BREVIARIO
DEL CAOS
(parte quinta)
Per un
paese che fa la Storia, ce ne sono più di venti che la subiscono, e in questi
venti ogni partito, quale che sia, è il partito dello Straniero, si proclamasse
pure nazionalista. Le nazioni che non fanno più la Storia non comprendono ciò
che sta accadendo loro, il caos è il loro destino, le loro glorie non glielo
evitano, così come le loro virtù non le premuniranno dal piombare in quello
stupore che è la loro sorte. Le poche nazioni rimaste indipendenti si accollano
il futuro del mondo, potevano molto un tempo, potranno sempre meno. Il ruolo
della fatalità si accentua e lo stupore è l'ombra che essa getta: un giorno la
loro sorte sarà la stessa della maggioranza dei popoli, la loro forza non
servirà a nulla, il loro privilegio sarà soltanto immaginario, la Storia,
insomma, diventerà la passione di tutti. Quanti anni ci vorranno, fra quanto
tempo saremo ridotti immancabilmente all'impotenza, i primi in testa? Allora il
peggio sarà assicurato, e anche se salveremo le apparenze dell'ordine andremo egualmente
al caos, accecati dalla buona fede, sempre più dispotica, e confortati da una
tradizione sempre più assurda.
Il
Nazionalismo è un morbo universale, da cui si guarirà con la morte dei frenetici,
non possiamo durare in un mondo sempre più angusto con idee così dannose,
quindi dovremo perire. Lo storico di domani dirà che la natura si è vendicata
dei popoli comunicando loro un senso di vertigine e che il Nazionalismo è una
frenesia simile a quella che si impossessa delle società animali divenute
troppo numerose. Siamo troppo numerosi e vogliamo morire, ci serve un pretesto
nobile ed eccolo trovato, è l'accordo, il più perfetto che ci sia, tra possesso
e alienazione, esso ci permette di stimarci moltiplicando all'occorrenza gli
atti più spregevoli, ci inebria di noi votandoci al sacrificio, ci rende candidamente
mostruosi, autorizza le nostre virtù a fregiarsi dell'attributo di tutti i vizi
e - quel che è meglio - sceglierà per noi ciò che desideriamo e non osiamo scegliere.
Siamo perduti senza scampo, il morbo non risparmia più nessuna nazione, e tutti
i paesi si assomigliano perfino in quella specie di furore che li contrappone e
li aizza a scannarsi l'un l'altro.
Poiché
nessuna nazione vuol dimenticare ciò che essa chiama la sua storia, e che il
più delle volte non ha nulla da spartire con la Storia, bisognerà che un giorno
tutte vi rinuncino. L'ultimo vincitore disarmerà lo spazio e il tempo,
confischerà i mezzi e le idee, le pretese e i ricordi, le forme e i contenuti,
si dichiarerà unico legatario di cinquanta secoli, dimostrerà che lui è la
ragione d'essere della specie umana e che il dovere di cento popoli è quello di
abdicare, egli ne sterminerà alcuni, deporterà la maggior parte degli altri e
dappertutto si vedrà una miriade di uomini dei quali sarà lui l'unico padrone.
Giacché la semplicità è inconcepibile a un prezzo minore, e nonostante il
pullulare delle differenze che si scatenano sotto i nostri occhi il futuro è
della semplicità, noi andiamo di disordine in disordine all'ordine ultimo e di
carneficina in carneficina al disarmo morale, pochi salveranno e pochi saranno
salvati, frattanto la massa di perdizione si eclisserà, portandosi nell'abisso
i problemi insolubili. Il Nazionalismo è l'arte di consolare la massa del fatto
di essere solo massa e di presentarle lo specchio di Narciso: il nostro futuro infrangerà
quello specchio.
Il
compiacimento ha bisogno di spazio, e lo spazio è quello che più mancherà al
mondo, stiamo entrando in un mondo angusto, non lo abbiamo ancora capito,
dobbiamo rinunciare ai ricordi, quando ci inorgogliscono, e alle illusioni,
quando occupano troppo posto. E' da supporre che le nazioni non lo faranno
spontaneamente, tale rifiuto è presagio di innumerevoli orrori, l'ultimo
vincitore non avrà più giudici sopra di lui, e se in un solo giorno sterminasse
un miliardo di esseri umani nessuno glielo rimprovererebbe. Giungere a un
accordo sui partiti da prendere non serve al futuro, il futuro taglierà corto,
i suoi attributi saranno la violenza e la semplicità, noi fingiamo di non
accorgercene, i nostri filosofi gareggiano nel computo dei miracoli e mai si
sono ritratti così bene davanti alla concatenazione più logica e di fronte ai
corollari più rigorosi. La paura delle parole aumenta, e questo prova che attribuiamo
loro un potere che smentiamo giorno per giorno nella gestione delle cose,
abbiamo in spregio là loro accezione e ne distorciamo il senso, salvo poi
tremale dinanzi alle ragioni chiare e distinte.
Siamo
diventati frivoli e la frivolezza non è di buon auspicio, i nostri giudizi
risentono della paura che ci divora e che neghiamo, forse in mancanza di altre
risorse. I nostri padri a volte si permettevano di apparire tragici, ma era
perché non vivevano come noi nell'ombra della morte, parlavano della fine del
mondo sentendo in cuor loro che molte generazioni li separavano da un finale
che noi sappiamo essere vicino. I nostri padri immaginavano ciò che invece a
noi è concesso vedere, la loro ipotesi é ormai la nostra tesi, essi potevano
scegliere tra morire e vivere, mentre noi stiamo già sopravvivendo. Da un
momento all'altro quell'evento, verso il quale la Storia sta andando da oltre
cinquemila anni, da un momento all'altro potrebbe iniziare a verificarsi
scagliandoci fuori da ogni evidenza, da un momento all'altro sarebbe la fine
della nostra identità, il crepuscolo in pieno giorno, il chiudersi della
parentesi e la confusione dei tempi che urtano contro l'intemporale e
all'improvviso si spaccano. Proprio perché la morte incombe noi ci premuriamo
di esorcizzare la nostra evidenza, i nostri padri ne cercavano soltanto la promessa
e ne trovavano soltanto i presagi.
La
voce profonda che percepiscono tutti coloro che non sono sordi ci mette in
guardia su quanto ci attende, sappiamo che il male è senza rimedio e che
credere nel miracolo è un'empietà, sappiamo che non risaliremo la china e che
saremo lieti di discenderla pei ragioni in apparenza plausibili, sappiamo che
stiamo per scoppiare da un polo all'altro e perire nell'incendio che ci
preparano le nostre idee al pari dei nostri mezzi. Presto il caos sarà il
nostro denominatore comune, lo portiamo in noi e lo troveremo simultaneamente
in mille luoghi, dappertutto il caos sarà il futuro dell'ordine, l'ordine già
non ha più senso, non è più altro che un meccanismo vuoto e noi ci logoriamo
nel perpetuarlo perché ci voti all'irreparabile. Innalziamo un tempio alla Fatalità,
lo onoriamo di sacrifici e non è lontano il momento in cui offriremo noi
stessi, il mondo è pieno di gente che sogna di morire, trascinando gli altri
nella morte. Sembrerebbe quasi che gli uomini in soprannumero distillassero un
veleno che si spande sull'universo e rende l'ecumene inabitabile. Perciò
l'Inferno, lungi dall'essere il nulla, è la presenza.
Lo
scotto della morale e della fede è la presenza umana moltiplicata all'infinito
e divenuta l'Inferno dell'uomo. Questo ci dimostra altresì che la morale non
vale niente e che la fede non è divina, entrambe sono al servizio dei nostri
padroni, e noi non abbiamo peggiori nemici di coloro che ci dominano. Ai
padroni occorrono schiavi, più numerosi sono gli schiavi e più i padroni si
arricchiscono, ogni mezzo è buono purché le donne siano feconde e nascano
bambini, lo spopolamento sarebbe la loro rovina, preferiscono che l'universo
scoppi, l'arrestarsi del movimento - che salverebbe il mondo - avrebbe luogo a
loro danno. Noi quaggiù siamo vittime dei nostri aguzzini, e quando crediamo di
obbedire a Dio, obbediamo a uomini, uomini che ci portano al caos e non ci
preservano dalla morte, uomini ignoranti, uomini impotenti, ma che ci incutono rispetto,
in nome delle tradizioni che ci impongono. Giacché le nostre autorità non sanno
niente, non possono niente, non valgono niente, non ci risparmiano niente, e
non sanno far altro che cullarci nelle fandonie, al solo scopo di conservare i
privilegi acquisiti e di perpetuare il proprio dominio.
Le
nostre sedicenti autorità religiose e morali non servono che a disarmarci di
fronte alla nostra evidenza, si oppongono all'ingegno dei nostri mezzi perché
esso le renderebbe sorpassate, non vogliono farci uscire di tutela, non pensano
che a perpetuale gli errori che le accreditano, ci predicano la sottomissione e
la confusione, ormai la loro opera non fa che accrescere le sventure del mondo.
Se moriremo nell'ignominia, la colpa sarà loro, giacché ci tradiscono come
respirano, sono per noi palle al piede che scambiamo per fondamenti che ci sostengono,
immolarle ci avrebbe resi liberi, e non abbiamo osalo troncare con loro al
momento propizio. Sicché la fedeltà ci danna e l'obbedienza ci condanna, è
troppo tardi e non ripareremo a nulla, non scanseremo più la catastrofe, e la
nostra massima consolazione, al momento di morire, sarà di veder morire sotto i
nostri piedi coloro che ci trascinano nel precipizio e che calpesteremo
soccombendo, per estinguete ad un tempo il loro ricordo e il loro seme. Non vi
saranno che vittime, domani, e questa è la giustizia della Storia.
Le
nostre religioni sono i cancri della specie e non ne guariremo che da morti,
moriremo perché le nostre religioni periscano, la catastrofe inghiottirà i
preti insieme con i loro fedeli, i resti dell'umanità sopravvissuti in mezzo
alle rovine si accaniranno sulle pietre rimaste. Rido al vedete le nazioni
mantenere e restaurare gli edifici da cui ebbe origine la loro morte
spirituale, in tempi nei quali si dovrebbe ripensare l'universo; rido al vedere
cento popoli divenire conservatori delle loro antichità immaginarie o reali, in
balia della prossima catastrofe; rido al veder contendere al nulla i templi da
cui il nulla trae la propria sopravvivenza, e dichiaro che tutto morirà, gli
uomini al pari delle pietre, le pietre al pari degli uomini. Domani la morte
celebrerà le sue nozze con il caos, e noi stiamo già adornando le loro tavole,
è per la loro festa che sgobbiamo, i nostri edifici sono le testimonianze che
appariranno in mezzo alla carne dei popoli immolati, tagliati a fette, bolliti
e arrostiti, il cui cuore palpiterà d'amore dinanzi alle cortesie della
Provvidenza, e che contempleranno, nell'ora dell'agonia, il vuoto che credevano
divino.
Fino a
oggi, di solito il vuoto si trasformava, poiché gli dèi prendevano il suo
posto. Ora, per la prima volta gii dèi non nascono più dal vuoto, il vuoto
resta cinti che è, gli uomini lo contempleranno nella sua integrità, tutto il
mondo assumerà i suoi tratti e ciò che se ne differenzia andrà svanendo perché
rimanga solamente il vuoto. E l'ora della purezza, dobbiamo rallegrarcene, non
vi perderemo che la nostra Storia e tutto quanto a essa si richiama, le nostre
religioni ispirate e i nostri pretesi imperativi eterni, che invece non sono
mai stati altro che storici. Da perdere non abbiamo che la Storia e tutto
quanto alla Storia si riallaccia, preferiamo il vuoto e plaudiamo alla sua
venuta, esso è la letizia che ci illumina nell'ora della nostra morte. Sicché
approviamo l'irreparabile, nostro vendicatore supremo, il clamore di agonia
delle nazioni è la musica dei nostri funerali, l'ordine e i suoi difensori si
disgregano sotto i nostri occhi, e noi li chiuderemo quando essi saranno in
cenere, moriremo i più consolati fra gli uomini, perché siamo stati i soli a
rinunciare alle opere di menzogna di cui i fedeli si pascono.
Siamo
puniti per non aver bruciato ciò che adoravamo, ma i nostri discendenti, dopo
la catastrofe, adoreranno tutto ciò che abbiamo bruciato. E noi sembreremo
allora pazzi pericolosi, i nostri dèi altrettanti mostri, i nostri dogmi orrori
e i nostri imperativi incubi, si domanderanno se non fossimo dei posseduti e
avranno ragione, giacché bisogna essere posseduti per strisciare davanti a ciò
che noi divinizziamo. La malattia e la menzogna informano i nostri misteri e
l'intreccio delle nostre leggende sembra un delirio, ma non usciremo che
folgorati da questo letamaio spirituale, fatto a immagine dei nostri fiumi
inquinati, siamo divenuti impuri a forza di nitrire dietro la purezza, abbiamo
ripristinato il sacrificio umano, e tale è il nostro smarrimento che non
comprendiamo le nostre azioni. Che cosa può capitarci di peggio, ormai, che
restare quali siamo? E il nulla stesso è poi la giusta pena per le nostre»
colpe? O non ci meritiamo doppiamente quella morte che non basta a estinguerle?
Il vuoto è buono, il vuoto è santo, e coloro che vorrebbero fosse consustanziale
al male desiderano perpetuare il male ed essere perpetuati dal male in feria.
Un
mondo che fosse rimasto pagano non avrebbe violentato la natura, i Paganesimi
la consideravano divina, di norma adoravano alberi e sorgenti; anziché sul
tempo, posto dalle religioni cosiddette rivelate al centro dei loro dogmi, i
Paganesimi ruotavano sullo spazio e, salvo eccezioni, preferivano la misura
alla trascendenza e l'armonia a ogni altra cosa. Le religioni sedicenti
rivelate hanno instaurato fra noi il fanatismo, e quella cristiana, che lo ha
spinto all'estremo, ha divinizzato la Follia, glorificato l'incoerenza e
legittimato il disordine, in nome di un maggior bene. Finché queste tesi
spaventose non disposero che di mezzi senza portata, gli uomini le accettarono,
ma da quando le nostre opere sono in sintonia con esse, avvertiamo l'enormità
dei nostri imperativi e, ancor più, la loro demenza. L'idea dell'incarnazione è
la più mostruosa, e il futuro vi cercherà la causa efficiente dei nostri
paradossi insolubili, uno dei suoi effetti è lo stupro della natura, al quale
la trascendenza ci prepara e che l'odio per il mondo legittima: non si deve mai
dimenticare che per i Cristiani Mondo, Carne e Diavolo formano un'Antitrinità.
Che
cosa importa se i Cristiani alla moda rifiutano di sottoscrivere le tesi che
enuncio e se, i teologi per primi, cercano di sottrarsi alle loro conseguenze!
Non faranno che accrescere il disordine, e nel labirinto dei loro paradossi si
smarriranno ancor a di più, volendo riparare all'irreparabile. I.'irreparabile
è cosa fatta, lo spirito dì dismisura, che fu quello della Chiesa, è ora quello
del mondo, la verticalità dei dogmi è completamente esplosa in tutti i sensi, e
comunicandosi allo spazio altera le sue dimensioni. Qualche tempo fa vi furono
pensatori che si compiacquero di tale sconvolgimento, ve ne furono anche tra
gli ecclesiastici, che glorificarono lo stupro dell'ecumene nella speranza di una
spiritualità nuova. E invece ci stiamo dirigendo verso l'animalità, finiremo
per incappare nella disumanità, nonostante le omelie e nonostante le
professioni di fede, sbagliamo a ritenerci peccatori, siamo soltanto automi
spermatici: l'uomo non è e non è mai stato quello che la Chiesa ci insegna.
Bisogna sia ridefinire l'uomo sia riconsiderare il mondo, ma ormai è troppo
tardi anche solo per pensarci.
I
nostri discendenti, dopo la catastrofe, ridotti a qualche infima porzione dell'umanità
attuale, onoreranno le sorgenti e gii alberi, sposeranno la Terra con il Cielo,
giudicheranno abominevole l'idea di sacrificio e sacrilega l'idea della
trascendenza, ripristineranno tutto ciò che le religioni rivelate hanno
abolito: la prostituzione sacra e la promiscuità rituale, il culto della
generazione e l'adorazione dei suoi simboli, la ierogamia e i saturnali.
Prenderanno l'uomo per quello che non ha cessato di essere e non per quello che
dovrebbe essere, non ricadranno nelle illusioni del profetismo, rinunceranno a
perfezionare un automa imperfettibile, capiranno che la spiritualità non è
appannaggio della quantità e che l'errore sta nel comunicare uno stesso
insegnamento a tutti, sulla falsariga delle religioni cosiddette rivelate. E
meglio che la maggioranza resti idolatra e carnale, il male ha inizio quando la
biasimiamo per questo e la costringiamo a mentirci mentendo a se stessa, è
meglio che i semplici associno le divinità al piacere piuttosto che alla penitenza,
e che l'orgasmo sia pei loro ciò che è la transustanziazione per i Cristiani.
Sono
ormai secoli e millenni che sbagliamo rotta, e adesso dobbiamo pagare, il
disincanto non basta a redimerci, e non è in nostro potere ritrovare il
Paradiso che abbiamo perduto, prima di esaurire quanto l'Inferno ha di più
caotico e di più tenebroso. Oggi siamo rimasti ancora talmente ciechi da
nutrire un vero amore per coloro che persistono a fuorviarci, continueremo a
perdonarli nonostante i loro crimini e i loro errori, aderiamo immancabilmente
al loro insegnamento assurdo e marciamo sotto il loro bastone come se essi
fossero pastori e noi spregevoli animali. Eppure ci condurranno al precipizio,
questi uomini infallibili che noi reputiamo divini, da generazioni prendono
abbagli e noi ci rifiutiamo di capirlo, sacrifichiamo loro i nostri interessi e
perfino il nostro onore, presto immoleremo loro il nostro futuro, la Storia conosce
poche follie così accese. I sopravvissuti dell'ultima catastrofe mediteranno
sul nostro accecamento, vi vedranno l'annuncio della fine a cui siamo
destinati, vi ravviseranno una logica di cui noi non sospettiamo la posta.
Dalla
logica non usciamo, e in questo universo, a quanto pare sempre più assurdo, non
ci domandiamo più se abbiamo meritato la sorte che non possiamo eludere, a
questa sorte ci preparano le nostre tradizioni e ci votano le nostre idee, a
essa ci riconsegna la nostra obbedienza dopo uno scatto di ribellione, a essa
ci destinano le nostre abitudini dopo un'evasione senza domani. Sicché noi
vogliamo ciò che vogliamo, nei limiti della nostra capacità di comprendere noi
stessi, e vogliamo ciò che i nostri padroni vogliono, fosse pure in nostra
vece. Non possiamo improvvisare, mentre il nostro interesse ce lo impone, e ci
stringiamo, più risoluti, attorno a ciò che ci disgrega, non osiamo troncare
con ciò che ci trascina, e ci illudiamo che il sacrificio faccia miracoli.
Stavo per dire che ci sacrifichiamo? Le convenienze erano infallibili e a tempo
e luogo non vi verremo meno, ci immoleremo per i nostri dèi morti e i nostri
idoli tarlati, è un atto che ci fa sentire importanti, e non appena ci dissanguiamo
per una causa le facciamo credito senza badare a ciò che nasconde.
L'ideale
prende il posto dell'istinto e l'impulso a morire innumerevoli che afferra
pesci e insetti, roditori e ruminanti, s'impadronirà di noi attraverso
l'ideale, incaricato di imbrogliarci. Proprio quando ci sentiamo più degni di
stima e più disinteressati, proprio quando smaniamo per ciò che ci trascina e
facciamo sogni di immortalità, proprio allora ci spogliamo di quanto ci rendeva
umani e discendiamo la china. L appunto questo il tragico della faccenda e la
suprema abiezione - che ci attende da un giorno all'altro -, non sfuggiamo alle
leggi generali, e queste leggi a loro volta rimandano a quelle che reggono le
società animali, troveremo la chiave dei nostri comportamenti negli abissi
sotto i nostri piedi, mai sopra le nostre teste. L'ideale è il riflesso
dell'istinto, dovesse pure sembrare il suo opposto, la sua forza sta
nell'ignominia della sua genesi come nel piacere che proviamo ad abbandonarci
alle nostre inclinazioni dietro nobili pretesti, noi chiediamo all'ideale di
infiorare l'orgasmo e di coprire la prostrazione che gli fa seguito. L'uomo
gode per qualsiasi cosa e perfino nel consegnarsi al rogo.
Siamo
condannati, e quelli di noi che lo sanno non possono più farsi ascoltare, e
anche se potessero, preferirebbero mantenere il silenzio. A che serve ormai
predicare ai sordi e disilludere i ciechi? Forse che impediremo loro di
perseverare nel movimento che li travolge? Stiamo andando dritti al futuro più
orribile, che comincerà dall'oggi al domani, ci ritroveremo in esso senza
nemmeno capire quel che ci accade, non ci resterà che morire disperati
nell'universo inabitabile. Gli uomini si facevano guerra per il possesso del
suolo, domani si ammazzeranno fra loro pei accaparrarsi l'acqua, e quando verrà
a mancarci l'aria, ci scanneremo per respirare in mezzo alle rovine. Noi
aspettiamo che la scienza faccia miracoli e presto ne esigeremo l'impossibile,
ma essa è superata dalle nostre necessità e mai più sarà in grado di
soddisfarle, siamo in molti miliardi di troppo a chiedere il Paradiso in Terra,
ed è l'Inferno quello che rendiamo inevitabile, con l'aiuto della nostra
scienza, sotto il bastone dei nostri pastori imbecilli. II futuro dirà che gli
unici chiaroveggenti erano gli Anarchici e i Nichilisti.
Fu
quando l'uomo stava per raggiungere la felicità e intravedeva un futuro senza
malattie e senza miseria, senza lavoro ingrato né terrore, giusto agli albori
di questo secolo, fu allora che avvenne l'irreparabile e ritornarono le forze
del passato, più trionfanti che mai, portate dalla fiumana degli uomini in
soprannumero. Sono bastate due generazioni perché la popolazione dell'universo
raddoppiasse, ne sono bastate tre perché triplicasse, crescerà di sette volte
durante la quarta e le nostre autorità religiose e morali, colle alla
sprovvista, non hanno saputo che divagare e cercare di guadagnar tempo,
ingarbugliando l'enunciato dei nostri problemi: questa colpa non sarà mai loro
perdonata, esse saranno colpevoli di fronte all'avvenire, hanno preferito il
proprio dominio alla felicità della specie umana, e quando potevano disilludere
le nazioni e comunicare loro l'ingegno dei nostri mezzi, non sono servile che a
fuorviarle di più e a disarmarle in modo così miserevole che niente eguaglia
ormai la nostra impotenza. Perciò gli Anarchici e i Nichilisti hanno ragione,
hanno ragione a respingere l'ordine cosiddetto morale, l'ordine per il caos in
nome della morale.
Ci
occorre una Rivelazione nuova e che proclami il superamento di quelle che
osserviamo, ma quelle che osserviamo sono in vigore, il loro peso di morte si
unisce alla Fatalità, che ci annienta, ordine e caos formano un tutto che non
riusciamo a infrangere. Gli Anarchici e i Nichilisti sono gli ultimi uomini
ragionevoli e sensibili fra i sordi, che marciano, e i ciechi, che militano, ma
non basta aver ragione nel secolo attuale, né basta essere sensibili per
cambiare qualcosa, bisogna sostituire l'ordine con un ordine e non con un
disordine, e la morale con una morale, non con l'immoralità, e cosi la fede con
una fede, non semplicemente con un vuoto, e gii dèi morti con le divinità nascenti.
Non abbiamo bisogno di agitatori, abbiamo bisogno di profeti, abbiamo bisogno
di genii religiosi adatti ai nostro tempo, alle nostre opere, perché tutti
quelli di cui veneriamo la memoria, nessuno escluso, sono superati, sono tutti
superati, e coloro che vi si appellano li tradiscono. Nessuna tradizione ci
protegge dal futuro, perché il futuro non ha precedenti e l'universo non ha più
ripari.
Poiché
gli uomini, per la maggior parte, non sono usciti dall'infanzia, hanno bisogno
di una Rivelazione per ogni minimo atto della vita, sono gli dèi, in ultima
analisi, che devono esortarli a non essere fecondi, se la fecondità minaccia la
sopravvivenza della nostra specie: né i poteri civili né le accademie piene di
scienziati famosi avranno mai tutta l'autorità che solo gii dèi concentrano
sopra di loro. Ora, i nostri dèi predicano o la continenza o la fecondità, noi
non vogliamo saperne né dell'una né dell'altra, vogliamo che la carne abbia
diritto al suo piacere in quanto tale e che il piacere diventi grato agli dèi
quanto agli uomini, vogliamo che gli dèi siano associati al piacere e che gii
uomini credano di onorarli quando godono. Ci occorre una Rivelazione nuova, e
per un nuovo Paganesimo, un nuovo Paganesimo salverà gii uomini, che le
religioni cosiddette rivelate fallirò smarrire nel labirinto dei loro paradossi
ormai insostenibili, paradossi ormai illegittimi, paradossi ormai assurdi. E la
fecondità, e non la fornicazione, a distruggere l'universo, è il dovere, e non
il piacere.
Invece di
aspettare che gli uomini diventino maggiorenni, e non sappiamo se si
decideranno mai a esserlo; invece di cercare di illuminarli su problemi
insolubili e su paradossi indefinibili, che né gli scienziati né i logorroici
risolveranno e definiranno; invece di fare appello alla coscienza, che non
hanno; invece di fare appello alla buona volontà, che è solo fanatismo; invece
di fare appello alla buona fede, che è solo fanatismo; invece di fare appello
alla buona lede, che è solo allucinazione approvata; invece di sperare nel
miracolo, che è poi quello a cui in definitiva si riduce tutto quanto precede,
bisogna agire come se tutto dovesse morire, bisogna prepararsi a sopravvivere
alla catastrofe, bisogna pensare ai resti che sussisteranno nell'universo
inabitabile, bisogna considerare la massa di perdizione irrimediabilmente
perduta, e non ragionare più se non tenendo conto della sua transitorietà.
Quello che affermo sembra disumano, ma disumano il secolo lo sarà sempre di più,
e i sermoni non modificheranno questa sua peculiarità, gli uomini potranno pure
assieparsi nei templi, ciò non toglie che i templi finiranno per crollate, e
sulla testa dei fedeli, nell'ombra della morte comune.
Albert Caraco
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