Nell’amor materno v’è sempre un fondo di sessualità. Basta osservare la compiacenza con cui le donne carezzano i loro bambini, li stringono al seno e palpano e titillano i loro organi genitali, anche se appena abbozzati. In tutte le donne si notano trasporti vagamente e inconsciamente erotici, per i loro figli; in molte, in moltissime, tali trasporti sono più forti, più sviluppati, e le condurrebbero all’amplesso col figlio, divenuto pubere, se seguissero l’istinto invece di soffocarlo, con orrore, quando si rendono finalmente conto della natura incestuosa della loro tenerezza.

Del resto il bambino, fin dai primi istanti della sua vita, procura un piacere sessuale alla madre suggendole i seni, centri di sensibilità. A sua volta il bambino soddisfa la sua libido mediante lo sfregamento che il capezzolo compie sulle sue labbra, anch’esse centri sensibili. I primi rapporti che si stabiliscono fra le personalità, appena separate, della madre e del figlio, sono rapporti che implicano una voluttà per entrambi. Dunque questa sensazione che ha contraddistinto le loro prime relazioni, rimane in tutti e due, si fissa nei sensi e nell’anima, viene idealizzata e poetizzata dal sentimento, cantata come una virtù, ma permane, nella sua essenza nascosta nei recessi del subcosciente, come un impulso all’accoppiamento, puro e semplice, fra genitrice e generato. Accoppiamento che, per natura, si completa con gli altri accoppiamenti, eterosessuali e omosessuali, che madre e figlio avranno con individui di diverso sangue.

Una giovane, graziosa cameriera che, vent’anni or sono, serviva una mia zia e, qualche volta, segretamente, mi teneva compagnia, mi confidò una sera che aveva lasciato l’amante col quale conviveva da parecchio tempo. Le chiesi il motivo della rottura ma lei, reticente, rispose che non poteva «sopportare certe porcherie» e per ciò se n’era andata. Insistetti per sapere quali fossero state le porcherie, le feci presente che io, anarchico, spregiudicato, oggetto di riprovazione da parte della mia famiglia e della società, non mi sarei scandalizzato. E, dopo un’ora di discussione, vinsi alfine la sua riluttanza e la feci parlare.
Così seppi che, da circa un anno, essa era indotta ad andare a letto ogni notte, con il suo amante ventiquattrenne, e con la madre di quest’ultimo, una donna, formosa e piacente, che aveva, di poco, sorpassata la quarantina. La madre assisteva, eccitandosi, agli amplessi del figlio con l’amica, poi voleva che il figlio possedesse anche lei. E spesse volte c’erano stati, sotto gli occhi del maschio, accoppiamenti lesbici fra le femmine infoiate.

«Noi due facciamo godere mio figlio — diceva la madre all’amante — e perciò dobbiamo godere fra noi e volerci sempre più bene per dare la massima quantità di piacere a lui».
Riferendomi tali cose la giovane si mostrava nauseata. Però io non riuscivo a capire come la ripugnanza le fosse nata proprio allora dopo che, per un anno, sera adattata volentieri a quel mènage a trois. La spiegazione l’ebbi di lì a qualche giorno quando seppi che la ragazza aveva abbandonato il servizio di mia zia per andarsene, come mantenuta con un vecchio salumiere arricchito durante la prima guerra mondiale.

A Caserta ho conosciuto una famiglia nel cui seno l’incesto mirabilmente fioriva. Marito e moglie s’amavano e la prova l’avevano data generando nove figli, gli ultimi dei quali erano ancora bambini. Pure il padre possedeva la figlia diciottenne, e l’aveva resa incinta. La madre si lasciava coire dal figlio maggiore, che contava ventun’anni. Ciascuno dei coniugi conosceva la relazione incestuosa dell’’altro, ma si tolleravano a vicenda, si volevano bene ugualmente e la famiglia viveva, quieta ed agiata, con lo stipendio del padre, impiegato governativo.

Sennonché i bravi vicini subodorarono qualcosa. La gente onesta s’indignò. Il rione fu scandalizzato. Una denunzia partì per la questura. Intervennero i poliziotti, la figlia, pressata dagli interrogatori e dalle minacce, finì per confessare i suoi rapporti col padre. Quest’ultimo, privato dell’impiego e condannato a quattro anni di reclusione, morì in galera di dolore, sapendo i suoi cari ridetti nella più nera miseria. I bambini soffrirono la fame, le donne che cercavano lavoro non lo trovarono perché perseguitate dall’ostilità generale. Però fra le buone borghesi e popolane che, aspramente, le criticavano chissà quante avrebbero imitato il loro esempio se avessero potuto seguire l’istinto e liberarsi dei pregiudizi delle convinzioni e della paura del carcere.
E non si dica che queste sono degenerazioni. Se ciò fosse vero tutta l’umanità sarebbe degenerata e lo sarebbe sempre stata perché sempre essa ha avvertito l’impulso all’incesto.
Non si dica che si tratta di anomalie perché non è anormale un bisogno che tutti più o meno sentono, una tendenza che, pronunziata o latente, è nel fondo della natura di ciascun individuo.

Non si pretenda, stupidamente, ch’è necessario biasimare queste «porcherie» , perché tutto quello che è naturale, tutto ciò che risponde all’istinto, serve a darci le più forti, le più grandi gioie della vita.
L’omosessualità femminile è, come la maschile, immensamente diffusa e proviene dal desiderio che ha la donna di godere, oltre il piacere che le procura l’uomo, anche quello diverso che le offre l’altra donna. La sublime Saffo che pur godeva con i maschi e che per la disperazione di non essere amata dal giovane Faone si precipitò in mare, dall’alto della rupe di Leucade, si divertiva raffinatamente con le ragazze ed esaltava nelle sue poesie la voluttà che queste le donavano:

Di Telegilda ed Attide
Le labbra a me fur grate
E d’altre leggiadrissime
Non senza colpa amate.

In Grecia, a Roma, nel medioevo, nella modernità, in tutti i paesi e in tutte le classi sociali, troviamo in gran numero le omosessuali conosciute.

Aggiungiamo ad esse quelle che son riuscite a non farsi conoscere e quelle altre, ancora pù numerose, che hanno soffocato i loro impulsi lesbici temendo d’essere scoperte e condannate dalla società. Avremo cosi una cifra astronomica che comprenderà le omosessuali in atto, cioè le omosessuali nelle quali la tendenza è sviluppata e le stimola ad accoppiarsi continuamente col proprio sesso. Uniremo ancora le omosessuali in potenza, ossia le donne in cui la tendenza è latente e, solo in certe condizioni, può crescere, rivelarsi e determinare bisogni ben chiari, e giungeremo alla conclusione che il lesbismo è in ogni femmina, accanto alla eterosessualità.

La regina Maria Carolina faceva all’amore con la sua amica Emma Lyona e, insieme ad essa, andava nei bordelli di Napoli per sollazzarsi safficamente con le prostitute.

Una giovane e bella contadina che ho conosciuto a Macchiagodena quando mi trovavo confinato in quel paese, era, contemporaneamente, l’amante della moglie del fratello e del marito della sorella. E godeva con tutti e due, oltre che con altri.

Giorni or sono ho letto in un giornale che a Lecce stanno processando due donne, Maria Bravo e Marianna Sergi, accusate di avere ucciso il marito della Bravo che ostacolava i loro rapporti lesbici.

La femmina è spinta dalla sua natura lasciva a concedersi a molti maschi, e ad unirsi col proprio sesso. Ciò dimostra che non è vero quanto sostiene Bachofen e cioè che la donna, spronata dalle sue tendenze a darsi ad un solo maschio, fu la prima a ritirarsi dalla promiscuità e a fondare la famiglia monogamica della quale, per lungo tempo, rimase la direttrice. Dimostra altresì che non risponde alla realtà nemmeno ciò che afferma Forel sulla frigidezza delle femmine che, secondo le sue statistiche, sarebbero nella stragrande maggioranza insensibili. Se tali si mostrarono i tipi da lui studiati ed interrogati, fu perché la donna è costretta da un’assurda morale a negare i suoi impulsi erotici e a vergognarsene più del maschio. Ma la donna è naturalmente lussuriosa e portata all’erotismo non solo dal bisogno di sfogare il suo ardore messalinico, ma anche dal desiderio di soddisfare la vanità, che ha più sviluppata dell’uomo e le procura un’immensa gioia quando si vede cercata ed amata da molti individui d’ambo i sessi.

Finiamola dunque con la stupida commedia romantica del angelo del focolare domestico. La femmina non è nata per la famiglia, per la fedeltà, per la virtù per l’onore. E’ nata per la promiscuità, per l’orgia, per il lesbismo, per la poliandria. Nelle sue vene impazzano tutte le voglie più sfrenate e le brame più ignee. E se, spezzate le catene, la restituissimo, libera, alla spontaneità dell’istinto, la vedremmo nuda ed impudica sotto il bacio del solleone, invocare, con gli occhi lucidi e le cosce divaricate, l’amplesso virile di Ercole e le labbra tumide di Saffo.
tratto da "La bandiera dell'anticristo" di E. Martucci

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