martedì 26 novembre 2013

L'INDOVINO



«... e io vidi una grande tristezza discender su gli uomini. I migliori si sentirono stanchi dell'opera loro. Una dottrina fu proclamata, e con essa una nuova credenza:
«Tutto è vano, tutto è simile, tutto fu!».
E da tutte le colline si è risposto: «Tutto è vano, tutto è simile, tutto fu!»
Abbiamo, è vero, raccolto: ma perchè i nostri frutti marcirono e divennero lividi? Che cosa cadde giù dalla luna malvagia nell'ultima notte?
Vano fu tutto il lavoro, in veleno si mutò il nostro vino, il malocchio arse i nostri campi e i nostri cuori.
Noi tutti inaridimmo; e se il fuoco cade su noi, ci mutiamo in cenere: sì, noi stancammo perfino il fuoco.
Tutte le fonti per noi s'asciugarono, si ritirò anche il mare. Ovunque il suolo vuol fendersi, ma l'abisso non vuole ingoiarci!
«Ah, dov'è ancora un mare nel quale si possa annegare!»: così suona il nostro lamento – sopra le piatte paludi. In verità ci stancammo già troppo per morire; ora continuiamo a vivere desti – in camere mortuarie!».
In tal modo Zarathustra udì parlare l'indovino; e la sua predizione gli toccò il cuore e lo trasformò. Andò attorno mesto e stanco e fu simile a coloro di cui aveva parlato l'indovino.
In verità – diss'egli ai suoi discepoli – scenderà fra non molto un lungo crepuscolo. Ah, come potrò io portare al di là la mia luce!
Purchè non s'estingua in questa tristezza! Giacchè deve esser luce a mondi più lontani, e a più remote notti!
Afflitto in tal modo nel cuore, errava Zarathustra; e per tre giorni non prese nè bevande nè cibo; non riposò e perdette la parola. Ma i suoi discepoli gli sedettero intorno nelle lunghe veglie notturne, e attesero ansiosi il suo risveglio, per sentirlo di nuovo parlare e vederlo sanato dalla tristezza.
E questo è il discorso che fece Zarathustra quando fu ridestato; e la sua voce giungeva ai discepoli come da una gran lontananza:
«Udite il sogno che sognai, o amici, e aiutatemi a divinarne il senso!
Un mistero è ancor per me questo sogno; il suo significato è ancora nascosto prigioniero, e non vola intorno con libere ali.
Sognai d'aver rinunziato a tutta la vita. Ero divenuto guardiano notturno dei morti, lassù nella solitaria rocca dei morti, fra i monti.
Lassù vigilavo i sarcofaghi e le cupe volte erano piene di trofei. Mi guardava dai vitrei sepolcri, sopraffatta, la vita.
Respiravo l'odore d'un'eternità fatta polvere: pesante e polverosa era l'anima mia. E chi avrebbe potuto dar aria in tal luogo alla propria anima?
Mi circondava una luce di mezzanotte e presso di lei accoccolata, la solitudine; e, terza e peggiore delle mie amiche, una rantolante quiete di morte.
Portavo con me delle chiavi, le chiavi più arrugginite; e sapevo, con quelle, aprire la porta più stridente.
Come un orribile gemito il suono si propagava per i lunghi corridoi, quando la porta girava sui cardini: era un grido cattivo d'uccello, che non voleva esser destato.
Ma ancor più terribilmente mi si stringeva il cuore, quando regnava di nuovo intorno silenzio e pace, ed io sedevo in quel perfido silenzio.
Così passò, lentamente, il tempo, se pur esisteva ancora il tempo: che ne so io? Ma accadde infine ciò che mi destò.
Tre volte fu battuto alla porta, e i colpi parevano tuoni, tre volte ne rimbombarono cupe le volte: allora andai alla porta.
Alpa! gridai, chi porta la sua cenere al monte? Alpa! Alpa! Chi porta la sua cenere al monte?
Ed io girai la chiave e m'affaticai per aprire la porta.
Ma non s'apriva neanche d'un dito...
La spalancò allora tutta un vento impetuoso: fischiando, stridendo, urlando esso mi gettò contro una bara nera...
E nel fischiare e stridere e urlare del vento, la bara si ruppe; e ne uscirono cento scrosci di risa.
E da mille grottesche forme di bambini, d'angeli, di gufi, di buffoni e di farfalle grosse come bambini, soffiò il riso e lo scherno contro di me.
Mi spaventai orribilmente, fui gettato a terra. E gridai per l'orrore, come mai ancora non avevo gridato.
Ma le mie stesse grida mi risvegliarono: – e tornai in me. –»
Così narrò Zarathustra il suo sogno, e poi tacque: giacchè non sapeva ancora il senso del sogno. Ma il discepolo suo prediletto, si levò ratto in piedi, afferrò la mano di Zarathustra e parlò:
«La tua stessa vita significa questo sogno, o Zarathustra!
Non sei forse tu il vento dal fischio acuto che strappa le porte al castello della morte?
Non sei tu stesso il sepolcro pieno di cattiverie dai vari colori, e di angeliche caricature della vita?
In verità, simile a mille risate infantili, viene Zarathustra in tutte le camere mortuarie, ridendo di questi vigilatori della notte e della morte, e di chiunque agita lugubri chiavi.
Li spaventerai e li rovescerai col tuo riso; la sincope e il risveglio proveranno la tua potenza sopra di loro. E pur quando verrà il lungo crepuscolo e la stanchezza mortale, tu non tramonterai sul nostro orizzonte, tu assertore della vita!
Tu ci mostrasti nuove stelle e nuovi splendori notturni: in verità tu stendesti su di noi la vita stessa come una tenda variopinta.
Zampillerà ora da tutti i feretri un riso infantile: verrà adesso un vento gagliardo che trionferà sempre d'ogni stanchezza mortale: di questo ci sei tu stesso mallevadore e profeta!
In verità, hai sognato loro stessi, i tuoi nemici: fu il tuo più terribile sogno!
Ma come te ne ridestasti, e ritornasti in te stesso, così devon pur essi destarsi – e venire a te!» –
Così disse il discepolo; e tutti s'accalcarono intorno a Zarathustra e gli afferraron le mani e volevan convincerlo ad abbandonare il letto e la sua tristezza, e a ritornar fra di loro.
Ma Zarathustra s'alzò a sedere sul giaciglio, con lo sguardo smarrito. Come uno che ritorni da lungo esilio, egli guardava i discepoli e ne considerava le faccie; e non li ravvisava ancora. Ma quand'essi l'ebbero levato in piedi, si mutò d'improvviso il suo occhio; egli comprese tutto ciò che era avvenuto, si accarezzò la barba e disse con voce sonora:
«Ebbene! Questo ebbe il suo tempo; or fate in modo, o discepoli, che sia pronto un buon pranzo! Così penso far penitenza dei miei sogni cattivi!
E l'indovino deve mangiare e bere al mio fianco: in verità saprò mostrargli ancora un mare nel quale potrà annegarsi!»

Così parlò Zarathustra. Ma poi guardò a lungo, nel volto, il discepolo che aveva spiegato il suo sogno e scosse la testa.

F. Nietzsche

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