sabato 8 dicembre 2012

LE DUE FACCE DEL SILENZIO



il Nulla come Esperienza di se – il Nulla come Fuga da se


“L’io, quindi, esiste. Ma esiste come appare a me?
No, perché mi appare nel modo che comporta la conformazione 
dei miei sensi e del mio intelletto, 
ossia in un modo che non rispecchia la realtà in sé. 
La mia apparenza non è che un segno, non una copia della realtà.
La coscienza del mio io è formata dalla mia apparenza. 
Essa mi rende consapevole di un io che non è il mio vero io.
Pure questo vero io si rivela, raramente e incompletamente, a sprazzi, prorompendo dai sotterranei e tenebrosi abissi del subcosciente e dandomi l’impressione, vaga e confusa, che non sono quello che a me sembra, mabensì qualche cosa di misterioso e diverso. 
L’io vero, l’io reale, non si trova che nell’inconscio. 
Ed è lì che è necessario cercarlo e comprenderlo, per quanto è possibile.”
Enzo Martucci - NEMO ME IMPUNE LACESSIT



La Cella come luogo - che evolverei ampiamente in tutte le Celle redentive “e non” che ingombrano rumorosamente le morali prossime e i comportamenti etici tutti - dove si svolge l'atto di spersonalizzazione (anche qui sarebbe da intraprendere un dibattito corposo sulla possibilità dell'Individuo, quindi Integro nella sua frammentarietà, di poter essere appunto un suo controsenso e personale contraddizione).

Il Vuoto Redentivo, altro non è, che la purificazione di qualcosa di compiuto e di irrimediabilmente – per chi condanna o per chi si pente – oltrespazio, già archiviato nel passato da gli eterni presenti.
Non voglio entrare nel discorso delle cause e concause che portano i singoli individui e i loro carcerieri ad entrare in relazione fra di loro, almeno non è questo il punto su cui vorrei dibattere per ora.

Il Limbo un luogo senza tempo e paradossalmente limitato; l'Oblio di ognuno concentrato in pochi metri quadri; lo svuotamento dell'esistenza scandita e quindi della certezza - illusoria di esistere, è questo ciò che comporta nella rappresentazione lo smarrimento e la depersonalizzazione.
In questo bisogna rafforzare l'idea o la rappresentazione di questa idea.
L'individuo è in esso Indivisibile per definizione. Se si scorge il vuoto spersonificante, non è frutto - o almeno non solo – di un abile sadico, ma bensì lo si è solamente ricacciato dall'inconscio - il Nulla proprio -, è stato materializzato, è avvenuta quell'esperieza di se che fino in quel momento era stata inconsciamente chiusa a chiave (metafora esposta in un altro testo dall'affine Federico; aggiungo, nel momento della chiusura mossa dalla chiave si può scorgere in contraddizione un apertura), l'induzione o meglio l'essere indotti ad una situazione limite è il purgatorio dell'Io che trema nel rimaner solo.
La mia tesi ia grandi linee è proprio produrre in sé quell'Io che non si smarrisce e che non assimila spersonalizzazioni o tentativi per esso di sgretolare qualcosa di insgretolabile: L'individuo.
La propria determinazione alle eventualità presentateci dalla ricerca dell'estremo, hanno anch'esse questa utilità – rivelarci il proprio IO, avere un faccia a faccia con il proprio IO, giocare con i nostri serpenti abissali nella grotta del proprio IO.
Critico con questo l'esposizione dello sdoppiamento del mio caro affine Federico. Ma non perchè in un ristretto o ampio ventaglio di possibilità possa accadere ciò da lui esposto. La rappresentazione che si dà ognuno di se può essere alterata o illusoria - ma con questo non meno reale - dalla sperimentazione di situazioni nel fuori.
Ci si può pensare - con fiera convinzione - forti e invincibili, ma molte delle lotte esterne a noi ci possono dimostrare il contrario,la rappresentazione della realtà in questo caso – banale – fallisce o meglio, si svela. Vorrei senza troppa presunzione inoltrarmi in questo campo per capire insieme all'affine Federico questa differenza.
Varcare la “Soglia”- metafora azzeccata – di un istituto penale è sicuramente in esso, nel movimento, un gesto innaturale – per quanto riguarda la mia esperienza individuale.
Ma tutto però è riconducibile a qualsiasi cosa,o a qualsiasi gesto che riteniamo tale. Varchiamo quotidianamente soglie che non vorremmo varcare e ne varchiamo altrettante volontariamente.Il processo di assimilazione e di tirannia che facciamo della rappresentazione (non può esserci un'assimilazione senza tirannia, rubando le parole di Nietzsche, o per scomodare un altro Egoista – volgarmente ricordato e citato ora – le idee e quindi solo quanto ciò che il mio Io può afferrare -dominare - e distruggere è di mia proprietà.)
Come però dubitare dell'esposizione di Federico in una supposta divisibilità dell'individuo quando ci troviamo di fronte ad una “morte vissuta”?
La Soglia, il marcato senso di frustrazione di vivere una situazione non cercata, il rigetto personale all'obbligo e all'autorità fa rifiorire il campo dove l'individuo ama se stesso e dove corre e passa le sue inesauribili giornate.
L'isolamento involontario è la condizione limite dove l'individuo - paradossalmente parla a se stesso e svela la sua essenza.I carcerieri, coloro che spingono a superare la soglia che de-personalizza, danno inconsapevolmente un mezzo per un fine individualistico.
Che cosa però contraddistingue l'abbattimento è semplice. L'individuo vinto dalla Forza e nella Forza che lo reprime nei muscoli e nelle ossa,in quanto individuo-indivisibile sente che la sua rappresentazione di se stesso e quindi del suo Io indomito è con questo calunniato.
L'affine con cui stò approfondendo questi elementi, sà cosa intendo, una personalità forte non teme assolutamente la vita, ne prova per essa risentimento.
Se soffre il corpo necessariamente soffre anche la mente; se il corpo determinato dall'esterno soffre un limite ne soffre anche l'Io.
In questo consiste la spersonalizzazione, ricacciare il possibile in un mondo altro.
La spersonalizzazione avviene nel momento in cui un corpo vinto dalla forza esterna a se si riduce nella sua impotenza a sottostare al limite imposto mentre il nostro nulla in un atto di ribellione - o per semplice valvola di sfogo – si rifugia in un mondo altro. Si vive in altre parole il risentimento del cristianesimo verso la vita.

La Cella redentiva, per sua natura è assenza di distrazione da se stessi.
È questo il grosso ossimoro che si presenta nella cella redentiva: da una parte l'essere svelato l'apertura -, dall'altra la fuga da esso-la chiusura.
La differenza stà in questo con l'esterno. Nella Cella non ci sono speranze a cui aggrapparsi se non nell'abisso del proprio Io.
Il proprio Io può vivere senza relazioni esterne? Si nutre da sé o mangia le relazioni che si rappresenta? Queste domande fanno però capo ad altre speculazioni che forse esamineremo in altri scritti.

Il Silenzio è la forma circostante.
In quello stesso Silenzio avviene l'eco dell'Ego.

La visione come forma di fuga dall'esistente oppure il mondo altro svelato?
Che dicano pure che siamo “pazzi”, abbracciammo la pazzia in un amplesso amoralistico e ci trovammo avvolti in un irrefrenabile godimento di noi stessi.

Maurizio De mone

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