sabato 6 ottobre 2018
La Rivoluzione che Viene
La revoluciòn que viene, scritto da Ted in spagnolo, pubblicato nell’autunno 2004, edizioni El Martillo de Enoch, Granada, Spagna
Tratto da “Contro la civiltà tecnologica”, Nautilus, 2006. Traduzione a cura di Gino Vatteroni e Matteo Lombardi.
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Tutto il nostro esaltato processo tecnologico,
e in generale la civilizzazione, può essere paragonato a un’ascia
nelle mani di un criminale patologico
Albert Einstein (1)
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1. Si sta preparando una grande rivoluzione; una rivoluzione mondiale. Consideriamo l’origine delle due più importanti rivoluzioni dell’epoca moderna: quella francese e quella russa. Durante il XVIII secolo la Francia era retta da un governo monarchico e da un’aristocrazia ereditiera. Questo regime aveva le sue origini nel Medioevo ed era fondato su valori e concetti feudali, valori e concetti idonei ad una società agricola e guerriera, in cui il potere si basava principalmente sulla cavalleria pesante che combatteva con la lancia e con la spada. Il regime si era modificato durante i secoli via via che il potere politico andava concentrandosi nelle mani del re. Però manteneva certi tratti che non variavano: era un regime conservatore in cui una classe tradizionale ed ereditiera si accaparrava il potere e il prestigio.
Nel frattempo il ritmo dell’evoluzione sociale si accelerava e intorno al XVIII secolo aveva raggiunto una rapidità inusitata. Sorgevano tecniche,strutture economiche e idee nuove a cui il vecchio regime francese non sapeva far fronte. L’importanza crescente del commercio, dell’industria e della tecnologia esigevano un regime flessibile e capace di adattarsi ai rapidi cambiamenti; e pertanto una struttura politica e sociale in cui potere e prestigio appartenessero a chi li meritava per le proprie doti e per i suoi successi, non a chi li aveva ereditati. Allo stesso tempo nuove conoscenze, insieme a nuove idee che arrivavano in Europa come risultato dei contatti con altre culture, stavano scalzando i vecchi valori e credenze. I filosofi del cosiddetto illuminismo stavano esprimendo e dando una forma definitiva ai nuovi aneliti e alle nuove inquietudini, e in questo modo si sviluppava un sistema di nuovi valori incompatibile con quelli vecchi. Nel 1789 la Francia era sotto il dominio di un regime antiquato che non avrebbe potuto cedere ai nuovi valori senza distruggersi, dato che era impossibile realizzare questi valori senza prescindere dal dominio di una classe ereditiera. Essendo la natura umana quella che è, non sorprende che quelli che appartenevano al vecchio regime abbiano rifiutato di rinunciare ai loro privilegi per cedere il passo al cosiddetto “progresso”. Cosicché la tensione tra i valori vecchi e quelli nuovi continuò ad aumentare finché non scoppiò una rivoluzione.
La situazione pre-rivoluzionaria della Russia assomigliava a quella francese, salvo che il regime russo era ancora più antiquato, arretrato e rigido di quello francese; inoltre, in Russia esisteva un movimento rivoluzionario che lavorava ostinatamente per abbattere il regime e i suoi vecchi valori. Dato che ovviamente gli zar e quelli più interni al regime rifiutarono di sacrificare i loro privilegi, il conflitto tra i due sistemi di valori non era conciliabile, e la conseguente tensione aumentò finché non si produsse una rivoluzione.
Il mondo d’oggi si sta avvicinando ad una situazione analoga a quella di Francia e Russia prima delle loro rispettive rivoluzioni. Erano i valori legati al cosiddetto “progresso” –vale a dire alla smisurata crescita tecnologica ed economica – quelli che, sfidando i valori dei vecchi regimi, produssero le tensioni che portarono alle rivoluzioni francese e russa. Quei valori adesso hanno finito per essere i valori di un altro regime dominante: il sistema tecno-industriale che oggi regge il mondo. E stanno nascendo altri nuovi valori che a loro volta cominciano a sfidare i valori del sistema tecno-industriale. I nuovi valori sono totalmente incompatibili con i valori tecno-industriali, di modo che la tensione tra i due sistemi di valori non può diminuire attraverso delle concessioni reciproche. E’ sicuro che i partigiani della tecnologia non cederanno volontariamente ai nuovi valori. Il farlo significherebbe sacrificare tutto quello per cui vivono; morirebbero prima di cedere. Se i nuovi valori si diffondono e si rafforzano quanto basta, la tensione aumenterà a tal punto che l’unico risultato possibile sarà una rivoluzione. E ci sono motivi per credere che i nuovi valori si diffonderanno e si rafforzeranno.
2. L’ingenuo ottimismo del XVIII secolo ha fatto credere a qualcuno che l’avanzamento della tecnologia avrebbe portato a una specie di utopia in cui gli esseri umani, liberati dalla necessità di lavorare per il sostentamento, si sarebbero dedicati alla filosofia, alla scienza, alla musica,alla letteratura e alle altre arti. Inutile dire che le cose non sono andate così.
Nel discutere di come sono andate le cose, farò riferimento in special modo agli Stati Uniti, che sono il paese più tecnologicamente avanzato del mondo. Man mano che gli altri paesi industrializzati avanzano, tendono a seguire delle strade parallele a quella degli Stati Uniti. Così si può dire, a sommi capi e con alcune riserve, che dove si trovano adesso gli Stati Uniti si troveranno nell’avvenire gli altri paesi industrializzati.
Invece di adoperare i loro mezzi di produzione tecnologici per procurarsi del tempo libero, in modo da intraprendere lavori intellettuali e artistici, gli uomini d’oggi si impegnano per lottare per lo status, il prestigio e il potere, e per accumulare beni materiali che non gli servono se non come giocattoli. Il tipo di arte e di letteratura in cui è immerso il moderno nordamericano medio è quella che offrono la televisione, il cinema, le riviste e i romanzi popolari; non è proprio quello che pensavano gli ottimisti del XVIII secolo. Nei fatti la cultura popolare nordamericana è ridotta al semplice edonismo, un edonismo di tipo particolarmente spregevole. L’arte “seria” esiste, ma è propensa alla nevrosi, al pessimismo e al disfattismo.
Come c’era da attendersi, l’edonismo non ha portato la felicità. La vacuità spirituale della cultura edonista lascia molte persone profondamente insoddisfatte. La depressione la tensione nervosa e l’ansia patologica si diffondono (2), ragion per cui moltissimi nord-americani fanno ricorso a droghe (legali e illegali) che alleviano tali sintomi oppure modificano in un modo o nell’altro i loro stati d’animo. Altri indizi della malattia sociale nordamericana sono ad esempio la frequente incapacità di dormire o mangiare normalmente, o il maltrattamento dei bambini. E tra quei nordamericani che sembrano essersi adattati meglio alla vita moderna regna un atteggiamento cinico verso le istituzioni della loro stessa società.
Questa insoddisfazione cronica e la malsana condizione psicologica dell’uomo moderno non sono una parte normale e inevitabile dell’esistenza umana. Senza idealizzare la vita dei popoli primitivi od occultare i fatti poco graditi dal punto di vista moderno, quale l’alto indice di mortalità infantile oppure, in alcune culture, con spirito guerresco e violento, ci sono motivi per credere che l’uomo primitivo fosse molto più soddisfatto del suo modo di vivere e che soffrisse molto mno di problemi psicologici rispetto al nordamericano moderno. Ad esempio nelle culture dei cacciatori-raccoglitori, prima che fossero rovinate dall’intrusione della società industriale, il maltrattamento dei bambini quasi non esisteva (3). Ci sono indizi che in queste culture ci fosse pochissima ansia o tensione nervosa (4).
E non si tratta soltanto del danno inflitto dalla società moderna agli esseri umani; bisogna tener conto anche del danno inflitto alla natura, che è la nostra madre e che attrae, incanta e offre l’immagine della bellezza massima e più affascinante, anche gli uomini moderni che di tanto in tanto entrano in contatto con essa. La distruzione del mondo naturale e selvatico è un peccato che inquieta, turba e fa perfino orrore a molte persone. Tuttavia non c’è bisogno di discutere della devastazione della natura, dal momento che i fatti sono molto ben conosciuti: il suolo coperto sempre più da asfalto invece che d’erba, il ritmo enormemente accelerato di estinzione delle specie, l’avvelenamento dell’acqua e dell’atmosfera, e come risultato di tutto questo, l’alterazione sistematica del clima stesso della Terra, le cui conseguenze ultime non sono prevedibili e potrebbero risultare funeste… (5)
La qual cosa ci ricorda che la crescita sfrenata della tecnologia minaccia la sopravvivenza stessa della razza umana. La società umana e il suo ambiente mondiale costituiscono un sistema di somma complessità e, in un sistema tanto complesso come questo, in generale le conseguenze di un determinato cambiamento non si possono prevedere (6). E la tecnologia moderna sta operando profondissimi cambiamenti, nella società umana come nel suo ambiente fisico e biologico. Che le conseguenze di simili cambiamenti siano imprevedibili è dimostrato non solo attraverso la conoscenza teorica ma anche con l’esperienza. Ad esempio nessuno avrebbe potuto prevedere in anticipo che i moderni cambiamenti, per vie che non sono ancora state determinate con certezza, avrebbero causato un’epidemia di allergie (7).
Quando un sistema complesso e più o meno stabile viene perturbato tramite un cambiamento significativo, di solito i risultati sono destabilizzanti e di conseguenza dannosi. Ad esempio, si sa che le mutazioni genetiche degli organismi viventi sono, tranne un numero insignificante, quasi sempre dannose; tranne in rari casi, non sono affatto benefiche per l’organismo. In modo simile, quanto più grandi sono le “mutazioni” che la tecnologia sta introducendo nell’”organismo” che è la biosfera (l’insieme di tutti gli esseri viventi della terra), tanto più grandi risultano i danno che queste tendono a produrre. In questo senso nessuno, se non un mentecatto, può negare che la continua introduzione di cambiamenti sempre più grandi nel sistema uomo-terra, per mezzo del progresso tecnologico, sia estremamente pericolosa, arrischiata e temeraria.
Ciononostante, io non sono di quelli che redicono un disastro fisico e biologico su scala mondiale, che nel giro di pochi decenni abbatta d’un colpo il sistema tecno-industriale nel suo complesso. Il rischio di un disastro simile è reale e grave, però per adesso non sappiamo se effettivamente accadrà. Tuttavia se non sopraggiunge un disastro di questo genere è praticamente certo che arriverà un disastro di un altro tipo: la perdita della nostra umanità.
Il progresso tecnologico non solo sta cambiando l’ambiente dell’essere umano, la sua cultura e il suo modo di vivere, ma sta per cambiare anche l’essere umano stesso. Perché l’uomo è in gran parte un prodotto delle condizioni in cui vive.
Nel futuro, supponendo che continui lo sviluppo del sistema tecnologico, le condizioni in cui l’uomo vivrà saranno tanto profondamente diverse dalle condizioni in cui ha vissuto prima che tenderanno a trasformare l’uomo stesso.
L’anelito alla libertà, la passione per la natura, il coraggio, l’onore, l’onestà, l’amicizia e tutti gli altri istinti sociali… fino all’arbitrio stesso: tutte queste qualità umane, tenute in massima considerazione fin dagli albori della razza umana, si sono evolute attraverso i millenni perché erano idonee e utili nelle circostanze primitive in cui viveva l’uomo. Però ai giorni nostri il cosiddetto “progresso” sta cambiando così tanto le circostanze della vita umana che le qualità umane un tempo vantaggiose stanno diventando obsolete e inutili. Di conseguenza stanno per scomparire o per trasformarsi in qualcosa di completamente diverso e a noi estraneo. Questo fenomeno si può già osservare:tra la classe media statunitense il concetto di onore è praticamente scomparso, il coraggio è tenuto in bassa considerazione, l’amicizia manca quasi sempre di profondità, l’onestà sta decadendo (8) e la libertà sembra sia giunta ad identificarsi, nell’opinione di qualcuno, con l’obbedienza alle regole. E si tenga presente che questo non è che il principio dell’inizio.
C’è da supporre che l’uomo continuerà a cambiare ad un ritmo accelerato, poiché si sa che l’evoluzione di un organismo è molto veloce quando il suo ambiente si trasforma improvvisamente. E ancora: l’uomo sta trasformando se stesso, così come gli altri organismi viventi, mediante la biotecnologia. Oggi negli Stai Uniti vanno di moda i cosiddetti “designer babies” (bebé progettati). Una donna che desideri un bebé con caratteristiche date, ad esempio intelligenza, capacità atletica, capelli rossi o alta statura, stipula un accordo con un’altra donna che possieda i tratti desiderati. Costei dona un ovulo (di solito in cambio di una somma di denaro – ci sono donne che si dedicano a questo genere di commercio) che viene impiantato nell’utero della prima donna in modo che al nono mese dia alla luce un bebé che abbia – si spera – le caratteristiche desiderate (9). Non c’è alcuno dubbio che, man mano che la biotecnologia avanza, si arriverà a progettare dei bebé con sempre maggiore efficacia attraverso modificazioni genetiche degli ovuli e degli spermatozoi (10), di modo che l’uomo assomiglierà sempre più a un prodotto programmato e fabbricato, al posto di una libera creazione della natura. Oltre al fatto che, a nostro giudizio, ciò sia estremamente offensivo nei confronti di chi dovrebbe essere una persona, le sue conseguenze sociali e biologiche saranno molto profonde e imprevedibili; pertanto con ogni probabilità funeste.
Però può darsi che alla lunga quelle non saranno più importanti, perché è assai probabile che gli esseri umani un giorno arriveranno ad essere obsoleti. Ci sono diversi scienziati che credono che nel giro di pochi decenni gli esperti di informatica saranno riusciti a produrre delle macchine la cui intelligenza sarà superiore a quella dell’uomo. Se è così gli esseri umani diventeranno inutili e superflui, ed è prevedibile che ciò prescinderà da loro (11).
Anche se non è sicuro che ciò accadrà, è certo che l’avanzamento folle e avventato della tecnologia e la smisurata crescita economica lo stanno sconvolgendo completamente, ed è a mala pena possibile concepire che il risultato possa non rivelarsi funesto.
3. Nei paesi che sono da più tempo industrializzati, come l’Inghilterra, la Germania e soprattutto gli Stati Uniti, si sta diffondendo la consapevolezza che il sistema tecnologico ci conduce sulla via del disastro.
Quando io ero bambino, negli anni cinquanta, in pratica tutti quanti accoglievano con piacere o persino con entusiasmo il progresso, la crescita economica e soprattutto la tecnologia, e credevano senza riserve che fossero semplicemente utili. Un tedesco che conosco mi ha detto che in quel periodo in Germania regnava lo stesso atteggiamento nei confronti della tecnologia, e c’è da supporre che regnasse in ogni altra parte del mondo industrializzato.
Però con il passare del tempo questo atteggiamento sta cambiando. Inutile dire che la maggior parte delle persone non ha alcun atteggiamento nei confronti della tecnologia, perché non si prende il disturbo di riflettere su di essa; semplicemente la accetta senza rifletterci. Tuttavia negli Stati Uniti e tra le persone che riflettono – quelle che si prendono il disturbo di pensare seriamente ai problemi della società in cui vivono – l’atteggiamento nei confronti della tecnologia è profondamente cambiato e continua a cambiare. Quelle che si entusiasmano ancora per la tecnologia in generale sono quelle che sperano di trarre da essa qualche profitto particolare, come ad esempio gli scienziati, gli ingegneri, i militari e i dirigenti delle multinazionali. L’atteggiamento di molte altre persone è apatico o cinico: sanno quali pericoli e quale decadenza sociale porti con sé il cosiddetto progresso, ma li considerano inevitabili e pensano sia inutile cercare di resistervi.
Eppure c’è un numero crescente di persone, specialmente tra i giovani, che non sono così pessimiste o passive. Non vogliono accettare la distruzione del loro mondo e cercano nuovi valori che le liberino dal giogo del sistema tecno-industriale esistente (12). Questo movimento è ancora informe e poco coeso: i nuovi valori sono ancora vaghi e mal definiti. Però, man mano che la tecnologia avanza lungo il suo cammino folle e distruttore, e le sue rovine diventano sempre più ovvie e inquietanti, c’è da sperare che il movimento cresca e si consolidi e che precisi e affermi i suoi valori. Questi valori, a quanto pare e giudicando anche logicamente come dovrebbero essere, probabilmente prenderanno una forma abbastanza simile alla seguente:
I. Rifiuto di tutta la tecnologia moderna. Questo è logicamente necessario, perché la tecnologia moderna è un insieme in cui tutte le parti sono interconnesse; non si può prescindere dalle parti cattive senza prescindere anche dalle parti che sembrano buone. Come un complesso organismo vivente, il sistema tecnologico o vive o muore: non può restare mezzo vivo o mezzo morto.
II. Rifiuto della civilizzazione stessa. Anche questo è logico, perché l’attuale civilizzazione tecnologica non è che la tappa più recente del processo civilizzatore, e le civiltà precedenti contenevano i germi dei mali che oggi sono diventati così grandi e pericolosi. A parte la Rivoluzione Industriale, l’introduzione della civilizzazione è stato l’errore più grande in cui la razza umana sia mai caduta. Man mano che la civiltà avanzava, l’uomo perdeva la sua libertà.
III. Rifiuto del materialismo, che sarà sostituito da una concezione della vita che valorizzi la moderazione e l’autosufficienza e che al contempo disprezzi l’acquisizione di beni o di status. Il rifiuto del materialismo è una componente necessaria del rifiuto della civiltà tecnologica, perché solo la civiltà tecnologica può fornire i beni materiali ai quali l’uomo moderno è attaccato.
IV. Amore e rispetto per la natura, o perfino la sua adorazione. La natura è il contrario della civiltà tecnologica e per questo è minacciata di morte. E’ logico, pertanto, contrapporre la natura, come valore positivo, al valore negativo della tecnologia. Inoltre, il rispetto o l’adorazione della natura può riempire il vuoto spirituale della società moderna.
V. Esaltazione della libertà. Di tutte le cose di cui ci priva la civiltà moderna, l’intimità con la natura e la libertà sono le più preziose. In effetti, da quando l’uomo si è sottomesso alla schiavitù della civilizzazione, la libertà è stata la domanda più frequente e insistente dei ribelli e dei rivoluzionari attraverso i secoli.
VI. Castigo per i responsabili della situazione attuale. Gli scienziati, gli ingegneri, i dirigenti delle multinazionali, i politici, ecc., che fomentano coscientemente e deliberatamente il progresso tecnologico e la crescita economica, sono dei criminali della peggior specie. Sono ancora più colpevoli di Stalin e Hitler, perché ciò che questi sognavano non si può avvicinare per nulla a quello che stanno facendo i tecnofili moderni. Pertanto si reclamerà la giustizia e il castigo.
Il movimento di opposizione al sistema tecno-industriale dovrebbe sviluppare qualcosa di più o meno simile a questo insieme di valori; e in verità sono molti gli indizi dell’emergere di valori simili. Questi valori, è chiaro, sono completamente incompatibili con la sopravvivenza della civiltà tecnologica, così come i valori che emersero prima della rivoluzione francese e russa erano totalmente incompatibili con la sopravvivenza dei rispettivi vecchi regimi dei due paesi. Man mano che i disastri del sistema tecno-industriale si aggravano, c’è da supporre che i nuovi valori che gli si oppongono si espanderanno e si rafforzeranno. Se la tensione tra questi e i valori tecnologici aumenta quanto basta, e se arriva una congiuntura adatta, succederà quel che è successo in Francia e in Russia: si scatenerà una rivoluzione
4. Però io non pronostico una rivoluzione: resta da vedere se ci sarà. Ci sono diversi fattori che possono ostacolarla, e tra questi:
(a) Non credere alla possibilità di una rivoluzione. La maggior parte delle persone dà per scontato che il sistema esistente sia invulnerabile e che niente possa deviarlo dal suo cammino predestinato. Non gli passa per la testa che la rivoluzione sia una possibilità reale. La storia dimostra che gli esseri umani sono soliti sottomettersi docilmente a qualunque ingiustizia, per oltraggiosa che sia, se i loro prossimi si sottomettono e se tutti credono che non ci sia un rimedio. Ala contrario, una volta sorta la speranza che un rimedio sia possibile, in molti casi ne consegue una rivoluzione.
Cosicché, paradossalmente, l’ostacolo principale a che accada una rivoluzione contro il sistema tecno-industriale è proprio il credere che non possa succedere. Se un numero sufficiente di persone credesse che la rivoluzione fosse possibile, sarà possibile nella realtà.
(b) La propaganda. La società tecnologica possiede un sistema di propaganda, reso possibile dai mezzi di comunicazione, più potente di quello di qualsiasi società precedente (13). Questo sistema di propaganda rende difficile il lavoro rivoluzionario di abbattere i valori tecno-industriali.
(c) Gli pseudorivoluzionari. Attualmente ci sono troppe persone che si credono dei ribelli, ma che in verità non si stanno impegnando nell’abbattere il sistema esistente. Giocano alla ribellione o alla rivoluzione solo per soddisfare le loro necessità psicologiche. Questi pseudo-rivoluzionari possono ostacolare l’emergere di un movimento rivoluzionario efficace. Però qui manca lo spazio per affrontare questo importante argomento.
(d) La codardia. La società moderna ci ha insegnato ad essere passivi e obbedienti, e a farci provare orrore di fronte alla violenza fisica. Inoltre le condizioni della vita moderna conducono alla pigrizia, all’indolenza e alla codardia. Quelli che vogliono essere rivoluzionari dovranno superare queste debolezze.
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NOTE:
1. Citato da Gordon a. Craig, The New York Review of Books, 4 novembre 1999, pag. 14.
2. Rispetto alla malsana condizione psicologica dell’uomo moderno si vedano ad esempio: “The Science of Anxiety”, Time magazine, 10 giugno 2002: <> pag. 48. <> pag. 54; “The perils of Pills”, U.S. News & World Report, 6 marzo 2000: <> pag. 45; “On the Edge of Campus”, U.S. News & World Report, 18 febbraio 2002; <> pag. 56; Funk & Wagnalls New Enciclopedia, 1996, vol. 24, pag. 423: <>; “Americanization a Health Risk, Study Says”, Los Angeles Times, 15 settembre 1998: <> pag A1.
3. Ad esempio: Gontran de Poncins, Kabloona, Alexandria, Virginia, Time-Life Books Inc., 1980: <> pag. 157; Allan R. Holmberg, Nomads of the Long Bow: The Siriano of Eastern Bolivia, New York, The Natural History Press, 1969: <> pag. 204; John E. Pfeiffer, La nascita dell’uomo, Milano, Mondatori,1971: gli aborigeni australiani praticavano l’infanticidio, però <> pag. 317.
4. Ad esempio Gontran de Poncins, op. cit.: <> pag. 273; <> pag. 292. Tuttavia sono esistite delle culture di cacciatori-raccoglitori in cui l’ansia ha rappresentato un grave problema, come ad esempio gli Ainu del Giappone. Carleton S. Coon, I popoli cacciatori, Milano, Bompiani, 1973.
5. Si veda ad esempio Elizabeth Kolbert, “Ice Memory”, The New Yorker, 7 gennaio 2002.
6. Roberto Vacca, Il Medioevo prossimo venturo: la degradazione dei grandi sistemi, Milano, Mondatori, 1971: <> pag. 13.
7. “Allergy Epidemic”, U.S. News & World Report, 8 maggio 2000.
8. Riguardo la decadenza dell’onestà negli Stati Uniti, si veda un articolo interessante di Mary McNamara nel Los Angeles Times del 27 agosto 1998.
9. Rebecca Mead, “Eggs for Sale”, The New Yorker, 9 agosto 1999.
10. “Redesigning Dad”, U.S. News & World Report, 5 novembre 2001: <> pag. 62.
11. Si veda Bill Joy, “Why the future doesn’t need us”, Wired Magazine, aprile 2000. Non bisogna confidare troppo nelle previsioni di avanzamenti miracolosi, come nel caso di sviluppo di macchine intelligenti. Ad esempio nel 1970 gli scienziati avevano previsto che nel giro di quindici anni sarebbero esistite macchine più intelligenti degli esseri umani (Chicago Daily News, 16 novembre 1970). E’ chiaro che questa previsione non si è verificata. Tuttavia sarebbe una stupidaggine scartare la possibilità di macchine più intelligenti degli esseri umani. In effetti ci sono motivi per credere che, se il sistema tecnologico continua a svilupparsi, un dato giorno esisteranno macchine simili.
12. Si veda Bruce Barcott, “From Tree-Hugger to Terrorist”, New York Times Sunday Magazine, 7 aprile 2002. Questo articolo descrive lo sviluppo di quel che può fare, nel giro di pochi anni, un movimento rivoluzionario vero ed efficace che si impegni nell’abbattere il sistema tecno-industriale.
13. Si veda l’interessante articolo “Propaganda” The New Encyclopaedia Britànica, volume 26, Macropaedia, XV edizione, 1997. Questo articolo mette allo scoperto l’impressionante sofisticazione della propaganda moderna.
giovedì 4 ottobre 2018
FORMALITÀ
ognuno con il suo vestito
dipinto di banalità
con i soli colori in fermento
Percorsi laterali
svuotati dal l'essenza
di mutamenti animali
armati di virtuale paziente
È triste la noia
di chi non sa vivere
come la scure del boia
che trancia le viscere
Flotti di sperma acidulo
lubrificano le strade
dei marmi che sfondano il culo
dei radical delle lande
Orde sataniche
fiancheggiate dai lupi
nelle celle barbariche
si trasformano in pupi
Muore l'Ego
in attesa del futuro
come fosse un ago
che affonda lentamente nel burro
Dorme la città
pervasa da sogni proibiti
intinti nella quantità
dei finti vestiti
Verghe di plastica
in erezioni finte
sfondano a sangue la fica
delle donne incinte
Lunga è l'attesa
dei figli in rivolta
come fosse la resa
della città in festa
Uomini sporchi di merda
puliscono i cessi
aspettando la merenda
mentre vivono da fessi
È tutto una formalità
ognuno con il suo vestito
dipinto di banalità
con i soli colori in fermento
Chiù Pac
martedì 25 settembre 2018
NIENTISMI II
Ciò che Dostoevskij sta affrontando è la visione del mondo positivista, che è la conclusione logica della matematica e delle scienze naturali, così come l’etica positivista o socialista ad essa connessa. Il motto di tale etica è: scientifico, logico, razionale.
I Bazarov che proclamano questo motto difendono sia l’illuminazione intellettuale che le riforme economiche. Per una volta l’intelletto è illuminato e “il senso comune o la scienza completamente rieducano la natura originale dell’uomo e la guidano per mezzo di formule”, cioè, una volta che arriviamo ad agire “secondo la ragione o la scienza”, capiremo dove il nostro vero e normale interesse mente e quali sono i nostri desideri “razionali e vantaggiosi”. Il controllo della ragione rende razionali tutti i desideri, impedendo loro di prendere una direzione cieca e irrazionale che andrebbe contro i normali interessi della persona, supponendo che nessuno agisca deliberatamente contrario ai propri interessi. Allo stesso tempo prende forma una nuova serie di relazioni economiche, la cui idea guida è che per qualsiasi problema si possa trovare una soluzione pronta. Un “palazzo di cristallo” è eretto per l’anima interiore e per la società, senza un unico sistema trasparente dal quale sono state eliminate tutte le tracce dell’irrazionale, dell’anti-scientifico, o del primitivo e dell’incivilizzato.
Come è noto, Dostoevskij si oppose con veemenza a una visione intellettuale-razionale dell’etica e delle teorie sociali del positivismo e del socialismo, e portò avanti uno scontro sempre più profondo con esse durante tutta la sua vita. La sua opposizione scaturiva naturalmente dal fatto che le vedeva condurre alla morte dell’anima, la meccanizzazione dello spirito umano, la trasformazione interna delle persone in un gregge e la privazione della vera libertà. La libertà era per lui il fondamento dell’umanità dell’essere umano. Era la fonte della personalità e dell’individualità, da cui tutta la morale e l’etica disegnavano la loro vita.
Più radicalmente, la libertà apre la strada al problema religioso della fine dell’esistenza umana, al problema dell’immortalità dell’anima, a Dio. La libertà, l’immortalità dell’anima e l’esistenza di Dio sono stati problemi di vita e di morte per l’esistenza umana fin dai tempi antichi, come vediamo, ad esempio, nella filosofia pratica di Kant. Come Schelling aveva prodotto nel suo “Trattato sull’Essenza della libertà umana”, Dostoevskij ha inteso la libertà come libertà per il male come pure per il bene. A meno che non si comprenda il sé in questo tipo di libertà, non si può comprendere il significato religioso di cose come il male, il peccato, la punizione, l’amore e la redenzione.
I problemi della fede nell’immortalità, la fede nell’uomo-Dio, la ribellione contro Dio e il percorso verso l’uomo – Dio può rivelare il fondamento ultimo dell’esistenza umana. Tale era la costante convinzione di Dostoevskij.
Inoltre, proprio come la libertà conduce al mondo religioso, così la religione determina la libertà e la sua moralità. La fede nell’immortalità o in Dio non regge, questo necessariamente si traduce in una moralità demoniaca (o una moralità del “posseduto”) in cui “si è perdonati, qualunque cosa si possa fare”. Se nell’anima non c’è una base immortale quindi l’anima deve essere interamente soggetta alle leggi della natura. E se è così, per evitare l’auto-inganno non c’è altra scelta che suicidarsi. (Dostoevskij elabora la logica di questa conclusione in un saggio intitolato “Suicidio e immortalità”.)
Che sia possibile credere nell’immortalità o che Dio determini se la libertà umana si orienta verso Dio o verso il Diavolo, indipendentemente dal fatto che una vita possa essere vissuta senza autoinganno, anzi se la vita vale la pena di essere vissuta o desiderata, sono problemi religiosi, filosofici ed etici che nascono dalle profondità interiori dell’anima o della natura spirituale. Collocare una contrapposizione, può essere rivelata, solo attraverso questi tipi di problemi, come le profondità interiori dell’anima o dello spirito, la portata ultima dell’esistenza umana. Il positivismo e il socialismo bloccano la possibilità che sorgano tali questioni; c’è qualcosa in loro che nasconde le profondità interiori dell’anima. Esprimono deliberatamente l’esistenza del regno interiore, trascurando così il luogo in cui la vera libertà (come, ad esempio, nella “pura durata” di Bergson) avviene e si occupa solo degli strati superficiali della psiche che possono essere considerate meccanicamente, e ridotte a leggi della difformità “due volte due è quattro”. Negano l’immortalità dell’anima e l’esistenza di Dio interamente, per prendere posizione con l’ateismo.
Dostoevskij detestava questo modo di pensare proprio perché porta alla dimenticanza e alla perdita del vero significato dell’esistenza umana, perché rende immemore l’abisso dell’anima in virtù del quale l’anima può veramente essere anima e gli esseri umani non possono essere una mandria di animali. A questo proposito, tutte le teorie socialiste arrivano alla stessa circostanza, nella misura in cui sono basate sul razionalismo scientifico.
Dostoevskij non visse per sperimentare l’ascesa del marxismo in Russia. Quello che conosceva era il socialismo di Fourier, il positivismo di Comte e di altri, e i movimenti sociali e il nichilismo in Russia che erano influenzati da essi. La prima parte di “Memorie dal Sottosuolo”, la sezione filosofica del libro, si afferma che sia un lavoro contro il romanzo di Chernyshevsky, pubblicato in quel periodo, “Che fare?”. Il “palazzo di cristallo” a cui si è alluso in precedenza è destinato a essere una caricatura della falange, la comune cooperativa sostenuta dal Fourier-ismo su cui si basa il romanzo di Chernyshevsky.
Il movimento socialista russo, naturalmente, oltrepassò Fourier e, dopo la morte di Dostoevskij, progredì fino al marxismo. Tra le varie teorie socialiste, incluse quelle di Fourier e Marx, ci sono differenze di sostanza e qualità, compresa una progressione dal “fantasioso” al “scientifico”. Ma quello a cui Dostoevskij si oppose era la tendenza comune nelle loro basi assolute , dell’insieme di principi che regolano l’approccio alla comprensione dell’essere umano. Questa è la ragione per l’intensità, la persistenza e la serietà della sua opposizione. È stato il suo genio a risolvere immediatamente il problema principale e portarlo avanti fino alle conclusioni finali.
Dopo Dostoevskij, Nietzsche condusse un’ulteriore e più severa critica della democrazia moderna e del socialismo, quali tendenti a trasformare le persone in un docile gregge di “uomini medi”. Individuò in particolare in Rousseau la fonte di tali idee. Anche Dostoevskij mette in ridicolo Rousseau nelle sue “Memorie del Sottosuolo”, per aver esaltato l’uomo della natura e della verità, sottolineando che poiché “l’uomo della natura e della verità” è generalmente stupido in ogni caso, si sente giustificato a vendicarsi contro di esso. Egli trova anche la costante auto-diffamazione di Rousseau nelle Confessioni, una menzogna deliberata sparsa al servizio della propria vanità. In altre parole, l’uomo della natura e della verità diventa un uomo innaturale di menzogne quando è una problema per se stesso.
L’uomo del sottosuolo dice che, a differenza di Rousseau, sta scrivendo i suoi appunti “perché voglio provare a esperimentare, se si può essere perfettamente sinceri, anche con se stessi, e non spaventare l’intera verità” (XI). Va oltre “l’uomo normale che è uscito dal grembo della natura”; questa è la differenza tra la “verità” cercata da Rousseau e da Dostoevskij, tra chi vede la “natura” e la salute come normali, e l’uomo fatto da una replica che considera normale affermare che “tutta la coscienza è una malattia”.
Qui sta lo scisma tra i punti di vista di Rousseau come la fonte del socialismo e Dostoevskij che si oppose a lui come un topo in un seminterrato sotterraneo. Nelle parole dell’uomo del sottosuolo: “Potrebbe esserci anche nel topo un maggiore accumulo di dispetti e desideri cattivi che nell’homme de la nature et de la verite.” Per Rousseau è l’abisso dell’anima in cui Dio e il diavolo combattevano. In “Memorie del Sottosuolo”, tuttavia, questo tipo di sostrato teologico – o forse dovremmo dire teosofico e apocalittico – non è ancora apparso. La visione etica del socialismo e la sua critica sono presentate semplicemente nei termini dei principi in questione, sebbene con straordinaria accuratezza.
Come accennato in precedenza, quando la coscienza si scontra con il mondo governato dalle leggi matematiche della natura, il mondo come “razionale”, viene spinto nella “contemplazione” e gradualmente diventa inerte. Questa inerzia significa che il controllo delle leggi della natura è in realtà il prodotto della coscienza e influisce così profondamente sul proprio funzionamento. L’unica resistenza contro di essa è la disperazione e il piacere nella disperazione. In quest’ultima, si percepiscono intimamente, o si mettono in pratica, “desideri brutti e di base” di cui l’individuo normale non è consapevole. Nell’abbandono di questi desideri, l’individuo viene tormentato da una coscienza colpevole, che a sua volta genera piacere nell’umiliazione.
La ragione per cui Dostoevskij enfatizza la disperazione e l’umiliazione, e il piacere in essi, è che costituiscono l’ultima dichiarazione di un assoluto rifiuto di accettare o di compromettere il controllo del sé con “due volte due è quattro”.
Un individuo normale che non possiede l’iper-coscienza di pensare in un inerzia contemplativa ed entrare nel mondo sotterraneo, si inchina prontamente davanti al “muro” del mondo razionale, e con un sospiro di sollievo torna al lavoro. Di conseguenza, arriva a pensare che il suo sano senso della giustizia e degli interessi razionali non possa che reggersi su un mondo così razionale.
La visione scientifica insieme a quella razionale del mondo, conduce all’etica e alle relazioni sociali scientifico-razionali. In questo modo viene eretto il “palazzo di cristallo”, in cui si scoprono le leggi del libero arbitrio, e tutti i desideri e il comportamento sono regolati con precisione e fino all’ultimo dettaglio, accuratamente catalogati e sommati al calcolo immutabile di una tavola logaritmica. L’individuo che è stato guidato dalla scienza e dalla ragione diventa “come se non avesse mai avuto il libero arbitrio o il capriccio”, ancorché di “la tastiera su un piano”. In virtù delle leggi della natura si diventa spontaneamente buoni e puri in un modo spaventosamente facile, pienamente informati, dove i propri interessi sono normali. Con ciò si realizza l’ideale dei “filantropi”.
Questa è, certamente, una caricatura ironica, o distorsione della realtà.
Ma la caricatura è per molti versi più vera della realtà, la distorsione più vera alla vita rispetto allo stato attuale delle cose. La tacita presunzione dietro tutte le teorie socialiste è la negazione della libertà che trasforma le persone in chiavi del pianoforte che vengono colpite dalle dita delle leggi necessarie.
Per Dostoevskij, essere privati della libertà è morire e resiste senza riserve. Nel palazzo di cristallo si sente come “sporgere la lingua [o] sfiorando il naso di nascosto”, così tanto come voler vivere come si vuole. Anche nel caso di ciò che va contro i normali interessi e contraddice i dettami del buon ragionamento, nel caso di “sciocchezze estremamente antieconomiche e sciocchezze”, o dell’opposizione ai nuovi schemi delle relazioni economiche o dell’illuminazione intellettuale, la cosa importante quando tutto è detto e fatto è essere in grado di desiderare queste cose. “Bisogna farlo in modo deciso, non importa cosa,” dice l’uomo del sottosuolo. Anche volendo deliberatamente il più grande svantaggio, la mia volontà è più vantaggiosa di tutti gli interessi razionali combinati, ed è questo il miglior interesse che i sostenitori del benessere dell’umanità hanno lasciato fuori dai loro calcoli.
"Voi gentiluomini potreste dirmi che sono un siffatto uomo illuminato e avanzato, in breve, come sarà il futuro uomo, non potrà desiderare consapevolmente qualcosa di svantaggioso per se stesso, dato che questo può essere dimostrato matematicamente. . . . Ma c’è un caso, uno solo, quando l’uomo può intenzionalmente, consapevolmente, desiderare ciò che è ingiurioso per se stesso, ciò che è stupido, molto stupido – semplicemente per avere il diritto di desiderare per se stesso anche ciò che è molto stupido e non essere vincolato dall’obbligo di desiderare solo ciò che è razionale. . . . Avrebbe deliberatamente desiderato la sporcizia più fatale, l’assurdità più antieconomica, semplicemente per introdurre in tutta questa razionalità positiva il suo fatale elemento fantastico.
Sono i suoi sogni fantastici, la follia volgare, che vorrebbe mantenere, semplicemente per dimostrare a se stesso che gli uomini sono ancora uomini e non chiavi del pianoforte. . . "(VIII)
domenica 23 settembre 2018
STIRNER CONTRO MARX: MORALITÀ, SOCIETÀ E LIBERTÀ
Sotto molti aspetti, il lavoro di Stirner si pone come un attacco preventivo al pensiero di Marx. I critici moderni del marxismo hanno spesso sottolineato inadeguatezze nella concezione marxista della storia, specialmente riguardo a ciò che la teoria aveva reso obsoleto nella filosofia tradizionale. L’Unico essenzialmente anticipava queste inadeguatezze. Il 1845 è considerato il momento della carriera filosofica di Marx in cui egli «lasciò indietro» un discorso fondamentale sull’etica; uno come Hook sostiene «ci occupa ancora oggi». La nuova teoria del materialismo storico di Marx interrompe una discussione su qualsiasi sistema di etica o moralità pubblica.
Molti hanno riconosciuto questa negazione nel lavoro di Marx. Per Marx, la questione cruciale era la validità della sua teoria della storia; sentiva che le nozioni di moralità e di religione erano state finalmente eliminate dal suo lavoro. Tuttavia, la vecchia ipotesi che il «socialismo scientifico» fosse un sistema scientifico ha ceduto alla nozione che un tale sistema di pensiero è essenzialmente moralistico o anche religioso; ciò che Martin Buber chiama una «secolarizzazione socialista dell’escatologia». Se accettiamo questa prospettiva radicalmente nuova, come fanno molti, la posizione di Stirner nell’Unico, emerge come più moderna e radicale di quanto si pensasse in precedenza. Stirner avrebbe senza dubbio accettato che la concezione materialista della storia fosse escatologica; un modo di pensare religioso. Pertanto,è un primo, anche se un po’ arretrato attacco alla moralità, spesso mascherato da ideologia. Stirner assume una posizione vitale come la critica originale del giovane Marx.
Nonostante la natura anti-morale del materialismo storico e gli espliciti ripudi di moralità di Marx, il suo pensiero iniziale era pieno di giudizi morali (ad esempio le condanne, le direttive, ecc.). Se non vediamo Marx come moralista è fuori questione. Marx non praticava la filosofia morale nel senso tradizionale, nello sviluppare qualsiasi forma di sistema di etica, o indagine. Mentre criticava l’Unico, Marx fu ispirato nel reclamare:
«I comunisti … non predicano la moralità, del quale Stirner esagera … al contrario, sanno bene che l’egoismo e il sacrificio di sé sono, in certe circostanze, una forma necessaria di autoaffermazione degli individui.»
La disputa dello posizione di Marx come moralista clandestino che si oppone apertamente alla filosofia morale rimane una contraddizione chiave, specialmente nei suoi primi pensieri. Rappresenta uno squarcio temporale nel tessuto del pensiero marxiano che ancora oggi affligge i suoi accoliti. Queste origini, trovate nella lettura dell’Unico del giovane Marx, possono ulteriormente turbare i suoi seguaci. Se Marx aveva bisogno di ispirazione, o addirittura di incoraggiamento ad abbandonare le sue inclinazioni morali più esplicite, allora aveva bisogno di guardare oltre la polemica di Stirner. Stirner rifiutava l’umanesimo dell’Hegeliano di sinistra, specialmente prendendo di mira l’innato contenuto morale. Attaccò anche la maggior parte delle forme di convenzione morale, sfidando la base assoluta degli editti morali contro la poligamia, la profanazione blasfema e persino l’incesto. Tali atti erano ancora in grado di provocare un “brivido morale” nell’uomo comune, un’indicazione per Stirner che la vera emancipazione dell’ego, ciò che gli altri potevano chiamare emancipazione spirituale, doveva ancora essere realizzata.
Per Stirner, l’autocontrollo doveva essere ricercato dall’organizzazione giudiziosa del desiderio, piuttosto che dalla sua soppressione arbitraria. Prendendo spunto da Charles Fourier, Stirner lodava gli appetiti degli animali come più sani e poetici di una vita di astinenza. Proprio come l’umanesimo feuerbachiano era visto come la negazione della teologia tradizionale, l’egoismo Stirneriano acclamava la “negazione dell’etica tradizionale”. Invece di creare Dio a sua immagine, Stirner insegnò che l’ego individuale aveva creato l’Uomo a sua immagine.
In L’Essenza del Cristianesimo (1841) Feuerbach credeva di essere veramente radicale avendo dissolto il soggetto (Dio) in tutti i suoi predicati (Uomo); Stirner aveva semplicemente dimostrato fino a che punto un tale sabotaggio dialettico poteva logicamente muoversi, scegliendo di dissolvere la predicata Societa, nei singoli pronomi – Io, me stesso. L’ego individuale era l”erede ridente” di Stirner per l’intero progetto Hegeliano.
L’egoismo Stirneriano non era concepito come una nuova forma di moralità, piuttosto era contrario alla moralità. Questo non vuol dire che l’egoismo fosse intrinsecamente immorale; Stirner respinse l’idea di un’opposizione assoluta tra categorie morali, «buone» e «cattive», considerandole come «antidiluviane». Le affermazioni di Stirner sull’Antinomismo etico erano profondamente sentite e prese sul serio da Marx. L’Unico lo incoraggiò a dissipare qualsiasi idea etica dalla nuova direzione del suo pensiero. Marx considerava già critici i racconti hegeliani delle concezioni politiche, giudiziarie e morali, ma L’Unico faceva pendere l’equilibrio. Se lo scetticismo morale o metafisico di Marx deriva da Stirner, allora la potenza della sua critica al nichilismo insito nell’Unico deve essere rivalutata.
Marx usò la dissacrazione della moralità di Stirner per giustificare il suo stesso pensiero, poi procedette a denigrare l’egoismo Stirneriano come pensiero religioso, come persino un «predicare» la moralità. Classificare tutte le filosofie idealistiche come teorie, una sorta di “clericalismo surrettizio” che deve essere ripudiato, era il risultato delle posizioni dogmatiche materialiste che Marx ed Engels arrivarono ad adottare.
Tutti gli idealisti erano di difetto, pensatori religiosi, tuttavia la base materialistica del loro pensiero non serviva a chiarire la loro posizione sull’insegnamento morale. La mistificazione che circonda la concezione della moralità di Marx trova le sue basi nella distorsione del nichilismo morale di Stirner. Piuttosto che offrire una teoria morale alternativa per il comunismo, Marx aveva trascurato ogni moralità nella ricerca della rivoluzione e della lotta di classe. In verità, l’espulsione del contenuto morale nel pensiero era qualcosa a cui Marx aspirava. In definitiva, Stirner aveva spinto Marx a una posizione filosofica in cui il contenuto morale del suo lavoro doveva essere implicito. Sidney Hook afferma che «Marx si è sporto così indietro che, subito dopo la sua morte, il mito è diventato attuale, dato che non aveva posto per nessuna etica nella sua filosofia dell’attività sociale».
La reazione di Marx fu una manovra tattica, che gli permise di preservare il silenzioso contenuto morale della sua opera. Karl Popper considerava Marx un uomo per il quale «i principi di umanità e decenza … non avevano bisogno di discussione» erano «da dare per scontati». Tuttavia, se Marx ha deciso di adottare una nozione personale di principi morali, perché rispondere all’egoismo Stirneriano che era così chiaramente un’aberrazione? È difficile credere che Marx abbia semplicemente evitato la teoria morale esplicita perché non gli piaceva la «predicazione», come asserisce Popper. La vera antipatia per la filosofia morale di Marx era radicata nel suo pensiero attuale. Il pensiero molto consolidato in L’Ideologia Tedesca come risultato della lettura dell’Unico.
Indipendentemente dai problemi che Marx lasciò irrisolti, la crisi del 1845 lo aveva aiutato a realizzare finalmente lo scopo del suo pensiero: dimostrare la futura rivoluzione mondiale. Tuttavia, ancora una volta è emersa un’altra impossibilità Marxiana; il problema di riconciliare l’inevitabilità storica con un modello etico.
L’inevitabilità storica potrebbe difficilmente funzionare come un valore morale intrinseco per Marx. Il determinismo della concezione materialista della storia aveva reso necessario un confronto adirato con Stirner. Illuminò anche una caratteristica spiacevole del giovane Marx, l’incapacità di riconoscere qualsiasi opposizione alla sua rivoluzione. Inoltre, ha dimostrato che Marx ha sottovalutato il ruolo del malcontento negli eventi storici, che Stirner e Hegel non hanno fatto; avevano permesso alla circostanza un ruolo importante nel processo storico. Fondamentalmente, a differenza di Marx, Stirner sosteneva che il processo storico doveva essere opera di mani umane; la storia non è mai stata un’astrazione che ha causato eventi. Era concreto, specifico e umano in tutte le sue forme. Riconobbe anche che alcuni pensatori avevano dirottato la storia e ne avevano privato l’autonomia:
«La storia cerca l’uomo: ma lui sono Io, tu, noi. Ricercato come un’essenza misteriosa, come il divino, prima come Dio, poi come uomo (umanità, altruismo e genere umano), si trova come individuo, finito, unico. »
Stirner vide che tutti i tipi di politica volevano educare l’uomo, portarlo alla realizzazione della sua «essenza», dare all’uomo un «destino» per fare qualcosa di lui – cioè un «vero uomo». Questo è stato uno stratagemma, facendo cadere i pensatori per «il giusto errore della religione». Se si considera che il destino come divino o umano non ha alcun interesse, Stirner trovò che entrambe le posizioni sostenevano che l’uomo dovrebbe diventare questo e quello: questo postulato, questo comandamento, essere qualcosa.
Incongruamente, nella sua lettura di L’Unico Marx sentiva di poter finalmente rifiutare un sistema di moralità e mantenere altre posizioni morali. Era estremamente ansioso per il fatto che la sua descrizione del socialismo potesse essere contaminata da ideali morali astratti, ideali che Stirner aveva dimostrato essere trascendenti.
Tuttavia, Stirner aveva fornito a Marx gli strumenti per condurre una campagna metodologica contro la concezione quasi-religiosa di Feuerbach del«Uomo», che gli permetteva di respingere un’etica dell’amore o una «politica del socialismo» attraverso la sua analisi della natura sociale dell’uomo. Una tale soluzione sarebbe stata poco plausibile a Stirner. Per molti, l’essenza religiosa del materialismo storico era «superficialmente oscurata dal rifiuto di Marx delle religioni tradizionali». Ciononostante, Stirner aveva già identificato tale essenza religiosa negli alleati intellettuali di Marx prima del1845. Le critiche a Feuerbach erano ugualmente applicabili al giovane Marx che aveva affermato: «La critica della religione termina con il precetto che l’essere supremo per l’uomo è l’uomo». Allo stesso modo Stirner osservava l’essenza religiosa dell’umanesimo Hegeliano di sinistra e del socialismo primitivo. Anche Marx è accusato, il suo ateismo era ancora una proposizione categoricamente religiosa. Quindi, l’accusa originale di Stirner sull’ateismo «pio» degli Hegeliani di sinistra è particolarmente convincente se applicata al pensiero del giovane Marx.
È probabile che Stirner avrebbe visto il giovane Marx come una sorta di moralista post-teologico che tentava di risolvere il problema del peccato originale e dell’impegno etico attraverso il potere redentore della «Storia» umana. L’immagine che Marx dipinge dei capitalisti e dei borghesi come manifestazioni del male, e il suo allontanamento dalla responsabilità dell’individuo per la propria miseria, sarebbe sicuramente vista come la personificazione del «clericalismo». La critica Stirneriana avrebbe senza dubbio annunciato Marx un moralista volgare, subordinando l’individuo al nuovo Dio, la «Storia». Ora che la storia stessa è stata moralizzata, la profonda consapevolezza Hegeliana della storia come amorale è persa.
Come la moralità, Stirner considerava la società una nozione altrettanto fittizia, e vedeva che l’obbligo morale era presumibilmente derivato dalla natura sociale dell’uomo. Stirner osservò che la dimensione sociale dell’uomo era semplicemente un tipo alternativo di ideologia religiosa e morale. La sua ostilità verso la «società sacra» abbonda nell’Unico; era l’arena in cui «i mali più oppressivi si fanno sentire», il dominio era più brutale e insensibile di qualsiasi precedente dispotismo. Non era solo la nozione di Stirner dell’essere antitetico al marxismo, ma respingendo completamente le costruzioni dei filosofi idealisti poteva solo scoprire la coscienza all’interno della mente; non in un ego trans-empirico o nell’essere «sociale» marxiano. Per Stirner, l’enfasi sulla natura sociale della mente, la valutazione di tutte le idee in relazione al tutto (o stato) sociale, rappresentavano una minaccia alla libertà individuale e all’autonomia dell’individuo.
Considerò i doveri sociali come puramente auto-legiferati. La nostra relazione con la società è stata vista come mediata dall’ego. Mentre la società può modellare l’auto-realizzazione e definire la ribellione dell’egoista, la sua influenza formativa sfuma a favore dell’individuo finché la stessa “società” non viene completamente differita. Per Marx, tuttavia, l’«atomismo» della società civile era offensivo e doveva essere trasceso: Stirner non era riuscito a radicare le idee nel processo sociale, da cui la natura arbitraria della sua ideologia. Tuttavia, Stirner sottintende che certe idee non sono solo riflessioni del loro ambiente sociale e possono rimanere al di fuori della valutazione secondo la quale esse sono socialmente condizionate da questo. Per Stirner questi erano gli ordini figurativi delle esperienze, il risultato della irriducibile natura egocentrica dell’individuo; auto-riflessione mediata da impulsi personali e bisogni privati.
sabato 22 settembre 2018
GLI SPETTRI DI STIRNER: UNA CRITICA CONTEMPORANEA DELL’IDEOLOGIA
Gli Spettri di Marx
di Jacques Derrida
esplorarono la logica della spettralità che perseguitava Marx. Marx fu vistosi impegnato in una “caccia al fantasma” per lo spettro dell’idealismo. Max Stirner era l’obiettivo cruciale per Marx, poiché Stirner aveva esposto i resti dell’idealismo che ancora ossessionavano il lavoro di Marx. Questo articolo esplorerà la questione della spettralità in Stirner. In esso affermo che la logica della spettralità è cruciale per la sua critica dell’ideologia. Aspetto che gli ha permesso di andare al di là delle concezioni sia fondamentaliste che integraliste dei meccanismi ideologici. Il racconto essenzialista dell’ideologia, in cui l’ideologia è vista come una distorsione irrazionale degli interessi essenziali del soggetto, e il racconto strutturalista, in cui il soggetto è visto in realtà determinato da meccanismi ideologici, hanno entrambi condotto-argomenterò su questo, alla prematura scomparsa dell’ideologia come concetto. L’intervento di Stirner ci consente di dare una nuova vita al concetto di ideologia, avanzando oltre i limiti di queste problematiche.Come uno dei primi teorici dell’ideologia, Stirner può essere letto in una luce “post-strutturalista” contemporanea, nella sua critica dell’umanesimo e delle identità essenzialiste. Diversamente da altri resoconti post-strutturalisti, tuttavia, Stirner non sottovaluta la problematica dell’ideologia: al contrario mostra il modo in cui la nozione di dominio ideologico può essere mantenuta rifiutando l’idea che esiste un’essenza umana i cui gli interessi reali sono travisati da meccanismi ideologici. Inverte il paradigma razionalista umanista mostrando che l’essenza umana è essa stessa uno spettro ideologico, i cui legami con il potere devono essere smascherati. Tuttavia, va al di là di questo teorizzando un eccesso spettrale, che sfugge a questa determinazione ideologica, e agisce come un punto di partenza non essenziale da cui si può costruire una critica dell’ideologia.
Stirner è stato interpretato in molti modi diversi. È stato visto come un nichilista, un esistenzialista, un anarchico e un libertario. Marx lo considerava un ideologo piccolo-borghese e un pensatore idealista intrappolato nel mondo delle proprie illusioni. Tuttavia l’importanza di Stirner come teorico dell’ideologia è stata ampiamente trascurata dalle critiche contemporanee. Il suo lavoro è una demonologia dei meccanismi ideologici – le “idee fisse” dell’Illuminismo – umanisti, come l’essenza umana, la verità razionale, la moralità. È impegnato in un progetto iconoclasta nello smascherare le idee che diamo per scontate, esponendo i rapporti di potere e l’antagonismo dietro il loro volto serenamente razionale e umanista. Per Stirner le “idee fisse” sono idee che sono state essenzializzate e rese “sacre”. Sono diventati sistemi discorsivamente chiusi, rimossi dalla conquista dell’individuo e trattenuti su di esso, come un’abrogazione del proprio potere. C’è un elemento di sottomissione e oppressione religiosa in questi meccanismi ideologici. Questa logica religiosa, smascherata da Stirner, è che sarà discussa più avanti, tuttavia è importante da far notare, dato che Stirner fu uno dei primi ad analizzare sistematicamente i sistemi ideologici a pieno titolo. In tal modo egli andò oltre i resoconti materialistici dell’ideologia, ridotti a un epifenomeno delle relazioni sociali borghesi. Le “idee fisse”, secondo Stirner, hanno una loro logica interna, al di là del funzionamento dell’economia capitalista.
Critica dell’idealismo di Marx
Ciò è emerso come la differenza cruciale tra Stirner e Marx, e, come vedremo più avanti, l’accusa centrale di Marx contro Stirner è stata quella di ignorare la base reale e materiale dell’ideologia. Marx ed Engels, in “L’ideologia Tedesca”, sviluppano due teorie dell’ideologia diverse, e in alcuni aspetti contraddittorie. In primo luogo, è una critica all’idealismo tedesco, che Marx ed Engels consideravano prevalente nei giovani filosofi hegeliani, come Feuerbach, Bauer e Stirner. Questi filosofi, sostengono, sono ideologi perché astraggono idee e coscienza dalle loro basi nel mondo reale e materiale, trasformandole in spettri ultraterreni, metafisici. Per Marx ed Engels, gli “Ideologi Tedeschi” hanno invertito il reale stato delle cose, vedendo il mondo materiale determinato dall’idea, quando, in realtà, l’idea è determinata dal mondo materiale e dalle pratiche sociali concrete. Dicono, quindi:
In diretto contrasto con la filosofia tedesca che discende dal cielo in terra, qui si tratta di ascendere dalla terra al cielo. Vale a dire, non di partire da ciò che gli uomini dicono, immaginano, concepiscono, né dagli uomini come narrati, pensati, immaginati, concepiti, ma per arrivare agli uomini nella carne; partendo da veri uomini attivi e sulla base del loro vero processo di vita che dimostra lo sviluppo degli stessi riflessi ideologici e gli echi di questo processo di vita.
In altre parole, le idee e la coscienza sono un riflesso della vita materiale, delle attività e dei processi concreti in cui le persone si impegnano. Sono questi processi materiali che determinano la coscienza, piuttosto che essere determinati da essa. Come Marx ed Engels accusano ai filosofi idealisti di fare: invertire questa relazione, è un atto ideologico, per nascondere la base materiale delle idee e vedere le idee come astratte, entità autonome che determinano il mondo materiale. L’ideologia, in altre parole, è la distorsione della relazione reale tra la vita e le idee, il travestimento della base reale e materiale della coscienza.
La seconda comprensione dell’ideologia trovata in “L’ideologia Tedesca”, è politica, cui si può dire che la prima sia epistemologica. Per Marx ed Engels, l’ideologia può essere spiegata come il riflesso del dominio di classe. Si afferma: “Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti …. Le idee dominanti non sono altro che l’espressione ideale di relazioni materiali dominanti. ” L’ideologia, quindi, è sempre l’espressione del dominio di una classe economica. I membri della classe dominante sono anche produttori di idee – idee che legittimano e perpetuano il loro dominio. Le idee dominanti, inoltre, producono l’illusione dell’universalità – in modo che gli interessi della classe dominante siano sempre presentati come l’interesse comune. Ogni nuova classe dominante, sostengono Marx ed Engels, “deve dare le sue idee alla forma dell’universalità e presentarle come le uniche valide, razionali e universalmente valide”. L’ideologia implica quindi una certa illusione o inganno – presenta gli interessi particolari di una classe, come gli interessi comuni e universali di tutti. È una sorta di camera oscura che compie un’inversione del particolare e dell’universale, mascherando interessi particolari, dando loro l’apparenza di universalità e razionalità, e legittimandoli in tal modo. Ogni nuova classe dominante che prende il posto di quella precedente, effettua questa inversione ideologica. Ad esempio, i veri interessi della borghesia – per sfruttare economicamente il proletariato – sono mascherati da interessi universali dell’umanità. In questo modo, il proletariato viene ingannato attraverso questa falsa rappresentazione ideologica per identificare i suoi interessi con quelli della borghesia. L’ideologia impedisce al proletariato di identificare i suoi veri interessi reali – il che significherebbe rovesciare le relazioni sociali borghesi – e quindi perpetuare queste relazioni sfruttatrici e oppressive. L’ideologia implica quindi, nella teoria di Marx, una distorsione – ha la funzione di oscurare i rapporti borghesi di dominazione e sfruttamento, e di offuscare il proletariato verso i propri interessi essenziali. Il proletariato, secondo Engels, soffre di “falsa coscienza”, ed è ingannato riguardo ai propri interessi reali da meccanismi ideologici che dipingono il quadro illusorio dell’universalità, della razionalità e inevitabilmente delle relazioni sociali borghesi.
Le due concezioni dell’ideologia qui presentate sono piuttosto diverse. La prima nozione di ideologia la vede come l’astrazione delle idee dalla loro base nella vita reale, materiale – una distorsione epistemologica. La seconda vede l’ideologia in un senso più direttamente politico come una serie di idee prodotte dalla classe dominante, che mascherano la loro particolarità sotto le spoglie dell’universalità, inducendo così uno stato di “falsa coscienza”. C’è una contraddizione centrale qui. L’ideologia è ciò che nasconde il fatto che le idee non hanno un effetto determinante sulla vita materiale e sociale? O l’ideologia è una serie di idee che svolgono un ruolo attivo nel sostenere e mantenere un certo sistema di relazioni sociali? L’ideologia è ciò che astrae le idee dal mondo reale? O è un’arma attiva nelle vere lotte politiche e sociali? In altre parole, la prima teoria considera l’ideologia come l’astrazione delle idee dalla vita materiale e sociale, mentre la seconda individua l’ideologia nelle idee stesse e il ruolo che svolgono in lotte reali e materiali. Quest’ultima versione consente forse all’ideologia un ruolo più interno nella vita materiale rispetto alla prima, che la vede puramente come l’astrazione dalla vita materiale. Tuttavia, direi che nonostante queste differenze, le due versioni dell’ideologia propugnate da Marx ed Engels, sono unite in un senso cruciale: entrambi considerano l’ideologia come relativa a un’illusione fondamentale – una distorsione e una mistificazione della realtà. La prima nozione di ideologia la vede come un travestimento di basi materiali e sociali di idee. La seconda vede l’ideologia come creazione di un’illusione di universalità, mascherando la particolarità degli interessi borghesi e ingannando così il proletariato sui propri interessi essenziali. L’ideologia, in entrambi i sensi, implica un’illusione, uno stratagemma o un inganno – una distorsione fondamentale della realtà. Questa nozione di ideologia obbedisce a una logica razionalista, in cui la verità razionale è contrapposta a meccanismi ideologici offuscanti che distorcono questa verità. L’ideologia nel primo senso, come abbiamo visto, distorce la vera relazione tra la vita materiale e le idee, e nel secondo senso maschera la realtà del dominio di classe e gli interessi reali e razionali del proletariato. Il proletariato non può percepire la verità dei suoi interessi reali perché è ingannato a questo riguardo dai meccanismi ideologici. L’ideologia come inganno, in altre parole, implica una verità razionale o una nozione di interessi reali che viene distorta. L’ideologia è quindi intrinsecamente irrazionale.
Paradigmi dell’ideologia: Razionalismo e Strutturalismo
Questo approccio all’ideologia ha le sue radici nel razionalismo dell’Illuminismo. L’Illuminismo sosteneva di portare la brillante luce della ragione nelle acque oscure e torbide della superstizione e della mistificazione religiosa. Il pensiero scientifico e razionale era visto come uno strumento che avrebbe liberato l’uomo dall’oscurantismo e dalla tirannia. Se la regola del diritto divino avrebbe potuto essere esposta come irrazionale, allora sarebbe stata rovesciata. È interessante, come osserva Terry Eagleton, che questi pensatori dell’Illuminismo che hanno cercato di sviluppare sistemi razionali di idee e di promulgare una ragione per accettare l’oscurantismo, primariamente sono stati conosciuti come ideologisti, o “ideologi”. Con Marx, tuttavia, come abbiamo visto, il termine “ideologia” stesso è stato associato alla mistificazione e alla distorsione della verità razionale. In ogni caso è chiaro che, nonostante l’inversione dei termini, la teoria dell’ideologia per Marx ed Engels si iscrive alla logica razionalista dell’Illuminismo, in cui la conoscenza razionale e scientifica è vista come un antidoto alle idee offuscanti e illusorie. Nel caso di Marx ed Engels, il materialismo, o materialismo storico, è precisamente questo antidoto scientifico alla mistificazione ideologica. Ancora più importante, con Marx ed Engels, c’è una nozione degli interessi reali, essenziali del proletariato, che sono stati mal percepiti a causa dell’operare dell’ideologia borghese, e possono essere percepiti correttamente e razionalmente solo attraverso lo studio scientifico del reale, nelle condizioni storiche. In altre parole, c’è una verità essenziale e razionale sulla società, e un nucleo di interessi essenziali all’interno della soggettività del proletariato come classe, che è nascosta sotto strati di mistificazione ideologica e falsa coscienza, ed è in attesa di essere scoperta.
Questo essenzialismo è centrale nella logica del razionalismo Illuminista: c’è un soggetto essenzialmente razionale e morale, che deve solo cogliere questa razionalità e moralità inerenti per liberarsi dall’oscurantismo metafisico e dall’autoritarismo politico, che lo tiene in catene. Questo era il linguaggio dell’Illuminismo delle filosofie politiche umaniste, dal liberalismo all’anarchismo: l’uomo era schiavo della sua stessa ignoranza e, se solo avesse potuto sviluppare le innate facoltà razionali e morali, avrebbe potuto liberarsi dall’oppressione politica. In altre parole, esiste un’identità essenziale la cui realizzazione razionale è distorta o negata dall’ideologia.
Al fine di consentire la realizzazione dell’essenza umana si devono rimuovere questi ostacoli ideologici, per esorcizzare codesti spettatori mistificanti con discorsi scientifici e razionali. Possiamo dire, allora, che c’è un punto di partenza, nella forma di una soggettività umana essenziale e di un discorso scientifico razionale, che rimane incontaminato dall’ideologia. Nel linguaggio della razionalità Illuministica c’è sempre un punto di vista non ideologico: un soggetto e un discorso essenzialmente razionali che possono uscire dai meccanismi ideologici e riflettere su di essi in modo critico. La scienza razionale è l’antidoto alla distorsione ideologica. L’anarchico Bakunin, ad esempio, annuncia la scienza razionale come una “scienza che si è sbarazzata di tutti i fantasmi della metafisica e della religione …” Anche per Marx questo discorso razionale extra-ideologico è materialismo storico. In altre parole, sebbene la percezione del soggetto e dei suoi veri interessi sia distorta dall’ideologia, questi stessi rimangono al di fuori dell’ideologia e possono essere afferrati razionalmente e scientificamente. Se l’ideologia implica una distorsione, deve esserci una verità o un’essenza razionale che è distorta, e ciò fornisce un punto critico di partenza oltre l’ideologia. È proprio da questo punto di vista al di fuori dei meccanismi ideologici – questo punto di partenza incontaminato – che l’ideologia può essere criticata come una distorsione irrazionale. La comprensione dell’ideologia razionalistica dell’Illuminismo sostiene quindi che possiamo uscire dall’ideologia, che possiamo vedere attraverso le sue distorsioni da un certo punto di vista epistemologico. Per Marx ed Engels, la comprensione della logica della storia consentirebbe al proletariato di perdere le scale della “falsa coscienza” e infine cogliere i suoi veri interessi, diventando così “consapevole della classe”. Naturalmente questo privilegio epistemologico poteva essere raggiunto solo da certi strati del proletariato, che, nelle parole di Marx “hanno sulla grande massa del proletariato il vantaggio di comprendere chiaramente la linea di marcia”.
Tuttavia, possiamo uscire dall’ideologia in questo modo? Possiamo impegnarci in una critica razionale dell’ideologia da una distanza di sicurezza, da un punto di partenza incontaminato al di fuori di esso? Un ragione dell’ideologia “strutturalista” sosterrebbe che questa posizione non-contestata, extra-ideologica, non esiste, che non possiamo uscire dai meccanismi ideologici. In effetti, porre un punto di vista esterno all’ideologia, da cui possiamo presumibilmente riflettere razionalmente sull’ideologia, è di per sé un gesto ideologico. In altre parole, secondo questa esposizione, non c’è alcun divario tra ideologia e soggetto – non c’è divisione tra distorsione ideologica e pensiero razionale. Questa lacuna è di per sé una distorsione ideologica. L’ideologia ha colonizzato questo luogo e pensare che ne possiamo uscire, si limita ad affermare la nostra posizione direttamente al suo interno. Lasciatemi definire questa ragione strutturalista con riferimento ad Althusser. Per Althusser, non c’è alcuna essenza umana oltre la comprensione dell’ideologia, come supponevano i pensatori dell’Illuminismo razionalista. La teoria dell’ideologia di Althusser è una rottura radicale con le forme umanistiche del marxismo. Piuttosto, il soggetto umano è costruito, o interpellato da meccanismi ideologici. Althusser inverte il paradigma in cui il soggetto costituisce l’ideologia: “la categoria del soggetto è solo costitutiva di tutta l’ideologia in quanto tutta l’ideologia ha la funzione (che lo definisce) di” costituire “gli individui concreti come soggetti.” Le strutture ideologiche o ciò che Althusser chiama “apparati dello stato ideologico (ASI)” elaborano il soggetto attraverso il misconoscimento e la distorsione che è al centro della riproduzione sociale. Non c’è “falsa coscienza” in questo racconto. Il soggetto non è ingannato riguardo ai veri interessi essenziali, perché questi interessi non esistono, o piuttosto sono costruiti da questi apparati ideologici. Non può esserci nessun punto di partenza essenziale e razionale oltre l’ideologia – l’ideologia è tutta intorno a noi, esistente come base stessa dell’esistenza sociale. In altre parole, l’ideologia è eterna per Althusser – non si va oltre questa interpellanza ideologica.
Abbiamo, quindi, due relazioni di ideologia radicalmente opposti: il resoconto dell’Illuminismo razionale, in cui l’ideologia è vista come una distorsione irrazionale degli interessi essenziali e razionali del soggetto; e il racconto strutturalista, in cui viene respinta la nozione di interessi essenziali, e il soggetto stesso è costituito da strutture ideologiche. Ho sostenuto che la prima comprensione dell’ideologia fornisce un punto di partenza incontaminato al di fuori dell’ideologia, nella quale si può riflettere razionalmente su di esso, mentre la seconda posizione non consente un simile punto di vista privilegiato. Qui non c’è spazio tra ideologia e soggetto. La questione dell’ideologia è falsata su questi due poli in opposizione.
La fine dell’Ideologia?
Inoltre, si può sostenere che queste posizioni radicalmente diverse hanno portato alla stagnazione teorica dell’ideologia come concetto. Il resoconto dell’illuminismo razionale, vede l’ideologia come una distorsione irrazionale della realtà, dove presupporre una soggettività essenziale al di fuori dell’ideologia. Come ho sostenuto, ci si è basati,su un punto di partenza incontaminato da cui si può resistere all’ideologia. Tuttavia, come hanno sostenuto gli strutturalisti, il concetto di un punto di vista privilegiato al di fuori dell’ideologia non può più essere sostenuto. Si basa su dubbiose nozioni essenzialiste e metafisiche della soggettività. Piuttosto, l’ideologia ha colonizzato il soggetto, e colmare il divario tra ideologia e soggetto, è il gesto ideologico finale. La critica strutturalista della posizione umanista dell’Illuminismo, tuttavia, ci presenta una serie di problemi e proietta il concetto di ideologia in crisi. In primo luogo, senza una sorta di punto di partenza al di fuori dell’ideologia, come si può analizzare e resistere all’ideologia? Se il soggetto è già determinato dall’ideologia, come può esserci una concezione di una critica politica delle strutture ideologiche che, per esempio, mantengono regimi repressivi al potere o supportano pratiche sfruttatrici e distruttive per l’ambiente?
In secondo luogo, se non vi è alcun punto al di fuori dell’ideologia, se l’ideologia ha colonizzato questa lacuna non ideologica per cui l’ideologia è vista come una distorsione o un’illusione, allora come possiamo continuare a definire un concetto di ideologia? Come lo distinguiamo da altre pratiche? Il concetto di ideologia, nelle parole di Zizek, è cresciuto in maniera “troppo forte”, ed è diventato di conseguenza privo di significato: “inizia ad abbracciare tutto, compreso il terreno alquanto neutrale e extra-ideologico che dovrebbe fornire la norma per il mezzo della quale si può misurare la distorsione ideologica. ” Il divario che separava l’ideologia da una comprensione razionale di esso, funzionava come una lacuna costitutiva che permetteva di definire l’ideologia in opposizione a qualcosa. Una volta rimosso questo scarto o punto di partenza, l’ideologia divenne impossibile da definire. In altre parole, se l’ideologia è tutto, allora non è nulla. La questione dell’ideologia è, quindi, attaccata a un dilemma: se mantiene la nozione di ideologia come una distorsione della verità razionale, allora può mantenere un punto di partenza incontaminato al di fuori dell’ideologia, eppure deve fare affidamento su affermazioni essenzialiste spurie. In alternativa, se abbandona queste categorie essenzialiste, perde questo punto di vista extra-ideologico e cade nella trappola di espandere il concetto di ideologia al punto in cui perde ogni valore teorico. Questa eccessiva inflazione del concetto di ideologia è, come sostiene Zizek, “una delle ragioni principali del progressivo abbandono della nozione di ideologia”.
Quali forme ha preso questo abbandono dell’ideologia? Le due principali risposte alla crisi dell’ideologia sono logiche estensioni dei due componimenti radicalmente opposti di ideologia sopra delineati. La spiegazione razionale dell’Illuminismo dell’ideologia trova la sua conclusione logica, sembrerebbe, nell’abbandono razionalista di Habermas della tesi ideologica. Habermas presenta una teoria della comunicazione razionale, non coercitiva, in cui l’ideologia non ha spazio. Per Habermas c’è sempre la possibilità di una comunicazione non distorta tra soggetti, e ciò presuppone una comprensione intersoggettiva universale: “Tuttavia questi partecipanti all’azione comunicativa devono raggiungere una comprensione di un qualcosa nel mondo se sperano di portare avanti i loro piani di azione su una base consensuale .” Pertanto, i soggetti possono raggiungere una comprensione razionale del mondo attraverso atti linguistici che si riferiscono a questo contesto, senza gli effetti distorsivi dell’ideologia. La nozione di Habermas di azione comunicativa sottoscrive una comprensione razionalista e Illuminista del mondo. L’ideologia è ancora vista come una distorsione della comprensione e della comunicazione. Tuttavia, in questo mondo di perfetta comunicazione, il concetto di ideologia semplicemente non ha posto – i suoi effetti distorsivi possono semplicemente essere aggirati dal consenso razionale raggiunto attraverso una “situazione linguistica ideale”. Nell’universo Habermasiano, quindi, l’ideologia è diventata obsoleta – non ha più alcuna rilevanza teorica o politica.
Tuttavia non è Habermas nel tentativo di aggirare la distorsione ideologica attraverso la “circostanza del linguaggio ideale”- quello che apre alla stessa accusa, nel cercare di andare oltre l’ideologia, è che la riafferma semplicemente come proprio luogo nel suo profondo? Come ho suggerito in precedenza, questo luogo non ideologico, che assuma la forma di essenza umana o un consenso razionale intersoggettivamente raggiunto, è esso stesso ideologico. Cercare di uscire dall’ideologia è il massimo gesto ideologico. È forse la circolarità di questa argomentazione, la tesi del”ideologia è ovunque”, che conduce all’impoverimento dell’ideologia come concetto, è che ha portato alla seconda versione dell’abbandono dell’ideologia – “strutturalismo”. La destrutturazione post-strutturalista dell’idea dell’ideologia può essere vista come la conclusione logica della posizione strutturalista. Lo strutturalismo, come sostenuto sopra, respingeva l’idea di una soggettività umana essenziale – piuttosto il soggetto era prodotto da apparati ideologici, e di conseguenza, non esisteva un luogo incontaminato di partenza al di fuori dell’ideologia. Ciò portò, tuttavia, al problema principale che se il concetto di ideologia viene espanso per comprendere tutto, allora perde significato. Perché non abolire del tutto l’ideologia? Continua ad avere alcun valore concettualmente o politicamente? Non è più rilevante ed efficace vedere il mondo in termini di discorsi, pratiche e strategie di potere? Questo è esattamente ciò che fa Foucault. Per Foucault, non è più utile pensare in termini di distorsione ideologica, perché ciò implica che ci sia qualche verità razionale la cui rappresentazione viene distorta, ed è proprio questa idea di verità assoluta che Foucault interroga. Quindi, per Foucault, ciò che è in dubbio non è la rappresentazione della verità, ma lo status ontologico ed epistemologico della verità stessa: “la questione politica … non è l’errore, l’illusione, la coscienza alienata o l’ideologia; è la verità stessa. ” In altre parole, se lo stato della verità stessa è in dubbio, le domande sulla distorsione ideologica della verità non sono più rilevanti. Ciò che qui è più importante sono le relazioni di potere e le pratiche coinvolte nel discorso della verità. Inoltre, per Foucault, non esiste una soggettività umana essenziale che sia negata o ingannata dall’ideologia – il soggetto è un prodotto, una fabbricazione. Tuttavia, anziché che il soggetto sia costituito dall’ideologia, come sosteneva Althusser, esso è prodotto dal potere e dal discorso. Questo è chiaramente non ideologico perché qui non c’è distorsione, nemmeno una distorsione costitutiva, come c’era con Althusser. Foucault guarda alle pratiche e alle strategie materiali che vanno nella costruzione della soggettività – per esempio, il modo in cui il prigioniero viene prodotto come soggettività marginale attraverso le tecniche di sorveglianza e incarcerazione che operano nella prigione. Non c’è qui inganno ideologico – piuttosto una serie di pratiche, tecniche e strategie di potere che producono il soggetto. Con il potere di Foucault viene usurpata l’ideologia come focus analitica – il potere è disperso in tutto il sistema sociale a tutti i livelli ed è coinvolto nelle nostre azioni e relazioni quotidiane, nelle nostre pratiche più esigue: “il potere è ovunque perché arriva da ogni parte”.
C’è comunque un problema. Se il potere, per Foucault, è pervasivo in questo modo, allora, come l’ideologia, diventa troppo indefinibile e perde il suo valore concettuale. Il potere è diventato un concetto troppo ampio, nello stesso modo in cui l’ideologia come concetto è stata ampliata fino al punto di non avere significato. Ci deve anche essere un divario costitutivo tra il potere e il soggetto, così come doveva esserci un divario tra ideologia e soggetto. Questo è il punto che portano avanti Ernesto Laclau e Lilian Zac. Sostengono che il potere non può essere “ovunque”, come sosteneva Foucault, perché se lo è, perde la sua identità di “potere”. Perché il potere esista come concetto ci deve essere una “mancanza” costitutiva che lo limita in modo definitivo. Questa mancanza è abolita nella formulazione del potere di Foucault, e quindi l’identità del potere stesso diventa priva di significato. Foucault ha, in un certo senso, sostituito l’ideologia con il potere, e ha similmente espanso il concetto. Quindi potremmo dire, proprio come abbiamo fatto con l’ideologia, che se il potere è tutto, allora non è nulla. Inoltre, se il potere è onnipervadente nel senso suggerito da Foucault, allora è difficile teorizzare la resistenza al potere. Foucault era alle prese con questo problema, che non è mai stato in grado di risolvere in modo soddisfacente.
C’è un altro, più interessante problema, con il “post-strutturalista”: l’abbandono discorsivo dell’ideologia. Rappresenta un ulteriore tentativo di uscire dall’ideologia, questa volta, non dalla prospettiva di un soggetto autonomo, essenziale, ma paradossalmente, dal rifiuto stesso di questa identità essenziale. In altre parole, è un tentativo di andare oltre la problematica dell’ideologia, respingendola al posto dei discorsi e delle pratiche che costituiscono il soggetto. Mentre questa posizione di reti onnipervadenti di potere e discorso dovrebbe negare la possibilità di qualsiasi punto critico, fuori da queste reti, e, in modo ironico, negare al pensatore “post-strutturalista” e a se stesso, un tale punto di vista oggettivo, questo è, in sé, un gesto ideologico. Come sostiene Zizek, questa è l’ultima trappola dell’ideologia: abbiamo visto come il tentativo razionalista di separare l’ideologia dalla realtà e di porre un punto di partenza incontaminato fuori dall’ideologia fosse esso stesso ideologico. Tuttavia, per rispondere a questo, respingiamo completamente la nozione di una realtà extra-ideologica e di visione del mondo solo in termini di inventive discorsive; in altre parole, si deve abbandonare completamente la possibilità di un punto di vista critico dove il riflettere sull’ideologia – è esso stesso ideologico. Per Zizek, “una soluzione” postmoderna “così rapida e lucida, tuttavia, è l’ideologia per eccellenza.” In altre parole, la posizione ‘post-strutturalista’ è in qualche modo falsa: negando dimessamente un punto di vista neutrale, vedendo la propria voce come un semplice discorso tra molti, sta paradossalmente assumendo uno sguardo ‘oggettivo’ al di sopra di questa infinita pluralità o nel discorso del potere, e questo è, ovviamente, ideologico. Il “post-strutturalismo”, quindi, nel ritenere che dobbiamo abbandonare l’intera problematica dell’ideologia perché presuppone un’essenza non ideologica che non esiste, sta eseguendo contemporaneamente due operazioni contraddittorie. Sta tentando di uscire dall’ideologia mentre, allo stesso tempo, ci nega un luogo esterno. Ciò che equivale è una riaffermazione dell’ideologia, nonostante, o più precisamente attraverso, i propri tentativi di eluderla. Nelle parole di Zizek, “l’allontanamento dall’ideologia è la forma stessa della nostra schiavitù”. L’ideologia continua a comparire ostinatamente proprio nei luoghi in cui pensiamo di averla evitata. Forse anche questo riafferma concettualmente “asservimento”, o dovremmo dire l’indebitamento, all’ideologia.
Sembra dunque, che siamo tornati al punto in cui abbiamo iniziato. Ho dimostrato che la radicale opposizione dell’Illuminismo e la teoria strutturalista dell’ideologia ha portato alla stagnazione e al progressivo abbandono dell’ideologia come progetto. Ho anche dimostrato che questo abbandono dell’ideologia ha preso due forme radicalmente opposte, l’approccio di Habermasian, che è concomitante con la posizione dell’Illuminismo razionale, e l’approccio post-strutturalista di Foucault che è un’estensione del racconto strutturalista dell’ideologia. Inoltre, ho mostrato il modo in cui questi due scarti dell’ideologia come concetti hanno fallito e, nei loro stessi tentativi di dispensare ideologia, hanno entrambi portato alla sua riaffermazione. Quindi sembrerebbe che non ci siamo allontanati dall’ideologia. Tuttavia la discussione finora ha prodotto alcune deduzioni interessanti. È chiaro, in primo luogo, che l’ideologia non può più essere teorizzata come una distorsione dell’essenza umana. Le discussioni strutturaliste, in verità post-strutturaliste, hanno dimostrato che il soggetto è un prodotto dell’ideologia e che porre un punto di partenza incontaminato al di fuori dell’ideologia è esso stesso ideologico. In secondo luogo, e paradossalmente, è anche immanentemente chiaro che non possiamo presentare una critica dell’ideologia, o addirittura avere una nozione significativa se l’ideologia, è al di fuori delle strutture ideologiche, in mancanza di questo punto di partenza, senza questo punto di vista critico e radicale. Dobbiamo avere uno “spazio” extra-ideologico con cui riflettere sui meccanismi dell’ideologia, altrimenti la critica dell’ideologia non può procedere oltre e la “fine dell’ideologia”, come molti hanno già annunciato, resterà in vita, in maniera veritiera con noi. Sembrerebbe che queste siano due esigenze contraddittorie: che la teoria dell’ideologia deve respingere l’identità essenzialista, negando così il punto di vista extra-ideologico del pensiero Illuminista razionalista, e, allo stesso tempo, deve mantenere questo punto di partenza extra-ideologico, ed essere una qualsiasi teoria critica dell’ideologia.
L’intervento di Stirner: Verso una critica spettrale dell’ideologia
La teorizzazione dell’ideologia di Stirner- vado a sostenere- fornisce una possibile via d’uscita da questo dilemma. La sua critica all’ideologia va al di là sia dell’Illuminismo razionale e dei resoconti strutturalisti dell’ideologia, è soddisfa le due condizioni teoriche apparentemente contraddittorie che ho delineato – che una teoria dell’ideologia mantiene un punto di partenza al di fuori dell’ideologia, ma respinge la nozione di un autonomo, essenziale soggetto. Stirner attua questo, come mostrerò, attraverso una radicale riformulazione del soggetto ideologico. Il resto della disamina, quindi, sarà dedicato all’esplorazione della teoria dell’ideologia di Stirner e allo sviluppo della logica della spettralità, che fornirà indizi vitali per una ri-teorizzazione contemporanea dell’ideologia.
Sembrerebbe, dal problema descritto sopra, che l’ideologia è uno spettro assurdo. È un’apparizione che nei due metodi, viene a perseguitarci, nonostante i nostri più ardenti tentativi di esorcizzarla; metodi che svaniscono ancora una volta quando proviamo ad avvicinarci ad essa. Tuttavia, è forse riconoscendo questa inaccessibilità, questa spettralità dell’ideologia, possiamo cominciare a comprenderla. Stirner non aveva dubbi sul fatto che l’ideologia fosse uno spettro: uno spettro che tormentava e angosciava l’uomo moderno:
Guarda vicino o lontano, un mondo spettrale ti circonda ovunque; hai sempre “apparizioni (Erscheinungen)” o visioni. Tutto ciò che ti appare è solo il fantasma di uno spirito interiore, è una “apparizione” spettrale; il mondo è per te solo un “mondo di apparenze (Erscheinungswelt)”, dietro il quale lo spirito cammina.
Queste apparizioni sono “idee fisse” – astrazioni ideologiche come essenza, verità razionale, moralità, che sono state innalzate al livello assoluto del “sacro”. Una ‘idea fissa’ è un costrutto che governa il pensiero – un assoluto chiuso in modo discorsivo che mutila la differenza e la pluralità dell’esistenza. I sistemi ideologici contengono idee oppressive che perseguitano l’individuo a confronto di una norma impraticabile. Come dice Stirner: “Uomo, la tua testa è infestata … Tu immagini grandi cose e dipingi un intero mondo di dei che ha esistenza per te, un regno di spiriti a cui tu pensi di essere chiamato, un ideale che chiama.” L’ideologia è una serie di idee illusorie, obiettivi e promesse che interpellano l’individuo, creando ideali e sogni impossibili da perseguire futilmente. È evidente qui che l’ideologia è vista come un’illusione o distorsione che allontana l’individuo.
Se tutto questo, fosse solo ciò, quello che era la teoria dell’ideologia di Stirner, allora sarebbe soltanto un’estensione della comprensione dell’Illuminismo razionalista, in cui, come spiegato sopra, l’ideologia è vista come un sistema distorto di idee che allontana l’individuo dai suoi interessi essenziali – dalla sua essenza umana. Tuttavia, se guardiamo più da vicino, vediamo che Stirner rappresenta una rottura paradigmatica con l’umanesimo dell’Illuminismo e costruisce una teoria dell’ideologia radicalmente diversa, non essenzialista.
Critica dell’Umanesimo
Questa “rottura epistemologica” con l’umanesimo essenzialista può essere vista nella critica radicale a Feuerbach. Nell’essenza del cristianesimo, Ludwig Feuerbach applicò la nozione di alienazione alla religione. La religione era alienante, secondo Feuerbach, perché richiedeva che l’uomo rinunciasse alle sue qualità e ai suoi poteri proiettandoli su un Dio astratto oltre la portata dell’umanità. In tal modo l’uomo sposta il suo sé essenziale, lasciandolo alienato e degradato. Le buone qualità dell’uomo diventano astratte, cosicché esso stesso viene trasformato in un vaso vuoto di peccaminosità, prostrato davanti a un Dio onnipotente e onnivoro: “Così nella religione l’uomo nega la sua ragione … la sua stessa conoscenza, i suoi pensieri, che può collocare in Dio. L’uomo rinuncia alla sua personalità … nega la dignità umana, l’ego umano. ” Per Feuerbach i predicati di Dio erano in realtà solo i predicati dell’uomo come essere di una specie. Dio era un’illusione, un’ipostatizzazione dell’uomo. Mentre l’uomo dovrebbe essere l’unico criterio per la verità, l’amore e la virtù; queste caratteristiche sono ora proprietà di un essere astratto che diventa l’unico criterio per essi. In altre parole, Dio era una reificazione dell’essenza umana, delle qualità essenziali dell’uomo.
Secondo Stirner, tuttavia, affermando che le qualità che abbiamo attribuito a Dio o all’Assoluto sono in realtà le qualità essenziali dell’uomo, allora Feuerbach ha trasformato l’uomo in un essere onnipotente. Feuerbach vede la volontà, l’amore e il pensiero come qualità essenziali nell’uomo, desiderando restituirgli queste qualità astratte. L’uomo diventa, negli occhi di Feuerbach, la massima espressione di amore, conoscenza, volontà e bontà. Diventa onnipotente, sacro, perfetto, infinito – in breve, l’uomo diventa Dio. Feuerbach incarna il progetto Illuminista umanista di restituire l’uomo al suo giusto posto al centro dell’universo, di rendere l’umano il divino, il finito dell’infinito. L’uomo ha ora usurpato Dio. Ha catturato per sé la categoria dell’infinito.
Stirner parte accettando la critica di Feuerbach del cristianesimo: l’infinito è un’illusione, essendo semplicemente la rappresentazione della coscienza umana. La religione cristiana è basata sul sé diviso e alienato; l’uomo religioso cerca il suo alter ego che non può essere raggiunto perché è stato astratto sulla figura di Dio. Nel farlo nega il suo sé concreto e sensuale. Tuttavia Stirner risponde a questo:
L’essere supremo è davvero l’essenza dell’uomo, ma, proprio perché è la sua essenza e non lui stesso, rimane del tutto immateriale se lo vediamo fuori da lui e lo vediamo come “Dio”, o si trova in esso e lo si chiama ” essenza dell’uomo ‘o’ uomo ‘. Io non sono né Dio né uomo, né l’essenza suprema né la mia essenza, e quindi è tutto accomunato, se penso all’essenza come in me o fuori di me.
Stirner indica che cercando il sacro nel ‘”essenza umana”, postulando l’uomo essenziale e attribuendo a lui alcune qualità che fino ad allora erano state attribuite a Dio, allora Feuerbach ha semplicemente reintrodotto l’alienazione religiosa. Portando certe caratteristiche e qualità essenziali per l’uomo, Feuerbach ha alienato coloro nei quali queste qualità non sono state trovate. E così l’uomo diventa come Dio, e come l’uomo è stato degradato da Dio, così l’individuo è svilito sotto questo essere perfetto, l’uomo.
L’insurrezione di Feuerbach non ha rovesciato la categoria dell’autorità religiosa – ha semplicemente installato l’uomo al suo interno, invertendo l’ordine di soggetto e predicato. Per Stirner, l’uomo è altrettanto oppressivo, se non più, di Dio: “Feuerbach pensa che, se umanizza il divino, ha trovato la verità. No, se Dio ci ha dato dolore, “l’uomo” è in grado di pungerci in maniera ancora più crudele”. L’uomo diventa il sostituto dell’illusione cristiana. Feuerbach, sostiene Stirner, è il sommo sacerdote di una nuova religione – l’umanesimo: “La religione umana è solo l’ultima metamorfosi della religione cristiana.” L’uomo umanista è un nuovo meccanismo ideologico, una nuova distorsione opprimente e illusoria. È un’idea mutante e alienante: un “fantasma” o una “idea fissa”, come la chiama Stirner. È uno spettro ideologico che dissacra l’unicità e le differenze individuali, confrontando l’individuo con un ideale che non è la sua propria creazione. In questo modo l’individuo viene interpellato da questo spettro: la sua soggettività è costruita attorno a un’essenza che è illusoria. Questo spettro di Dio / Uomo, lo spettro dell’umanesimo, tormenta Stirner in tutta la sua opera.
Possiamo vedere qui quanto sia radicale l’inversione di Stirner della comprensione umanistica e Illuminista dell’ideologia. Mentre Stirner mantiene l’idea dell’ideologia come distorsione, abbandona l’idea di un’essenza umana distorta. Piuttosto l’essenza umana è essa stessa la distorsione ideologica, il meccanismo di oppressione e alienazione. Nella formulazione di Stirner, quindi, non esiste un soggetto umano autonomo e essenziale che sia ingannato dall’ideologia. Al contrario, questa soggettività essenziale è stata costruita da meccanismi ideologici. L’idea stessa di essenza, il grande segreto del discorso umanista che un giorno si sarebbe realizzato, è, per Stirner, uno spettro ideologico – un’illusione. Possiamo vedere anche il modo in cui la logica della spettralità di Stirner va oltre le teorie classiche dell’ideologia. Nel primo senso, la spettralità viene applicata all’ideologia in senso classico: siamo perseguitati da illusioni, “idee fisse” o “spettri” che ci ingannano. Nel secondo senso, tuttavia, l’uomo stesso è diventato uno spettro, un’illusione ideologica creata dall’inversione umanistica della religione. L’uomo è, in un certo senso, tormentato e alienato da se stesso, dallo spettro di “essenza” dentro di esso: “D’ora in poi l’uomo non è più, un caso tipico, ma rabbrividisce davanti ai fantasmi, dentro se stesso; è terrificato con se stesso “. Nella teorizzazione di Stirner, quindi, non vi è alcun punto essenziale di partenza al di fuori dei sistemi ideologici – questa essenza è essa stessa ideologica.
Per Stirner, questo spettro ideologico dell’essenza umana è fondamentalmente opprimente e legato al dominio politico. Proprio come Dio era un potere che soggiogava l’individuo, ora l’uomo è, come dice Stirner, “L’uomo è il Dio di oggi, e la paura dell’uomo ha preso il posto del vecchio timore di Dio”. L’essenza umana è diventata la nuova norma in base alla quale gli individui vengono giudicati e puniti: “Stabilisco cosa sia l’uomo e cosa sia un metodo” veramente umano “, e chiedo a tutti che questa legge diventi norma e ideale per esso; altrimenti si esporrà come un “peccatore e criminale”. In altre parole, poiché una certa identità è stata costruita come “essenziale”, crea una norma ideologica in base al quale gli individui sono tenuti a viverla. Quindi l’essenza umana è la nuova macchina della punizione e del dominio: una nuova norma che condanna la differenza.
Foucault ha considerato anche il modo in cui la nozione di ciò che costituisce l ‘”umano” è diventata la nuova norma della punizione e dell’emarginazione, in particolare nel carcere e nel discorso psichiatrico. Il trattamento del crimine da parte dell’umanesimo come malattia da curare è un esempio del modo in cui funziona questo discorso punitivo. Come sostiene Stirner:
I mezzi curativi o la guarigione sono solo il rovescio della punizione, la teoria della cura corre parallela alla teoria della punizione; se quest’ultima vede in azione un peccato contro il giusto, il primo lo vede come un peccato dell’uomo contro se stesso, come una caduta della sua salute.
Questo è precisamente l’argomento di Foucault sulla formula moderna della punizione in “Disciplina e Punizione”: una formula in cui le norme mediche e psichiatriche sono solo la vecchia morale in una nuova veste. Per Stirner, così come per Foucault, la punizione è resa possibile solo rendendo qualcosa che è sacro, come qualcosa che può essere trasgredito. C’è una certa omologia, che non è stata esplorata, tra Stirner e Foucault. Entrambi i pensatori presentano una critica dell’umanesimo, smascherando le pratiche di dominazione e marginalizzazione coinvolte in questo discorso. Affermo, tuttavia, che Stirner va al di là dell’argomento ‘post-strutturalista’ teorizzando un punto di partenza al di là dell’ideologia / potere, da cui può scaturire la resistenza a questi discorsi umanisti – qualcosa che Foucault non è stato in grado di formulare adeguatamente.
La critica politico-ideologica di Stirner dell’umanesimo e dell’essenza umana si sviluppa in una contro-dialettica. Mentre la dialettica hegeliana culmina nella libertà dell’umanità, questa contro-dialettica, che traccia lo sviluppo dell’umanità in relazione alle istituzioni politiche ad essa corrispondenti, finisce con il dominio ideologico dell’individuo. L’analisi parte dal liberalismo o da quello che Stirner chiama “liberalismo politico”. Come mostra Stirner, la libertà politica significa semplicemente che lo stato è libero, nello stesso modo in cui la libertà religiosa significa che la religione è libera: “Non significa la mia libertà, ma la libertà di un potere che governa e soggioga me”. In altre parole, le libertà comportate dal liberalismo sono limitate a una certa soggettività e nel discorso politico regolato dallo stato – che implica sempre un ulteriore dominio. Il secondo stadio della contro-dialettica è “liberalismo sociale” o socialismo. Il liberalismo sociale si presenta come un rifiuto del liberalismo politico, che è percepito come troppo egoista. [29] Per Stirner, d’altra parte, il liberalismo politico non è stato caratterizzato da troppo egoismo, ma da troppo poco, e vede l’uguaglianza forzata del socialismo – l’uguaglianza della povertà – come un’ulteriore oppressione dell’individuo. Invece della “proprietà” dell’individuo posseduto dallo stato, ora è posseduto dalla società. Ancora una volta, secondo Stirner, l’individuo è stato subordinato a un potere astratto al di fuori di esso. Questo è uno dei punti su cui Stirner e Marx entrano in conflitto. Stirner, al contrario di Marx, non crede nella società: la vede come un’altra astrazione, un’altra illusione ideologica, come Dio e l’essenza umana, a cui l’individuo è sacrificato: “La società, dalla quale abbiamo tutto, è un nuovo maestro , un nuovo fantasma … “. L’individuo, secondo Stirner, non è una parte essenziale della società come credeva Marx.
Quindi, per Stirner, il socialismo è solo un’altra estensione del liberalismo: entrambi sono sistemi che si basano su un’essenza che è considerata sacra – lo stato e la legge per il liberalismo politico; la società per il liberalismo sociale. Stirner esamina quindi la terza e ultima forma di liberalismo in questa dialettica: “liberalismo umano” o umanesimo. Il liberalismo umano è basato su una critica del liberalismo sia politico che sociale. Per l’umanista, questi due liberalismi sono ancora troppo egoisti – si dovrebbe agire per ragioni altruistiche, puramente a favore dell’umanità e dei propri simili. Tuttavia, come abbiamo visto, l’umanesimo si basa su una nozione di essenza umana che Stirner sostiene sia tanto ideologica che illusoria. L’umanesimo sostiene che ognuno ha in sé un nucleo essenziale di umanità che è il vertice. Se si trasgredisce a questa essenza, si viene considerati “inumani”. Stirner, d’altra parte, vuole affermare il diritto dell’individuo a non essere parte dell’umanità, a rifiutare l’essenza umana e ricreare se stessi come più aggrada. Per Stirner, l’umanesimo è lo stadio finale sia della liberazione dell’uomo che dell’asservimento dell’ego individuale. Più l’uomo si libera dalle condizioni oggettive che lo legano, come lo stato e la società, più l’ego individuale, la “volontà personale”, domina. Questo perché l’uomo e l’essenza umana hanno conquistato l’ultimo baluardo dell’individuo – i pensieri o le ‘opinioni’. L’opinione personale diventa “opinione umana generale” e l’autonomia individuale viene così cancellata. La fantasia umanista Illuminista della liberazione dell’uomo, ora appagata, è quindi concomitante con il dominio completo dell’individuo.
Ideologia e Potere
Per Stirner l’umanesimo è una visione ideologica del mondo in cui siamo rimasti intrappolati. L’umanesimo come ideologia pretende di liberare gli individui da ogni sorta di oppressione istituzionale, mentre allo stesso tempo implica un’intensificazione dell’oppressione su noi stessi – attraverso l’essenza umana – e ci nega il potere di resistere a questa auto-sottomissione. In questo l’individuo ha solo una pseudo-sovranità. All’interno del linguaggio umanista dei diritti e delle libertà esiste una trappola: i diritti e le libertà sono concessi all’individuo in cambio della rinuncia del proprio potere. L’ideologia umanista costituisce, nelle parole di Stirner, “un nuovo feudalesimo sotto la sovranità del” uomo.” Un importante luogo di questa dominazione ideologica umanista è la moralità. Stirner crede che la moralità non sia solo una finzione derivata dall’idealismo cristiano, ma anche un discorso che opprime l’individuo. La morale è semplicemente il residuo del cristianesimo, in una nuova veste umanistica, e come Stirner sostiene: “La fede morale è tanto fanatica quanto la fede religiosa!” Ciò di cui Stirner obietta non è la moralità stessa, ma il fatto che sia diventata una legge sacra. La moralità è diventata la nuova religione – una religione secolare – attraverso la quale gli individui sono soggettivati. Le idee morali dominano la coscienza, negando la libertà sensuale dell’individuo e rafforzando il senso di vergogna e colpa. Stirner mostra che dietro le idee morali, ci sia la volontà come potere, la crudeltà e il dominio: “L’influenza morale prende il via dove inizia l’umiliazione; sì, non è altro che questa umiliazione stessa, la rottura e la flessione del temperamento (Mute) fino all’umiltà (Demut) ‘. La moralità mutila l’individuo:
l’individuo deve conformarsi ai codici morali prevalenti, altrimenti si allontana dalla sua “essenza”. Inoltre, la moralità è legata direttamente al dominio dello stato: “questa rabbia popolare per la morale protegge l’istituzione della polizia più di quanto il governo possa in alcun modo proteggerla”.
Stirner espone qui una nuova operazione ideologica che eluse la teoria del diciannovesimo secolo – i legami tra l’essenza umana come spettro ideologico e potere politico. Piuttosto che lo stato che opprime direttamente l’uomo, come nel caso del paradigma politico classico, Stirner mostra che il potere statale funziona attraverso l’uomo, costruito come un luogo della propria oppressione. In altre parole, l’ideologia interpella l’individuo come soggetto dello stato. L’uomo è costruito come un luogo di potere, un’unità politica attraverso la quale lo stato domina l’individuo: “Il nocciolo dello stato è semplicemente ‘l’uomo’, questa irrealtà, ed è essa stessa solo una ‘società di uomini’.” Lo stato richiede che l’individuo sia umano e conforme a certe norme ideologiche, in modo che possa fare parte della società statale e in questo modo dominato: “Quindi lo stato tradisce l’ostilità chiedendomi di essere un uomo … mi impone di essere un uomo come dovere ‘. Stirner in questo modo descrive un processo di soggettivazione in cui il potere funziona, non reprimendo l’uomo, ma costruendo esso come soggetto politico.
Forse il punto più importante dell’analisi dell’ideologia di Stirner è questo processo di soggettivazione. Come soggetti siamo costruiti in modo tale da sottoporre volontariamente la nostra autorità allo stato. Come Stirner ha giustamente ipotizzato, lo stato non può funzionare solo attraverso la repressione dall’alto verso il basso, perché questo esporrà il potere in tutta la propria essenzialità e brutalità. Piuttosto, lo stato si basa sul permesso dato da noi per dominarci. Stirner non è tanto interessato al potere stesso, ma ai motivi per cui permettiamo di essere dominati. Stirner vuole dimostrare che gli apparati ideologici non riguardano solo questioni economiche o politiche, ma sono anche radicati nei bisogni psicologici. Il dominio dello stato, sostiene Stirner, dipende dalla nostra volontà di lasciarlo dominare, dal nostro complice desiderio per la nostra stessa repressione:
Lo stato non è pensabile senza signoria (Herrschaft) e servitù (Knechtschaft) (sottomissione) … Colui che, per mantenere il proprio potere, deve contare sull’assenza di volontà negli altri è un fatto che essi stessi hanno creato, come un maestro è un fatto creato dal servo. Se cessasse la sottomissione, sarebbe finita con la signoria.
Stirner sostiene che lo stato stesso è un’astrazione ideologica, molto simile a Dio; ed esiste solo perché permettiamo che esista, perché abdichiamo ad essa la nostra stessa autorità nello stesso modo in cui creiamo Dio abdicando la nostra autorità e ponendola fuori di noi stessi. Ciò che è più importante dell’istituzione dello stato è il “principio dominante” – è l’idea dello stato che ci domina. L’unità e il dominio dello stato esistono principalmente nella mente dei sudditi. Il potere dello stato è basato sul nostro potere. È solo perché l’individuo non ha riconosciuto questo potere, perché si umilia davanti all’autorità, che lo stato continua ad esistere. Marx sostiene che questo è un primo esempio dell’idealismo di Stirner. Per Marx, Stirner è un pensatore che vive nel mondo delle proprie illusioni, scambiandole per realtà. Dobbiamo ricordare che “L’Ideologia Tedesca” di Marx e Engels era una critica di ciò che vedevano come tendenza idealista nell’esaminare le idee e la coscienza, aventi un effetto determinante sul mondo reale, ignorando così la base reale e materiale delle idee. Stirner è condannato qui come “San Sancho”, una figura che, come il cavaliere di Don Chisciotte, combatte battaglie immaginarie con nemici immaginari. Per Marx, l’analisi dello stato di Stirner come uno spettro ideologico – un’illusione che si basa più sulle convinzioni dei suoi sudditi che sul proprio potere, che ignora le relazioni economiche e di classe che costituiscono la base materiale dello stato. Secondo Marx, l ‘”idealismo” di Stirner assurdamente permette allo stato di essere “voluto” fuori dall’esistenza, piuttosto che indebolito attraverso attività politiche e sociali concrete: “È la vecchia illusione che il cambiamento delle relazioni esistenti dipende solo dalla buona volontà della gente e che le relazioni esistenti sono idee. “
Tuttavia, questa è una deliberata e seriosa lettura errata di Stirner. Piuttosto che respingere la realtà del potere politico, Stirner la vede effettivamente come la forza predominante nella società, ancor più del potere economico. Si potrebbe sostenere, al contrario, che è Marx, il cui pensiero è intrappolato negli stretti confini del materialismo, che ha trascurato l’importanza del potere politico riducendolo alle relazioni economiche e di classe. In questo senso sarebbe Marx a fare dello stato uno spettro – un riflesso illusorio delle relazioni borghesi. Stirner si limita a sostenere che lo stato si basa su premesse illusorie e ideologiche, come la moralità, che esso intende smascherare. Per Stirner, lo stato esiste solo nella misura in cui lo lasciamo esistere. Non è innegabile che qualsiasi tipo di regola dipende dalla volontà di lasciarci governare da noi stessi? Il potere politico non può basarsi unicamente sulla coercizione; ha bisogno del nostro aiuto, della nostra volontà di obbedire. Se anche solo un individuo si realizza, sostiene Stirner, dato che il potere dello stato dipende dal nostro potere, allora questo potere si disintegra. Questo è ciò che intende quando dice che il potere dello stato non è nulla: da un lato è alquanto tangibile, ma d’altro canto è solo perché permettiamo che sia così. Quindi Marx attacca la teoria di Stirner sullo stato su due fronti contraddittori. Da un lato, sta sostenendo che Stirner attribuisce troppa importanza allo stato vedendolo come un effetto determinante sulla borghesia e le relazioni di classe. D’altra parte, Marx sostiene che Stirner, ignora la realtà politica dello stato considerandola un’illusione ideologica. In altre parole, da un lato, secondo Marx, Stirner attribuisce troppa importanza e realtà allo stato, e d’altro canto, non gli concede abbastanza.
Stirner ritiene che lo stato debba essere superato come un’idea, prima che questa possa essere superata nella realtà. Questo è l’unico modo per garantire che un nuovo stato non si presenti in luogo di quello superato. Ciò che deve essere attaccato è il desiderio di autorità. Lo stato non reprime il desiderio – piuttosto lo incatena a se stesso: “Lo stato si esercita a domare l’uomo desideroso; in altre parole, cerca di dirigere il suo desiderio ad esso solo, e di soddisfare quel desiderio con ciò che offre “. È questo desiderio di autorità, questo amore dello stato, che perpetua il suo potere. Le persone sono dominate, suggerisce Stirner, perché lo desiderano. Stirner fu uno dei primi pensatori ad esplorare i legami tra desiderio e potere. Ha esposto un problema su cui i teorici radicali del suo tempo non avevano ancora fatto affidamento: i soggetti possono facilmente desiderare il proprio dominio, proprio come desiderano la libertà. Questo era un tema che in seguito sarebbe stato perseguito dai pensatori post-strutturalisti, in particolare Deleuze e Guattari.
Il “Non-Uomo”
Tuttavia, se l’individuo, per Stirner, è in questo modo sottoposto a soggettivazione – come luogo della sua stessa dominazione – come possiamo teorizzare la resistenza ai sistemi di dominio politico-ideologici che Stirner smaschera? Se non esiste un’essenza umana autonoma, se il soggetto stesso è costruito dagli stessi sistemi ideologici umanistici che lo dominano, su quali basi possiamo impegnarci in modo critico con questi meccanismi? Nella teoria dell’ideologia di Stirner, c’è qualche punto di vista critico, extra-ideologico, da cui possiamo formulare strategie di resistenza? Questo era il problema, come ho sostenuto, e in effetti il post-strutturalismo -è il problema dell’intatto punto di partenza. Perché se Stirner ha respinto l’idea del soggetto autonomo, essenziale – vedendolo piuttosto come un artefatto ideologico – si è anche negato un punto critico di partenza? Tuttavia, sostengo che Stirner teorizza un punto critico di partenza oltre l’ideologia, che non si basa su categorie essenzialiste. In tal modo, egli va oltre l’Illuminista umanista e i resoconti strutturalisti dell’ideologia, e soddisfa i due opposti requisiti per una critica dell’ideologia sopra delineata. Questo “luogo” extra-ideologico di resistenza è reso possibile attraverso la formulazione radicale del soggetto ideologico.
Il principale vantaggio della nozione di soggettività di Stirner è che il soggetto, pur essendo costituito dall’ideologia, non è mai completamente determinato da esso, come lo è nei resoconti strutturalisti e per altro post-strutturalisti. Per Stirner, c’è sempre la possibilità che il soggetto resista alla sua soggettivazione, resistendo al modo in cui è stato costruito. L’identità del soggetto ideologico non è mai completa. C’è sempre una “mancanza” nella simbolizzazione che mina la pienezza di questa identità. In altre parole, l’interpellanza ideologica non rende mai pienamente conto dell’individuo: “nessun concetto mi esprime, nulla di ciò che è designato dalla mia essenza mi consuma …” C’è sempre un residuo, un resto spettrale prodotto dalla simbolizzazione ideologica, che ciononostante sfugge e fornisce un punto di resistenza contro di esso. C’è un difetto nel riflesso ideologico – il punto in cui il soggetto ideologico non manifesta interamente i simboli e le immagini ideologiche, ma piuttosto li supera. In altre parole, può essere visto come una distorsione dell’ideologia, una distorsione della distorsione. Questo eccesso è ciò che Stirner definisce ‘il non-uomo’, l’altro dell’uomo, l’altro dell’umanesimo. È uno spettro che “ritorna”, nel senso Lacaniano, per fermare l’imposizione di identità e essenze fisse. “Ma il non-uomo (Unmensch) che è da qualche parte in ogni individuo, come viene bloccato? … al lato dell’uomo sta sempre il non-uomo …lo Stato, la società, l’umanità, non controlla questo demone. “Questo è l’altro dell’uomo, una forza che non può essere contenuta, è sia una creazione di un uomo che una minaccia per esso. È un eccesso prodotto dall’interpellanza ideologica, che rifiuta di conformarsi all’essenza umana, all’ideale dell’uomo. Il “non uomo” è “un uomo che non corrisponde al concetto dell’uomo, poiché l’inumano è qualcosa di umano che non è conforme al concetto di umano.” Forse può essere considerato nel senso Lacaniano come il “Reale” “della simbolizzazione: un eccesso di significato prodotto dall’incapacità di essere inscritto nel significato, dalla sua incapacità di essere significato. Per Lacan, come sappiamo, l’individuo si trova di fronte a una serie di significanti che dovrebbero rappresentarlo. Tuttavia, c’è sempre un eccesso di significato che sfugge a questo significato.
Come un eccesso che sfugge alla simbolizzazione, il “non-uomo” può essere visto come un punto al di là dell’ideologia e una figura di resistenza contro di essa. È qualcosa che disloca l’identità del soggetto umano essenziale trasgredendo i suoi stretti confini e smascherando la natura arbitraria e contingente di questo spettro ideologico. È importante, inoltre, vedere che il “non-uomo” non è un’essenza di qualche tipo. Non preesiste all’individuo prima dell’interpellanza ideologica. Piuttosto, il “non-uomo” è un eccesso spettrale prodotto attraverso il processo di interpellanza – esso si manifesta solo quando l’identità “essenziale” viene costruita per l’individuo. In questo senso, quindi, il “non-uomo”, piuttosto che essere un’essenza, è il fallimento stesso di questa essenza – i limiti della simbolizzazione ideologica. È il punto in cui l’ideologia si frantuma e viene esposta la natura contingente della sua azione. In questo modo, il “non-uomo”, come limite della simbolizzazione ideologica, può fornire il punto di partenza non-essenzialista, extra-ideologico, da cui si può costruire una critica dell’ideologia. Soddisfa le due condizioni sopra menzionate per una critica contemporanea dell’ideologia: che dispensa con il soggetto umano essenzialista; e ciò consente, tuttavia, un punto critico di partenza. In questo modo, la nozione di Stirner del “non uomo” come “luogo” non-essenzialista di resistenza all’ideologia, porta sia alla comprensione razionalista che a quella strutturalista dell’ideologia e fornisce i fondamenti di una critica contemporanea.
Strategie di resistenza
Come viene concettualizzato questo atto di resistenza all’ideologia? Stirner vede questo argomento di resistenza emergere attraverso quella che lui chiama “l’insurrezione”. L’insurrezione, a differenza delle rivoluzioni del passato, che hanno finito per riaffermare il potere che cercavano di rovesciare, non mira a rovesciare le istituzioni politiche. È proprio perché l’ideologia e il potere operano a livello del soggetto – i suoi desideri, pensieri, idee – piuttosto che l’istituzione, è che il soggetto è spesso un luogo di dominio ideologico, che Stirner sostiene che ogni resistenza al dominio deve anche iniziare a livello del soggetto. Quindi l’insurrezione non è una ribellione del soggetto contro le istituzioni politiche, ma una ribellione del soggetto contro se stesso, contro la sua identità soggettivata e ideologicamente costruita. Comincia, come dice Stirner, “dal malcontento degli uomini con se stessi”. È un rifiuto dell’essenza, una fuga dalle soggettività essenziali, che conduce, tuttavia, a una dislocazione dei meccanismi politico-ideologici:
La rivoluzione mirava a nuovi accordi; l’insurrezione non porta più a lasciarsi organizzare, ma a organizzarci, e non lascia speranze luccicanti sulle “istituzioni”. Non è una lotta contro quello che è stato instaurato, poiché, se prospera, stabilisce il collasso di se stesso; è solo un lavoro fuori di me, da quello stabilito.
Diversamente dalla rivoluzione marxista, per esempio, in cui il soggetto getta le catene dell’ideologia e può svilupparsi secondo la sua essenza, l’insurrezione di Stirner è una rivolta proprio contro questa essenza. Abbandona l’idea di una soggettività essenziale che può essere espressa solo una volta abolita l’ideologia, e piuttosto esorta il soggetto a ricostruire la sua identità come vuole, oltre i limiti dell’essenza. L’Insurrezione, in altre parole, non è quello di diventare ciò che si “è”, ma di diventare ciò che “non è”. Questa idea di rigettare la propria identità essenziale ed esplorare nuove soggettività è naturalmente una caratteristica di varie strategie post-strutturaliste. L’enfasi è sul processo del divenire e del flusso, piuttosto che sul raggiungimento di un’identità stabile che sarà colonizzata dal potere.
La nozione di resistenza alla dominazione ideologica di Stirner implica, quindi, una strategia di flusso e divenire: “consumare” o distruggere la propria identità e reinventarsi di nuovo. L’ego di Stirner è l’unità di base della ripartizione – non è un’essenza, un insieme definito di caratteristiche, ma piuttosto un vuoto, un “nulla creativo”, e spetta all’individuo creare qualcosa da questo e non essere limitato dalle essenze. Per Stirner il sé esiste solo per essere consumato:
Da parte mia partiamo da un presupposto nel presuppormi; ma il mio presupposto non lotta per la sua perfezione come “L’uomo che lotta per la sua perfezione”, ma mi serve solo per godermelo e consumarlo … Non mi suppongo, perché sono in ogni momento Io solo a deporre o creare me stesso...
Quindi il soggetto della resistenza – l’ego – è un processo, un flusso continuo di flussi auto-creativi, che sfugge all’essenza. Perché, come ha dimostrato Stirner, se l’ideologia funziona attraverso l’imposizione di un’identità fissa ed essenziale, l’ego è lo spettro contro-ideologico che sfugge a questa soggettivazione attraverso la resistenza alla simbolizzazione, la sua apertura costitutiva.
Questa fuga dall’ideologia è, naturalmente, solo temporanea e finita – non c’è posto oltre l’ideologia che il soggetto possa percorrere. Non esiste uno stato finale di libertà dall’ideologia. In effetti la libertà, secondo Stirner, è solo un concetto negativo che è ancora legato ai discorsi umanisti essenzialisti – pone sempre la “libertà da” qualcosa, e lottare per questo è mostrare quanto siamo ancora schiavi del concetto da cui cerchiamo di liberarci. La libertà è quindi, per Stirner, uno spettro ideologico: “Non posso crearlo: posso solo desiderarlo e – aspirare ad esso, perché rimane un ideale, un fantasma”. Secondo questa formulazione, quindi, cercare uno stato perpetuo di libertà dall’ideologia è, paradossalmente, la nostra schiavitù definitiva ad esso – è un’aspirazione ideologica. Saremmo caduti nella trappola di Habermas, immaginando un mondo di comunicazione perfetta, libero da distorsioni ideologiche – che è ovviamente l’atto ideologico supremo. Al contrario, per contestare efficacemente il dominio ideologico, dobbiamo riconoscere che, in una certa misura, l’ideologia sarà sempre con noi. Dobbiamo, come suggerisce Stirner, lavorare continuamente su noi stessi per resistere alla soggettivazione ideologica e rinegoziare la nostra posizione nell’ideologia, cercando “linee di fuga” da essa. Stirner chiama questa strategia di resistenza permanente e di rinegoziazione, “proprietà”. La proprietà è una forma di libertà positiva, in cui l’individuo rinegozia la sua soggettività, creando forme di libertà, piuttosto che essere rimesso a esso come parte di un programma rivoluzionario. Per Stirner: “L’uomo liberato non è altro che un uomo libero, un libertino, un cane che trascina con sé un pezzo di catena: è un uomo non libero nella veste della libertà, come l’asino nella pelle del leone”. Non esiste un’idea universale di libertà – c’è solo la particolare idea di libertà di qualcuno a cui l’individuo è costretto a conformarsi. Quindi la libertà, oltre ad essere uno spettro ideologico, comporta anche sempre un ulteriore dominio. La proprietà, d’altra parte, è una strategia intrapresa dall’individuo per rinegoziare la sua posizione all’interno di reti ideologiche al fine di resistere e limitare il loro dominio. In altre parole, ci permette di lavorare ai limiti dell’ideologia, cercando le crepe e i punti di dislocazione nel suo edificio e contestando il modo in cui siamo stati interpellati dall’ideologia.
Stirner fornisce, quindi, una via d’uscita dal dilemma del razionalismo e dello strutturalismo attraverso una riconfigurazione spettrale del soggetto ideologico. Mentre il soggetto è costruito dall’ideologia, c’è anche un’apertura costitutiva nella sua struttura. Il soggetto è in realtà costituito dall’eccesso spettrale che, pur prodotto dalla simbolizzazione ideologica, lo supera e, nel farlo, espone gli stessi limiti dell’ideologia. Questo ci permette di teorizzare, come ho sostenuto, un punto di partenza extra-ideologico non essenzialista, necessario per una critica contemporanea dell’ideologia. Stirner esplora, quindi, in modo inedito, le sottili connessioni tra ideologia, soggettività, desiderio e potere, vedendo l’essenza non come un luogo non distorto al di fuori dell’ideologia, ma piuttosto nel cuore della distorsione ideologica. Raggiunge una “rottura epistemologica” sia con l’umanesimo che con lo strutturalismo, presentando una critica post-umanistica, post-marxista e, in effetti, “post-strutturalista” delle strutture ideologiche. Stirner occupa un punto cruciale di intervento, che distrugge la critica dell’ideologia, infondendo nuova vita a questo concetto e facendo progredire la nostra comprensione delle operazioni politico-ideologiche contemporanee.
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