mercoledì 31 luglio 2019

Lophophora Coulter



  Un genere di due specie, affine ad Ariocarpus e Mammillaria, nativo del sud ovest degli Stati Uniti e del Messico centrale e settentrionale, la Lophophora appartiene alla famiglia delle Cereeae, sottofamiglia Echinocacleinae, la quale comprende circa ventotto generi.
 Una delle religioni più significative praticate dagli indiani del Messico pre-colombiano era imperniata sul culto delle divinità mediante un piccolo cactus, grigio-verde, napiforme e senza spine: il peyotl o Lophophora williamsii (La Barre, 1938). Cresce nei deserti del Messico centrale e settentrionale e nelle adiacenti zone statunitensi ed è concentrato particolarmente nella valle del Rio Grande (Bravo, 1967).
  Questo cactus, conosciuto come pevoll nella lingua nahuatl così com'era parlata nell'impero azteco, potrebbe logicamente essere chiamato il «prototipo» degli allucinogeni del Nuovo Mondo, poiché fu uno dei primi ad essere scoperto, ed indubbiamente fu la prima e la più spettacolare pianta allucinogena incontrata dai conquistatori spagnoli del Messico. La religione del peyotl era già saldamente affermata all'epoca della conquista. Ha resistito a quattro secoli di opposizione civile ed ecclesiastica, viene ancora praticata da un certo numero di tribù messicane, soprattutto quelle Tarahumara, Huichol e Cara (Rouhier, 1927).
  Una serie di rifugi e caverne nel bacino di Cuatro Ciénegas a Coahuila, Messico, datati con il 14C e che abbracciano circa 8000 anni di occupazione saltuaria, hanno fornito una gran quantità di materiale identificabile, comprendente Lophophora williamsii, il fagiolo rosso (Sophora secundiflora) e l'«occhio di caprone messicano» (Ungnadia speciosa), una pianta di sospetta azione psicotropa (Adovasio e Fr.v , 1976).
  I primi resoconti europei sul peyotl indicano che i Chichimecas ed i Toltechi erano al corrente delle sue proprietà già nel 300 a.C., sebbene l'attendibilità di questa affermazione dipenda dall'esattezza d'interpretazione dei calendari primitivi da parte di questi scrittori europei (Rouhier, 1927).
  'Sahagun, scrivendo nella seconda metà del sedicesimo secolo, affermava che «il peyoll. .. è bianco; si trova nel nord del paese; chi lo mangia ha delle visioni spaventose o piacevoli; questa intossicazione dura due o tre giorni e quindi cessa; li ... sostiene [i Chichimecas] e gli dà coraggio per combattere, ed essi non sentono né paura, né fame, né sete; e dicono che li protegga da tutti i pericoli». I Chichimecas, a suo avviso, sono stati i primi a scoprire e ad usare il peyotl. Lo stesso cronista scrisse nel 1591 che essi «mangiano il peyotl, perdono i sensi, hanno visioni terrificanti, come quella del diavolo, e sono in grado di predire il futuro» , e denunziava la pianta . come «un trucco satanico» (Sahagun, 1938). 
Hernandez, medico del re di Spagna, scrisse nel suo grande trattato sulle piante medicinali messicane: «si dice che uomini e donne ne traggano vantaggio... Macinato ed applicato sulle giunture doloranti, sembra dare sollievo. Alla sua radice sono attribuite proprietà meravigliose ... Chi lo inghiotte è in grado di vedere nel futuro e di predire gli eventi ... oppure di sapere chi gli ha rubato qualche oggetto» (Hernandez, 1651). 
  Gli sforzi spagnoli di cancellare la religione del peyotl, fecero sì che i suoi seguaci la praticassero di nascosto. Nel diciassettesimo secolo fu pubblicata una descrizione dettagliata del rito fra i Cara. Nel 1760, un opuscolo cattolico diffuso nel Messico sentenziava che l'uso del peyotl era allo stesso livello del cannibalismo (L,a Barre, 1938).
  Nel Messico settentrionale il culto del peyotl comprendeva in genere una lunga 'cerimonia, nella quale la danza aveva una parte fondamentale, mentre per gli indiani degli Stati Uniti la cerimonia è standardizzata (con piccole variazioni da tribù a tribù), e consiste in un rituale che dura tutta la notte e si svolge in una tenda, con canti, recita di salmi, meditazione, preghiere e, di solito, un breve «sermone» tenuto dalla guida o capo. Questo rituale termina al mattino con un pasto comunitario (La Barre, 1938; Slotkin, 1956).
  Il peyotl veniva usato nel Texas già nel 1760 e, durante la guerra civile, era conosciuto da alcuni indiani americani. A partire dal 1880, il peyotl cominciò a diffondersi fra gli indiani degli Stati Uniti, specialmente fra le tribù delle pianure. Gli indiani erano venuti a conoscenza del peyotl durante scorrerie o visite nel Messico settentrionale. Essi adottarono subito questo «sacramento» esclusivamente indiano e costruirono tutto un nuovo cerimoniale attorno al suo impiego, cerimoniale in cui entrarono a far parte elementi indigeni e pagani mescolati ad elementi cristiani. La religione si diffuse rapidamente grazie alle proprietà psicoattive del peyotl e alla sua reputazione di «medicina» soprannaturale. Organizzato ora legalmente come chiesa indigena americana (Native American Church), il culto del peyotl è diffuso fra molti gruppi indiani negli Stati Uniti e nel Canada e comprende circa 250.000 aderenti (La Barre, 1960; Schultes, 1937a, 1937b).
  Il peyotl viene quasi invariabilmente consumato sotto forma dei cosiddetti bottoni di mescal, le parti superiori (o corone) essiccate, di color marrone e a forma discoidale, del cactus. Questi vengono semplicemente messi in bocca, ammorbiditi con la saliva ed inghiottiti senza masticazione, ma occasionalmente gli indiani possono immergere i bottoni in acqua e bere il liquido inebriante. La corona o la parte clorofillacea della pianta (l'unica che cresce fuori dal terreno) viene divisa dalla radice ed essiccata. In questa forma i bottoni di mescal sono praticamente indistruttibili e possono essere trasportati per lunghe distanze senza detrimento. Nel Messico, gli Huichol ed' i Tarahumara compiono dei pellegrinaggi sacri annuali nei luoghi dove il peyotl cresce, spesso lontani miglia e miglia dalle loro abitazioni, per raccogliere la pjanta. La maggior parte degl'indiani messicani ottengono oggi le loro forniture di peyotl dagli Huichol. L'indistruttibilità e la durata dei bottoni essiccati, hanno reso possibile al culto del peyotl di estendersi ben oltre l'area di crescita del cactus, addirittura fino al Canada. I peyotisti indiani negli Stati Uniti e nel Canada ricevono normalmente le loro forniture per posta dal Texas (La Barre, 1938,1960; Safford, 1917).
  Grazie ai classici studi antropologici sul colto del peyotl eseguiti da La Barre, la storia e l'importanza di questa religione popolare negli Stati Uniti, sono ora completamente conosciute (La Barre, 1938, 1957, 1960). Durante il secolo scorso, esisteva una costante opposizione al diritto degli indiani di usare il peyotl a scopo religioso, ma l'opinione odierna, nonostante qualche debole e circoscritto tentativo di proibire la droga, è favorevole al mantenimento di tale diritto. C'è voluto spesso lo sforzo combinato degli indiani e degli scienziati per contrastare le leggi repressive che volevano abolirne il culto.
  L'intossicazione da peyotl, una delle più complesse e più variabili piante allucinogene, è caratterizzata soprattutto da visioni colorate in modo indescrivibilmente vivace ed in movimento caledoiscopico. Queste allucinazioni visive, attribuite alla mescalina, che è uno dei tanti alcaloidi della pianta, sono spesso accompagnate da allucinazioni uditive, di gusto, olfattive e tattili. Normalmente si hanno anche sensazioni di mancanza di peso, macropsia, depersonalizzazione, sdoppiamento dell'ego, alterazione o perdita dell'a percezione del tempo ed altri effetti soprannaturali. La differenza reale, e spesso trascurata, fra l'intossicazione da peyotl e l'intossicazione da mescalina dev 'essere sempre tenuta presente. Fra i consumatori aborigeni, quella che viene ingerita è la cima secca del cactus, con il suo contenuto totale di alcaloidi; la mescalina, somministrata oralmente o per iniezione, si utilizza solo sperimentalmente, e produce gli effetti di un solo alcaloide, senza l'interazione fisiologica delle altre basi presenti nel materiale vegetale grezzo. Di conseguenza, le descrizioni di allucinazioni visive che si trovano in rapporti di esperimenti psicologici, non dovrebbero essere del tutto comparate agli effetti sperimentati dai consumatori di peyotl nelle loro cerimonie (Khiver, 1928; Rouhier, 1927; Slotkin, 1956).
  Le dosi fra i consumatori indiani variano moltissimo, da quattro a più di trenta bottoni. L'intossicazione che segue tende ad avere due fasi: un periodo di soddisfazione ed ipersensibilità, ed uno di calma nervosa e torpore muscolare, spesso accompagnati da iperattività cerebrale e dalle tipiche visioni colorate. Prima che compaia l'allucinazione, il soggetto vede dei lampi di colore attraversare il suo campo visivo; la profondità, la ricchezza e la saturazione dci colori sfidano ogni descrizione. Sembra esservi una specie di sequenza nelle visioni: da figure geometriche, a scene e volti familiari, a scene ed oggetti non familiari, ad oggetti secondari che variano con differenze individuali, o che possono anche essere assenti (Berittger, 1927; Kluver, 1928).
  I testi sono ricchi di descrizioni eccellenti e dettagliate sulle allucinazioni visive provocate da intossicazione sia da peyotl che da mescalina, e forniscono una quantità di dati interessanti per la ricerca psicologica e psichiatrica. Sebbene l'allucinazione visiva sia importante per i culti indigeni, il peyotl è venerato in gran parte per la sua efficacia come «stimolante» e «medicinale» . Le sue proprietà «medicinali» soprannaturali derivano dal suo potere di mettere l'uomo, attraverso le visioni, a contatto con il mondo dello spirito, da cui gli aborigeni credono che provengano le malattie ed anche la morte, ed al quale si rivolgono gli stregoni per diagnosi e cure (Schultes, 1938, 1940).
  L'intossicazione da peyotl, con l'ingestione di molti alcaloidi, differisce notevolmente da quella indotta da mescalina. La maggior parte degli esperimenti psicologici sono stati eseguiti con quest'ultima. Studi ormai classici sull'intossicazione da mescalina sono quelli di Beringer (1927) e Kluver (1928).
  I poteri magico-terapeutici della Lophophora williamsii godono di tale considerazione nel Messico che molte altre piante sono confuse con il peyotl, o ad esso rese affini nella denominazione dialettale: piante appartenenti a Compositae, Orchidaceae, Crassulaceae, Leguminosae, Solanaceae, per non parlare poi di altre specie di cactus. Nella medicina popolare e nel folclore sono considerate simili alla L. williamsii le specie di almeno dieci generi di cactus: Ariocarpus, Astrophytum, Aztekiwn, Coryphan/ha, Dolichothele, Echinocereus, Epithelantha, Mammillaria, Obregonia e Pelechyphora, Questa «classificazione» di «affini al peyotJ» potrebbe essere definita il «complesso del peyotl », poiché comprende tutte le specie messicane della famiglia che hanno un potere psicoattivo, vero o presunto, Nella terminologia nativa queste specie sono tutte classificate come peyotl o tipi di peyotl, e l'esperienza ha dim~strato che, da un punto di vista etnobotanico, è bene tener conto di queste idee aborigene (Bruhn, 1973; Bruhn e Bruhn, 1973). Tali piante sono ritenute affini dagli aborigeni, sia a causa di una somiglianza superficiale con la Lophophora, che, più spesso, a causa degli effetti tossici, presunti o reali , che ricordano 'quelli della Lophophora (Schultes, 1937b; 1967a).
  Nel 1927, il farmacologo francese Alexandre Rouhier pubblicò un importante studio interdisciplinare sul peyotl, intitolato La Plante qui Fait les Yeu;( Emerveillés -le Peyotl, Questo testo rappresenta uno dei pochi e certamente uno dei primi tentativi di considerare un allucinogeno sotto tutti i punti di vista: storico, antropologico e sociale, oltre che botanico, farmacologico e chimico (Rouhier, 1927).
  È risaputo che gli indiani del Messico settentrionale hanno stimato come cactus inebrianti anche piante diverse dalla Lophophora williamsii. L'esploratore Lumholtz scrisse nel 1902 che i Tarahumara attribuivano
elevate qualità mentali ... a tutte le specie di Mammillaria ed Echinocaclus, dei piccoli cactus, sui quali è stato istituito un culto regolare. I Tarahumara ne indicano diverse piante come hikuli, sebbene il nome appartenga soltanto ad una specie, che usano più frequentemente. Queste piante sopravvivono per mesi dopo che sono state sradicate, ed il mangiarle provoca uno stato di estasi. Esse sono, di conseguenza, considerate delle semi-divinità, e, come ta li trattate con grande deferenza ... I tipi principali sono conosciuti scientificamente come Lophophora williamsii e Lophophora williamsii varo lewinii ... I Tarahumara la chiamano hikuli per eccellenza. (hikuli wanamé) o semplicemente hikuli, poiché si tratta deU'hikuli per a ntonomasia. Oltre aU'hikuli wanamé normalmente usato, i Tarahumara conoscono e venerano le seguenti varietà: 1) Mulato (Mammillaria microfneris) [conosciuta ora come Epilhelanlha micromeris]. Si crede che renda gli occhi grandi e chiari per vedere stregoni, che prolunghi la vita e che dia velocità ai corridori; 2) Rosapara. Questo è soltanto uno stadio vegetativo più avanzato della specie precedente -anche se sembra del tutto diversa, essendo bianca e spinosa ... 3) Sunami (Mammillaria fissurata) [chiamata ora Ariocarpus fissuralus]. È rara, ma viene ritenuta ancora «più forte» del wanamé ed è usata nello stesso modo della precedente; la bevanda prodotta con essa è anche fortemente inebriante. I ladri non hanno alcuna possibilità di rubare dove il Sunami chiama i soldati in suo aiuto. 4) Hikuli walula saeliami. Questa è la più grande di tutte, ed il nome significa «grande autorità hikuli». È estremamente rara fra i Tarahumara, ed io non ne ho visto nessun esemplare, ma mi è stato raccontato che cresce in cespi di diametro da 20 a 30 cm, rassomiglianti al wanamé, con tante pianticelle giovani tutt'attorno. Gli altri hikuli sono suoi servi ... Tutte queste specie sono considerate buone, provenienti da Tala Dios e ben disposte verso la gente. Vi sono però alcune specie di hikuli che sono ritenute provenienti dal Diavolo. Una di queste, con lunghe spine bianche, viene chiamata ocoyome. Essa è usata molto raramente e a scopi malefici.
  Anche i moderni Tarahumara fanno uso nelle loro feste di al tre specie di cactus narcotici; oltre alla Lophophora Williamsii, usano Ariocarpus fissuratus, A. retusus, Epithelantha micromeris, Mammillaria heyderii, diverse specie di Echinocereus e Coryphanthus compacta. Il Pachycereus pectinaboriginum, che si trova sempre nella regione dei Tarahumara, verrebbe usato anch'esso come, narcotico da questi indiani (Bye, 1976; Furst, 1971; Pennington, 1963, 1969). 
  Le prime serie ricerche chimiche sulla Lophophora williamsii sono state intraprese verso la fine del secolo scorso da Heffter, che. ebbe successo nell'isolare dai bottoni di mescal un certo numero di alcaloidi in forma pura. Studiando le proprietà farmacologiche di queste sostanze con esperimenti su animali ed, eroicamente, su se stesso, egli scoprì che l'alcaloide principale, che chiamò rnescalina, presentava le proprietà allucinogene visive caratteristiche del peyotl (Heffter, 1894, 1896, 1898). Ernst Spath dimostrò che la struttura chimica della mescalina è 3,4,5-trimetossifeniletilammina, e fu anche in grado di produrre l'alcaloide per sintesi (1919).
  Da allora sono state descritte diverse varianti di questa sintesi (Banholzer ed altri, 1952; Bennington e Morin , 1951; Dornow e Petsch, 1951, 1952; Eme e Ramirez, 1950; Hahn e Rumpf, 1938, Hahn e Wassmuth, 1934; Kindler e Petsch, 1932; Slotta e Heller, 1930; Siotta e Szyszka, 1933; Tsao, 1951).
  Dalla Lophophora williamsii sono stati isolati derivati della mescalina, come N-metilmescalina ed N-acetilmescalina (Spath e Bruck, 1937, 1938). Più tardi, nel peyotl furono anche trovati in piccola quantità degli altri derivati semplici della fenetilammina: tiramina, N-metiltiramina, ordenina (= analina), candicina (= sale quaternario del!'ordenina), 3,4-dimetossi-5idrossifenetilammina e 3,4-dimetossifenetilammina (Agurell, 1969; Lundstròm ed Agurell , 1968; McLaughlin e Paul, 1966) (Tabella VIII). Usando una tecmica mista di gas-cromatografia-spettrometria di massa, fu possibile isolare ed identificare diversi altri componenti minori del peyotl, come la peyonina, che differisce dalla mescalina per la sostituzione del gruppo amminico primario con un gruppo acido carbossilico pirrolidinico (Kapadia e Highet, 1968).
  Ancora, usando questa tecnica, sono stati trovati altri derivati N-acilati della mescalina: N-formilmescalina, N-formil-ed N-acetil-3,4-dimetossi-5idrofeni letilammina, N-(3 ,4 ,5-trimetossifeniletil)-succinimmide, N-(3,4 ,5trimetossifeniletil)-malimmide, N-(3 ,4 ,metossifeniletil)-maleinimmide, mescalotam e peyoglutam (Kapadia e Fales, 1968).
  Un gruppo cospicuo di altri alcaloidi minori della Lophophora williamsii appartiene al tipo strutturale degli alcaloidi della tetraidroisochinolina, già isolati da Heffter ed altri ricercatori (Boit, 1961; Kapadia e Fayez, 1970). Questi alcaloidi sono riportati nella Tabella IX.
  Le recenti ricerche di Kapadia ed altri hanno portato alla scoperta di un grande numero di derivati degli alcaloidi elencati in questa tabella. La N-etilanalonina fu isolata in quantitativi minimi e chiamata peyoforina (Kapadia e Fales, 1968b). Analidina, lofoforina e pellotina furono trovate sotto forma di alcaloidi deil 'ammonio quaternario e chiamati rispettivamente analotina, lofotina e peyotina (Kapadia e Fales, 1968a). F4. inoltre dimostrato che sono presenti in piccoli quantitativi anche gli N-acil derivati degli alcaloidi del peyotl di tipo tetraidroisochinolina: N-formilanalinina, N-formil-O-metilanalonidina, N-formil-ed N-acetilanalammina, Nformilanalonidina e N-formil-ed N-acetilanalonina (Kapadia e Fales, 1968a). In totale, dalla Lophophora 'vvilliamsii sono stati isolati più di trenta alcaloid,i ed i loro acil derivati (Kapadia e Fayez, 1970).
  Alcuni campioni archeologici di Lophophora williamsii datati con il radiocarbonio intorno a11'810-1070 d.C. sono stati di recente analizzati chimicamente. Si sono identificate in estratti mescalina, analonina, lofoforina, pellotina e analonidina. Si crede che rappresenti uno dei materiali più antichi mai sottoposto ad analisi chimica per alcaloidi (Bruhn e altri, 1978).
  Non è disponibile alcuna relazione sull'attività allucinogena di un cosÌ gran numero di costituenti minori del peyotl. La mescalina sembra essere la principale responsabile delle proprietà allucinogene visive della Lophophora williamsii.
  Essa ha offerto per la prima volta la possibilità di produrre e di studiare il fenomeno delle allucinazioni visive con un composto chimico puro. In effetti, è stato il primo allucinogeno chimicamente puro. La dose orale media per l'uomo è pari a 0,2 gr, mentre 0,6 gr costituiscono una dose relativamente elevata.
  Di solito, l'intossicazione da mescalina inizia con sintomi spiacevoli: nausea, tremore e traspirazione. Questi si attenuano dopo una-due ore e sono sostituiti da uno stato allucinatorio simile al sogno, che dura da cinque a dodici ore. I caratteristici effetti mentali sono preceduti dai sintomi tipici di un dopo-sbornia.
  Un esame della farmacologia della mescalina è stato eseguito da Fischer (1958). Nell'uomo essa provoca una sindrome di stimolazione del simpatico centrale simile a quella della psilocibina e dell'LSD, caratterizzata da dilatazione della pupilla, aumento della frequenza del polso e della pressione del sangue, oltre all 'aumento della temperatura corporea. La mescalina diminuisce anche la soglia di sollecitazione del riflesso del ginocchio (Wolbach ed altri, 1962a).
  Vi sono molte descrizioni dello stato mentale indotto dalla mescalina. Fra tutta la letteratura concernente rapporti clinici sull'intossicazione da peyotl o da mescalina e le possibilità di un loro impiego in psichiatria, devono essere menzionate le opere ormai classiche di Prentiss e Morgan (1895), Mitchell (1896) ed Ellis (1898), come pure le monografie di Lewin (1927), Beringer (1927) e Kluver (1928).
  L'attività psicotropa della mescalina ha spinto i chimici alla preparazione di un gran numero di derivati di questo alcaloide, nella speranza di trovare in queste modificazioni chimiche dei composti con proprietà farmacologiche utili. Sono state operate modificazioni nei metossi sostituenti dell'anello benzenico c nella catena laterale etilamminica. I composti più attivi sono stati ottenuti sostituendo l'ctilammina con un radicale isopropilamminico. Ciò ha portato a sintetizzare sostanze che mostrano le caratteristiche della mescalina e la struttura dell'anfetamina. Il principale contributo in questo caso è stato quello di Shulgin, che di recente ha pubblicato un'eccellente relazione su queste ricerche (1976).
  Due composti, la più attiva delle metossianfetammine, 2,5-dimetossi-4metilfènilisopropilammina, e la 2,S-dimetossi-4-etilfeni lisopropi lammina, hanno anche trovato un impiego paramedico nel campo della droga (con la sigla DOM), chiamati anche rispettivamente STP e DOET.
  L'attività di questi composti, il cui dosaggio totale nell'uomo è di 3 mg, è cento volte superiore a quella della mescalina. Ragguardevole è anche l'inatteso prolungamento della durata dell'intossicazione, superiore di tre volte o anche più.
  La storia botanica, chimica e farmacologica del peyotl è così strettamente intrecciata, che è quasi impossibile dissociare i tre elementi. Dal momento che la nomenclatura e la tassonomia del cactus peyotl sono cosÌ imbrogliate, e poiché la consapevolezza di questa confusione è in diretto rapporto con l'esatta conoscenza chimica della pianta, appare utile far seguire qui una breve e semplificata esposizione degli aspetti botanici che sono in relazione con quelli chimici dello studio. 
  Il vero cactus peyotl fu descritto botanicamente per la prima volta da Lemaire nel 1845, e fu assegnato al genere Echinocactus come E. williamsii. (Le pubblicazioni francesi di solito usano il binomio E. williamsii) , Nel 1872; Voss lo considerò come appartenente ad una specie di Ariocarpus, e procedette al cambiamento di nomenclatura: A. williamsii, Anni dopo, nel 1885, lo stesso Lemaire trasferì la specie al genere Anhalonium, ed il binomio Anhalonium williamsii durò per molti anni nella letteratura specifica antropologica e chimica, Nel 1891, CouIter inèluse la specie nel genere Mammillaria , ma tre anni più tardi descrisse un genere monotipico, la Lophophora, per includervi questa specie anomala, assegnandole la denominazione di L. williamsii,
  La storia del peyotl dai suoi inizi fino alla moderna farmacologia e nella chimica è stata chiarita soltanto di recente (Bruhn, 1975, 1977; Bruhn e Holmstedt, 1974)
  Si ritiene in genere che le prime ricerche chimiche sul peyotl siano state intraprese dalla Parke Davis & Company su materiale inviato da Laredo (Texas) da un'infermiera, la signora Anna B. Nickels. In realtà, il dr. John R. Briggs, un medico texano, aveva descritto le sue esperienze.personali con i «bottoni di muscale» fin dall'aprile del 1887. Nel giugno del 1887, egli inviò del materiale alla Parke Davis di Detroit. La compagnia spedì a sua volta i campioni al dr. H. H. Rusby di New York, che ne fu «completamente sconvolto». Egli li spedì al Gray Herbarium presso l'Università di Harvard, dove il dr. Sereno Watson li identificò come «cactacei», attribuibili al genere Anhalonium. Nel luglio di quell'anno, Briggs inviò cinque staie di bottoni di mescal alla Parke Davis.
  Nel frattempo, il dr. Louis Lewin di Berlino stava viaggiando attraverso gli Stati Uniti. Quando, nel 1887, visitò Detroit, ottenne un certo quantitativo di peyotl dalla Parke Davis e promise di studiarlo. In quel periodo, un certo Wetzel, dipendente della compagnia" riferì che i bottoni di mescal «contengon,o un grande quantitativo di alcaloide, o piuttosto di alcaloidi, poiché sono certo che ve n'è più d'uno». Questa è la prima annotazione sull'esistenza di alcaloidi nelle cactacee.
  Lewin, che aveva estratto una mescolanza di alcaloidi, da lui trovati molto tossici, chiese al botanico Hennings di identificare il materiale vegetale in suo possesso. Nel 1888, Curt Hennings descrisse una nuova specie:, l'Anhalonium lewinii, che affermò essere molto affine all'A. williamsii. Era la prima volta che la specie di appartenenza della droga veniva correttamente identificata .
  Si riteneva che l'Anhalonium lewinii differisse morfologicamente da quello che fino ad allora era stato chiamato A. williamsii, e questo è l'inizio di una confusione che ha inquinato per molti anni la ricerca botanica e fitochimica. Hennings aveva ricevuto dei bottoni di mescal essiccati, che aveva fatto rinvenire in acqua per poterli descrivere, visualìzzando sommariamente la pianta da questo materiale (1888). È ora chiaro che Hennings stava descrivendo semplicemente una fase di vecchiaia del cactus. Egli basò la distinzione dell'A. lewinii su caratteri come il numero dei rilievi e dei tubercoli e le differenze di biancore, lunghezza e sericità dei ciuffi di peli. Nello stesso tempo, sembrò anche esservi una differenza nei costituenti chimici. Anche Hennings, tuttavia, confessò che non poteva riconoscere dai caratteri morfologici se si trovasse in presenza di A. williamsii o di A. lewinii, ma insisteva di poter distinguere le due specie dal punto di vista chimico. Negli anni che seguirono, l'epiteto lewinii ebbe varie attribuzioni: in una specie di Lophophora (L. lewinii), come varietà di L. williamsii (L. williamsii var. lewinii), ed anche in una specie di Mammillaria o di Echinocactus.
  Nel 1888, Lewin pubblicò la sua prima relazione sugli alcaloidi della pianta. Nel frattempo, la Parke Davis era entrata in contatto con la signora Nickels, che rappresentò una delle prime fonti di approvvigionamento di bottoni di mescal in g'randi quantità. Nello stesso anno, la compagnia introdusse la sostanza nella pratica medica, ed il suo catalogo del 1889 comprendeva la «tintura di Anhaloniwn lewinii», con l'indicazione di «marcata azione fisiologica simile alla stricnina» e, negli anni successivi, la raccomandava come stimolante e tonico cardiaco nel trattamento dell'angina pectoris. Questo, tuttavia, non rappresenta il primo inserimento del peyotl nella medicina moderna, poiché esso aveva già trovato posto nella Farmacopea Messicana del 1846.
  Gli studi botanici sul peyotl continuarono comunque ad ingenerare confusione, fino a che, nel 1894, Coulter descrisse un nuovo genere, lophophora, classificando il peyotl come L. williamsii e L. williamsii var. lewinii.
  Nello stesso tempo stava crescendo l'interesse farmacologico e chimico. Nel 1891, il chimico Rudolph Boehm di Lipsia ricevette un grande quantitativo di « pellote» e lo affidò al suo assistente Arthur Heffter; non si trattava però di Lophophora, ma piuttosto di Ariocarpus fissuratus. Da fornitori agricoli tuttavia Heffter riuscì ad ottenere materiale identificato come A. williamsii ed A. levvirzii. Dal primo, egli isolò un nuovo alcaloide, la pellotina; nel secondo individuò invece due alcaloidi e la presenza di un terzo componente.
  Nel 1893, dietro suggerimento di Lewin, la Merck iniziò delle ricerche sul peyotl, ed il suo chimico E. Kauder cristallizzò l'analonina. Lewin studiò questo composto e confermò la scoperta di Heffter della pellotina. Egli sostenne che, per la classificazione della pianta, le differenze chimiche dovevano essere prese in considerazione, ma il botanico Karl Schumann nel 1895 sostenne che poteva essere riconosciuta soltanto una specie, che avrebbe dovuto chiamarsi Echinocactus williamsii, sebbene' ammettesse due forme chimiche: pellotinica e analononica.
  Nel 1896, Heffter aveva isolato analonidina, mescalina, analonina e lofoforina dal materiale fornito dalla Parke Davis. Egli evidenziò anche gli effetti ipnotici della pellotina.
  Nello stesso tempo, il dr. S. Weir Mitchell e A. Ellis studiavano l'intossicazione da mescal, descrivendone le allucinazioni visive colorate. Ellis scrisse che «vi è ogni probabilità che il mescal diventi popolare. Certamente avrà un grande avvenire fra quelli che amano le droghe che inducono visioni». Nel 1897, Heffter accertò che era la mescalina a provocare le allucinazioni visi ve colorate.
  Da allora, dal peyotl furono isolati sempre nuovi alcaloidi, fino al numero totale oggi conosciuto, che supera i trenta (Kapadia e Fayez, 1970). In questo intervallo di tempo, le ricerche di Erost Spath rappresentarono un notevole contributo, compresa la determinazione corretta della mescalina, nel 1891: 3,4,S-trimetossifeniletilammina.
  La via di biosintesi principale che porta alla mescalina ed agli alcaloidi della tetraidroisochinolina nella Lophophora williamsii procede dall'ammino acido tirosina, attraverso tiramina, dopamina, e 3-metossitiramina fino a 3,4-diidrossi-5-metossifenetilammina (Kapadia e Fayez, 1970; Lundstrbm, 1971 a). Questo composto Cl) è un importante intermedio. La metilazione del gruppo idrossilico in posizione meta dà il composto 3, la cui ulteriore metilazione porta alla mescalina. La paramctilazione di l dà il composto 4, che viene facilmente attivato in orto con la chiusura dell'anello, dando luogo agli alcaloidi della tetraidroisochinolina.
  Gli esperimenti di biosintesi con la Lophophora williamsii hanno'portato alla verifica di queste vie, ma il composto 4 veniva convertito in pellotina soltanto in minima parte. Un miglior precursore deUa pellotina, sorprendentemente, è apparso il composto l (Battersby ed altri, 1968; Khanna ed altri, 1970).
  La tassonomia della Lophophora è stata completamente chiarita soltanto recentemente, grazie all'opera di Bravo (1967) e di Anderson (1969), con il supporto de,lla chimica e un risultato diretto delle ricerche di Bruhn sulla fitochimica del genere, appoggiata da un esteso lavoro sul luogo (Bruhn e Bruhn, 1973). È ora chiaro che la Lophophora comprende due specie: L. tyilliamsii e L. diffusa. È stata avanzata l'ipotesi che la L. diffusa possa rappresentare il tipo ancestrale del genere (Boke ed Anderson, 1970).
  Una recente analisi sugli alcaloidi della Lophophora diffusa ha rivelato la presenza di alcaloidi fenolici della tetraidroisochinolina, principalmente pellotina e piccoli quantitativi di O-metilpellotina, come costituenti principali, e solo con tracce di mescalina. Tale risultato spiega alcuni punti controversi del precedente lavoro di ricerca (Bruhn ed Agurell, 1975; Bruhn ed Holmstedt, 1974). 
  Una spiegazione 'possibile fu ottenuta quando Lundstrom (1971 b) trovò che il composto 5 era ben incorporato nella pellotina. Lo stesso composto fu identificato anche nella Lophophora williamsii. Gli elementi ricavati da queste due scoperte, indussero Lundstrom (1971 b) a ipotizzare che la pellotina, e probabilmente anche l'analidina, si formassero nella L. williamsii seguendo una strada diversa, lungo la quale s'incontravano i derivati N-metilati della fenetilammina. Non si sa ancora in quale fase avvenga la N-metilazione, ma sembrerebbe che nella L. williamsii vi sia un equilibrio fra le tre strade indicate nelle formule.
  Bruhn ed Holmstedt hanno trovato che nei bottoni di mescal inviati da Rusby a Watson nel 1887 vi erano ancora presenti degli alcaloidi (Bruhn ed Holmstedt, 1974). I campioni sono stati conservati nelle casse dell'erbario dell'Università di Harvard per circa novant'anni . La percentuale di alcaloidi totali, e le proporzioni fra gli alcaloidi fenolici e non fenolici, sono circa le stesse delle cime di cactus raccolte ed essiccate di recente. La differenza principale risiede nel contenuto di mescalina dei bottoni più vecchi, che è molto più basso di quello riscontrato nel materiale più fresco. Gli altri alcaloidi non hanno mostrato differenze se non minime. Non è possibile, ovviamente, attribuire la differenza del contenuto di mescalina a degradazione nel tempo o ad una variazione naturale della pianta originaria.

martedì 30 luglio 2019

L'anima della disintegrazione



1200px-thetriumphofdeath
“Le forze del Titanic fanno la guerra dentro di noi. Una guerra condotta dal sangue contro l'intelletto, tra le influenze del mondo industriale caduto in cui viviamo e le paludi primordiali, feconde e intrise di sangue che ricordiamo nei nostri sogni e nelle ombre dei boschi di notte. "
Ramon Elani
“La vita non è mai una cosa di felicità continua. Non c'è paradiso. Combatti, ridi, senti amarezza e felicità: e combatti di nuovo. Combatti, combatti. Questa è la vita."
—DH Lawrence
La nascita del mondo moderno ha portato con sé la morte dei vecchi dei e dei loro modi. Come scriveva DH Lawrence "era nel 1915 che il vecchio mondo finiva". Quando arrivarono le fabbriche, quando sorsero le macchine, quando la storia divenne il demone che un tempo perseguitava i nostri boschi e foreste. L'etica dell'età moderna ha posto l'umanità al centro del cosmo. Promettevano un mondo di perfezione umana senza fine, un mondo senza sofferenza, un mondo che l'ingegneria poteva organizzare la società in modo tale da cacciare i demoni. Ma, come sappiamo, i demoni troveranno sempre altre case. Ora vediamo a cosa sono arrivate queste promesse. Un mondo di cenere, un mondo di infinite rovine. Inseparabile dagli atti di clausura, dalla meccanizzazione della vita umana, arrivò il divieto contro la violenza. La modernità e la società tecnoindustriale che ha creato, ci insegna che la violenza è una cosa da aborrire, resistere, rinunciare, abbandonare. Gli adoratori di Cristo e i loro altri fratelli che abitano il deserto della falce di luna e il tempio e la lampada ci insegnano questo . I servitori del capitale e dell'industria ci persuadono a ripudiare la violenza in modo da non essere tentati di ribaltarla. I fantasmi e le ossa parlano: preferiremmo morire piuttosto che vivere meccanicamente. C'è verità nel sangue. Non nel sangue di questa tribù o quella nazione. Ma il sangue pompante, selvaggio, vitale dell'animale che vive ancora dentro di noi. Ci fu un tempo in cui ascoltammo le lezioni del sangue, prima che lo spirito dell'età moderna ci dicesse di temere quella voce. Gli spiriti vivono ancora nel sangue, nel mondo dell'istinto, della natura selvaggia. Gli spiriti che la modernità ha cercato di placare. Poiché il mio sangue è dell'oceano e l'oceano è del mio sangue. È nel sangue e nella vitalità che l'umanità scopre il suo vero essere. La modernità ci ha tolto il cosmo e lo ha sostituito con una bugia.Una bugia grottesca, fatta di camini e macchine industriali. Preferiremmo morire piuttosto che vivere meccanicamente! Il mondo tecno-industriale nega il sangue e nega la sua espressione nella violenza. Come vedremo, ci sono poche voci che discutono in modo più convincente in difesa della verità del sangue e contro la tragedia dell'età moderna di DH Lawrence.
Sebbene Lawrence non avesse alcun contatto diretto con Sigmund Freud, le idee dell'inconscio e dell'inconscio attraversano profondamente l'opera di Lawrence. Il punto chiave da sottolineare a questo proposito, tuttavia, è che Lawrence ha istintivamente respinto la conclusione di Freud secondo cui l'umanità pre-moderna o pre-civilizzata non era altro che un'orribile rivolta di spargimento di sangue. Chiaramente c'erano sangue e sofferenza, ma c'era anche una connessione più profonda con l'essenza mistica dell'umanità e anche con il cosmo. E l'eradicazione della violenza primordiale dell'era pre-moderna portò con sé anche il disordine del cosmo, l'annientamento del mondo naturale e l'alienazione dell'umanità.Mentre Freud è terrorizzato dall'umanità primordiale e la vede come una forza che deve essere imprigionata, per proteggere l'umanità da se stessa, Lawrence trova l'oscurità fertile e matura con significato e bellezza. Nelle parole di Ursula Brangwen, eroina di The Rainbow e Women in Love , "Sei una creatura in agguato e annusante di sangue con gli occhi che sbirciano fuori dall'oscurità della giungla, fiutando i tuoi desideri". Per tutta la nostra impiallacciatura di civiltà e razionalità , siamo ancora bestie sanguinanti che perseguitano le foreste oscure. Ed è per questo che l'umanità moderna teme la foresta. Sappiamo che tra gli alberi ombrosi e la luce inquietante della luna, troveremo il nostro vero io. Non solo esiste una verità nel riconoscere la natura essenziale, primordiale e sanguinosa dell'umanità, ma oltre a ciò vi è una bellezza più grande delle finzioni della modernità e degli umanisti.
Per Lawrence, come Carl Jung, l'inconscio non è semplicemente la prigione sotterranea dove i nostri complessi e ricordi repressi fermentano e mutano, come è per Freud. Lawrence vide nell'inconscio un tumulo, una reliquia infestata dai tempi pre-moderni in cui un mondo rinvigorito dal sangue viveva e respirava ancora. Le forze dell'industrialismo e della modernità hanno cercato di reprimere questi antichi ricordi e privare così la vita del suo vero significato: lotta violenta, sanguinosa, che afferma la vita. Lawrence era disgustato dal timore di Freud per l'umanità primordiale: "Gli psicoanalisti mostrano la più grande paura di tutti, del luogo più primordiale nell'uomo, dove si trova Dio, se è ovunque". Per Lawrence, che aveva forti tendenze disumaniste, non lo era chiaro che la divinità risiedeva ancora nell'umanità, ma se lo fosse, se anche una scintilla dell'anima del mondo continuasse a vibrare nei nostri cuori, potrebbe essere solo nelle profondità, dove vivevamo ancora come esseri primordiali oscuri, mostruosi, sanguinanti e vivi .
L'anima del mondo pre-moderno è antologicamente violenta. Il sangue scorreva liberamente e le persone erano possedute dal sangue. Ma vivevano e vivevano nel grembo degli dei. Li videro, li sentirono nel ruggito del rituale e nell'oscurità dei boschi di querce. Come vediamo ogni giorno intorno a noi, l'umanità sta morendo. La sua vitalità negata. Il suo sangue è stato negato. Come un albero sradicato, l'umanità è strappata dalla sua vita intuitiva. La coscienza moderna sposta l'istinto. Ci viene insegnato a temere il corpo, poiché è la fonte della malvagità. Come dire che mentre la modernità cerca di dissipare gli antichi dei, lo stesso impulso repressivo viene dato libero dominio dalle storie degli adoratori di Cristo. Così modernità e cristianesimo vanno di pari passo. Lavorano insieme per negare il corpo e il suo sangue. Sradicare il mondo della natura, che non può essere conquistato così facilmente dalla tecnica. Entrambi ci riempiono la testa di storie di un mondo a venire, in cui ogni lotta scomparirà. L'umanità vivrà in pace, in armonia, come una cosa sola. Se questo è detto attraverso l'adorazione di Cristo Redentore o Tecnologia il Redentore, il messaggio è lo stesso. I demoni nel nostro cuore entrano nel mondo attraverso il corpo e il sangue. Per tenerli a bada, per soffocarli, dobbiamo negare la nostra natura. Dimentica il corpo, è la fonte del dolore e della miseria. Nega il corpo fino a quando, un giorno, promettono i sacerdoti della tecnologia, potremmo riuscire a farne a meno del tutto.
L'unico percorso per l'umanità che si allontana dall'incubo veglia dell'industrialismo è quello di immergersi sempre più in profondità nella nostra psiche per riscoprire il vero sé, l'io forgiato nello spargimento di sangue e animato dalla passione. Mentre la modernità si evolveva e si espandeva, questo vero sé fu sepolto sotto le bugie di un cosmo benigno, passivo e di una docile natura umana. L'industrialismo ci ha insegnato che il mondo poteva essere controllato e che ciò che era meglio per l'umanità doveva essere la nostra unica preoccupazione. Così la verità del sangue si nascose da noi. Per Lawrence, la nostra unica speranza è di nuotare attraverso gli oceani dell'inconscio e di arrivare di nuovo sulle coste misteriose, piene di vita feroce, dove ci siamo abbandonati. L'intelletto, lo strumento dell'industrialismo, il demone della modernità, nega questa vera essenza e la respinge. In effetti, l'intelletto cerca di convincerci che non è mai esistito affatto. L'intelletto, che parla nel linguaggio del controllo, ci insegna a temere e ignorare le cose che ci sopraffanno, le forze che resistono al controllo. Quindi la violenza è soprattutto odiata dall'intelletto. La violenza appare come un potere irrazionale. Ci afferra nella lingua che solo il sangue può capire. Tutto ciò che non abbiamo scelto, tutto ciò che è al di sopra e al di là di noi è un anatema per l'intelletto. E quindi, l'intelletto non può aiutarci a comprendere veramente le esperienze più profonde della vita, che può dire che quando furono consumate dal cuore vivente del mondo che la mente razionale e cosciente diede loro parole per esprimere la saggezza che era stata conferita loro.
Lawrence dedicò la sua vita a scoprire il potere che conduce a una saggezza maggiore dei frutti insipidi e insipidi dell'intelletto e della mente cosciente. Il potere che potrebbe distruggere l'amarezza del mondo industriale e i suoi crimini contro la terra. In una lettera del 1913, Lawrence scrive:
La mia grande religione è una credenza nel sangue, la carne è più saggia dell'intelletto.Possiamo sbagliare nelle nostre menti. Ma ciò che il nostro sangue sente, crede e dice, è sempre vero. L'intelletto è solo un po 'e una briglia. Cosa mi importa della conoscenza. Tutto quello che voglio è rispondere al mio sangue, diretto, senza interferire con la mente, né con la morale, né con il no.
Il disumanista, che afferma coraggiosamente i limiti della visione umana del mondo e la debolezza e la fragilità della nostra specie prima della potenza del cosmo, sa anche che la moralità non è altro che un trucco della mente. Il sangue non presta attenzione a queste invenzioni che non si riflettono nell'universo oltre noi stessi. Durante la sua carriera, Lawrence ha cercato di affinare questa visione. Sosteneva che esisteva una sede di saggezza superiore e maggiore conoscenza di sé della mente. Il sangue contiene la propria coscienza, per Lawrence, separata dalle facoltà razionali della mente. Nel 1919, Lawrence scrive:
il sangue ha una sua coscienza perfetta ma non traducibile, una coscienza di peso, di movimento ricco e discendente, di potente auto-positività. Nel sangue abbiamo la nostra più forte conoscenza di noi stessi, la nostra più potente coscienza oscura. Gli antichi dicevano che il cuore era la sede della comprensione. E così è: è la sede della comprensione sensuale primordiale, la sede dell'autocoscienza passionale.
In altre parole, la nostra coscienza non è monolitica. La nostra anima più intima è Vigrid, le pianure della battaglia in cui verrà combattuto Ragnarok. Le forze del Titanic fanno la guerra dentro di noi. Una guerra condotta dal sangue contro l'intelletto, tra le influenze del mondo industriale caduto in cui viviamo e le paludi primordiali, feconde, intrise di sangue che ricordiamo nei nostri sogni e nelle ombre dei boschi di notte.L'industrialismo ha deificato l'intelletto, poiché è grazie a tali poteri che l'umanità ha guadagnato il suo maledetto dominio sulla terra. Il cuore e il sangue non aiuteranno in una crociata così cattiva. La legge del sangue è abbattere, consumarsi in una gloriosa detonazione del fuoco. L'intelletto è una briglia, un giogo costretto al selvaggio spirito umano. In verità, in quale altro modo coloro che sperano di ridurre l'umanità a uno stato di schiavitù infinita potrebbero realizzare i loro progetti? Il selvaggio dentro di noi non servirà! Grida con mascelle schiumose! La volontà selvaggia deve essere spezzata per costruire il mondo di artificio e degrado che i adoratori di Mammoni desiderano. La chiamata del sangue deve essere ridotta al silenzio. Il vigore dell'umanità deve essere negato e rinunciato.
Il destino del sangue è la guerra e la lotta. Beatitudine e autodistruzione.Come viene negata la violenza, così è la gioia di una vita libera. Per Lawrence, antecedente a Jung, la coscienza del sangue era vista come la forza sotterranea su cui era costruito il dominio dell'intelletto.
Distruggere! distruggere! distruggere! canticchia la sottocoscienza. Ama e produci! Ama e produci! ridacchia la coscienza superiore. E il mondo sente solo la risata dell'Amore e produce. Si rifiuta di sentire il ronzio della distruzione sottostante. Fino a quando dovrà sentire.
Queste due forze complementari, la distruzione e la creazione, avevano entrambe il dovuto al mondo prima che l'industrialismo si abbattesse su di noi come un vento dall'abisso. Lo squilibrio di queste forze è ciò che ora ci spinge al precipizio. Lawrence vide, come Jung, che il sangue poteva essere negato solo per così tanto tempo. Poteri sonnolenti non acconsentirebbero a sognare per sempre. Ci sarà un tempo in cui il sangue risorgerà e si vendicherà delle prigioni insignificanti, insipide e ceneri che abbiamo costruito attorno ad esso. Come sarà quella volta? Apocalisse.Rivelazione. Il velo costruito da secoli di negazione e repressione verrà distrutto. E il sangue tornerà con una furia che non abbiamo mai visto. È diventato rancoroso nei suoi anni di prigionia. Oh, che avevamo mostrato riverenza al sangue e messo da parte le catene delle macchine e l'intelletto quando ne avevamo avuto la possibilità. E Lawrence ha visto tutto questo: “ Sta arrivando un brutto momento . Sta arrivando un brutto momento , ragazzi, sta arrivando un brutto momento ! Se le cose vanno avanti così come sono, non c'è niente nel futuro se non la morte e la distruzione, per queste masse industriali. ”Un brutto momento, davvero.
Lo spirito del sangue e della violenza urla nelle parole di Lawrence, "Pulirei di nuovo le macchine dalla faccia della terra e porterei fine all'epoca industriale, come un errore nero!" Gli dei fuggirono di fronte a queste mostruosità che abbiamo partorito. E negandoli, si ritirarono sempre di più. E così l'umanità iniziò a marcire. Solo nella vigorosa lotta esiste la vita e solo in preda a una battaglia selvaggia i cui simili non sono stati visti in centinaia di anni, gli dei apriranno i loro occhi annebbiati e ci guarderanno con curiosità e qualcosa che si avvicina alla tenerezza. L'intelletto e la coscienza moderna ci conducono, ancora e ancora, lontano dal sentiero.L'intelletto della coscienza non conosce altro che angoscia e ottusità. Si snoda in continuazione nei labirinti della sua stessa creazione. Ma è troppo cieco e tormentato dal suo stesso design per trovare sempre la via d'uscita. Guarda cosa ho creato! Proclama come un pazzo. Ma non è altro che la sua stessa tomba. L'intelletto non sa nulla di valore. Sa imprigionare, sa deviare il corso naturale dell'acqua fino a quando non si accumula in fetida, terra sotterranea. Il sangue, il sangue conosce solo il linguaggio della libertà, il linguaggio degli dei. Davvero non c'è nulla da temere dalla rabbia e dalla perdita di sangue. È quando viene negato il sangue che diventa stagnante e malato e infetta il corpo dell'umanità. Nato dal cosmo, l'umanità ha solo la speranza di tornare al ritmo del cosmo stesso. Un ritmo di distruzione e creazione, morte e rinascita. Non può esserci rinascita senza morte.
Come hanno articolato Jung e altri, il sé non è il sé. L'inconscio e le sue profondità nascoste non ci sono chiari. Sono torbidi come una foresta, tinti e neri con il compost di millenni di foglie morte. L'inconscio, il sé più profondo, il sé del sangue, la consapevolezza del corpo, ritorna a noi solo in brevi scorci e ossessioni: “Il sé che vive nel mio corpo non posso mai conoscere appieno. . . Il mio corpo è come una giungla in cui dimora un invisibile, come una pantera nera nella notte, i cui due occhi brillano di verde attraverso i miei sogni e, se cade un'ombra, attraverso il mio giorno di veglia. ”Per evitare e rinunciare all'intelletto e il mondo tecno-industriale è quello di immergersi nel mondo dei sogni, per cercare ciò che abbiamo dimenticato in noi stessi. In fondo alla piscina oscura, troveremo una bestia. C'è terrore nel profondo. Ma non è tutto, perché possiamo essere liberi e provare gioia solo quando troviamo e rendiamo omaggio al mostro che vive nei nostri luoghi più profondi. Per Lawrence, questo percorso, il percorso di immersione significava abbandonare la visione scientifica del cosmo, che era cresciuto dalla modernità, il sanguinario padre dell'industrialismo. La scienza rappresentava per lui i principi della morte e della macchina. L'inconscio può essere inconoscibile per la mente razionale , per l'intelletto. Ma come Jung, Lawrence credeva che potremmo riscoprire la nostra natura essenziale ritornando a una concezione religiosa dell'universo. Dobbiamo renderci conto che il mondo tecnoindustriale e la sua visione razionale e scientifica sono esattamente ciò che ci mette fuori equilibrio e ci separa dal mondo del sangue e della natura selvaggia. Gli antichi insegnamenti spirituali del mondo pre-moderno cercavano di non spiegare i misteri degli dei e del cosmo, ma di riconoscerli , di onorarli .
Lawrence ha dedicato la sua vita e i suoi sforzi creativi all'articolazione del significato del sangue e alla riscoperta del vero sé che la società tecnoindustriale ha spostato. Alla fine lo ha portato a scrivere questo credo:
Che sono io. Che la mia anima è una foresta oscura. Che il mio io conosciuto non sarà mai più di una piccola radura nella foresta.Quegli dei, strani dei, escono dalla foresta nella radura del mio io conosciuto, e poi tornano indietro. Che devo avere il coraggio di lasciarli andare e venire. Che non lascerò mai che l'umanità metta qualcosa su di me, ma cercherò sempre di riconoscere e sottomettermi agli dei in me e agli dei in altri uomini e donne.
Dobbiamo sottometterci agli dei e al sangue attraverso il quale parlano. Le forze al di là della nostra comprensione e controllo ci dominano, assolutamente. Nella migliore delle ipotesi, possiamo sperare di discernere la loro presenza nei luoghi notturni, nei luoghi dei sogni. Oltre a ciò, la bellezza e la verità del credo di Lawrence parla da sé.
Sfortunatamente, la religione del sangue e l'oscura conoscenza di sé di Lawrence furono fraintesi da molti. Bertrand Russell, che ha mantenuto una corrispondenza con Lawrence, identifica persino questa filosofia come antecedente agli orrori dei nazisti. Russell scrive "Aveva una mistica filosofia del" sangue "che non mi piaceva ... Questo mi sembrava francamente spazzatura, e l'ho respinto con veemenza, anche se non sapevo che portava direttamente ad Auschwitz." Forse non sorprende che una filosofia del mondo che si conforma così tanto alla visione di Jung si confonde anche con idee e azioni disgustose. Non sorprende inoltre che qualcuno con una prospettiva così radicalmente razionale come Russell abbia frainteso Lawrence in modo così scandaloso. Quando Lawrence scrive del sangue, credo che sia abbastanza chiaro che si riferisce, come l'inconscio collettivo di Jung, non al sangue di questa particolare razza o nazione ma al sangue dell'umanità nel suo insieme. A un impulso universale nell'umanità e una forza che è vitale anche nel mondo non umano. Questa è una forza cosmica, non una che soffre la meschinità e la volgarità del nazionalismo o l'odio intollerante e ristretto del demagogo.Allo stesso modo l'autore Rex Warner colloca Lawrence in questo ambiente, scrivendo nel 1946: “Non ci deve essere nulla di gentile nella forza 'oscura' a cui gli oscuri fuorilegge dei suoi sogni dovrebbero una sorta di riverenza ... Il fascismo alla fine è riuscito, almeno temporaneamente, nel fare la sintesi che ha eluso Lawrence. ”Ancora una volta, questa interpretazione errata di Lawrence non riesce a riconoscere che il potere del sangue porta con sé gioia e felicità, oltre a violenza e lotta. Lawrence è significativo proprio perché, come Jung, ha capito che l'umanità deve accettare che ha una dimensione oscura per la sua natura.E che questo elemento dentro di noi ci mette in contatto con la vasta sublimità del cosmo.
Ciò che Warner e Russell confondono in Lawrence è lo stesso problema che possiamo vedere così chiaramente in Freud: la paura isterica del regno di istinto, sangue e natura selvaggia. C'è un'ipotesi tra le menti troppo razionali che se c'è qualcosa che non possiamo controllare dentro di noi, allora quella cosa deve essere temuta, aborrita, evitata, negata o denigrata.C'è qualcosa da temere nel cuore selvaggio e sanguinante dell'umanità. Ma non è questa forza che è rimasta incontrollata a trasformare il mondo in un cimitero. È l'altro. L'intelletto, correndo dilagante, annienterà l'umanità e il mondo molto più rapidamente della violenza selvaggia di coloro che dormono nelle tombe sotto la terra. No, cerchiamo di essere abbastanza chiari: le camere a gas e l'orrore indicibile dell'olocausto sono nati dalla mente spietata, razionale e meccanicistica dell'industrialismo, non dall'oscurità pre-moderna che dimora nel sangue e nel suo potere misterioso. E allo stesso modo, non vi può essere alcun dubbio che la regola dell'intelletto e l'ordine tecno-industriale siano i soli responsabili della distruzione della terra. Un olocausto contro la terra che è durato ogni singolo momento di ogni singolo giorno per centinaia di anni.

lunedì 29 luglio 2019

IL RITORNO





“O SOLITUDINE! Solitudine, patria mia!. Troppo a lungo ho vissuto come un selvaggio in un paese selvaggio, da non tornare con lacrime di gioia alla tua dimora!
Ora minacciami solo con il dito, come minacciano le madri, sorridimi, come sorridono le madri, dimmi dunque: 'E chi era colui che un giorno fuggì via da me come un vento di tempesta?
...che andandosene esclamò: troppo a lungo ho vissuto con la solitudine, e così ho disimparato a tacere! E ora - l'hai tu imparato?
O Zarathustra, io so tutto: e che tu nella moltitudine ti sentivi abbandonato, più solo che con me!
Altra cosa è l'abbandono, altra la solitudine: questo l'hai imparato! E che tra gli uomini tu sarai sempre un selvaggio e un estraneo: selvaggio ed estraneo anche se essi ti amassero: poiché prima di tutto essi vogliono essere rispettati!
Ma qui invece tu sei nella tua dimora e in casa; qui tu puoi dire tutto liberamente e sfogarti fino in fondo, qui non c'è da vergognarsi dei sentimenti intimi e tenaci.
Qui tutte le cose vengono carezzevoli al tuo labbro e ti lusingano: poiché vogliono cavalcare su questo dorso. Su ogni similitudine tu cavalchi qui verso ogni verità.
Sincero e leale tu puoi qui parlare a tutte le cose: e in realtà, come una lode suona ai loro orecchi, che qualcuno parli chiaro e diritto con tutte le cose!
Ma altra cosa è l'abbandono. Ti ricordi ancora, o Zarathustra? Quando l'uccello gracchiò sopra la tua testa, mentre eri nella foresta, indeciso dove andare? Ignaro, con vicino un cadavere: quando dicesti: possano guidarmi i miei animali! Ho trovato più pericoloso vivere tra gli uomini che tra gli animali. Questo era abbandono!
Non ti ricordi, Zarathustra? Quando tu eri seduto nella tua isola, una fontana di vino tra secchie vuote, dando ed elargendo, donando e spendendoti per gli assetati: finché alla fine tu solo restasti assetato tra gli ebbri, e durante la notte lamentavi: il prendere non è più beato che il dare? [Allusione al detto dl Cristo che si trova in San Paolo: ‘Donare è più dolce che ricevere'] E il rubare più beato che il prendere? Questo era abbandono!
O Solitudine! Tu solitudine, mia patria! Come mi parla beata e carezzevole la tua voce!
Noi non ci facciamo domande l'un l'altro, noi non ci lamentiamo l'un l'altro, noi andiamo apertamente insieme attraverso porte aperte.
Poiché in te tutto è aperto e chiaro; e anche le ore corrono su piedi più agili. Nel buio il tempo trascorre più pesantemente che nella luce.
Qui si aprono tutte le parole e tutti gli scrigni delle parole di vita: qui ogni vita vuoi divenire parola, ogni divenire vuole imparare da me a parlare.
Ma laggiù, là, ogni parola è vana! Là, la miglior saggezza è dimenticare e passar oltre: questo ho appreso ora!
Chi, stando tra gli uomini, volesse capire tutto, dovrebbe toccare tutto. Ma io ho mani troppo pulite per farlo.
Già io non posso respirare il loro fiato; ahimè, ho vissuto così a lungo tra le loro grida e nel loro fetido alito!
O beato silenzio intorno a me! O puri profumi a me d'intorno! O come questo silenzio respira puro dal profondo del petto! Come sembra stare in ascolto, questo beato silenzio!
Laggiù, invece, tutti parlano, e nessuno ascolta. Si gridi pure la saggezza con le campane: i mercanti del mercato vinceranno il loro buono con il tintinnio delle monete!
Tutti parlano, nessuno sa più comprendere. Tutto cade nell'acqua, ma niente cade più nelle profonde fontane.
Tutti parlano e nulla giunge più a buon fine. Tutti gracchiano, ma chi vorrà sedere tranquillo sul proprio nido a covare le uova?
Tutto fra loro parla, tutto viene ridotto in formule. E ciò che ieri era ancora troppo duro per il tempo stesso e per il suo dente, oggi pende -raschiato e corroso dalle fauci degli uomini attuali.
Tutti parlano, tutto è svelato. E ciò che una volta era chiamato segreto e mistero delle anime profonde, oggi appartiene ai trombettieri di piazza e ad altri farfalloni.
O umanità, strana cosa! O strepito per le vie oscure! Ora tu stai di nuovo dietro di me: il mio più grande pericolo sta alle mie spalle!
Nell'indulgenza e nella compassione si è sempre annidato il mio maggior pericolo; ogni umanità vuole essere risparmiata e compatita.
Con verità nascoste, con folle mano e folle cuore e ricco delle piccole bugie della compassione: così io ho sempre vissuto tra gli uomini.
Ho seduto travestito tra di loro, pronto a negare me, per sopportare loro, e persuadendo volentieri me stesso: 'Folle, tu non conosci gli uomini!'
Si disimpara l'uomo, quando si vive tra gli uomini: in ogni uomo c'è troppa facciata; a che servono occhi di lunga brama, di lunga portata?
E quando mi disconoscevano, io, folle, ero con loro più indulgente che con me: ero abituato alla durezza contro me stesso e spesso facevo vendetta su me stesso di questa indulgenza.
Punzecchiato dalle mosche velenose e corroso, come una pietra, dalle troppe gocce di malvagità, sedevo tra di loro e dicevo a me stesso: 'Tutto ciò che è piccolo è innocente per la sua piccineria!'
Particolarmente in coloro che si dicono 'buoni', ho trovato le mosche più velenose: pungono in tutta innocenza, mentono in tutta innocenza; come potrebbero essere giusti verso di me!
Chi vive tra i buoni impara a fingere compassione. La compassione rende l'aria afosa per tutte le anime libere. La stoltezza dei buoni è senza fondo.
A nascondere me stesso e la mia ricchezza: questo ho imparato laggiù; infatti vi ho trovato solo poveri di spirito. La bugia della mia compassione, era che io sapessi per ognuno, che di ognuno vedessi e fiutassi, quanto spirito gli bastava e quanto gli era di troppo.
I loro rigidi saggi: io li chiamavo saggi, non rigidi; così imparavo ad inghiottire le parole. I loro becchini: io li chiamavo ricercatori e saggiatori; così imparavo a dire una cosa per un'altra.
I becchini si scavano fuori le loro malattie. Perciò sotto le antiche macerie stanno terribili esalazioni. Non bisogna rivangare la mota. Si deve vivere sulle montagne.
Ma ora, con beate narici, io respiro di nuovo la libertà dei monti! Finalmente il mio naso si è liberato dall'odore dell'umanità!
Solleticata dall'aria frizzante, come da un vino spumeggiante, la mia anima sternuta; sternuta e dice giubilante a se stessa: salute!”
Così parlò Zarathustra.


F. Nietzsche 

venerdì 26 luglio 2019

Il ritorno del paleolitico


Ogni cultura (o comunque ogni cultura urbano-agricola) coltiva due miti apparentemente contrastanti: il mito della decadenza e il mito del progresso. René Guénon e i neo-tradizionalisti sostengono che nessuna cultura antica ha mai creduto al progresso, ma naturalmente fingono, perché loro stessi lo hanno perseguito.

Una versione del mito della decadenza nella cultura Indo-europea è incentrato sull’immagine dei metalli: oro, argento, bronzo, ferro. Ma che dire del mito in cui Kronos e i Titani vengono distrutti per far posto a Zeus e agli dèi olimpici? — si tratta di una storia parallela a quella che di Tiamat e Marduk, o a quella di Leviathan e Jah. In questi miti del progresso, un originario pantheon “femminile”, ctonio e caotico (terrestre o equoreo) è sostituito (rovesciato) da un successivo, spiritualizzato e ordinato pantheon celeste “maschile”. Non è questo un passo in avanti nel tempo? E non hanno Buddhismo, Cristianesimo e Islàm tutti proclamato di essere migliori del paganesimo? 

In realtà, naturalmente, sia i miti della decadenza sia quelli del progresso, hanno lo scopo di esercitare un controllo, di introdurre una società del controllo. Tutti e due ammettono che prima del presente stato di cose qualcos’altro esistesse: un differente modo di fare società. In entrambi i casi pare esserci qualcosa come una sorta di “memoria genetica” [“race-memory” vision] del Paleolitico, del grande, immutabile tempo della preistoria dell’umano. Nel caso della visione progressiva, quell’età primordiale è vista come un’epoca di vasto disordine, brutale e orrenda. Il XVIII secolo non ha scoperto questo punto di vista, ma l’ha trovato già espresso nella cultura classica e in quella cristiana. Nell’altro caso, quello della decadenza, il primordiale è visto invece come momento prezioso, innocente, numinoso, felice, più facile di quello attuale, ma anche irrevocabilmente perduto, impossibile da recuperare se non attraverso la morte. 

Così, mentre per gli entusiasti fedeli adoratori dell’ordine, questo stesso si presenta come infinitamente più perfetto di ogni caos originario, per i suoi insoddisfatti e potenziali nemici, esso si presenta invece come qualcosa di crudele e di oppressivo (“ferro”), ma anche di fatalmente inevitabile e sostanzialmente onnipotente. 

In nessun caso i partigiani del mito dell’Ordine ammetteranno che “Caos”, o “Età dell’oro”, potrebbe esistere nel presente, o che esistono nel presente, qui e ora, fattivamente, benché dissimulati dall’illusoria totalità della Società dell’ordine. Noi però crediamo che il “Paleolitico” (che non è né più né meno che un mito, come il “Caos” o l’“Età dell’oro”) esista tuttora, come una sorta di inconscio sociale. Riteniamo inoltre che l’età industriale stia volgendo al termine con l’ultimo lasso della neolitica “rivoluzione agricola” e che anche le ultime religioni dell’Ordine stiano declinando e anche che tutto questo “materiale rimosso” tornerà in superficie. Cos’altro si potrebbe intendere quando parliamo di “nomadismo psichico” e di “scomparsa del sociale”? 

La fine del Moderno non significa un ritorno al Paleolitico, ma un ritorno del Paleolitico. 

L’antropologia post-classica (o post-accademica) ci ha preparati per questo ritorno del rimosso: di recente si è diffuso un sentire comune che spinge verso una ri-comprensione della società di raccolta e di caccia. Le grotte di Lascaux sono state scoperte proprio quando andavano scoperte — nessun antico romano, nessun cristiano medievale, nessun razionalista del XVIII secolo le avrebbe mai trovate belle o significative. In queste grotte (simbolo di una archeologia della coscienza) noi abbiamo invece trovato gli artisti che li hanno creati, scoprendoli come antenati e, anche, come noi stessi, vivi e presenti. 

Una volta Paul Goodman ha definito l’anarchismo come una sorta di “conservatorismo neolitico”. Definizione spiritosa, ma non troppa accurata. L’anarchismo (o, almeno, l’anarchismo ontologico) non simpatizza tanto con gli agricoltori bifolchi, quanto piuttosto con le strutture sociali non-autoritarie e con l’economia pre-capitalistica dei cacciatori e dei raccoglitori. Inoltre non possiamo definire questa ‘simpatia’ come ‘conservatrice’. Un aggettivo migliore, dal momento che abbiamo trovato le nostre radici nel paleolitico (una sorta di eterno presente), potrebbe essere “radicale”. Non vogliamo tornare alla tecnologia materiale del passato (non abbiamo alcun desiderio di proiettarci all’indietro, verso l’età della pietra), piuttosto siamo per il ritorno di una tecnologia psichica che abbiamo dimenticato di aver posseduto. 

Il fatto che noi troviamo Lascaux bella significa che Babilonia ha finalmente cominciato a disfarsi. L’anarchismo è probabilmente più un sintomo che una causa di questo sfacimento. A dispetto delle nostre immaginazioni utopiche, noi non sappiamo cosa aspettarci. Ma, da ultimo, siamo almeno preparati per la deriva verso l’ignoto. Per noi questa è un’avventura, non la fine del mondo. Noi accogliamo volentieri il ritorno del Caos, perché, con il pericolo che gli si avvolge intorno, arriva, alla fine, una nuova possibilità creativa. 

Peter Lamborn Wilson

mercoledì 24 luglio 2019

IL FUOCO E L’IDENTITÀ II


In maniera quasi musicale, Nietzsche sintetizza l’intuizione fondamentale di Eraclito di un mondo in eterno divenire contro la tendenza opposta di vedere in esso qualcosa di permanente, di fisso, di residuale:
….Per prima cosa negò la dualità di mondi del tutto diversi, che Anassimandro era stato costretto ad ammettere; non separò più un mondo fisico da un mondo metafisico, un regno delle qualità determinate da un regno della indefinibile indeterminatezza. Compiuto che ebbe questo primo passo, niente poté più trattenerlo da una ben più grande audacia di negazione: negò l’essere in generale. Questo unico mondo, infatti, che egli lasciò sussistere – custodito da una cintura di eterne leggi non scritte, abbandonato al flusso e al riflusso nel bronzeo pulsare del ritmo -, in nessun luogo mostra un permanere, una indistruttibilità, una diga nella fiumana.
Conformemente alla forma intuitiva del suo filosofare, Eraclito mostra avversione per il procedere freddamente logico. La massima forza della rappresentazione intuitiva è per Eraclito il suo regale possesso; mentre verso l’altra specie di rappresentazione che si realizza in concetti e in combinazioni logiche, dunque verso la ragione, si mostra freddo, insensibile, anzi ostile e sembra provare piacere allorché può contraddirla con una verità conquistata intuitivamente. Così fa in proposizioni come: «ogni cosa ha sempre in sé la propria antitesi», con tale spavalderia che Aristotele lo accusa, dinanzi al tribunale della ragione, del massimo crimine, quello di aver peccato contro il principio di contraddizione.
Ritornando all’eterno fluire del mondo secondo la lotta degli opposti:
A ciò giunse Eraclito osservando il caratteristico andamento di ogni divenire e trapassare, inteso da lui sotto la forma della polarità, come lo scindersi di una forza in due attività qualitativamente diverse, antitetiche e tendenti al ricongiungimento. Una qualità entra di continuo in discordia con se stessa e si divarica nei suoi opposti; di continuo questi opposti cospirano nuovamente l’uno verso l’altro. Il volgo crede invero di identificare qualcosa di rigido, di compiuto, di permanente; in verità luce e ombra, amaro e dolce sono in ogni momento vicini e avvinghiati l’uno all’altro come due lottatori, dei quali ora questo ora quello prende il sopravvento.
Dalla guerra dei contrari nasce ogni divenire: le qualità determinate che ci appaiono come durevoli esprimono solo la momentanea preponderanza di un lottatore, con ciò tuttavia la guerra non è mai finita, questo lottare si protrae in eterno.
E ora Nietzsche, con un’acutezza ed una sensibilità che appartengono solo ai grandi come lui, esprime quella massima intuizione di Eraclito secondo la quale questa guerra tra gli opposti non soggiace ad un caotico e amorale criterio materialistico ma, al contrario, è l’espressione di quell’eterna giustizia che regola ogni profonda contesa. Un concetto, quest’ultimo, conforme alla più profonda civiltà ellenica:
Tutto avviene secondo questa contesa, e appunto questa contesa manifesta l’eterna giustizia. E’ una concezione mirabile attinta alla più pura fonte dell’ellenico, quella che considera la contesa come il costante signoreggiare di una giustizia unitaria, rigorosa, vincolata a leggi eterne. Solo un greco fu capace di trovare in questa concezione il fondamento di una cosmodicea ……. è il pensiero agonale dei singoli greci e dello stato greco trasferito dai ginnasi e dalle palestre, dai certami artistici, dalla lotta dei partiti politici e dalle città tra di loro, sul piano della massima universalità, così che ora su di essa fa perno la ruota dell’ingranaggio cosmico.
Mentre l’immaginazione di Eraclito misurava l’universo nel suo moto incessante, la «realtà», con l’occhio dello spettatore gioiosamente appagato, che vede lottare in gaia tenzone innumerevoli coppie sotto la vigilanza di severi giudici di gara, sopraggiunse in lui un presagio ancor più alto; non poté più considerare separate tra loro le coppie e i giudici, gli stessi giudici sembravano combattere, gli stessi lottatori sembravano giudicarsi.
L’essenza del mondo come fuoco che si plasma in infinite forme ed infinitamente ritorna in se stesso:
Quel che costui (Eraclito) trovò è una rarità anche nell’ambito delle inverosimiglianze mistiche e delle inattese metafore cosmiche. – Il mondo è il giuoco di Zeus o il giuoco del fuoco con se stesso; solo in questo senso l’uno è al tempo stesso il molto.
Nel passo seguente, Nietzsche si interroga su come Eraclito, dopo aver definito una bramosia del mondo quella di ritornare nel puro fuoco, sia arrivato a giustificare il nuovo ed opposto desiderio, di quel fuoco stesso, di effondersi in una nuova «peccaminosa» molteplicità; e trova la risposta nel concetto greco di «hybris».
Il concetto di «colpa» sembra, dunque, attanagliare anche la filosofia di Eraclito, dell’emancipatore per eccellenza, del «Prometeo dei filosofi».
Il periodo in cui il mondo si affretta incontro a quella conflagrazione e alla dissoluzione nel puro fuoco è caratterizzato da Eraclito, in guisa estremamente incisiva, come una bramosia e un bisogno, il completo inabissarsi nel fuoco come sazietà. Resta a noi il problema di come ha inteso e chiamato il nuovo ridestantesi impulso alla plasmazione cosmica, all’effondersi nelle forme della molteplicità. Sembra venirci in aiuto il proverbio greco, con il pensiero che «sazietà genera delitto (la hybris)»; e in effetti ci si può chiedere un istante se Eraclito abbia forse derivato dalla hybris codesto ritorno al molteplice. Si consideri un po’ questo pensiero con serietà: alla luce di esso il volto di Eraclito si trasforma di fronte ai nostri sguardi, il superbo lampeggiare dei suoi occhi si smorza, una piega di dolorosa rinuncia, d’impotenza si rileva nei suoi lineamenti, si direbbe che ci sia chiaro perché la tarda antichità lo abbia chiamato il «filosofo piangente». Non è ora l’intero processo cosmico un atto di punizione della hybris? La molteplicità, il risultato di un delitto? La metamorfosi del puro nell’impuro, conseguenza dell’ingiustizia? Non viene posta ora la colpa alla radice delle cose, e di conseguenza non è affrancato da essa il mondo del divenire e degli individui, ma al tempo stesso sempre di nuovo a subirne le conseguenze?
Ma, poi, Nietzsche mette in evidenza come quel concetto di «colpa» appaia permeare la filosofia di Eraclito solo a chi non ha compreso il senso autentico della sua intuizione; ritorna con forza quel senso di giustizia eterna e di normatività alla base della contesa. Quella pericolosa parola, hybris, è in realtà la pietra di paragone per ogni eracliteo; è su questo punto che egli può mostrare se ha compreso o misconosciuto il suo maestro. V’è colpa, ingiustizia, contraddizione, dolore in questo mondo?
Sì, grida Eraclito, ma soltanto per l’uomo limitato che vede per parti staccate e non globalmente, non già per il dio contuitivo; per questi ogni contraddizione concorre ad un’unica armonia, invisibile, è vero, per il comune occhio umano, ma comprensibile per chi, come Eraclito, è simile al dio contemplativo.
…..E così come giocano il fanciullo e l’artista, gioca il fuoco semprevivente, costruisce e distrugge, con innocenza……
……Tramutandosi in acqua e terra, a somiglianza di un fanciullo innalza cumuli di sabbia sul lido marino, ammonta e fa ruinare: di tempo in tempo riprende di nuovo il giuoco. Un attimo di sazietà: poi lo riafferra nuovamente il bisogno, così come il bisogno costringe l’artista a creare. Non empietà, bensì il sempre risorgente impulso del giuoco chiama altri mondi alla vita.
Soltanto l’uomo esteta riguarda in questo modo il mondo, lui che nell’artista e nel nascere dell’opera d’arte ha appreso come la contesa del molteplice può portare in sé norma e diritto, come l’artista sia contemplativamente al di sopra e agisca all’interno dell’opera d’arte, come necessità e giuoco, conflitto e armonia debbano coniugarsi per generare l’opera d’arte.
Chi pretenderà ora da una siffatta filosofia altresì un’etica con i necessari imperativi «tu devi», o addirittura muoverà a Eraclito il rimprovero di una tale mancanza?
Sin nelle sue più profonde midolla l’uomo è necessità e assolutamente «non libero» – se si intende per libertà l’insana pretesa di poter mutare a talento la propria essentia a guisa di un abito, una pretesa che ogni seria filosofia ha fino ad oggi respinto con il dovuto sarcasmo. Soltanto coloro che non hanno motivo di essere soddisfatti della sua descrizione naturale dell’uomo trovano Eraclito cupo, malinconico, lacrimoso, accigliato, atrabiliare, pessimista e particolarmente detestabile. Ma con tutte le loro antipatie e simpatie, odio e amore, sarebbero costoro per lui egualmente indifferenti ed egli impartirebbe loro sentenze all’incirca di questo tenore: «I cani abbaiano a coloro che non conoscono»
…..Da questi insoddisfatti (della sua filosofia) provengono altresì le numerose lagnanze sull’oscurità dello stile eracliteo; verosimilmente mai un uomo ha scritto in modo più chiaro e luminoso. Molto stringato senza dubbio e perciò, a dire il vero, oscuro per chi va rapido nella lettura.