giovedì 1 agosto 2013

LA LIBERAZIONE DALL'« IO VOGLIO » ALL'« IO SONO » DEL FANCIULLO COSMICO - seconda parte



Quel che resta ancora in giro di Dio è ormai solo la sua ombra. È significativo che sia proprio una « gaia » scienza quella che, all'inizio del terzo libro, annuncia per la prima volta la morte di Dio, ma già anche il nichilismo e l'eterno ritorno.


Dopo che Buddha fu morto, si continuò per secoli ad additare la sua ombra in una caverna — un'immensa orribile ombra. Dio è morto: ma stando alla natura degli uomini,- ci saranno forse ancora per millenni caverne nelle quali si additerà la sua ombra. E noi — noi dobbiamo vincere anche la sua ombra!

In questa battaglia contro la sopravvivenza, sotto forma di ombra, di un Dio morto e di una morale superstite, Nietzsche per primo dall'appagamento dell'ateismo ha richiamato in vita l'empietà dell'uomo moderno e l'ha portata alla coscienza. Nietzsche fa annunciare il grande evento da un uomo « folle » che preannuncia l'azione dell'uomo « più brutto ».

Avete sentito di quel folle uomo che accese una lanterna alla chiara luce del mattino, corse al mercato e si mise a gridare incessantemente: « Cerco Dio! Cerco Dio! ». E poiché proprio là si trovavano raccolti molti di quelli che non credevano in Dio, suscitò grandi risa. « È forse perduto? » disse uno. « Si è perduto come un bambino? » fece un altro. « Oppure sta ben nascosto? Ha paura di noi? Si è imbarcato? È emigrato? » — gridavano e ridevano in una gran confusione. Il folle uomo balzò in mezzo a loro [...] « Dove se n'è andato Dio? — gridò — ve lo voglio dire! Siamo stati noi ad ucciderlo: voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini!

 Ma come abbiamo fatto questo? Come potemmo ' vuotare il mare bevendolo fino all'ultima goccia? Chi ci dette la spugna per strusciar via l'intero orizzonte? Che mai facemmo, a sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov'è che si muove ora? Dov'è che ci muoviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E all'indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è fatto più freddo? Non seguita a venire notte, sempre più notte? Non dobbiamo accendere lanterne la mattina?

Dello strepito che fanno i becchini mentre seppelliscono Dio, non udiamo dunque nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo della divina putrefazione? Anche gli dei si decompongono! Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! [...] Quanto di più sacro e di più possente il mondo possedeva fino ad oggi, si è dissanguato sotto i nostri coltelli; [...] Con quale acqua potremmo noi lavarci? Quali riti espiatòri, quali giuochi sacri dovremo noi inventare? Non è troppo grande, per noi, la grandezza di questa azione?

Non dobbiamo noi stessi diventare dèi, per apparire almeno degni di essa? Non ci fu mai un'azione più grande: tutti coloro che verranno dopo di noi apparterranno, in virtù di questa azione, ad una storia più alta di quanto mai siano state tutte le storie fino ad oggi! ».

A questo punto il folle uomo tacque, e rivolse di nuovo lo sguardo sui suoi ascoltatori: anche essi tacevano e lo guardavano stupiti. Finalmente gettò a terra la sua lanterna che andò in frantumi e si spense. « Vengo troppo presto — proseguì — non è ancora il mio tempo. Questo enorme avvenimento è ancora per strada e sta facendo il suo cammino: non è ancora arrivato fino alle orecchie degli uomini. Fulmine e tuono vogliono tempo, il lume delle costellazioni vuole tempo, le azioni vogliono tempo, anche dopo essere state compiute, perché siano vedute e ascoltate. Quest'azione è ancor sempre più lontana da loro delle più lontane costellazioni: eppur son loro che l'hanno compiuta! ». Si racconta ancora che l'uomo folle abbia fatto irruzione, quello stesso giorno, in diverse chiese e quivi abbia intonato il suo Requiem aeternam Deo.

Cacciatone fuori e interrogato, si dice che si fosse limitato a rispondere invariabilmente in questo modo: «Che altro sono ancora queste chiese, se non le fosse e i sepolcri di Dio? ».

Il grande evento consiste dunque nel fatto che con la morte di Dio il « mare » e il « sole », vale a dire ciò che di più vasto e di più alto esiste, e con ciò l'intero « orizzonte », è scomparso. Anche l'anima di Zarathustra è però un nuovo « mare », come pure il mondo dell'eterno ritorno ad esso corrispondente, nel quale deve « annegare » il nichilismo del profeta. Negli inediti dello stesso periodo viene sottolineato esplicitamente il carattere nichilistico di questo evento:

È difficilissimo che i più grandi eventi giungano sino al sentimento degli uomini: per esempio il fatto che il Dio cristiano « è morto », che nelle nostre esperienze non si esprime più una bontà, un'educazione celeste, né una giustizia divina, né in generale una morale immanente. Si tratta .di una terribile novità che ha bisogno ancora di un paio di secoli per diventare un sentimento degli Europei; e allora per qualche tempo sembrerà che tutte le cose abbiano perduto la forza,di gravità.

E poiché la nuova « forza di gravità » dell'esistenza divenuta oramai sfuggente è l'idea dell'eterno ritorno, risulta un chiaro rapporto tra la morte di Dio, il nichilismo e l'eterno ritorno dell'identico.

Ma la morte di Dio, proprio come origine del nichilismo, è anche un motivo di serenità filosofica; ci si può infatti sentire sollevati, nonostante l'offuscamento che essa in un primo momento produce, alla notizia che nessun « tu devi » grava più sulla volontà umana, da quando la morte di Dio ha affrancato l'uomo in quanto tale dall'obbligo dell'esistenza. Questo tema viene trattato di nuovo nel primo aforisma del quinto libro (Noi senza paura) della Gaia scienza.

Il maggiore degli avvenimenti più recenti — che « Dio è morto », che la fede nel Dio cristiano è divenuta inaccettabile — comincia già a gettare le sue prime ombre sull'Europa. Almeno a quei pochi, lo sguardo, la diffidenza di sguardo dei quali è abbastanza forte e sottile per questo spettacolo, pare appunto che un qualche sole sia tramontato, che una qualche antica, profonda fiducia si sia capovolta in dubbio: a costoro il nostro vecchio mondo dovrà sembrare ogni giorno più crepuscolare, più sfiduciato, più estraneo, più « antico ».

Ma in sostanza si può dire che l'avvenimento stesso è fin troppo grande, troppo distante, troppo alieno dalla capacità di comprensione del maggior numero perché possa dirsi già arrivata anche soltanto notizia di esso; e tanto meno, poi, perché molti già si rendano conto di quel che propriamente è accaduto con questo avvenimento — e di tutto quello che ormai, essendo sepolta questa fede, deve crollare, perché su di essa era stato costruito, e in essa aveva trovato il suo appoggio, e dentro di essa era cresciuto: per esempio tutta la nostra morale europea.

Una lunga, copiosa serie di demolizioni, distruzioni, decadimenti, capovolgimenti ci sta ora dinnanzi: chi già da oggi potrebbe aver sufficiente divinazione di tutto questo, per far da maestro e da veggente di questa mostruosa logica dell'orrore, per essere il profeta di un offuscamento e di un eclisse di sòie, di cui probabilmente non si è ancora visto sulla terra l'uguale?...

Perfino noi, per nascita divinatori d'enigmi, noi che siamo in attesa per cosi dire sulle montagne, piantati fra l'oggi e il domani, interiormente tesi nella contraddizione tra l'oggi e il domani, noi primogeniti e figli prematuri del secolo imminente, noi che già dovremmo scorgere le ombre che ben presto avvolgeranno l'Europa: com'è che perfino noi le guardiamo salire senza una vera partecipazione a questo ottenebramento, soprattutto senza preoccuparci e temere per noi stessi?

Siamo forse ancor troppo soggetti alle più immediate conseguenze di questo avvenimento: e queste più immediate conseguenze, le sue conseguenze per noi, contrariamente a quello che ci si potrebbe aspettare, non sono per nulla tristi e rabbuiami, ma piuttosto come un nuovo genere, difficile a descriversi, di luce, di felicità, di ristoro, di rasserenamento, di rincoramento, d'aurora... In realtà, noi filosofi e « spiriti liberi », alla notizia che il vecchio Dio è morto, ci sentiamo come illuminati dai raggi di una nuova aurora; il nostro cuore ne straripa di riconoscenza, di meraviglia, di presentimento, d'attesa, — finalmente l'orizzonte torna ad apparirci libero, anche ammettendo che non è sereno, — finalmente possiamo di nuovo scioglier le vele alle nostre navi, muovere incontro a ogni pericolo; ogni rischio dell'uomo della conoscenza è di nuovo permesso; il mare, il nostro mare, ci sta ancora aperto dinnanzi, forse non vi è ancora mai stato un mare cosi « aperto ».


All'uscita in mare aperto corrisponde sulla terra il simbolo del viandante, la cui ombra accompagna ancora Zarathustra.- Zarathustra è semplicemente il « senzadio » e la sua comparsa è contemporanea alla morte di Dio; infatti l'uomo sovra-umano, che è salito oltre se stesso, può vivere solo quando l'uomo-Dio cristiano è già morto. Zarathustra compare al tempo del grande meriggio, l'uomo sta al centro del suo cammino tra l'animale e il soprauomo, e celebra il suo avviarsi alla sera come la sua speranza più elevata: giacché quella è la via verso un nuovo mattino che già annuncia l'« aurora » nel pre-meriggio.

Allora colui che tramonta benedirà se stesso, come uno che passa all'altra sponda; e il sole della sua conoscenza starà per lui nel meriggio, dopo che per il viandante il sole si era trovato già provvisoriamente al meriggio del pre-meriggio. Ma non è morto solo il Dio cristiano-morale, bensì tutti gli dèi, sebbene resti aperto il quesito se gli dèi morti non possano anche risorgere.

Morti sono tutti gli dèi: ora vogliamo che il sovra-uomo viva — questa sia un giorno, nel grande meriggio, la nostra Ultima volontà!

Quest'ultima volontà di superare l'uomo spinge anzitutto Zarathustra ad allontanarsi da « Dio e dèi ». Al posto di Dio, che crea l'essere dal nulla, subentra una volontà sovra-umana di futuro di un uomo che crea se stesso e il mondo come proprio. Il grande meriggio, nel quale Zarathustra, tutt'uno col sovra- uomo, insegna l'eterno ritorno, è però anche un « punto intermedio pericoloso » tra due opposte possibilità.

L'uomo ha di fronte la possibilità di un'ascesa o di una caduta, in basso verso l'« ultimo uomo » o in alto verso il « sovra-uomo ». Il superamento di sé e la soddisfazione di sé sono le due possibilità strettamente correlate che si presentano all'uomo divenuto senza-Dio. La destinazione umana si muove ora soprattutto nell'ambito di queste due possibilità interne all'uomo; infatti se Dio è morto, l'uomo perde la posizione che finora occupava quale creatura intermedia tra esser-Dio ed esser-animale.

Egli sta su se stesso come su un cavo teso sull'abisso del nulla e sospeso nel vuoto. La sua esistenza è, come la vita del funambolo di cui parla nella prefazione, essenzialmente in pericolo, e il pericolo è la sua vocazione e mestiere. Il « coraggio » per il pericolo, se si riconsidera da questo punto di vista, diviene l'« intera preistoria dell'uomo » — la fase cioè precedente l'« audacia » che risiede nell'amor fati del sovra-uomo. Tuttavia proprio con la scomparsa del timore di Dio si ha perloppiù e anzitutto la possibilità dell'ultimo uomo, non più timorato, ma che soprattutto non s'interroga più sul senso della propria esistenza e vuole vivere invece una discreta felicità.

Guai! Si avvicinano i tempi in cui l'uomo non scaglierà più la freccia anelante al di là dell'uomo, e la corda del suo arco avrà disimparato a vibrare!

[...] Si avvicinano i tempi dell'uomo più spregevole, quegli che non sa disprezzare se stesso.

Ecco! Io vi mostro l'ultimo uomo.

«Che cos'è amore? E creazione? E anelito? E stella? » — così domanda l'ultimo uomo, e strizza l'occhio.

La terra allora sarà diventata piccola e su di essa saltellerà l'ultimo uomo, quegli che tutto rimpicciolisce.

La sua genia è indistruttibile, come la pulce di terra; l'ultimo uomo campa più a lungo di tutti. « Noi abbiamo inventato la felicità » — dicono gli ultimi uomini e strizzano l'occhio.

Essi hanno lasciato le contrade dove la vita era dura: perché ci vuole calore.

Si ama anche il vicino e a lui ci si strofina: perché ci vuole calore.

Ammalarsi e essere diffidenti è ai loro occhi una colpa: guardiamo dove si mettono i piedi. Folle chi ancora inciampa nelle pietre e negli uomini!
Un po' di veleno ogni tanto: ciò rende gradevoli i sogni. E molto veleno alla fine per morire gradevolmente.

Si continua a lavorare, perché il lavoro intrattiene. Ma ci si dà cura che il trattenimento non sia troppo impegnativo.

Non si diventa più né ricchi né poveri: ambedue le cose sono troppo fastidiose. Chi vuole ancora governare? Chi obbedire? Ambedue le cose sono troppo fastidiose.

Nessun pastore e un sol gregge! Tutti vogliono le stesse cose, tutti sono eguali: chi sente diversamente va da sé al manicomio. « Una volta erano tutti matti » — dicono i più raffinati e strizzano l'occhio.

Oggi si è intelligenti e si sa per filo e per segno come sono andate le cose: così la materia di scherno è senza fine. Sì, ci si bisticcia ancora, ma si fa pace al più presto — per non guastarsi lo stomaco.

Una vogliuzza per il giorno e una vogliuzza per la notte: salva restando la salute. « Noi abbiamo inventato la felicità » — dicono gli ultimi uomini e strizzano l'occhio.

KARL LOWITH

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