martedì 25 settembre 2012

Il Godimento



Il Godimento implica la fine di tutte le forme di lavoro e di coercizione


1 - Il mondo della merce è un mondo alla rovescia, non si fonda sulla vita, ma sulla trasformazione della vita in lavoro.


La fabbrica ha invaso il territorio della. Vita quotidiana. Luogo privilegiato dell’alienazione, essa ha per lungo tempo delimitato con le sue mura le prigioni del proletariato e lo spalto delle libertà borghesi. Quelli che riuscivano a sfuggire la notte incombente sapevano ravvivare nelle feste effimere dell'alcool e dell'amore una vitalità che la costrizione giornaliera del lavoro non riusciva a esaurire. Dieci ore di rumore, di fatica, di umiliazioni, non avevano ancora la meglio su questi corpi pieni di una energia che solo la maledizione sociale obbligava a sposare i ritmi e l'usura delle macchine. Nessun imperativo di redditività, nessuna frusta dello sfruttamento inaridiva alla base l'impulso dei desideri e l'esuberanza sessuale della vita in sé e per sé. La crisi dell’economia, vissuta ancora come crisi economica, spingeva il proletariato a impadronirsi dei mezzi per accedere ai piaceri di cui la borghesia si riservava l'uso. Lo sguardo della fame ignorava che una vita assicurata al prezzo del potere e della ricchezza non è, in fin dei conti, che una vita ridotta all'economia. Il diritto al piacere ha preso l’andamento di una conquista, dal momento che i piaceri erano già stati conquistati dalla merce.

La tolleranza guadagna i piaceri proibiti solo quando sono stati guadagnati alla produttività.
Il bisogno di espansione del capitalismo ha trasformato il mondo in un immenso mercato. Riducendo un po' alla volta le più diverse manifestazioni della vita a dell’attività mercantili, non cessa di crescere e di scavarsi la fossa a misura che deperiscono gli uomini che lo producono.
Si sa quanto l'aristocrazia disprezzasse il lavoro che le garantiva la sopravvivenza. Della materia economica, che la feudalità voleva vedere solo come escremento degli dei, la borghesia ha fatto il suo nutrimento e ha dimostrato, con la forza delle cose, quale fosse la vera escrezione, della religione o dell'economia. La borghesia fa uscire dal discredito questo lavoro grazie al quale si è impadronita del potere. Ma il diritto che si arroga, sul proletariato, di subordinare il lavoro manuale al lavoro intellettuale riproduce a suo profitto il rituale della gerarchia. Il suo sapere fonda un nuovo tempio del potere.
I piaceri che, avendo trasgredito i divieti, si pagavano un tempo con penitenze, messe e mortificazioni, la borghesia per prima propone di riscattarli con il lavoro. Essa desacralizza baldanzosamente il peccato, monetizzandolo e identificandolo con il diritto del profitto.
Neanche il crimine dell’ozio ne è salvo dal momento che incita al consumo. Il vecchio antidoto al lavoro, eccolo trasformato a sua volta in lavoro. Favorire l’entrata in fabbrica dei piaceri ben dosati, cosa c’è di più efficace per rientrare in fabbrica gli operai? L'apertura democratica verso i piaceri coincide, non a caso, con la conquista di nuovi mercati, dove il godimento si chiama comfort e la felicità appropriazione. Così, neanche la borghesia svela l'unico peccato che rimanga inespiabile, quello di non pagare. Il godimento senza contropartita è il crimine economico assoluto.


La liberazione apparente dei piaceri esprime nei fatti la loro proletarizzazione reale.
Come il pane guadagnato con il lavoro ha il sapore acre del sudore e del salario, i piaceri mercanteggiati sono peggio della noia che li produce. L’impostura dei piaceri della sopravvivenza si ricongiunge alla menzogna delle libertà astratte. La storia che ci ha trascinato ad ogni giro di ruota del progresso non è quella dei nostri desideri. E’ la storia di una civilizzazione moribonda, oggi sul punto di seppellirci sotto il peso della sua assenza di vita.
Perché i piaceri sono sempre esistiti per la loro mancanza. Le norme del profitto, dopo aver cacciato nell'oscurità della notte, dell'alcova, del sogno, dell'interiorità quello che non apparteneva al giorno e alla chiarezza ordinata del tempo di lavoro, hanno finito per proiettare sul mondo segreto dei piaceri il fascio di luce interessato della loro scienza. L'impossibilità di distruggerli ha addestrato la necessità economica a trarne almeno un uso proficuo. La trasformazione, in coercizione e in lavoro, dei gesti e dei comportamenti rimasti per lungo tempo fuori dell’impresa immediata dell’economia mostra bene che il processo mercantile si sviluppa solo appropriandosi della vita,che scopre solo quello che può sfruttare e che niente di umano gli sfuggirà,se l’umanità continua a diventare sempre più estranea a se stessa.
Al fondo raggiunto oggi dalla miseria della sopravvivenza, c'è la realtà del mondo rovesciato. L'uomo è il solo animale capace di realizzare i suoi desideri cambiando il mondo, e fino ad oggi non ha realizzato che lo scambio della sua forza vitale con l’appropriazione e l’accumulazione della merce. Da millenni il sistema che ha governato la storia ha funzionato sulla necessità sociale di trasformare il nostro potenziale sessuale in forza-lavoro. La vampirizzazione di sangue fresco nelle vene ghiacciate dell'economia e del potere è antica come l'apparizione dei preti e dei re, variabile come le disuguaglianze di classe, progressiva come la storia della merce.
Come sembra, la pressione di un ambiente naturale ostile ha di necessità orientato l'umanità nascente, verso lo scambio, la divisione del lavoro, la società, la civiltà mercantile. Bell’affare! Per noi, la strada si ferma qui, e l’assenza di passioni spinge l'ironia fino ad ucciderci al centro di un'abbondanza capace di nutrire tutti i nostri desideri di vita. 
In un mondo che proibisce assolutamente solo la gratuità, tutto è lecito fuorché il Godimento. Agli occhi delle religioni, ogni piacere era peccato. Così, traducevano nel cielo della merce, lo sguardo castratore della necessità di produrre. Ma tanto va il profitto che ormai i piaceri si emancipano dal peccato: si riacquistano comprandoli, e la loro apparente libertà è un assoggettamento ancora più grande all’economia resa alla sua verità terrena. Come il salariato, essi hanno il prezzo di costo di una vita di proletario.
Non ci sarà emancipazione del proletariato senza emancipazione reale dei piaceri.


L'economia regna castrando il corpo della sua totalità sessuale.
Questo racconta la leggenda degli dei e della loro castrazione. Osiride, Zagreo, Díoniso, Cristo, Huitzilopotchli incarnano la rimozione della potenza sessuale da parte dell'economia che, diventando un potere autonomo, ripercuote dovunque il primato del lavoro e della sua divisione. Il vecchio mito religioso non parla forse di figure divine che « muoiono nella carne e resuscitano nello spirito »? In questo senso è esso stesso la rappresentazione dell'economia come modello assoluto del mondo alla rovescia.
Se bisogna credere ai racconti fiabeschi del potere, Giove e Gesù hanno conosciuto impalpabili accoppiamenti sull'Olimpo e sul Golgota, e la pura astrazione dei loro godimenti celesti ci consola di non avere, quaggiù, nella valle, che le lacrime di un piacere tagliato netto dalla preoccupazione del rendimento.
Non è forse l'intrusione del lavoro alienato nella vita primitiva che ha frantumato il mondo sessuale e fatto volare in pezzi l'unità che gli individui vivevano fra di loro e dentro di loro nell'era in cui raccoglievano bacche, prima che la caccia e l'agricoltura non producessero la schiavitù e la società di classe?
Poco m'importa, a dire il vero, che sia esistito uno stato sociale anteriore alla società mercantile, un'era vegetale segnata dalla femminilità e miticamente identificata all'Età dell'Oro. Noi non ci ritorneremo mai. Il cambiamento d' èra è qui, all'ultimo gradino dell'invivibile a cui ci ha costretto, con la nostalgia compensatoria del passato, una storia inseparabile dalla degradazione della volontà di vivere.
Se è vero che la sessualità non è tutto, è ahimè, perché essa è presente dappertutto nelle sue forme congelate, totalitarie, rovesciate. Angeliche preoccupazioni come la politica, la numismatica, gli affari e la pesca si preoccupano di scacciarla? Essa ritorna al galoppo del negativo, carica di disprezzo, di rancore, di odio. Perché tanta ferocia nella rivalità concorrenziale dei trusts, dei bottegai e delle loro nazioni, se non fosse perché la sessualità scacciata dalla porta rientra dalla finestra, al contrario, portatrice di morte e non di vita? E come spiegare diversamente la peste emozionale e sanguinosa che distrugge le lotte del proletariato per la sua emancipazione?
La sessualità strangolata si rivolta contro se stessa con la rabbia di distruggere quello che non può creare. Ciò che è vissuto all'ombra delle religioni porta in modo uniforme il segno nero del sole sessuale rovesciato. Ancora oggi, gli ardori erotici si celebrano nel letto delle illusioni funebri, bisogna pensare che il veleno degli dei morti non ha finito di avvelenarci.
Contro i fanatici dei piaceri mescolati di angoscia, contro quelli che sinistramente godono di un orgasmo ritualmente battezzato « piccola morte », gli anni reichiani hanno felicemente salutato la soddisfazione genitale come una fonte di vita e di fioritura sessuale. Tuttavia, identificare la genitalità con la sessualità globale, di cui era solo un frammento, significava una volta di più puntare sui cavalli dell'emancipazione parziale e raccogliere alla fine della corsa il meritato premio di una alienazione più grande.
In un certo senso, i tabù e i divieti religiosi e morali avevano protetto l'orgasmo dal rischio di un recupero mercantile. Una volta rivelata dalla liberazione parziale che la borghesia introduceva nella società e nel corpo degli individui, la genitalità finiva nelle mani degli specialisti dell'economia sessuale. Tagliata fuori dalla lotta per la gratuità della vita, isolata dal rovesciamento di prospettiva essa cadeva in potere di un sistema di oppressione che persegue la conquista della sessualità fatta a pezzi e qui s'impadronisce delle ultime sacche di resistenza. Sotto la copertura della liberazione, la genitalità accede alla redditività. Come la maggior parte delle passioni, come la parte ogni giorno più grande della vita, fa la sua entrée gioiosa nella fabbrica universale: va a lavorare. La castrazione, è forse altro?
Al museo la castrazione del maschio, l'incubo che ossessionava il potere patriarcale con le sue immagini di virilità, di fallo arboreo, di colonna Vendóme e di ultima cartuccia! E che non si provino a rimpiazzarcela con la stasi orgiastica, con il malaugurato discorso sulla genitalità femminile, maschile, infantile! Al termine di una evoluzione in cui l'economia soffoca il vivente che tiene stretto, non c'è altra castrazione che la separazione concretamente vissuta fra gli individui e la loro volontà di vivere.




2 - Il mondo alla rovescia tocca il suo punto di possibile rovesciamento quando la proletarizzazione attraverso il lavoro e la costrizione non ha altra via d'uscita che la morte o il sopravvento dei godimenti di creare.

Al centro dei piaceri mercantili non c'è che l'impossibilità di godere. Con la coscienza della sua crescente astenia, la vita contempla la storia del suo disseccamento e si scopre all'incrocio di una scelta immediata: o la consolazione della morte, o il rovesciamento globale del mondo alla rovescia.
E’ finito il tempo di quando la consolazione sosteneva l'illusione del mondo, quando la corsa allo sterminio si dava l'alibi del bene pubblico e della felicità.
Quando considero con quale perseveranza la razza umana ha messo in opera per annientarsi così notevoli mezzi, come le guerre, la schiavitù, la tortura, il disprezzo, i massacri, le epidemie, i soldi, il potere, il lavoro, quello che non è ancora morto oggi mi appare come il fremito dell'irriducibile. Su quest'ultimo sprazzo di vita, che niente più riesce a dissimulare e che tutto può estinguere, voglio fondare una società radicalmente nuova.
Non c'è mistica della vita, non c'è mistica che in sua assenza. Non ci sono ragioni per la vita, ma solo la ragione dell'imperialismo mercantile che la circonda e che ne precisa a ogni incontro il carattere irriducibile. La parola « vita » perde in effetti, la sua ambiguità quando traspare la struttura mercantile dei presunti rapporti umani. La sua realtà non si accorda con questi amori, dai quali acquistate la libertà al dettaglio, e che vanno in fabbrica come andavano ieri al bordello, al peccato, al convento, alla famiglia. Essa non si nutre di questi desideri che il rilancio concorrenziale rode fino all'osso della produttività e del rendimento. Non si lascia ridurre a non so quale spasmo della vagina, del fallo, dell'ano, dello stomaco,della cervice o della clitoride. Non ha niente a che vedere con una economia sessuale, gastronomica, politica, sociale,intellettuale, linguistica o rivoluzionaria, perché essa sfugge a ogni regola di produzione. Non rimpiazza i vecchi divieti con la necessità di trasgredirli. Non ha scopo, né finalità. Essa è ciò che sfugge all'economia e la distrugge della sua gratuità.
Con la sua intrusione nella storia, con lo scaturire alla confluenza di una società moribonda e di una autonomia nascente negli individui, la vita e' nella sua stessa estraneità, una realtà nuova. Che importa se la sua scoperta la espone alla fragilità, ai vagabondaggi della coscienza individuale, alla scelta lacerata dalle confusioni delle sue apatie e dei suoi rifiuti. I brancolamenti dell'emancipazione portano in sé meraviglie che la civiltà mercantile non ha. mai sognato fra terra e cielo.


I pensieri di morte sono i pensieri del mondo dominante.
Più la vita deperisce e più il mercato, puntando sulla penuria dei godimenti,moltiplica l'offerta dei piaceri della sopravvivenza, la cui vendita e acquisto si rovesciano subito in costrizione e lavoro.
E neanche il loro rifiuto fa a meno di rientrare di rientrare nella bilancia dei pagamenti.
Con quale faccia denunciate la classe burocratico-borghese, i mangiatori di carogne della conquista mercantile, l'apparato funebre di una società che si distrugge nella corsa al profitto e al potere! Riconoscete almeno, a questi signori, la sincerità del loro deperimento. Essi si eccitano al prezzo delle cose, accettano la loro miseria come una fatalità del denaro, rivendicano la loro bassezza, il loro odio per quello che vive, la loro, giustizia, la loro polizia, la loro libertà di uccidere, la loro civilizzazione.
Ma voi che vi pensate del campo opposto, voi che puntate sulla sconfitta della merce, sulla fine dello Stato, sull'avvento di una società senza classi, voi che intonate, fra un boccone e l'altro, i canti di vendetta nei quali si sente. già il rumore degli stivali, in cosa sareste diversi dai vostri nemici, in cosa fareste sentire meno il puzzo della morte?
Non raccontatemi che state esultando in anticipo degli ultimi giorni del vecchio mondo. Attendere con pazienza o con impazienza l'ultimo sussulto di una società che ci ghermisce e ci trascina nel turbine della sua agonia, è un passatempo da cadaveri. Vi siete tanto promessi la festa di cui morite dalla voglia, che non vi resta che la voglia di morire.
Passate a profetizzare l'apocalisse nello stesso tempo che un burocrate impiega a programmare le sue future promozioni. Come lui, il mercato della noia è riuscito a interessarvi.
Disprezzatori e laudatori del vecchio mondo, le vostre parole variano, ma l'aria resta la stessa. Le vostre chiese politiche, le vostre riunioni di famiglia, i vostri tavoli d'osteria, risuonano di un unico coro, eroico e imbecille, l'inno dei suicidi.
Il campo della rivoluzione ufficiale è la corte dei miracoli della burocrazia. I Teologi della Grande Sera vi separano sottilmente il territorio degli angeli e dei demoni, gli sciancati dell'insurrezione a venire sciolgono la matassa delle linee da seguire, i puritani finalmente decisi ad approfittare della vita, poiché non ci sono che i piaceri che costano, si frequentano con i procuratori inchinandosi alle virtù della trasgressione, predicando i doveri del rifiuto, assegnando etichette di radicalità e denunciando la miseria dell'ambiente. Ai giudici replicano gli avvocati del quotidiano e, il disprezzo si aggiunge al disprezzo, mentre sale da queste comuni assemblee un odore che assomiglia a quello dei comitati centrali, degli stati maggiori e dei servizi di polizia.
Da qui escono i rassegnati gloriosi della miseria e i falliti dell'alba terrorista. Perché il colpo di dadi col quale si rischia la pelle pagandosi quella di un magistrato o di qualche altro che dà fastidio non è che il segno premonitore della grande svalutazione finale quando la morte sarà per niente. La più miserabile delle sopravvivenze trae dalla falsa gratuità del niente e dal suo semplice spettacolo un aumento inatteso del suo prezzo. Tutte le morti sono pagate in anticipo al tasso di usura.
Nessuno rovescerà il mondo alla rovescia con la parte d'inversione che si porta dentro.
Abbiamo troppo combattuto l'economia con un comportamento economicista dove il rifiuto ci serviva da alibi. Non si lotta coscientemente la proletarizzazione, proletarizzandosi inconsciamente. I progressi dell'intellettualità, inerenti all'avanzata della merce, impegnano volentieri ciascuno a proiettare sulla critica del vecchio mondo la lucidità che egli trascura di applicare al proprio destino individuale. Tale è l'ironia del mondo alla rovescia che i migliori cani da guardia della teoria rivoluzionaria diventano, senza cessare di abbaiare sullo stesso tono, i migliori cani da guardia del Potere.
Siamo vissuti nel divenire della merce, in una dialettica della morte che non è altro che la storia dell’economia che si nutre di materia umana, la storia di un impero che cresce e deperisce simultaneamente, nella misura in cui gli uomini che ne producono e ne subiscono il potere si riducono poco a poco a puro valore di scambio.
Eccoci, allo stadio del suo estremo e ultimo sviluppo, prendere posto sui gradini per assistere alla sua fine, ma condannati a morire con esso, perlomeno se restiamo intrappolati dal riflesso mercantile, se lasciamo scappare la possibilità, oggi evidente, di fondare una dialettica della vita, una evoluzione dove l’umano sfugge totalmente all'economia.
La morte tira così di netto le linee di prospettiva del potere che il sentimento di una prospettiva radicalmente altra comincia ad appassionare chiunque non abbia rinunciato a vivere. Essa parte da individui particolari, dalla irriducibile soggettività, da questo vissuto sul quale s'infrangono l'incitamento al lavoro e alla sottomissione.
Da queste fisse e ridicole pedine che noi siamo in punti diversi sulla scacchiera del potere e del profitto, la vita emerge a colpi. Qui si radica il rovesciamento del mondo all'incontrario: la creazione di una società fondata sul godimento individuale e la distruzione di ciò che lo impedisce. Qui si abbozza il regno della gratuità con l'annientamento della merce, nel nostro presente immediato. Esso non appartiene alle fantasie della creatura oppressa. Non annuncia nessuna età dell'oro, né alcun paradiso perduto. E’ un mondo in divenire, dove ogni elemento è presto o tardi il suo contrario, muore e rinasce. Ma questo divenire non vuole avere niente in comune con la civiltà della merce. Che una volta per tutte sia chiaro come gli esseri e le cose non si trasformano, allo stesso modo, in una società che riduce la vita a una produzione di cose morte, e in una società dove la storia è l'emanazione della volontà di vivere individuale.




3. La storia sul punto di rovesciarsi passa per il punto di rovesciamento della storia individuale.

La fine del proletariato implica la fine della proletarizzazione del corpo.
Sotto la miseria della classe lavoratrice,i filosofi del XIX secolo avevano intravisto la gestazione dell'uomo totale e la nascita di un’ èra di libertà coincidenti con la fine della società di classe.
Oggi, solo questi moderni filosofi che sono i burocrati ignorano ancora che il proletariato è una astrazione finché la sua lotta per la società senza classi non si fondi sulla lotta di ciascun proletario contro la proletarizzazione del suo corpo.
Spogliato dai suoi miti e denunciata attraverso la miseria del suo spettacolo, l'economia non è più che la malattia del voler-vivere, il cancro del vivente. Spingendo sempre più in là i suoi insediamenti in un corpo sempre più a pezzi, essa inventa una economia gastro-intestinale, genitale,oculare, cervicale, una economia degli organi, delle funzioni dei riflessi che, modellata sul mondo dominante, impone le sue norme di rendimento, di profitto, di risparmio, di spreco, di volontà di potenza, di scambio.
E mentre la sua mostruosa astrazione s'impadronisce dei gesti dei muscoli, dei comportamenti, ciò che non riesce ad afferrare la tiene in scacco. Non c'è malessere del corpo, una soddisfazione, un movimento che non traduca il conflitto permanente fra il desiderio di godere di tutto e la frammentazione corporale in zone di produttività.
La lotta di classe è inseparabile nella piazza e dentro di me.


Il meglio, ottenuto con la costrizione. diventa il peggio.
Sotto le virtuose proteste del rifiuto, la maggior parte lavora a proletarizzarsi. Mai l'appetito di libertà si e’ così nutrito di imperativi.
Libertari felici, che m'intimate di essere autonomo, voi vituperate l'autorità, ma non cessate di costringervi, celebrate l'ozio e vi vergognate di non fare niente per la rivoluzione. Il vostro odio della merce nasconde un odio più profondo, quello che vi assale, quando nello specchio della vita assente, vi vedete sempre più simili a ciò che combattete. Quello che vi interessa nella lotta finale, è di farla finita con voi stessi.
Il rifiuto della società dominante è diventato noioso e coercitivo quanto la sua accettazione, l'uno e l'altra obbediscono allo stesso padrone.
Sacerdoti del negativo, eroi della purezza radicale, il vecchio mondo se ne va ormai per suo conto. Poiché la merce progredisce negandosi, essa s'ingrasserà ancor meglio con le vostre critiche per il fatto che discendono il più delle volte dai vostri riflessi economici: coercizione di voler apparire, lavoro della volontà di potenza, senso di colpa per il saldo dei conti, disinibizione della carenza di vivere. Nessuna lezione è quella buona, perché tenta di imporsi. L'ordine da impartire mi assimila al lavoratore intellettuale, l'ordine accettato al lavoratore manuale, e io non voglio essere né l'uno né l'altro. Dove c'è costrizione, c'è lavoro; dove c'è lavoro, non c'è piacere.
Quello che m’impedisce di godere senza contropartita appartiene al mondo
Alla rovescia, fosse anche i rifiuto di un tale mondo.


Piacere costretto, piacere perduto.
L'idea che bisogna godere a tutti i costi sta lavorando ad un rifacimento dei vecchi divieti con le stesse conseguenze. Essa apporta, con molto destro, il suo sostegno a quelli per cui la rivoluzione è un dovere, la radicalità una prova, la vita uno spettacolo.
Mentre le vecchie talpe della critica lavorano all'affossamento del vecchio mondo, i liberatori dell'amore si operano per il miglioramento dell'economia sessuale. Il piacere obbligatorio rimpiazza il piacere proibito.
Il godimento si affronta come un esame, con una bocciatura o una riuscita. Bere, mangiare, dedicarsi all'amore fanno parte ormai degli ornamenti della buona reputazione. Per il brevetto di radicalità, segnate qui la media oraria dei vostri orgasmi!
E’ finita con i peccati dell'ozio da quando i piaceri vengono assunti alla fabbrica quotidiana. Trasgredire i tabù, così comanda il progresso economico! L'emancipazione obbligatoria, cosa di meglio per riaffermare il divieto fondamentale, l'esclusione di ogni godimento che voglia sfuggire alla costrizione, al lavoro, allo scambio?
Dove il godimento non distrugge l'economia, c'è solo una emancipazione economizzata, ogni libertà nasconde una repressione - ogni repressione si mostra come libertà.
Gli asceti della buona vita hanno raggiunto i burocrati della società senza classi, quelli che godono della miseria si alleano a quelli che disprezzano la sopravvivenza. Attorno ai piaceri la concorrenza si scatena. Il ritorno al passato tenta di indorare di nostalgia ciò che non ha più niente per restare in piedi salvo il suo prezzo. A ragione che il sesso si è appena liberato dalla necessità della riproduzione esso cade nelle catene dei records dell'orgasmo; bisogna allora celebrare l'amore cortese, lo scherzo, la timidezza platonica, la fedeltà e non so quale altra castità desueta? L'inversione degli antichi piaceri non è minore dei volgari passatempi moderni. Non c'è bastato vedere gruppi risolutamente ostili alla famiglia e allo Stato rifarsi alla morale del clan e resuscitare la mistica della solidarietà, della rottura e dell’onore.
Gli artisti della regressione e i modernisti del recupero appartengono a un solo ambiente, quello degli affari Che me ne importa delle vostre distinzioni di medici legali e delle vostre scatole etichettate: eterosessualità ,omosessualità, perversione ,sadismo, coprolalia ,normalità, anormalità. E tutti quanti. Il godimento non ha frontiere,e io intendo premunirmi contro tutto ciò che tenta di imitarlo.
Quando il desiderabile cede al necessario, io lo fuggo come un lavoro. Non ho alcun piacere del riflesso di morte, di cui del resto, vedo si fa solo commercio. Che gli affetti dalla rogna del potere si sfreghino fra di loro il prurito di dominare e di essere dominati, di frustrare e di essere frustrati, di soffrire e di far soffrire. Io voglio ignorare le voluttà della proletarizzazione. Ciò che si accanisce a distruggermi mi indica assai bene che non c'è piacere all'infuori dell'affermazione della vita.


Il lavoro è l'inversione della creatività.
Mentre i comportamenti umani tendono a modellarsi sui meccanismi mercantili, la storia non ha cessato d'immiserire la parte ufficiale lasciata ai creatori.
Inaridito dalla industrializzazione, la fine dell'artigianato, il mercato della cultura, la concrezione mercantile, tutto quello che ancora si richiamava alla passione di creare, artista, artigiano, mago, poeta, compositore, visionario, finisce col seccarsi definitivamente sotto i lustrini ideologici dei burocrati.
La creatività passa per il laminatoio del lavoro come qualsiasi manifestazione della vita. Riconquistata dal sistema mercantile fino al punto da servire ormai direttamente i suoi interessi, lascia vedere bene che è stata tollerata dalla concorrenza solo al prezzo di una rimozione e di una inversione. Essa non è mai esistita interamente, nel senso della vita.
Che la nostalgia del passato non ci nasconda la miseria e la ricchezza del presente! Per quanto commoventi mi risultino le opere di alcuni musicisti, pittori, incisori, scrittori o costruttori, sento fin troppo bene in esse il marchio di una appassionante sconfitta e di una involontaria rinuncia. Esse sono gli scoppi residui di una esplosione di energia dove né la corazza intellettuale, né i bisogni della sopravvivenza, né il denaro, né la volontà di potenza, avrebbero dovuto ostacolare. Ciò che mi colma di gioia, è la forza sessuale che continua a irradiarsi al loro incontro, è il desiderio di andare oltre, di rovesciare il mondo della creazione invertita.
Cos'è il genio, il demone familiare, il soffio dell'ispirazione? Apparenze a cui l'organizzazione del lavoro ha lasciato una libertà marginale, una falsa gratuità che parodia la gratuità della vita. Forse, una creatività primitiva è esistita, in epoche preagricole, una pratica del corpo nella sua totalità, individuale e sociale, depistante le forze naturali, e di cui la magia, l'alchimia, l'arte, e la follia inventiva, evocano il ricordo. Ciò che è certo è che la necessità di produrre rimuove la creatività,la frantuma e la piega verso quella negazione. E l'aborto che la pratica alchemica tenta di rianimare misticamente, è la pratica sensuale condannata a esiliarsi nella testa mentre il lavoro intellettuale si separa dal lavoro manuale, è l'inspiegabile da dove l’inconscio scientifico tira fuori le sue trovate e che l’economia recupera.
La fine della creatività tollerata - la fine di tutte le forme d'arte - identifica ormai la passione di creare con il godimento gratuito della vita. Su questa pietra del divieto fondamentale, la società mercantile non ha finito di costruire le sue chiese di libertà. Un mercato del bricolage punta sul disgusto per il lavoro forzato e la seduzione del creativo per fare di ognuno il suo proprio imprenditore. L'arte di dipingere su vetro, di cucinare, di distillare, di comporre un vaso di fiori, di raccontare, di cantare, di rilassarsi, di sognare, dà lavoro ai piaceri del creare che la necessità del produrre aveva condannato alla disoccupazione.
L'idea che bisogna creare per sfuggire al male della sopravvivenza finisce col fare il vuoto in nome di ciò che potrebbe annullarlo.. Se è vero che una scontentezza dissimulata rode la gente, anche quelli che si dicono contenti, se è oramai chiaro che il malessere deriva dall'assenza di una creatività globale, io comprendo la costruzione della vita a partire dai desideri, allora saremo appagati, perché questo e’ il tempo dove ciascuno sarà messo nelle condizioni di produrre la sua felicità. Aprendo i sentieri dell’arrangiarsi,il gauschismo ha inaugurato i controviali del lavoro. Tuttavia, all’origine l’arrangiarsi poteva passare per una autodifesa del godimento. Insegnava a lavorare il meno possibile, a prendere i soldi che occorrevano senza affaticarsi, ad aggirare gli ordini, a ridicolizzare i capi, a fregare lo Stato. Lo slabbramento del mercato del lavoro non ha tardato a trasformarlo in lavoro parallelo. Esso è diventato un modo di togliersi dagli affari senza cessare di farli. La maionese dell'autonomia abbellisce una realtà dove ciascuno vuol essere il suo proprio padrone, sfruttandosi senza intermediari.
Che la legge dell'arrangiarsi regni necessariamente nelle prigioni, nelle fabbriche, nelle caserme, nei paesi dell'Est dona la misura analogica del nostro universo carcerario. E non ha maggior alleato dell'oppressione che la giustifica.
Questa è la miseria del comportamento economicista,che considera godimento il lavoro risparmiato; per non parlare di quanto si spinge fino al ridicolo di sprecare, ricorrendo agli espedienti,più fatica che un normale lavoro.
Tutte catene sono sinistre. Non fatemi scegliere tra quella dove si stringono bulloni e quella che vi spinge dal dovere alla convenienza, dalle promesse al contratto, dalla paura degli altri al loro dominio Non voglio lottare contro la merce con quello che mi toglie di vita, ma con quello che la vita le riprende, spezzandola. Non c'è altra creatività.

1 commento:

  1. anche se non un Individualista la lettura di Raoul Vaneigem offre diversi spunti creativi

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