La
gran parte dei processi a carico dei compagni hanno finora avuto come base
imputazioni specifiche: rapine, imbrattazioni di edifici o altro, occupazioni
abusive, manifestazioni spontanee, resistenza e oltraggio, furtarelli...
I
compagni hanno risposto. quasi sempre, mobilitandosi su due livelli in certo
qual modo simpatetici e complementari: da un lato la denuncia degli obiettivi e
metodi di polizia, carabinieri e magistratura; dall'altro l'utilizzo degli
avvocati che sul piano strettamente tecnico riuscissero a dimostrare
l'estraneità dei compagni ai “delitti” loro attribuiti, nonchè la pretestuosità
ed artefazione delle “prove” a loro carico. All'occasione non si è mancato di
ricorrere anche al rito abbreviato, o ad argomentazioni concilianti ed
umanitarie, facendo leva, ad esempio, sulla giovane età dei compagni, sulle particolari
circostanze,sulle attenuanti del caso...
Pur se
bisogna convenire che spesso una tale strategia non ha impedito la comminazione
di pesanti condanne, che scrive queste righe non ha affatto nulla da dire con
chi effettua,ha effettuato ed effettuerà una simile scelta.
A
parte questo,però,è evidente che una tale impostazione presenta dei “limiti”
giganteschi per non dire giganti contraddizioni nel momento in cui la si
applica tal quale a processi come quello in corso a Roma contro una cinquantina
di compagni e compagne.
Nel
caso di accuse specifiche. e cioè di reati specifici, l'esito processuale può
essere determinato, in piccola o grande misura, da quella sorta di compromesso
dovuta da un lato all'apertura mentale dell'autorità giudicante, che riscontra,
dall'altro lato, la buona volontà, o predisposizione dei giudicanti in funzione
della conservazione dell'ordine costituito.
Tale
compromesso non potrebbe scaturire, invece,nei processi più propriamente
politici in quanto mirano a far fuori dal consorzio sociale il nemico dello
Stato-capitale, il sovversivo, l'anarchico in quanto tale e non perchè si è
reso responsabile di questo o quel reato specifico.
La
finalità che il potere persegue in processi simili è l'eliminazione diretta del
nemico dichiarato e, in prospettiva, la riduzione a zero anche dei margini di
“libertà” e di azione “alla luce del sole” di cui dispongono tutte le forze di opposizione
rivoluzionaria presenti nel sociale.
L'attacco
di questa portata richiede una risposta che sia contrattacco, controffensiva
che sia il proseguimento della dichiarata guerra totale all'assetto poliziesco-giudiziario
e politico-economico.
Una
risposta in sintonia con queste veloci considerazioni è stata espressa già da
alcuni degli imputati, consapevoli che di fronte ad un procedimento penale di
simile portata non si può assumere alcun atteggiamento di formale docilità e
acquiescenza :sarebbe un accorto e tartufesco atteggiamento di formale
riconoscimento-osservanza – dietro il pretesto della difesa tecnico-giudiziaria
– della legalità e della legge.
E che
senso potrebbe avere il lottare, in quanto ANARCHICI, contro lo Stato, per poi
riconoscergli in certo qual modi il diritto di giudicarci, peraltro con il
nostro consenso?
Tantomeno
possiamo condividere giochi di prestigio come quello di far difendere in modo
miserevole e vittimista, l'anarchia e l'anarchismo dai propri avvocati, salvo
poi affermare che ciò sarebbe nientaltro che la strategia tecnico-difensiva del
proprio legale!
E'
evidente che se non siamo in grado di difendere noi IL NOSTRO ANARCHISMO e le
sue ragioni, nessun altro potrà mai farlo, tantomeno nelle aule dei tribunali.
Ciò
non significa affatto che non ci si voglia difendere. Significa bensì che non è
accettabile il discorso secondo cui “cosi fan tutti”; non siamo affatto
disposti a prostituire in una qualsiasi farsa giudiziaria quelle che sono le
nostre proprie ragioni di vita, e quindi il nostro stesso ESSERE ANARCHICI
RIBELLI.
D'altro
lato, una cosa è che l'avvocato riesca a dimostrare la nostra estraneità ad un
fatto,ad un avvenimento ben individuato; ben altra cosa è che il legale renda
appetibile e gradevole ai giudici – perchè sterilizzato nei suoi momenti sovversivi
e radicali – il nostro anarchismo, in vista di scansare, a torto o a ragione, poco
o tanto tempo di galera.
Dal
momento che la repressione,il carcere sono parte intima,connaturata e
permanente dello Stato-capitale, mettiamo in conto l'una e l'altro,sapendo bene
quanto ci costerebbero se qualcosa ci va male. Ciò che vuol dire che in
qualsiasi situazione, dentro o fuori dalle galere, miriamo a lottare, quindi a difenderci, essendo difesa e lotta la
medesima cosa, fidandoci esclusivamente nei nostri mezzi ed energie.
Costantino e Pierleone
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