L'unico e la sua proprietà
L'UOMO
Capitolo 2
§ 3 [ parte 1° ]
Dell'attività degli spiriti ligi al sacerdozio è parte precipua
ciò che si suole chiamare "influsso morale".
L'influsso morale ha origine là dove incomincia
"l'umiliazione", anzi, non è altra cosa che l'umiliazione stessa,
l'abbassamento del coraggio verso l'umiliazione. Se io grido a qualcuno, al momento
dello scoppio d'una mina di allontanarsi, io non esercito con ciò su di lui alcuna
azione morale. Se dico al fanciullo: Tu avrai fame se non mangi quello che ti
viene offerto, non esercito con queste parole un influsso morale. Ma se gli
dico: tu pregherai, onorerai i genitori, rispetterai la croce, dirai la verità,
ecc., imperocché ciò appartiene all'uomo, è la sua vocazione, o, più ancora,
perchè tale è la volontà divina, l'azione morale non è dubbia. Tutti devono
inchinarsi dinanzi alla vocazione dell'uomo, e rinunziare alla
propria volontà per un volere estranea che servirà loro di norma e di legge;
devono umiliarsi dinanzi a qualche cosa di più elevato:
abbassare sé stessi. "Chi si umilierà sarà esaltato". Sì, sì, i
fanciulli devono essere educati per tempo a venerar Dio; l'uomo bene educato è
quello che ha accolto in sé "sagge massime " per amore o per forza.
Se a proposito di queste cose si fa spallucce, i buoni alzano le
mani in atto di disperazione ed esclamano: "Per l'amor del cielo, se non
si dovessero insegnare ai ragazzi le buone massime, essi correrebbero alla
perdizione e diventerebbero altrettanti monelli scioperati". Profeti di
cattivo augurio! Diverranno certo degli scioperati nel senso che voi intendete,
ma questo vostro senso non è proprio buono a nulla. Quei monelli insolenti non
si lascieranno più agguindolare da voi e non proveranno alcuna simpatia per le
stoltezze che da secoli vi fanno girare il capo; essi aboliranno il diritto
dell'eredità, cioè non vorranno essere eredi delle vostre sciocchezze, come voi
le avete ereditate dai vostri padri; essi cancelleranno la macchia
originale. Quando voi imporrete loro d'inchinarsi dinanzi all'essere
supremo, — essi risponderanno: se egli vuole che ci inchiniamo,
venga egli stesso e ci costringa; volontariamente non c'inchineremo già mai. E
se voi li minaccerete della sua collera e del suo castigo,
essi terranno tutto ciò in conto di uno spauracchio da bambini. Se non vi verrà
fatto d'incutere loro paura dei fantasmi, il regno dei fantasmi cesserà
d'essere, ed i racconti delle bambinaie non troveranno più alcuno che presti
loro fede.
E non sono forse per l'appunto i liberali quelli che insistono
sulla buona educazione e si travagliano per un miglioramento dei procedimenti
pedagogici? Poiché, come potrebbe tradursi in atto il loro liberalismo, la loro
"libertà entro i limiti della legge" senza una disciplina? Se essi non
educano al timor di Dio con tanto maggior rigore esigono il timore degli
uomini; cioè il timore dell' uomo; e colla disciplina
ridestano l' "entusiasmo per la vera vocazione umana".
Per lungo tempo l'uomo si accontentò alla falsa credenza di
possedere la verità, senza riflettere seriamente, se, innanzi
tutto non era necessario che l'uomo fosse egli vero per possedere
la verità. Erano i tempi del Medio Evo. Con la coscienza comune,
(quella che serviva a comprender le cose e non poteva percepire se non ciò che
è accessibile ai sensi), si volle conoscere l'immateriale, l'insensuale.
Allo stesso modo che alcuno affatica l'occhio per poter vedere ciò che è
lontano, o esercita lentamente la mano a premere sui tasti secondo le regole musicali,
così l'uomo mortificava nelle guise più varie il proprio corpo per rendere sé
stesso capace di percepire il soprannaturale. Ma ciò che si mortificava, non
era al postutto che l'uomo sensuale, la coscienza comune, la percezione materiale
delle cose. Ora siccome quel pensiero, quell'intelletto, che Lutero col
nome di ragione copre di contumelie, erano incapaci di comprendere la divinità,
il mortificarli contribuiva tanto a conoscere la verità, quanto si potrebbe sperare
che i piedi educati lungamente alla danza potessero riuscire a suonare il
flauto mercé l'agilità acquistata.
Solo Lutero, col quale finisce il cosiddetto Evo
Medio, comprese esser necessario che l'uomo stesso diventi un altro, s'egli
vuole conoscere la verità; che cioè occorreva ch'egli diventasse altrettanto
vero, quanto la verità stessa. Solamente colui che ha fede nella
verità può sperare di diventarne partecipe; la verità non si rivela al
credente. Soltanto quell'organo dell'uomo che sa far uscire il fiato dai polmoni
può imparar a suonare il flauto, e quell'uomo soltanto può divenir partecipe
della verità, che possiede l'organo necessario per comprendere. Chi non è
capace di pensare altre cose che le sensuali, anche nella verità non cercherà
che una cosa concreta. Ma la verità è spirito, è del tutto immateriale, e
perciò accessibile soltanto ad una "coscienza più elevata", non a
quella di chi "pensa mondanamente."
Perciò con Lutero si fa strada la convinzione che la
verità, essendo pensiero, non sia destinata che all'uomo pesante.
La qual cosa significa che l'uomo deve abbracciare quind'innanzi un altro aspetto
delle cose, quello del cielo, della fede, della scienza, oppure del pensiero
di fronte all'oggetto di sé stesso, che è il pensare;
dello spirito di fronte allo spirito. Soltanto l'eguale può dunque conoscere
l'eguale. "Tu somigli allo spirito che tu comprendi ".
Poi che il protestantesimo spezzò la gerarchia medioevale, poté
prevalere l'opinione che la gerarchia per sé stessa ne fosse rimasta infranta,
e non si volle comprendere che non si trattava che d'una semplice
"riforma" cioè d'un ravvivamento della gerarchia antiquata. Quella
del Medio Evo era stata una gerarchia debole, poi che aveva dovuto permettere
che intorno a sé fiorisse indomita la barbarie profana d'ogni specie; la
Riforma, sola, seppe rialzare la forza della gerarchia. Bruno Bauer dice
[(1) Anecdota, II, 152]: Allo stesso modo che la riforma rappresenta in modo
particolare la separazione astratta del principio religioso dell'arte, dallo
Stato e dalla scienza, cioè la sua liberazione da quelle forze con le quali nei
primordi della chiesa e nella gerarchia medioevale si era collegato — così
anche le correnti teologiche ed ecclesiastiche, che uscirono dalla Riforma, non
sono che l’attuazione logica di quell'astrazione del principio religioso dalle
altre forze che regolano l'umanità. Ma io ritengo invece che la dominazione o
la libertà dello spirito — ciò che in fondo è la stessa cosa — non siano mai
state tanto complesse ed onnipotenti quanto oggidì, poiché quelle, anziché
scindere il principio religioso dall'arte, dallo Stato e dalla scienza, li
hanno trascinati con loro fuori del mondo, nel "regno dello spirito",
elevandoli ad una religione.
Lutero e Cartesio sono stati
paragonati felicemente per le lor massime: "Chi crede, è un Dio", "Io
penso, dunque sono (cogito ergo sum)". Il cielo dell'uomo è
il pensiero — lo spirito. Tutto può venirgli tolto, fuorché il
pensiero e la fede. Una fede determinata in Giove, Astarte,
Jeova, Allah, ecc., può venir distrutta, le fede
per sé stessa e indistruttibile. Nel pensare sta la libertà.
Quello di cui abbisogno non può più venirmi concesso per virtù
d'alcuno, non per la vergine Maria, né per la intercessione dei
santi, né per la chiesa che lega e scioglie, bensì io me lo procuro da me
stesso. In breve il mio essere (il sum) è un vivere
nel cielo del pensiero, nello spirito; è, insomma, un cogitare.
Ed io stesso null'altro sono che spirito, o pensante (secondo Cartesio),
o credente (secondo Lutero). Il mio corpo non è il mio
"io"; la mia carne può durare i tormenti dei desideri e le sofferenze
dei castighi. Io non sono la mia carne, sono il mio spirito:
sono spirito unicamente.
Questa idea procede attraverso tutta la storia dalla Riforma sino
ai nostri giorni.
Soltanto la filosofia moderna, da Cartesio in poi,
si è data seriamente a condurre il Cristianesimo verso un effetto
sicuro, proclamando la "coscienza scientifica" quale unicamente vera
e fornita di valore. Perciò essa col dubbio assoluto, col dubitare,
dà principio alla "contrizione" della coscienza comune,
allontanandola da tutto ciò che non sia legittimato dallo spirito, dal pensare.
Nulla conta per lei la natura, nulla l'opinione degli uomini e le
"istituzioni umane"; ed essa non ha tregua sino a tanto che non abbia
tutto rischiarato col lume della ragione sì da poter dire: "il reale è il
ragionevole, e soltanto ciò che è ragionevole e reale". Con ciò essa ha
finalmente guidato alla vittoria lo spirito, la ragione: ormai tutto è spirito,
poi che tutto è ragionevole, così la natura come le più bizzarre opinioni degli
uomini; poiché ogni cosa deve servire pel suo meglio , cioè al trionfo della
ragione.
Il dubitare del Cartesio contiene l'affermazione
recisa, che il cogitare soltanto, soltanto il pensare sia lo spirito.
E ripudiata dunque la coscienza "comune" che assegnava una realtà
alle cose "irragionevoli"! Soltanto il ragionevole esiste, solo lo
spirito esiste! Questo è il principio, nella sua essenza cristiana, della
moderna filosofia. Già Cartesio distingueva rigorosamente il corpo
dallo spirito. E il Goethe dice che "lo spirito è quello che
si edifica il corpo".
Ma anche questa filosofia, la cristiana, non sa come liberarsi dal
ragionevole e grida perciò contro quel che è "puramente subbiettivo", contro le
"idee improvvise, le accidentalità, gli arbitrii" ecc. Non chiede
essa forse che il "divino" si manifesti in ogni cosa, e che ogni
coscienza diventi una scienza del divino, e che l'uomo veda Dio in ogni dove?
ma Dio non si trova mai scompagnato dal diavolo.
Per ciò non può dirsi filosofo chi ha bensì gli occhi aperti alle
cose del mondo, uno sguardo chiaro e non velato, un giudizio sereno intorno al
mondo, ma nel mondo non vede che il mondo e negli oggetti i puri oggetti; bensì
filosofo è soltanto colui che nel mondo scorge il cielo, nelle cose terrestri
il soprannaturale, nel mondano il divino; e sa dimostrarlo e
provarlo. Quegli che, sia pur dotato dell'intelletto più acuto, proclama la
massima: "Ciò che non vede l'intelletto dell'uomo intelligente, nella sua
semplicità lo mette in opera l'intelletto del bambino, animo infantile occorre
per essere riconosciuti filosofi", costui non possiede che la coscienza
"comune"; invece chi conosce e sa proclamare il "divino",
ha una coscienza scientifica. Per questa ragione, Bacone fu
cacciato dal regno dei filosofi.
Del resto, la filosofia cosiddetta inglese non ha saputo produrre
nulla di meglio delle scoperte dei cosiddetti "spiriti aperti", Bacane
e Hume. Gli inglesi non seppero elevare ad un'importanza filosofica
"l'animo infantile", non conobbero l'arte di creare dagli "animi
infantili" dei filosofi.
Ciò vuol dire: la loro filosofia non seppe diventar
"teologica". Eppure soltanto quale teologia essa può svilupparsi e
perfezionarsi interamente. Nella teologia essa deve contorcersi in disperata agonia.
Bacone non si curava delle questioni teologiche e dei punti
cardinali.
La vita è invece l'oggetto della conoscenza del pensiero tedesco,
poi che questo, meglio d'ogni altro, sa discendere ai principi ed alle fonti
dell'esistenza, e solo nella conoscenza vede la vita. Il cartesiano "cogito,
ergo sum" significa: "Si vive solo quando si pensa". Vita di
pensiero vuol dire: "vita spirituale"! Lo spirito solo vive, la vita
sua è la vera vita. E così nella natura le "leggi eterne" (lo
spirito) rappresentano la vera vita. Solo il pensiero, negli uomini come nella
natura, vive; tutto il resto e morto ! A codesta astrazione, alla vita delle
generalità o delle cose apparentemente inanimate si deve giungere facendo la
storia dello spirito. Dio, che è spirito, vive lui solo. Nulla vive all’infuori
del fantasma.
Come si può affermare a proposito della filosofia o della civiltà
moderna, ch'esse abbiano conquistato la libertà se esse non ci hanno liberato
dal dominio dell'oggettività? O sono io forse libero, di fronte al despota, se
io, pur non dimostrando timore di lui personalmente, tremo tuttavia di
contravvenire alla venerazione che io credo dovergli essere da me tributata? La
stessa cosa è della civiltà moderna. Essa non fece che mutare gli oggetti
"esistenti", quelli che in realtà si onoravano, in oggetti rappresentati,
vale a dire in "concetti", di fronte ai quali l'antico rispetto non
pure non si dileguò ma anzi s'accrebbe. Se si prese un po' in burla Dio ed il
diavolo per la rozza materialità con cui venivano anticamente rappresentati, si
prestò tanta maggior attenzione al concetto ch'era in essi. "Si sono
liberati dai malvagi, ma il male è restato". A cuor leggero si sconvolse
lo Stato, si mutarono le leggi, senza pensarvi più che tanto, poiché s'era
deciso di non sottrarsi all'impero di ciò che realmente esisteva e si poteva
toccare con mano: ma peccare contro il concetto dello Stato, ma
ribellarsi al concetto della legge, chi mai l'avrebbe osato? In
tal modo si rimase "cittadini dello Stato" uomini "legali"
ossequienti alle leggi: anzi si creddette di dover dimostrare maggior ossequio
alle leggi, dopo aver abolite quelle che apparivano difettose; e lo si fece col
rendere omaggio allo "spirito della legge". In tutto ciò gli oggetti,
solo trasformati, avevano conservato la loro supremazia; in breve, si era
ancora in preda, all'obbedienza ed all'ossessione, si viveva nella
"riflessione" e si aveva un oggetto per la propria riflessione, oggetto
che si rispettava, si venerava, si temeva. Non si era fatto altro che mutare le
cose in rappresentazioni, in pensieri cioè e in
concetti, rendendone cosi più intima e indissolubile la dipendenza.
Cosi, per esempio, non riesce difficile emanciparsi dai comandamenti dei
genitori, o sottrarsi alle ammonizioni dello zio e della zia, alle preghiere
del fratello e della sorella; ma della negata obbedienza si prova poi subito
rimorso, e, quanto meno noi ci arrendiamo a singole pretese che la nostra
ragione ci dice essere irragionevoli, tanto più teniamo alto il culto della pietà,
dell'amore della famiglia, restii a perdonare a noi stessi l'infrazione del concetto
che si ha dell'amor di famiglia e degli obblighi della pietà figliale.
Redenti dalla dipendenza della famiglia esistente, si cade nella dipendenza
ancor più tirannica del concetto della famiglia: si è dominati dallo spirito
della famiglia. Quella famiglia che si componeva di Gianni e Ghita, ecc., la
cui padronanza è divenuta impotente, continua ad esistere mutata nel concetto
astratto della famiglia cui si applica l'antico precetto: bisogna
obbedire prima a Dio che agli uomini; ciò che nel nostro caso significherebbe:
Io non posso assoggettarmi alle vostre insensate pretese; ma quale mia "famiglia"
voi continuate ad esser l'oggetto del mio amore e de' miei pensieri: imperocché
la "famiglia" è un concetto santo, che non è permesso d'offendere.
E questa famiglia che ebbe vita nel mio interno, questa famiglia
immateriale sarà per me quind'innanzi la cosa "santa", il cui
dispotismo sarà le mille volte più insopportabile, perchè strepiterà senza tregua nella mia coscienza. Questo dispotismo non
può essere infranto, che quando anche il concetto astratto della famiglia si
dissolva nel nulla. Le parole del Vangelo; "Donna, che cosa
ho io di comune con te?" [(1) GIOV., 2, 4.]; "Io sono venuto a
suscitare l'uomo contro il proprio padre e la figlia contro la madre" [(2)
MATT., 10, 35] ed altre simili, vengono poste in correlazione con la
famiglia celeste, con la vera famiglia, e non significano altro
fuor che la pretesa dello Stato, per la quale in caso di conflitto tra esso e
la famiglia, è obbligo di obbedire allo Stato.
Come della famiglia, così è della morale. Molti si staccano dalla
morale ma restano servi della moralità. La moralità è l'idea della morale, è la
sua potenza spirituale, la sua potenza sulle coscienze; mentre la morale è
troppo materiale, per poter dominare lo spirito, e non può assoggettare un uomo
"spirituale", un cosiddetto "indipendente", un "libero
pensatore".
Il protestante può dire ciò che vuole; ma "santa" è per
lui la "Sacra Scrittura", la "parola di Dio". Chi cessa dal
ritenerla "santa" cessa d'essere protestante. Ma per ciò stesso gli è
"sacro" ciò che in lei è "prescritto": l'autorità posta da
Dio, ecc.
Tutto ciò per lui dev'essere indissolubile, intangibile,
"superiore ad ogni dubbio", e siccome il "dubbio" è la cosa
più naturale all'uomo, tutte quelle cose vengono riguardate come superiori all'uomo.
Chi non sa liberarsene avrà la fede: poiché credere significa
esser vincolato a qualche cosa. Poiché nel protestantesimo la
fede si è fatta più pura, anche il servaggio è divenuto più intimo:
tutte quelle cose "sacre", son divenute parte dell'essere stesso,
"questioni di coscienza", "sacrosanti obblighi". Per ciò al
protestante é sacra quella tal cosa dalla quale non sa liberare la sua
coscienza, e la "coscienziosità" è la virtù che più di
tutte lo distingue dagli altri.
Il protestantesimo ha ridotto l'umanità in uno stato affatto
simile alla "polizia segreta". La spia continuamente origliante della
"coscienza" vigila ogni moto dello spirito: ogni azione e ogni pensiero,
è per lei "questione di coscienza". In questo antagonismo tra l'
"istinto naturale" e la "coscienza" (plebe e polizia interiore)
vive il protestante. La ragione della Bibbia (al posto della cattolica ragion
della Chiesa), è tenuta in conto di sacra, e il sentimento che la parola della
Bibbia è sacra si chiama coscienza.
Con ciò si fa entrare per forza la santità nella
coscienza dell'uomo. Chi non sa liberarsi dalla coscienza, della cosa sacra,
potrà, è vero, agire contro coscienza, ma giammai indipendentemente dalla
coscienza.
Il cattolico si sente soddisfatto, quando ha eseguito un ordine;
il protestante opera secondo la sua "miglior scienza e coscienza". Il
cattolico non è che un laico, il protestante è sempre "sacerdote".
Questo perfezionarsi dello spirituale è il progresso segnato dalla
Riforma sul Medio Evo, ma ne è anche la maledizione.
Che altro era la morale gesuitica fuorché una continuazione del
commercio delle indulgenze, con questa sola differenza che ormai quegli che
otteneva l'indulto dei peccati, poteva prendere in esame l'indulto che otteneva
a persuadersi in qual modo gli veniva tolto il peccato? Poiché in certi casi
determinati (così dicono i casuisti) non era affatto peccato ciò ch'egli aveva
commesso.
Il commercio delle indulgenze s'estendeva a tutti i peccati e a
tutte le contravvenzioni ed aveva fatto tacere tutti gli scrupoli della
coscienza. Tutta la sensualità poteva espandersi a sua posta purché si fosse
conquistata a suon di denari la licenza della Chiesa. Questo favoreggiamento della
sensualità fu continuato dai Gesuiti, mentre i protestanti
puritani, tetri, fanatici, smaniosi di penitenze, avidi di mortificazioni e di
preghiere, nella lor qualità di restauratori del Cristianesimo null'altro
volevano ammettere fuor che l'uomo spirituale e religioso.
Il cattolicesimo e particolarmente i Gesuiti favorirono
con ciò l'egoismo e trovarono persino tra i protestanti un seguito involontario
ed incosciente riuscendo così a salvarsi dalla degenerazione e dalla morte dei
sensi.
Malgrado tutto lo spirito protestante estende sempre più il suo
dominio, e il gesuitismo (il quale per lui, che si tiene divino, non rappresenta
che il "diabolico" necessariamente inseparabile da tutto ciò che è
divino), nonostante tutti gli sforzi, non può sostenersi in nessuna parte colle
proprie forze, e deve assistere, come avviene in Francia, alla
vittoria del protestantesimo nell'ipocrisia borghese, che pone lo spirito al
disopra d'ogni altra cosa.
Al protestantesimo vuolsi riconoscere il merito d'aver ricondotto
in onore il "temporale", per esempio il matrimonio, lo Stato, ecc. Ma per esso il temporale
(come il profano) è molto più indifferente che non sia pel cattolico,
il quale permette al mondo profano di esistere, e ne partecipa spesso ai
godimenti, mentre il protestante, ragionevole e logico, s'appresta a
distruggere del tutto ogni cosa che sia mondana. Il che gli succede col proclamarla
semplicemente "sacra".
Così al matrimonio è stato tolto il carattere naturale, col
renderlo "sacro", non già nel senso di sacramento cattolico che lo
presuppone cosa profana che dalla Chiesa soltanto riceve la consacrazione,
bensì nel senso ch'esso diventa per sé stesso un non so che di sacro, un sacro legame.
Così lo Stato, ecc. Una volta era il papa che consacrava e benediceva lo Stato
e i suoi principi; ora lo Stato è santo in sé, e tale è pure la maestà senza
aver bisogno della benedizione sacerdotale.
In generale si consacrò l'ordine della natura, ovvero il diritto
naturale, il quale diventò l'"ordine divino". Perciò leggiamo, p.
es., nella Confessione d'Augusta, art. 11: "E così atteniamoci al decreto
saggio e giusto dei giureconsulti: che l'uomo e la donna stiano insieme, è
diritto naturale. Se è un diritto naturale, è anche un ordinamento di Dio
che ha disposto che così fosse, e per conseguenza è un diritto
divino". E che è mai Feuerbach se non un protestante
illuminato quando dimostra sacri i rapporti morali, non già perchè ordinati da
Dio, bensì per lo spirito che in essi alberga? Ma il matrimonio,
se veramente risulti da una libera unione d'amore, è per sé stesso sacro,
per la natura dell'unione che viene contratta. Quel matrimonio
soltanto è religioso, il quale è anche vero e
corrisponde all'essenza del matrimonio, all'amore.
E così è di tutti i rapporti morali. Essi non
diventano e non sono morali, e come tali non vengono tenuti in onore, che
quando per sé stessi sono riguardati come religiosi. Vera
amicizia non v'é se non la dove i limiti dell'amicizia vengono
religiosamente osservati collo stesso fervore religioso con cui il credente
difende la dignità del suo Dio.
"Sacra" è, e dev'essere, per te l'amicizia, sacra la
proprietà, sacro il matrimonio, sacro il benessere d'ogni uomo, ma sacro in sé,
per sé stesso [(1) Essenza del Cristianesimo, pag. 408]
Questo è un momento molto essenziale. Nel cattolicesimo le
istituzioni mondane possono venir "consacrate" ed anche "santificate"; ma,
senza la consacrazione religiosa, non sono sacre; mentre nel protestantesimo i
rapporti mondani sono "sacri per sé stessi", sacri
unicamente perché sussistono.
Con la consacrazione che conferisce la santità s'accorda benissimo
la massima gesuitica: "lo scopo santifica i mezzi".
Nessun mezzo è per sé stesso santo o non santo: bensì i suoi
rapporti con la Chiesa, l'utilità ch'esso ha per la Chiesa, lo rendono tale.
Tra questi mezzi c'è anche il regicidio; se esso era stato compiuto in prò
della Chiesa, poteva esser sicuro d'essere santificato, benché non apertamente.
Pel protestante la maestà è sacrosanta, pel cattolico non era tale
che quella consacrata dal pontefice, anche senza un atto speciale, una volta
per tutte. Se il papa revocasse la sua consacrazione, il re pel cattolico non
differirebbe da un altro uomo qualsiasi.
Se il protestante è intento a trovare anche nelle cose sensuali la
"santità", il cattolico tende a porre tutto ciò che è sensuale in un
luogo appartato, dove, al pari del resto della natura, continua a conservare il
suo valore.
La Chiesa cattolica sottrasse dal proprio Stato consacrato
l'istituzione mondana del matrimonio, e lo vietò ai sacerdoti; la Chiesa
protestante, all'incontro, dichiarò sacro il matrimonio e i legami coniugali,
quindi non li giudicò inadatti per religiosi.
Un gesuita, da buon cattolico, può santificar ogni cosa. Basta p.
es. ch'egli si dica: Io nella mia qualità di sacerdote sono necessario alla
Chiesa; ma la servo con maggior zelo, se posso soddisfare i miei desideri; per
conseguenza voglio sedurre quella ragazza, voglio far perire di veleno questo
mio nemico, ecc. Il mio fine è santo, perchè è il fine d'un sacerdote, quindi santifico
i mezzi. In fin dei conti tutto si risolve in maggior gloria della Chiesa.
Perchè il prete cattolico dovrebbe rifiutarsi ad offrire all'imperatore Arrigo
VII l'ostia avvelenata — per la maggior gloria della Chiesa?
I protestanti ortodossi levano alta la voce contro ogni
"divertimento innocente" sostenendo che solo le cose sacre, le spirituali possono essere innocenti.
Tutto ciò in cui non si può dimostrare la presenza dello spirito, deve essere
ripudiato: la danza, il teatro, le pompe (p. es. nelle chiese), ecc.
Di fronte a questo Calvinismo puritano il Luteranesimo
procede di preferenza sulla via religiosa, vale a dire sulla via
spirituale; esso è più radicale.
Il Calvinismo cioè esclude d'un tratto un gran
numero di cose, perchè sensuali e mondane, e purifica così la
Chiesa; il luteranesimo invece cerca di spiritualizzare quante
più cose gli è possibile, e così di far riconoscere lo spirito quale essenza
d'ogni cosa per modo da render sacro tutto ciò che è mondano.
Perciò riuscì al luterano Hegel (in un passo d'una delle sue opere egli dichiara
di "voler restar luterano" ) l'attuazione compiuta del pensiero
mediante il tutto. In tutto v'è la ragione: o — in altri termini — "il
reale è ragionevole". Il reale é, in verità, il tutto, poiché in ogni
cosa, persino nella menzogna, può venir scoperto il vero; non esiste una
menzogna assoluta, come non esiste il male assoluto, e così via.
Grandi opere dello spirito non furono create che dai protestanti,
poiché essi erano i veri discepoli e i veri zelatori dello spirito.
Quanto angusto è l'impero dell'uomo! Egli deve permettere che il
sole segua il suo corso, che il mare sollevi le sue onde, che i monti s'ergano
verso il cielo. E così egli si arresta impotente dinanzi all'invincibile.
Può egli schermirsi dall'impressione della propria impotenza di
contro a questo accordo colossale? Il mondo è la legge immutabile
alla quale egli è costretto di assoggettarsi; essa determina il suo destino.
A che cosa intendeva l'umanità precristiana? A rendersi libera
dall'imperversare dei destini, a non lasciarsene alterare. Gli stoici
raggiunsero questo fine coll'apatia durando indifferenti gli assalti
della natura, senza mostrarsene turbati. Orazio pronuncia il
celebre "Nil admirari", con cui egli manifesta anche
l'indifferenza dell'altro, del mondo; esso non deve aver
influenza su noi, non deve eccitare la nostra meraviglia. E il suo impavidum
ferient ruinae esprime la stessa incrollabilità, di cui
parla il salmo 46, 3: "Noi non temiamo, anche se dovesse crollare il mondo".
Tutto ciò apre la via alla tesi cristiana che il mondo è vano, sgombra cioè il
cammino al disprezzo del mondo proprio dei cristiani.
Lo spirito "incrollabile" del "savio" con cui
il mondo antico si adoperava alla propria affermazione finale, ricevette un
tale urto interiore dal quale non seppe proteggerlo nessuna atarassia,
e nemmeno il coraggio stoico.
Lo spirito, resosi sicuro contro ogni influenza del mondo,
insensibile ai suoi colpi, e superiore ai suoi assalti,
deliberato a non ammirare cosa alcuna, non poteva esser tratto dalla sua indifferenza
nemmeno dal crollare del mondo; — egli traboccava sempre. Imperocché nel suo interno
si sviluppavano dei gas (spiriti) e, cessati gli effetti dell' urto
meccanico prodotto dal di fuori, le tensioni chimiche eccitate
nel suo seno diedero principio alla loro attività meravigliosa.
Infatti la storia antica finisce il giorno in cui l'uomo acquista
nel mondo la sua proprietà.
"Tutte le cose mi furono consegnate da mio padre" (Matt.
II, 27). Il mondo ha cessato di esser per me ultrapossente, inconcepibile,
sacro, divino, ecc.; esso è "sdivinizzato" ed io lo tratto a mio piacimento,
di modo che, s'io potessi far miracoli, io vorrei esercitare su di esso tutta
la mia forza, (cioè la forza dello spirito), per spostare i monti, ordinare ai
gelsi di strappar da sé stessi le proprie radici dalla terra e di metter radice
nel mare" (Luca, 17, 6); atterrare, insomma, tutto ciò che può esser
pensato. Tutte le cose sono possibili per colui che crede [(1)MARCO, 9, 23].
Io sono il padrone del mondo: la sovranità m'appartiene. Il
mondo si è fatto prosaico, giacché ciò che era divino è scomparso; esso è mia
proprietà, della quale mi valgo a mio piacere.
Poiché l'Io era assorto al dominio del mondo,
l'egoismo aveva celebrato la sua prima e compiuta vittoria; egli aveva superato
il mondo, era divenuto senza mondo, aveva chiuso sotto chiave le conquiste
d'una lunga êra.
La prima proprietà, la prima signoria era stata conquistata!
Ma il signore del mondo non è per ciò ancora il signore dei propri
pensieri, dei suoi sentimenti, della sua volontà; egli non s'è reso ancora padrone e
dominator dello spirito, poiché lo spirito e ancor santo, è lo "spirito
santo" e il cristiano senza mondo non saprebbe essere il cristiano
senza Dio. Se la lotta antica era diretta contro il mondo,
quella del Medio Evo cristiano era combattuta dall'uomo contro sé stesso (lo
spirito). La prima era una lotta contro il mondo esteriore, questa fu un
combattimento contro il mondo interiore. L'uomo del Medio Evo è l' uomo "raccolto
in se stesso", pensante, pensoso. Tutta la pazienza degli antichi è
sapienza mondana, cosmologia; quella dei moderni è sapienza divina,
teologia.
Del mondo i pagani (anche i giudei tra altri), seppero aver
ragione: ma ormai si trattava di venire a capo di se stessi, di finirla con lo spirito,
di diventare, in una parola senza spirito e senza Dio.
Sin da quasi duemila anni noi ci affatichiamo a soggiogare lo
spirito santo, e coll'andar del tempo abbiamo distrutta e calpestata buona parte di santità; ma il
poderoso avversario si risolleva dinanzi a noi perennemente diverso, sotto
forme mutate, sotto nomi ad ora ad ora differenti. Lo spirito non cessò ancora
d'essere divino, non fu ancora sconsacrato, fatto profano. Vero è ch'ei non
aleggia più sulle nostre teste in forma di colomba, non predilige più soltanto
i suoi santi, ma si lascia dar la caccia anche dai laici. Ma col nome di
spirito dell'umanità, di spirito umano, cioè di spirito dell'uomo,
egli per me e per te continua ad essere uno spirito straniero,
ben lontano ancora dal diventare nostro esclusivo possesso, del
quale noi possiamo disporre a nostro piacere.
Tuttavia una cosa è avvenuta certamente, la quale ebbe azione
efficace sulla storia dei tempi che successero ai cristiani; la tendenza cioè
ad umanizzare lo spirito, ad avvicinarlo agli uomini, a trasformarlo
in umano.
Da ciò seguì ch'esso poté venir riguardato come lo spirito
dell'umanità e rendersi così più simpatico, confidenziale ed accostevole coi
nomi di umanità, umanesimo, amore degli uomini ecc.
Dovremmo credere dunque che ognuno potesse ora possedere lo
spirito santo, accogliere in sé stesso l'idea dell'umanità, incarnata in sé
stesso ?
No, lo spirito non è spogliato della sua santità e della sua
inaccessibilità, non è per noi raggiungibile, non è possesso nostro; poiché lo
spirito dell'umanità non è ancora il mio spirito.
Può essere un mio ideale e come tale io posso
vagheggiarlo in pensiero: è in mio possesso, ed io lo dimostro a sufficienza
col rappresentarmelo come meglio mi piace, oggi così, domani diversamente, nei
modi ad ora ad ora più differenti. Ma, in pari tempo, esso è un fedecommesso che
non mi è lecito alienare, e da cui non posso liberarmi.
Per effetto di lente mutazioni lo spirito santo d'un tempo si
trasforma nell'idea assoluta, la quale, a sua volta, per opera di
molteplici atti, si scinde nelle idee di amore del prossimo, di ragionevolezza,
di virtù civile, ecc.
Ma posso io chiamar mia l'idea, se essa è l'idea dell'umanità?
Posso io ritenere d'aver superato lo spirito, se io sono obbligato a servirlo,
a "sacrificarmi" a lui? Gli antichi presero possesso del mondo solo
quando n'ebbero infranta la strapotenza e la "divinità", e
riconosciutane la impotenza e la vanità.
Così è dello spirito. Quando io sono giunto a considerarlo come un
fantasma e a vedere nel dominio ch'egli ha su di me un ramo
di follia da parte mia, allora esso cessa di esser sacro e divino,
allora io mi servo di lui, come senza scrupoli ed a mio talento
mi servo della natura.
La "natura della cosa" il "concetto del
rapporto" devono servirmi di norma quand'io tratto quella cosa, quand'io
formo quel rapporto. Come se un concetto della cosa esistesse in sé e non invece
dalla cosa derivasse il concetto! Come se un rapporto, che s'inizia, non fosse
unico per il fatto che unico son io che lo penso! Come se
dipendesse dal modo con cui le terze persone lo definiranno! Ma alla stessa
guisa, che si separa l' "essenza" dell'uomo dall'uomo stesso, e
questo si giudica alla stregua di quella, così si distinguono dall'uomo le sue
azioni e le si apprezzano a seconda del loro "valore umano". I concetti
devono decidere in ogni cosa, regolar l'esistenza, dominare.
Questo è il mondo religioso al quale Hegel dette
un'espressione sistematica coll'introdurre il metodo in una cosa priva di senso
e col codificare i concetti in modo da ottenerne una dogmatica serrata
solidamente costrutta. Tutto in quel sistema viene misurato alla stregua dei
concetti, e l'uomo reale, vale a dire l' "io", è costretto a vivere
secondo quei concetti. Può darsi una più tirannica dominazione di leggi? e non
ha forse confessato il Cristianesimo sin dal bel principio, ch'esso
intendeva stringere ancor maggiormente il freno delle leggi mosaiche?
("Non una parola della legge deve andar perduta!").
Il liberalismo non fece che incidere le tavole di altri concetti,
umani invece che divini, e sostituire il concetto dello Stato a quello della
Chiesa, ai religiosi gli scientifici, o, per dir meglio, ai
"rozzi sistemi e alle grossolane istituzioni i concetti reali e le leggi
eterne".
Ormai solo lo spirito impera nel mondo e un numero infinito di
concetti affolla i cervelli; ebbene che cosa fanno quelli che tendono a
progredire? Essi negano quei concetti per metterne altri in lor luogo! Essi
dicono: voi vi siete formati un falso concetto del diritto, dello stato, dell'uomo,
della libertà, dell'onore; il vero concetto del diritto, dello stato,
dell'uomo, della libertà dell'onore è quello che noi vi proponiamo. E di questo
passo la confusione dei pensieri s'accresce.
La storia universale ci ha trattati crudelmente e lo spirito ha
raggiunto una forza onnipotente.
Tu sei tenuto a rispettare le mie miserabili scarpe, che
potrebbero proteggere i tuoi piedi nudi; il mio sale, che potrebbe servire a
condir le tue patate; e la mia carrozza di gala, il cui possesso ti trarrebbe
dall'indigenza; a tutto ciò tu non devi tender la mano. Tutte queste ed altre
cose senza numero l'uomo è obbligato a riconoscerle indipendenti, inaccessibili
ed intangibili, sottratte al suo potere. Egli deve rispettarle; e s'egli tenda
la mano bramosa verso di esse, noi diremo subito di lui ch'egli ha le mani
"lunghe".
Quanto miserabilmente scarso è il numero delle cose di cui ci è
rimasto il possesso! Poco più di nulla! Ogni cosa è stata collocata fuor dalla
nostra portata; nessuna cosa possiamo ardire di toccare, se non ci fu data;
noi non viviamo che della carità del donatore. Tu non puoi
raccoglier da terra nemmeno un ago, se non hai ottenuto da te stesso licenza di
poterlo fare. E da chi deve venirti codesta licenza? Dal rispetto!
Soltanto quand'esso te la cede in tua proprietà; solo quando tu puoi rispettarla
quale cosa tua propria, tu hai licenza di prendertela.
E, d'altro canto, tu non puoi concepire alcun pensiero, né
pronunciare sillaba, né commettere un'azione, che non ti sian suggerite dalla
moralità, dalla ragione o dall' umanità. Beata ingenuità dell'
uomo concupiscente! Senza misericordia si tentò di immolarti sull'altare delle
"prevenzioni".
Ma intorno all'altare sorge una chiesa e le sue mura si allargano sempre
più. Ciò ch'esse racchiudono è sacro. A te ne è vietato l'accesso: tu non puoi
più toccare le cose che vi si racchiudono. Gettando grida di dolore a cui ti
sforza la fame tu t'aggiri intorno a quelle mura a raccogliere le poche briciole
del profano, e sempre più s'allarga la cerchia. In breve quella chiesa abbraccerà
tutta la terra, e tu ne sarai respinto al margine estremo; un passo ancora ed il
mondo "sacro" avrà trionfato; tu precipiterai nell'abisso.
Sollecita dunque te stesso, finché n'è tempo; non vagare più inutilmente sul
terreno già falciato del profano, spicca il salto e di un balzo entra nel
santuario. Quando avrai consumato ciò che è santo,
tu l'avrai posto in tuo dominio! Digerisci l'ostia; ne sarai liberato.
Nessun commento:
Posta un commento