La giustizia è il belante agnello agitato come “capro espiatorio”
sulla piazza alle torme di impotenti risentiti, nelle giornate di quaresima
sociale. La giustizia è sempre quella orrenda maschera crocifissa che sta
appesa alle pareti delle aule di tribunale. La sua è sempre e solo una vendetta
presa sulla vita che ha voluto escluderla da sé. E' una triste carnevalata che
obbliga l'uomo che la insegue a farsi carceriere di una folla di sogni
impossibili e di speranze inesaudite. E, nella finzione del giudice o
dell'imputato, sottrae l'uomo alla febbre del vivere reale, per farne un essere
ancorato a quel vitreo regno dell'immobile, del già fatto, del già divenuto, che
è quel che è e più non muta. La giustizia è una bestemmia, un attaccar discorsi con
lo sputo. La sua compattezza è limite generatore di un orizzonte: il codice
penale come misura su cui si regge ogni ordine sociale. E due sono le forze che
essa impiega per soffocare l'individuo: La legge e la morale. Due
prepotenze, per sottrarsi alle quali, all'individuo, gli si offrono due sole
vie: la prima è quella della fuga, uno scampo, un ricovero nella pazzia,la seconda
è quella dell'attacco aperto e violento della rivolta individuale contro
l'ordine sociale istituito. Il giudice e il legislatore – se fossero uomini
giusti e non carogne quali sono – dovrebbero a nostro avviso non imporre la
propria giustizia a coloro che non accettano la pena. La legge, questa
prostituta della morale dominante, è stata sempre oggetto di attacco da parte
dei rivoltosi e dei refrattari ad ogni gendarmeria sociale. I giudici – da Mosè
in poi – sono i guardiani della convenzione e dell'ordine sociale dominante e
puniscono i ribelli con tutte le armi a disposizione della legge. L'anarchico è
un uomo così giusto che arriva a non riconoscere più la giustizia; il giudice, uomo
non giusto dinanzi al criterio naturale che ogni uomo attribuisce al suo senso
del giusto, ma giusto dinanzi alla legge, determina, regola,soffoca, la vita degli
uomini entro i limiti di una sola legge. Il giudice non ristabilisce il giusto
su ciò che è stato violato, né mai risarcisce nessuno, ma pratica una forma
codificata di quella che è ammessa come giustizia, vale a dire ciò che è
permesso dalla legge. La giustizia è parcellare ed unilaterale, perché il suo
senso del vero e del giusto è appesantito da una formula:la legge. Tutti coloro
che sostengono la democrazia hanno come centro di orientamento la ragione
sociale, e giudicano colui che non si ritrova allineato a tali ragioni come un
corpo estraneo alla collettività (vedi banditi, i criminali, i pazzi e i rivoltosi
di ogni specie). Tutto questo nasce dal fatto che essi, essendo degli integrati
nel sistema di dominio, giornalmente si sottomettono a tutti i criteri sociali in
uso, contenti di poter lapidare chi rifiuta di accettare quelle catene,non
fucinate da loro, ma che pure brontolando internamente, anche loro trascinano. L'essere
tutti caricati di pesi rassicura e li fa sentire uguali. L'uguaglianza
nell'identità è data dalla loro rassegnazione alle leggi scritte e quelle non
scritte: La morale. E la giustizia? La giustizia è un filo rotto tra le maschere
e gli uomini. Questi non possono dar nulla a quelle, ed esse si rivelano per ciò
che sono: Inutili pretesti scovati da disperati, che nella loro squallida e
tormentosa esistenza hanno bisogno di oblio! Ridano allora, tra le lacrime, coloro
che portano un cuore di cartone!
E voi?
Via quegli abiti, basta con quella carnevalata che obbliga
tutti, coscientemente volontariamente, freddamente, alla finzione di
rappresentare - con la coscienza di rappresentarla - questa opera di gendarmeria
sociale. E giù nella vita, nella vita piena e vera, che è quella che non soffoca
né crocifigge l'individuo insorto contro la legge e la morale.
Pier Leone Porcu
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