Le simpatie di molti compagni per il nuovo Partito Comunista d'Italia fondato a Livorno nel Gennaio 1921, che sembrava aver tolto la fiaccola della rivoluzione dalle mani di un partito socialista sempre più diviso, spaventato ed incerto sul da farsi, e un profondo rancore per le beghe che dividevano e paralizzavano il loro movimento, spinsero un gruppo di
anarchici a staccarsi da "Umanità Nova" per fondare un giornale proprio.
Il primo numero de "L'Individualista", periodico anarchico quindicinale, uscì a Milano il Primo Febbraio 1921. La sua sede era in viale Vigentina, dove abitava Ugo Fedeli. Redattore responsabile: Eugenio Macchi.
Gli anarchici de "L'Individualista" così si presentarono nel primo numero del loro giornale:
"Noi siamo un gruppo di giovani operai che, mentre i partiti discutono di quale società si ornerà il mondo, pretendono la libertà dell'individuo all'infuori e contro ogni società. Noi vogliamo instillare, nell'istinto di ogni individuo, il germe della verità e dell'indipendenza. E verso nessun sole dell'avvenire i nostri sguardi sono attratti, ma sulla realtà del momento che fugge, sull'attimo che noi viviamo, perchè noi non possiamo vedere oltre la nostra vita, e i nostri sforzi sarebbero inutili, se tesi a consumarsi in una speranza che domani una società meglio costituita potesse raccoglierci in una vita eternamente felice".
Secondo "taluni anarchici pettegoli", "L'Individualista" sarebbe sorto in odio a "Umanità Nova" e a "Nichilismo", altro periodico anarchico milanese fondato l'anno prima.
"Qualcuno di noi ha osato, apriti cielo!, fare considerazioni piuttosto pessimistiche sulle condizioni del movimento anarchico in Italia, e specialmente a Milano, malgrado l'esistenza o forse proprio per l'esistenza di "Umanità Nova". E taluni di noi, in date circostanze, sono stati trattati tutt'altro che con camaraderie da alcuni di "Umanità Nova" e di "Nichilismo". Se è vero che noi, allo stato attuale delle cose, non sdilinquiamo di passione per "Umanità Nova"; se è vero che quasi tutti noi abbiamo in un primo tempo dato tutta la nostra solidarietà e il nostro appoggio a "Nichilismo", e in seguito tale appoggio e tale solidarietà abbiamo cessata; tutto ciò non autorizza nessuno, assolutamente nessuno a prestarci delle intenzioni che noi qualifichiamo senz'altro ignobili e che per conseguenza noi non possiamo avere. Noi siamo individualisti, ma non di quelli passati attraverso il nulla per finire nel rivoluzionarismo di moda- e qui il riferimento e la polemica nei confronti di spregevoli personaggi del calibro di Carlo Molaschi appare evidentemente palese, n.d.r.- e rimaniamo individualisti poichè siamo di quelli che l'individualismo considerano ancora e sempre la migliore essenza dell'anarchismo che non sia cucinato ad uso e consumo delle unioni, delle leghe, delle organizzazioni etc. etc."
Scontenti dei compagni e dei loro giornali, questi anarchici dissidenti ed eresiarchici; scontenti dell'apatia del movimento, ridotto a battersi per la liberazione di Malatesta, il quale si trovava in carcere dall'Ottobre 1920, e a compilare elenchi di vittime politiche destinati soltanto ad allungarsi; scontenti, insomma, un po' di tutto, alla maniera degli individualisti di un tempo; scontenti e nauseati al punto di proporsi di restare "fuori della mischia".
Così si leggeva infatti sul numero del Primo Marzo 1921:
"Nella lotta tra fascisti e socialisti noi anarchici individualisti comprendiamo vieppiù la necessità di rimanere neutri. Non sono che contese altrui. Noi abbiamo un naturale ed istintivo ribrezzo pel fascismo e lo odiamo. Ma come possiamo correre in aiuto a queste organizzazioni in pericolo, a questi organizzati aggrediti, se essi stessi si mostrano sempre indifferenti quando gli anarchici, imprigionati e perseguitati in mille guise per un ideale di giustizia che dovrebbe essere pure il loro, malgrado gli appelli insistenti, quasi umilianti alla loro solidarietà, furono abbandonati così vilmente alla loro sorte? I fascisti difendono una causa senza ideale; gli organizzati difendono un ideale senza causa; ma gli uni e gli altri difendono esclusivamente i proprii interessi".
Intorno a "L'Individualista" al principio del 1921, come l'anno prima intorno a "Nichilismo", si raccolse un gruppo di anarchici amareggiati dalle delusioni del dopoguerra le cui posizioni, improntate ad uno sdegno aristocratico e virtuoso, hanno il senso di un ritorno ai principi dell'individualismo più puro.I fondatori de "L'Individualista" non celano la propria nostalgia per i tempi in cui "gli anarchici erano ancora pochini pochini" ma "votavano meno ordini del giorno ed agivano di più".
Ugo Fedeli Di "Nichilismo", l'organo che, almeno inizialmente, si proponeva di affermare i principi individualisti anarchici nel campo della lotta sociale, di resistere alla degenerazione socialista del movimento anarchico italiano, contrastando fondamentalmente il Malatestismo e i suoi derivati, e di tentare di dare vita ad un movimento artistico-letterario, dal carattere schiettamente anarchico, Ugo Fedeli era stato una colonna.
All' "Individualista" lo seguirono Pietro Bruzzi, l'esaltatore del gesto di Bruno Filippi in Galleria Vittorio Emanuele, e Francesco Ghezzi. I tre erano accomunati da un grande e rischioso atto di rivolta, disperato e pienamente individuale, che avevano commesso sprezzanti delle conseguenze a cui andavano incontro: la diserzione in tempo di guerra, attuata da loro in modo esemplare, come ad indicare una via a tutti i giovani ribelli, senza coordinazione o legame alcuno rispetto al Movimento Anarchico Ufficiale, in quegli anni in completa rotta e scompaginato, soprattutto per una dura repressione, ma anche nondimeno per viltà ed inettitudine.
Pietro Bruzzi scriveva, sempre sul numero del Primo Marzo 1921 della rivista:
"Io penso che il presente periodo storico sia tale per noi da non lasciare adito a nuove illusioni avveniristiche. La famosa imminente rivoluzione che continua a battere alle porte sembra ormai...disgustata dalla poca dignità dei suoi vaticinatori, e il periodo squisitamente rivoluzionario pare oggi tramutarsi in periodo altrettanto squisitamente reazionario. La presunta situazione rivoluzionaria in realtà è stata esagerata, forse senza volerlo, attraverso una visuale accecata dalle passioni di classe e dal fanatismo politico"
e dopo avere invitato i compagni a formare collettività anarchiche, colonie, gruppi, "positive, pratiche realizzazioni", concludeva:
"Qualcuno dei nostri ha lanciato l'idea di un giornale quotidiano e lo sforzo compatto e sostenuto degli anarchici e dei simpatizzanti riuscì allo scopo. Ora il quotidiano domanda mezzo milione di lire. E' una somma favolosa per gli anarchici; eppure in breve tempo è già quasi un fatto compiuto. Io non penso, lo dissi altre volte (e i fatti mi confermano nella mia opinione), che un quotidiano anarchico, anche se provvisto di mezzi, possa servire a gran che per l'incremento del movimento anarchico poichè la sua opera rimane pur sempre nel campo teorico e astratto; ma poichè gli anarchici sono capaci di escogitare immensi mezzi per un'opera di importanza così relativa, perchè non saprebbero trovarne altrettanti, se non di più, per un'opera di necessità immediata e assoluta?"
Più secchi e apocalittici i contributi di Francesco Ghezzi.
Il 16 Marzo 1921 scrisse:
"Nessuna riforma è possibile tra le mura nere delle officine. Il fuoco ci vuole, il sabotaggio più spietato, la diserzione più ostinata".
Di questa rivista dopo il 1921 si perdono le tracce. E così ebbe termine l'iniziativa, o perlomeno essa si arenò, si dissolse nel Nulla dal quale era sorta, per quel che ne sappiamo.
Siamo gli scismatici e gli scomunicati dell'Anarchia.
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