giovedì 18 ottobre 2012

DEL PALLIDO DELINQUENTE



DEL PALLIDO DELINQUENTE

Voi non volete uccidere, giudici e sacrificatori, prima che la vittima non abbia accennato col capo? Ecco, il pallido delinquente, ha accennato: gli parla negli occhi un grande disprezzo.
«Il mio Io è qualcosa che deve essere superato: il mio Io è il mio grande disprezzo dell'uomo». Così dice il suo sguardo.
Il suo momento supremo fu quello nel quale egli giudicò sè medesi
mo: non lasciate che il sublime ricada nella bassezza!
Non v'è altra redenzione, per chi soffre tanto a causa di sè, che una sùbita morte.
Il vostro omicidio, o giudici, dev'essere compassione e non vendetta. E mentre uccidete badate a giustificare la vita!
Non basta riconciliarvi con colui che uccidete. La vostra tristezza sia l'amore del superuomo, così vi giustificherete di sopravvivere!
«Nemico» dovete dire, ma non «scellerato».
«Malato» dovete dire, ma non «furfante»; «demente» ma non «peccatore».
E tu, rosso giudice, se volessi dire ad alta voce tutto ciò che hai già commesso nei tuoi pensieri: ognun griderebbe «via questa immondizia e questo veleno!».
Ma altra cosa è il pensiero, altra cosa l'atto, ed altra l'imagine dell'atto. La ruota della causalità non gira tra di esse.
Un'imagine rese pallido quell'uomo. Egli era degno della sua azione allorchè la commise: ma non ne sopportò l'imagine allorchè l'ebbe compiuta.
Rivide sempre sè stesso quale autore d'un fatto. Io chiamo questo follia; l'eccezione divenne natura.
Una linea paralizza la gallina: il colpo da lui eseguito paralizzò la sua povera ragione – io chiamo ciò follie dopo l'atto.
Udite, o giudici! Vi è ancora un'altra follia: è quella prima dell'atto. Ah, voi non penetraste a fondo in quell'anima!
Così parlò il rosso giudice: «Perchè questo delinquente ha ucciso? Voleva rubare». Ma io vi dico: la sua anima era assetata di sangue, non di rapine: egli aveva sete della voluttà del coltello.
Ma la sua ragione non comprendeva una tale follia e lo persuase. «Che importa il sangue? disse; non vuoi tu almeno, in questo momento, rubare? O fare vendetta?».
Ed egli ascoltò la sua povera ragione: le sue parole pesavano su di lui come piombo – e allora rubò mentre uccideva. Egli non voleva vergognarsi della sua follia.
E nuovamente pesava ora su di lui il piombo della sua colpa, e una volta ancora la sua povera ragione è così intorpidita, così paralizzata, così pesante.
Potesse egli almeno scuoter la testa, crollerebbe il suo peso: ma chi scuote quel capo?
Che cos'è quest'uomo? Una quantità di malattie che agiscono mediante lo spirito sul mondo esteriore e vogliono farsi un bottino.
Che cos'è quest'uomo? Un groviglio d'irrequieti serpenti che di rado si sopportano insieme – allora vanno, ognuno da sè, a cercare la preda nel mondo.
Guardate questo povero corpo! Ciò ch'egli sofferse e bramò, cercò di comprendere la povera anima, – e comprese la brama assassina e il desiderio della voluttà del coltello.
Chi è oggi ammalato viene colpito dal male che oggi è delitto: egli vuol far soffrire con ciò chi lo fa soffrire.
Ma vi furono altri tempi, e un altro bene, e un altro male.
Una volta il dubbio era male e la volontà indipendente.
Allora il malato diveniva eretico e strega, soffriva e voleva far soffrire.
Ma questo non giunge ai vostri orecchi: mi dite che ciò nuocerebbe a quelli che son buoni fra voi. E che m'importa dei vostri buoni!
Molte cose nei vostri buoni mi disgustano e, in verità, non il male. Ma io vorrei che essi avessero una follia onde perire, come questo pallido delinquente!
Questo vorrei, che la loro follia si chiamasse verità o fedeltà o giustizia: ma essi hanno le loro virtù per poter vivere a lungo in miserabile contentezza.
Io sono l'argine di un fiume: m'afferri chi può afferrarmi!
Ma non sono la vostra gruccia.

Così parlò Zarathustra.
F. Nietzsche

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