'' L'UNICO E LA SUA PROPRIETA’ ''
PARTE SECONDA --- IO
L'UNICO
L'età precristiana e la cristiana perseguono due fini l'uno
all'altro contrario; questa vuole idealizzare ciò ch'è reale, quella attuare
l'ideale; la seconda va in cerca dello "spirito santo", la prima
della "glorificazione del corpo". Per ciò l'una si chiude con
l'insensibilità in cospetto al reale, col "disprezzo del mondo",
l'altra finirà con l'abbandono dell'ideale, col "disprezzo dello spirito".
Il contrasto tra il reale e l'ideale non potrà mai comporsi; l'
uno non potrà mai diventar l'altro; se l'ideale si mutasse nel reale, non
sarebbe più l'ideale, e per converso se ciò che è reale si mutasse nell'ideale,
il reale più non sarebbe. Il dissidio non potrà esser risolto che il giorno in
cui si sopprimerà l'uno e l'altro: l'ideale e il reale. Soltanto allora il
contrasto potrà cessare: altrimenti idea e realtà non potranno mai confondersi
in una cosa sola. L'idea non può esser attuata in modo da ancor restare
un'idea, bensì solo dissolvendosi nella realtà. E la stessa cosa, per converso,
si deve dire del reale.
Ora noi vediamo negli antichi i seguaci dell' idea, nei moderni i
seguaci della realtà. Cosi quelli come questi non possono liberarsi dal
contrasto che li travaglia e anelano sempre a un'altra cosa. Gli uni aspirarono
allo spirito — poi, quando fu paga la lor brama, lo spirito parve finalmente
esser venuto, ecco che gli altri agognarono subito a dare a quello spirito
forma corporea, vanamente struggentisi in un inutile sforzo, in un pio desiderio
disperato d'effetto.
Il pio desiderio degli antichi era la santità, il
pio desiderio dei moderni è l' incarnazione. Ma nello stesso modo
che l'età antica dovette tramontare il giorno che il suo voto fu pago, così e impossibile
attuare il concetto che l'età moderna persegue senza uscir dal cerchio del Cristianesimo.
Al soffio di purificazione che attraversa il mondo antico, corrisponde l'idea dell'incarnazione
che penetra il mondo cristiano: Dio scende in mezzo a questa terra, si fa umana
carne per redimerla, cioè per compenetrarla della sua divinità. E siccome Dio è
l' "idea" o lo "spirito", cosi (come appunto in Hegel)
si finisce a introdurre l'idea da per tutto, e si dimostra che in ogni cosa
"é l'idea e, la ragione". E così a quel che gli stoici in altri tempi
ci presentarono col nome del "saggio" corrisponde nella civiltà
odierna "l' uomo": l'uno e l'altro astrazioni.
Il "saggio irreale" degli stoici è divenuto un
"santo" in carne ed ossa per l'incarnazione di Dio.
Ebbene, non altrimenti l'uomo, l'io incorporeo,
si attuerà veramente nell'io reale: in me stesso.
La questione dell' "esistenza di Dio" affaticò le menti
dei cristiani senza tregua, incessantemente ripresa, perché il bisogno della
esistenza, delle corporalità, della personalità, della realtà, occupava gli
spiriti in penosa angosciosissima indagine senza mai trovare una soluzione
soddisfacente. Finalmente la questione dell'esistenza di Dio si sciolse, ma per
risorgere nella tesi dell'esistenza del divino (Feuerbach). Ma
anche questa tesi non poté reggersi, e ne pur l'ultima credenza nell'attuazione
"dell'umano" potrà sostenersi a lungo andare. Nessuna idea ha un'esistenza,
poiché nessuna idea è capace d'aver corpo. La controversia del realismo e del nominalismo
non ebbe altro oggetto: continuata dal Cristianesimo, non potrà finire con
esso.
Il mondo cristiano vuol dare forma alle idee nelle
varie condizioni della vita, nelle istituzioni e nelle leggi della Chiesa e
dello Stato; ma le idee vi si ribellano, da che è in esse qualche cosa che assolutamente
non si può attuare. E uno sforzo continuo verso un fine vanamente perseguito e non
mai raggiunto.
Colui che vuole dar corpo alle astrazioni poco si cura delle cose
reali, non d'altro desideroso che dell'attuazione delle sue idee; per ciò appunto
egli riprende mille volte ad esaminare se in ciò che si avvera di giorno in
giorno sia insita realmente 1’idea che deve formare il nocciolo d'ogni cosa, e
disperatamente si travaglia nell'indagine se l'idea possa o non possa tradursi
nel vero.
La famiglia, lo Stato, non hanno importanza pel cristiano in
quanto realtà vera: a quelle cose divine egli non è tenuto, come l'antico, a
sacrificarsi: bensì esse devono unicamente servire all'incarnazione dello
spirito. La famiglia reale è divenuta indifferente; una famiglia ideale
— la sola vera — dovrebbe sorger da quella — una famiglia sacra,
benedetta da Dio o, secondo il concetto liberale, "una famiglia secondo
ragione". Presso gli antichi la famiglia, lo Stato, la patria, ecc.,
avevano carattere divino quali cose esistenti; presso i moderni
esse non son che destinate a diventar divine — in fatto, per sé, son
peccaminose e terrestri, ed hanno bisogno d'esser redente. Il
senso di tutto ciò è in somma questo: Ciò che veramente esiste non è la famiglia
o lo Stato, ma il divino; che poi quella famiglia compenetrandosi del divino
(la sola realtà vera) possa attuarsi, è ciò che continuamente si spera.
Cosicché il compito del singolo non è, per costoro, di servire alla famiglia
come a cosa sacra, ma invece di servire a ciò ch'è divino e insinuarlo nella
famiglia levando su tutto il vessillo dell'idea, e attuando l'idea in ogni
cosa.
Ma poiché, sia pel mondo antico, sia pel cristiano, ciò che
importa è sempre il divino, così per cammini opposti l'uno e
l'altro finiscono a giungere al medesimo punto. Col tramonto del paganesimo il
"divino" si è mutato nello "estramondano", ma perchè a
straniarlo al tutto dal mondo l'antichità non è riuscita, il Cristianesimo si
accinge a questo compito; se non che, ecco il "divino" è ripreso dal
desiderio della terra e vi anela per redimerla. Ma finché la civiltà cristiana prevale,
il "divino" - che è l'anima "del mondo"— non può versarsi
al di fuori e diventare il mondo stesso: troppe cose rimangono
che sotto il nome di "malvagio", " irragionevoli", "egoistiche",
si ribellano ad accoglierlo.
Il Cristianesimo incomincia coll'incarnazione di Dio e in ogni sua
opera e in tutti i tempi s'affatica a preparare l'uomo a dar ricetto in sé
stesso a Dio; tutto il suo compito si ridusse ad apparecchiare un asilo allo
"spirito".
Se alla fine si affermò in modo più speciale il concetto dell'uomo
e dell'umanità, ciò si è fatto per proclamare nuovamente l'idea: "L'uomo
non muore!". Si credette così che l'attuazione di questa idea
fosse finalmente trovata: l'uomo è l'io della storia, della
storia universale: egli, questo essere ideale, intende a incarnarsi. Egli è il
vero "reale", poiché il suo corpo è la storia, e di questo corpo i
singoli sono i membri. Cristo rappresenta l'io della storia
universale; se nel concetto moderno l'io è l'uomo, ciò avviene
perchè l'immagine del Cristo s'è trasformata in quella dell'uomo
per eccellenza. Nell'uomo si riaffaccia l'origine mistica; poiché
l'uomo è un essere immaginario al pari del Cristo. L'uomo — quale
io — chiude nella storia il ciclo delle concezioni cristiane.
Il Cristianesimo vedrebbe infranto il suo magico cerchio se
cessasse il contrasto tra l'essere e l'ideale, vale a dire, tra l’io, qual'è, e
l'io, quale dovrebbe essere; poiché esso sussiste oggidì ancora
non altrimenti che quale aspirazione ad incarnare l'idea, ed è destinato a
perire il giorno che quel dissidio sarà composto. L'idea incarnata, lo spirito
fatto carne o "perfetto", sta dinanzi agli occhi dei cristiani come
la "fine dei giorni", come la "metà della storia":
immaginazione d'un futuro; non realtà del presente.
Al singolo non altro compito si riconosce fuorché quello di
partecipare alla fondazione del regno dei cieli, cioè — con parole moderne —
all'evoluzione e alla storia dell'umanità; e solo nella misura
ch'egli vi partecipa gli si riconosce un valore cristiano, o, nel senso
moderno, umano: tutto il resto è polvere e fango.
Ma che il singolo sia per sé solo una storia del mondo e che il
rimanente della storia universale sia cosa sua, è concetto che oltrepassa
l'idea cristiana. Pel cristiano la storia rappresenta qualche cosa di superiore
all'individuo, perchè essa è la storia di Cristo, ossia dell'uomo per
eccellenza; per l'egoista invece non ha valore che la storia propria, poiché
egli non intende a svolgere l'idea dell'umanità, non i progetti divini, non le
intenzioni della provvidenza, non la libertà, non l'individualità sua. Egli non
vede in sé stesso uno strumento dell'idea, un vaso divino; egli non riconosce a
sé prefissa alcuna missione; egli non ritiene d'esistere per contribuire allo
sviluppo della società umana; egli vive per sé senza curarsi se ciò per
l'umanità sia un bene o un male.
Se non temessi di esser frainteso, facendo credere altrui che io
intenda lodare lo stato di natura, vorrei ricordare qui la poesia
del Lenau, "I tre zingari" — O che sono io forse al
mondo per attuare delle idee? Per contribuire col sacrificio del mio io a
incarnare il concetto dello "Stato", o a dar corpo all'idea della
famiglia ammogliandomi e procreando dei figli? Che importa a me di tale
missione? Io vivo tanto poco per una vocazione, quanto il fiore per il profumo.
L'ideale dell'uomo non si attuerà se non quando si
sarà invertita la tesi del concetto cristiano.
Io, — l'Unico — sono l'uomo. La questione "che
cosa è l'uomo"? Si muta cosi nella questione "chi è l'uomo?" Nel
"che cosa" si cercava il concetto; nel "chi" la questione è
senz'altro risolta, poiché la risposta è data da quello stesso che interroga.
La risposta a quella domanda viene da sé.
Si dice a proposito di Dio: "Non v' ha nome che valga a
definirti". La stessa cosa è dell'Io; nessun concetto può
esprimerlo, nessuna parola definirlo adeguatamente. E si dice ancora di Dio, ch'egli
è perfetto e che perciò non gli incombe alcuna missione di intendere alla
perfezione.
Ebbene, la stessa cosa si deve pur dire dell'Io.
Padrone della mia forza sono io, nel
momento in cui acquisto consapevolezza d'essere unico.
Nell'unico il possessore si dissolve nel nulla
creatore, dal quale è nato. Qualunque essere
superiore a me, sia esso Dio o l'uomo, impallidisce al sole di
questa mia coscienza d'esser
l'Unico. Se in me stesso nell' "Unico",
io faccio convergere la mia causa, essa diventa proprietà del singolo da cui
tutto si crea e che ogni cosa e sé stesso consuma; ed io potrò dire
veracemente:
Io ho riposto la mia causa nel nulla.
Max Stirner
Nessun commento:
Posta un commento