sabato 13 ottobre 2012

L’UTOPIA COMUNISTA




L’UTOPIA COMUNISTA


Il PROCESSO dialettico della storia si risolve nel comunismo, insegna Marx. La serie delle contraddizioni economiche si conchiude nell’annientamento di ogni contraddizione. La guerra di classe ed il contrasto degl’interessi porta alla scomparsa delle classi e alla conciliazione degli interessi nella società socialista. L’armonia universale è la meta finale della evoluzione sociale.

Ma perché tutto ciò? Perché dalla lotta deve nascere la pace, dal conflitto l’accordo, e dall’opposizione fra la tesi e l’antitesi deve hegelianamente prodursi la sintesi? Non potrebbe darsi che la lotta rimanesse eterna e che l’umanità travagliata si dibattesse fino al giorno della morte fra i tormenti dei contrasti economici e d’ogni altro genere? Il marxismo è fatalista. La prassi è volontarista. La volontà umana crea la storia ma la crea combattendo contro la volontà degli altri uomini che non si arrendono alla sconfitta e tornano alla riscossa. La tragedia umana, nata con Adamo o col pitecantropo, durerà fino all’ultimo uomo. L’Eden rimarrà il sogno dei sociologi sognatori che evadono dalla realtà per rifugiarsi nell’illusione.
Pertanto le utopie passate sono state, in un certo senso, anch’esse volontariste. Le città del sole erano un ideale, cioè una meta che la volontà si proponeva e cercava raggiungere. Platone e Campanella, Herzen e Bakunin tennero conto dell’uomo, del suo sentimento, del suo volere. Il marxismo afferma invece che l’armonia sociale è il prodotto fatale della storia, l’estremo termine cui arriveremo per effetto del determinismo economico ed indipendentemente dalla volontà umana.
Non si comprende allora perché i comunisti si sforzano di realizzare, con ogni mezzo, la loro società, quando potrebbero contemplarsi l’ombelico e attendere che la pera matura cadesse da sé.
Il comunismo dimostra che la concentrazione dei capitali ed il conflitto d’interessi fra borghesi e proletari, indurrà questi ultimi ad espropriare i primi e a statizzare i mezzi di produzione. Lo Stato proletario, super potente, investito di tutte le autorità e di tutte le mansioni, preparerà le condizioni necessarie alla sua soppressione. Quando tali condizioni saranno raggiunte anche lo Stato proletario scomparirà, come già saranno scomparse le classi; e dalla economia di Stato si passerà all’economia sociale, cioè alla socializzazione dei mezzi di produzione, al loro possesso ed uso da parte degli individui produttori associati, ed al consumo comune dei frutti del lavoro collettivo. Dal socialismo si passerà al comunismo, dalla formula « a ciascuno secondo il suo merito » all’altra « a ciascuno secondo i suoi bisogni, da ciascuno secondo le sue forze ». Sarà, in una parola, il comunismo a-statale di Bakunin, di Kropotkine, di Malatesta; solo che questi volevano giungere ad esso direttamente, mediante l’immediata abolizione dello Stato e della proprietà; Marx e i suoi seguaci ci vogliono invece arrivare attraverso lo Stato accentratore e la dittatura del proletariato.
Ma proprio qui è il nocciolo della questione. Potrà lo Stato bolscevico distruggere le classi ed impedire che ne sorgano altre, realizzando cosi la uguaglianza economica fra gli individui che, avendo raggiunto la parità nel benessere e nel lavoro, faranno a meno della direzione governativa e si reggeranno solidalmente e comunisticamente?
Marx e suoi discepoli rispondono di si. Io credo il contrario. Perché, ammesso l’egoismo umano e l’invincibile bisogno che l’individuo avverte di prevalere sugli altri, ne risulterebbe che quei proletari che sarebbero alla testa dello Stato e dovrebbero amministrare la ricchezza nell’interesse pubblico, finirebbero per usarla come loro proprietà personale, profittando dell’autorità che li consacrerebbe, delle leggi che promulgherebbero e delle baionette che li sosterrebbero. La proprietà statale diverrebbe praticamente la proprietà dei commissari del popolo, dei funzionari boriosi, dei pezzi grossi del mondo marxista; e si formerebbe una nuova classe privilegiata che deterrebbe la ricchezza e il potere e sfrutterebbe ed opprimerebbe la maggioranza del proletariato.
I papaveri rossi vorrebbero tenere, per sé, terre, ville e palazzi, e sfoggiare lusso e fare lavorare gli altri per loro, non solo per il godimento materiale di tutto ciò, ma anche per distinguersi ed affermare la loro superiorità sull’operaio della fabbrica e sull’umile contadino. Avverrebbe quel che è avvenuto in Russia dove Stalin e i suoi tirapiedi dispongono d’ogni cosa, della vita dei sudditi e dell’opulenza borghese; dove una casta di parvenus rapaci s’impingua col sangue dei lavoratori, li costringe a produrre fino all’esaurimento fisico e li sfrutta esosamente alla maniera schiavista. Chi protesta, chi reclama un trattamento più umano, riceve nello stomaco le pallottole dei fucili della polizia o, nella migliore delle ipotesi, finisce ai lavori forzati in Siberia. E lo Stato comunista, il famoso Stato del proletariato, non è altro che lo Stato despotico, burocratico e poliziesco che riabilita il defunto zarismo.
Il metodo marxista non conduce perciò alla soppressione delle classi e all’uguaglianza economica ma crea una nuova classe predatrice, in luogo della spodestata, e acuisce le disuguaglianze sociali. Né, d’altra parte, la socializzazione immediata, il comunismo diretto senza il preludio della statizzazione, porterebbe neanche esso alla livellazione perfetta e alla completa parità fra gl’individui collettivizzati.
Ammettendo che fosse possibile realizzare il comunismo libertario di Kropotkine, rimarrebbero nel seno della nuova società moltissimi uomini che non si contenterebbero di dare secondo le loro forze e di prendere secondo i propri bisogni, ma vorrebbero vivere a modo loro, tentare altre esperienze, creare altre forme sociali. Essi non si soddisferebbero mangiando, bevendo, divertendosi, lavorando con la comunità poche ore e dedicando le altre libere alle inclinazioni personali conformizzate dall’influenza ambientale. Non vorrebbero essere come tutti e fare ciò che tutti farebbero. La proprietà collettiva di ogni bene materiale ed il consumo comune li esaspererebbe anche se fosse la sorgente dell’abbondanza e del benessere generale. Essi griderebbero che l’uomo non è fatto per la vita del formicaio o dell’arnia, che i mammiferi si differenziano dagli insetti e che l’essere umano, anche quando ha distrutto le catene della proprietà privata, sacra ed inviolabile, e dello Stato che la protegge, cerca realizzare modi diversi di vita, forme opposte che talvolta si tollerano o si aiutano, ma altre volte cozzano l’una contro l’altra.
Invece la società comunista a-statale, ossia quella società a cui Marx vuole arrivare attraverso la dittatura del proletariato ed alla quale Kropotkine crede possibile giungere direttamente per mezzo della rivoluzione, è concepibile solo come un immenso gregge di montoni, legati fra di loro e costretti sempre a muoversi tutti insieme. Ed il legame che manterrebbe uniti i montoni è concepibile solo come un immenso gregge di montoni, sarebbe il comune spirito gregario, quello spirito che è nel fondo della nostra natura, che l’uomo ha ereditato dallo scimpanzé socievole da cui egli, secondo Kropotkine, discende, e che solo le condizioni, anormali ed innaturali, create dalla società, passata e presente, sono riuscite ad attenuare, suscitando le diversità, le opposizioni e le lotte fra gl’individui umani. Ma quando la società attuale crollerà e l’influenza degenerante ch’essa esercita sugli uomini scomparirà definitivamente, allora, per effetto delle nuove condizioni (imposte con la forza dalla dittatura del proletariato, secondo Marx, o accettate volontariamente dagl’individui socievoli, secondo Kropotkine), lo spirito gregario si ridesterà e si rinvigorirà, la comune essenza umana prenderà il sopravvento sull’originalità personale e infine la distruggerà. Quindi il monismo ed il conformismo più assoluti si instaureranno nell’umanità, tutti accetteranno spontaneamente un solo sistema sociale ed economico, il comunismo, e seguiranno una stessa norma di pensiero ed una stessa regola di condotta. Non vi sarà più bisogno dello Stato e delle leggi che costringono, quando tutti vorranno la medesima cosa ed agiranno in modo uguale. Le ultime rare e patologiche rivolte individuali saranno soffocate dalla massa unanime ed il pesante grigiore del gregarismo trionfante costruirà, sui cadaveri delle personalità ormai distrutte, il nuovo e grottesco tipo dell’uomo collettivo.
Fortunatamente quest’aspirazione del comunismo è destinata a rimanere eternamente irrealizzata perché, per natura, l’uomo non è tutto di un pezzo, tutto bestia da gregge. Esso è invece un essere contraddittorio, con tendenze e bisogni, sociali ed antisociali, che si conserveranno in ogni forma di vita. Quindi il marxismo non sfocerà nel pecorismo universale, ma praticamente, non andrà oltre lo stalinismo che, in luogo dell’indistinta moltitudine senza classi e senza Stato, crea un nuovo Stato elefantiaco, retto despoticamente da una classe di parvenus, crudeli e rapaci. E il kropotkinismo, se un giorno si realizzerà, metterà capo alla Comune autonoma in cui la norma di condotta non sarà stabilita dall’unanimità dei consensi, ma bensì dal volere della maggioranza imbonita dai demagoghi e dai maestri d’imbrogli. Naturalmente questa maggioranza, riunita nell’areopago, fulminerà l’ostracismo contro coloro che non si conformeranno al suo tenore di vita. E tutto andrà come nella città greca e nel Comune del medioevo dove la fazione più forte opprimeva e bandiva l’altra nemica.
Però, siccome fra le comuni autonome nascerebbero inevitabilmente contrasti, rivalità e guerre, per evitare queste sciagure si cercherà federarle. E nascerà cosi la Federazione delle Comuni, retta da un Comitato di coordinazione che segnerà a tutte la linea da seguire e l’imporrà, con la forza, a quelle riottose .Dunque si avrà un altro potere centrale e, in nome dell’anarchia, il nuovo Stato anarchico.
Il comunismo, marxista o kropotkiniano, di qualunque genere e di qualunque marca, non potrà mai attuare il conformismo universale ed il mondo dei fantocci uguali. Ma, per mantenersi, dovrà sempre basarsi sulla imposizione e la violenza, la sbirraglia e la galera.

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Ammettendo però, contro ogni verosimiglianza, che il conformismo economico, imposto dal comunismo, potesse diventare la realtà di domani, riuscirebbe esso a fare scomparire ogni attrito e ogni conflitto e a realizzare pienamente l’armonia universale ?
I marxisti credono di si perché, secondo il loro semplicismo materialista, gli uomini sono tante pecore uguali dominate soltanto dal bisogno del ventre; e quando tutti hanno la pancia piena, vivono in pace e si trovano sempre d’accordo.
Io invece sono convinto del contrario, avendo dell’uomo una diversa concezione.
Infatti se pur fosse possibile eliminare le cause economiche che spingono gl’individui gli uni contro gli altri armati, la guerra durerebbe ancora essendovi altre cause, antropologiche e psicologiche, che determinano i contrasti. Oggi io sono costretto a pugnare contro i miei simili per un tozzo di pane e una femmina. Domani il comunismo mi riempirà lo stomaco ed il libro amore metterà a disposizione della mia lascivia tutte le donne delle quali avrò desiderio. Ma, malgrado ciò, io continuerò a battermi per fare trionfare le mie idee contro quelle altrui, o perché sarò invidioso della forza o dell’intelligenza del vicino, o anche perché m’inspirerà antipatia. Il cozzo delle passioni e degli ideali genera fra gli uomini odi ben più implacabili di quelli che nascono dal cozzo degli interessi. Un sentimento o una fede, un’inclinazione contrariata o una convinzione combattuta, possono spingere alla pugna meglio che la sete dei godimenti materiali. Ed è vano dire che quando saranno risolte le contraddizioni degli interessi economici e si procederà ad un’organizzazione razionale della vita, l’uomo perderà gl’impulsi antisociali e armonizzerà spontaneamente con i suoi simili. Invece l’uomo non è determinato dall’interesse e dalla ragione, come credono i materialisti e i razionalisti: egli è un essere estremo, antinomico ed irrazionale, ha sentimenti diversi ed opposti, passioni ardenti e contraddittorie e vuole soddisfarle tutte, vuole fare il bene quando sente fare il bene e il male quando sente fare il male. L’uomo pretende la libertà ma questa non è il primato della ragione sull’oscuro fondo psichico, ma invece è la libertà del capriccio, della fantasia ,dell’istinto, la libertà romantica, individualista, che si ribella al giogo della ragione e del benessere obbligatorio.

Un grande psicologo che ha sondato le profondità abissali dello spirito, Dostoevskij, ha scritto a tale proposito:
« C’è un caso in cui l’uomo si propone coscientemente delle sciocchezze, delle assurdità: ed è per avere il diritto di desiderare l’assurdo e di non essere legato dalla necessità di desiderare solo quello che è ragionevole. Allora questo capriccio, questa cosa assurda, è per noi più vantaggiosa di qualunque altra cosa. Essa ci è utile anche se ci procura un male evidente, se contraddice le conclusioni più sane dei nostri giudizi concernenti i nostri interessi, perché, in tutti i casi, tutela quello che per noi v’è di più essenziale e di più caro, vale a dire la nostra personalità e la nostra individualità (1) ».
La vita non è retta da leggi razionali od economiche, non è regolata da contegnose formule inamidate o da fredde teorie deterministiche, ma « è un’inesauribile sorgente d’imprevisto e di sempre nuova ricchezza, forza tumultuosa e feconda che va al di là dei prognostici e dei programmi umani, per affermarsi secondo un suo ritmo segreto ».
L’uomo non è tutto d’un pezzo, non è tutto logico o utilitario, ma è un essere problematico e misterioso che si rivela in modo continuamente nuovo perché si abbandona alle diverse ed opposte passioni che prorompono dal suo fondo oscuro. La ragione non riuscirà mai a disciplinare queste passioni come mai riuscirà a sottomettere la vita alle sue regole. Nietzsche ha detto che «le passioni cattive ed antisociali, odio, invidia, cupidigia, spirito di dominazione esistono profondamente, essenzialmente nella vita (2)»; e Dostoevskij ha insegnato che «la natura umana non è riducibile alle operazioni della ragione. Vi sarà sempre un resto d’irrazionalità che sarà la sorgente della vita».
Perciò l’armonia sociale è una vana chimera. Nel mondo non s’istaurerà mai quel regno di «vigliacchi felici» dei quali parla Lecomte de Lisle con disprezzo. L’uomo ha bisogno della lotta per sviluppare completamente la sua personalità, per temprarsi nel pericolo, per osare e trionfare. E quanto più ricca e complessa è la sua anima tanto più si abbandona ad impulsi contrari e si batte per cause sante come per cause malvagie, tripudiando nella libertà arbitraria dell’uomo sotterraneo di Dostoevskij o del superuomo di Nietzsche.
Quelli che vogliono imporre il bene universale e pretendono trasformare il mondo in un Eden sono come il Grande Inquisitore nei «Fratelli Karamazov»: dei tiranni fanatici che violentano la vita, opprimono l’umanità e versano fiumi di sangue per la realizzazione di un impossibile sogno.
L’idea della fratellanza universale ha avuto al proprio servizio gli auto-da-fe e la ghigliottina: oggi ha il colpo alla nuca della Ghepeù (3).
Stalin discende da Torquemada.


(1) P. Dostojewski, Lo spirito sotterraneo.
(2) F. Nietzsche. Al di là del bene e del male
(3) Oggi la polizia politica russa ha cambiato nome. Ma è sempre la stessa cosa.





Enzo Martucci "La setta rossa"
 

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