venerdì 21 settembre 2012

COS’È IL MARXISMO



COS’È IL MARXISMO
tratto da "La setta rossa" di Enzo Martucci

MA COS’È dunque il comunismo marxista, questa Buona Novella predicata dall’ebreo di Treviri e accettata ciecamente dai manovali insoddisfatti che sognano diventare commissari del popolo ?
Il marxismo è una teoria che si basa sul materialismo storico il quale indica nel fattore economico l’assoluto che determina, a priori, i fatti e li 
vincola nella successione di un ordine prestabilito che culmina fatalmente nella società senza classi.
Capovolgimento dell’hegelianesimo esso sostituisce all’idea assoluta di Hegel il bisogno materiale; e questo bisogno materiale, questo bisogno economico, crea la storia, ne dispone anticipatamente lo svolgimento e la porta, attraverso la contraddizione progressiva degli interessi, all’annientamento di ogni contraddizione e al benessere universale. L’uomo non è che un fantoccio senza volontà, uno schiavo dei crampi della fame che lo costringono a pensare e ad agire in un certo modo, a seguire una via già tracciata e a raggiungere, dopo lotte e conflitti predeterminati, una meta immancabile. E la storia, che segue le rotaie obbligatorie del fatalismo materialista, non può mai cambiare direzione ma deve passare per le stazioni regolamentari e fermarsi necessariamente all’ultima d’esse.
« Nella produzione sociale della loro vita - ha scritto Marx - gli uomini accedono a rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà ; rapporti questi di produzione i quali corrispondono ad un grado determinato della evoluzione delle forze produttive materiali. La struttura economica della società è costituita dall’insieme di questi rapporti di produzione i quali formano la base reale su cui si eleva la superstruttura giuridica e politica, cui corrispondono determinate forme della coscienza sociale. Il modo di produzione della vita materiale condiziona il processo della vita sociale, politica e spirituale, in generale. Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma, per converso, è la esistenza sociale che determina la loro coscienza (1) ».
In questo modo il materialismo storico nega alla forza morale ogni funzione nella determinazione degli avvenimenti umani. I sentimenti, la volontà, l’ideale non hanno alcuna efficacia propria, alcuna influenza reale nella vita, ma non sono che le apparenze illusorie di un determinismo materiale sul quale non esercitano nessuna azione. E’ l’interesse economico che guida il mondo, e gli uomini si riducono a semplici pedine mosse dall’impulso di quest’interesse materiale alla cui spinta irresistibile non possono reagire.
Ma la realtà è ben diversa da come Marx la rappresenta. L’uomo ha certamente dei bisogni economici, ma ha pure dei bisogni sentimentali, ideali, passionali, e come i primi agiscono sui secondi, così questi agiscono sui primi. Molte volte l’uomo esplica la sua attività conformemente al proprio interesse materiale e si forma le idee che a tale interesse corrispondono; ma quando un’idea spontanea balena nel suo spirito o un’ignea passione si scatena nel suo cuore, subisce l’influenza di queste forze morali e ad esse subordina o sacrifica l’interesse materiale.
« L’uomo è fatto cosi — ha spiegato Dostoevskij — chiunque sia e in qualunque luogo si trovi, vuole agire come gli pare e non come gli dettano la ragione e l’interesse. Si può volere contro il proprio interesse, qualche volta se ne è obbligati. Il giuoco della propria volontà, il proprio capriccio più stravagante, la fantasia più folle, ecco il più vantaggioso di tutti gli interessi, quello che non si può ridurre in alcuna classificazione e che manda al diavolo tutti i sistemi e tutte le teorie. Dove dunque i saggi hanno trovato che il volere dell’uomo dev’essere, innanzi tutto, normale e virtuoso ? Perché si sono immaginati che egli sia guidato da una volontà diretta verso la ragione e verso il profitto ? L’uomo invece non vuole che l’indipendenza a qualunque costo (2) ».
I marxisti obbietteranno che simili casi sono patologici, individuali, ma che la vita sociale è sempre determinata dagli interessi materiali e dai contrasti che fra questi si manifestano. Però, non di rado, nella storia si sono visti gruppi, masse, popoli, trascinati da un’idea o da un sentimento, qualche volta anche da un’assurdità o da una follia, trascurare i loro interessi materiali ed agire contr’essi, a vantaggio dell’interesse spirituale che più fortemente sentivano. L’egoismo umano non è semplicemente materialista, non mira soltanto alla sazietà del ventre, ma tende al soddisfacimento di tutti i bisogni fisici e psichici dell’uomo; e quando questi ultimi prevalgono sugli altri, egli li appaga a detrimento del benessere e delle comodità del corpo. Se cosi non fosse non potremmo spiegarci il gran signore Bakunin incatenato nella cella di Alessio, il principe Kropotkine agitatore rivoluzionario in Europa, il conte Tolstoj contadino nella steppa. Non sapremmo comprendere Paolo di Tarso e Francesco d’Assisi, Carlo Pisacane e Cesare Battisti e dovremmo vedere i rappresentanti tipici dell’umanità e della sua azione, sana e normale, nel panciuto capitalista sfruttatore e nell’operaio scioperante per un aumento di salario. L’uomo è uomo e non suino ed anche quando insorge contro ogni vincolo etico e ogni legge sociale, per la completa affermazione dell’io, professa l’egoismo eroico e dionisiaco di Nietzsche o quello romantico e negatore di Stirner, ma non l’ignobile panciafichismo di Pantagruel.
« E’ il succo che fa l’albero; — ha scritto Réclus — sono le idee che fanno la società. Nessun fatto storico è meglio constatato di questo »(2). Perciò, contrariamente a quanto asseriva Engels, le cause determinanti di questa o quella metamorfosi o rivoluzione sociale, devono ricercarsi non tanto nelle metamorfosi della produzione e dello scambio, quanto nelle teste e nei cuori degli uomini.
Il cristianesimo e le crociate, la riforma e la rivoluzione francese, sono state più opere dell’idea e del sentimento che non degli interessi materiali.
V’è poi un’idea antichissima che s’è profondamente incisa nell’umanità, che ha scatenato guerre, rivoluzioni, deliri, fanatismi, ed ha operato sui costumi, modificate le condizioni dell’esistenza sociale, esercitata un’influenza enorme sulla vita di tutti i tempi: questa è l’idea di Dio.
Ebbene essa è sorta, originariamente, per un’esigenza dello spirito sulla quale il bisogno economico non poteva esplicare alcuna azione. Se ci atteniamo al metodo materialista e positivista, cioè al metodo dei marxisti, dobbiamo ritenere che l’idea divina è nata nell’uomo primitivo come effetto della incomprensione dei fenomeni naturali ( lampo, tuono, grandine, terremoto ), e della paura della morte. Quindi Dio è stato creato, dai nostri lontani progenitori, per l’appagamento di un bisogno psicologico sul quale non potevano influire gl’interessi ventristici né il modo di produzione. Frugivoro o carnivoro, meglio o peggio nutrito, con l’ascia di pietra o con la lancia di ferro, associato nel branco o vivente in famiglia, qualunque fossero state le condizioni della sua esistenza materiale, il selvaggio della preistoria avrebbe sempre sentito il terrore della fine e si sarebbe immaginato che la causa di una folgore o di un uragano fosse un essere invisibile, più potente di lui. In seguito gli interessi materiali si sono cristallizzati intorno a questa idea perché alcuni uomini hanno voluto farsi credere i rappresentanti del dio sulla terra, onde trarne ricchezze e privilegi. Ma al principio, alle origini, nessuna causa economica potette operare sul sorgere della credenza religiosa. Dio nacque dai tormenti dell’anima, non dai crampi della fame.
Non è dunque vero che l’uomo sia e sia stato sempre determinato dal solo fattore economico il quale è, nella filosofia marxista, ciò che è l’idea in quella di Hegel. Se non esistessero fattori diversi che agiscono su noi, se tutto si riducesse ad un assoluto da cui ogni cosa deriva, se la vita materiale e quella ideale e sentimentale si identificassero nell’indistinta unità di un monismo inconcepibile, allora a quest’assoluto immanente, a quest’unico tutto, non si potrebbe dare il nome di fattore economico.
Noi infatti conosciamo per distinzione, individuiamo i vari aspetti della realtà dai loro caratteri peculiari, ravvisiamo il colore rosso per mezzo della sua diversità dall’azzurro e dal verde, e il fatto economico per la sua specifica natura che gli conferisce una propria fisionomia e gl’impedisce di confondersi con i fatti non economici. Ma se la realtà è indifferenziata, se il palpito del cuore e il baleno dell’intelligenza, la passione per l’idea e la lotta per il cibo, sono manifestazioni varie di uno stesso bisogno materiale che determina l’uomo nel pensiero e nell’attività pratica, allora questo solo bisogno non si potrà identificare con una delle sue forme. Non si potrà dire, cioè, che esso è economico perché sarà, contemporaneamente, spirituale, ideologico, sentimentale, come un uomo non è soltanto una testa, ma è anche un corpo, un pensiero, una sensibilità, ecc. Non essendovi più nature, distinte ed autonome, l’unica natura assoluta non comporterà distinzioni ; essa avrà tutti gli attributi e le qualità e sarà, nello stesso tempo, economica ed ideale, sentimentale ed affettiva. Come si potrà allora dire ch’essa è economica e che, come tale, influisce sull’intelletto e sul sentimento quando questi formeranno con l’economia una sola e stessa cosa? L’assoluto non ha nome e Marx, per essere coerente, non dovrebbe dire che l’uomo è determinato dal bisogno economico ma bensì dall’assoluto.
Ma Marx e i marxisti sostengono che il bisogno economico non è assoluto, come l’idea hegeliana, ma è invece relativo. Ciò significa che, al di fuori di ciò che è economico, esiste qualche altra cosa che non è economica e che ha una natura propria e una vita autonoma. Allora perché, sempre e in tutti i casi, l’economico dovrà determinare il non economico e mai esserne determinato ? Perché non vi sarà reciprocità d’influenze ma condizioni di dipendenza di un elemento dall’altro?
Marx vuole che il relativo faccia la parte dello assoluto. Egli asserisce che il bisogno economico governa tutti gli altri, costringe l’uomo ad agire sempre in un certo modo, cioè conformemente ai suoi interessi materiali, e dispone anticipatamente l’azione futura e la concatenazione dei fatti che determina a priori. Ma se Marx fosse conseguente alla sua premessa sulla relatività dell’economico, riconoscerebbe che il relativo non può diventare assoluto, che l’interesse materiale influisce sugli altri interessi ma n’è anche influenzato, che l’esistenza sociale determina talvolta la coscienza, ma tal’altra è la coscienza che determina l’esistenza sociale.
Giungerebbe allora alla conclusione che l’uomo, combattuto da diverse ed opposte tendenze, da interessi contrastanti, agisce in vari modi e che perciò, nella storia, sorgono sempre elementi nuovi che cambiano l’orientamento, la direzione generale; che i fatti non sono, quindi, determinabili a priori ma conoscibili a posteriori, e che l’umanità non è obbligatoriamente incamminata verso una meta prestabilita, il comunismo finale, ma cambia continuamente la meta e non s’arresta mai.
Ma se Marx e i marxisti ammettessero ciò dovrebbero rinunciare al materialismo storico. E, privo di questa base, il comunismo non sarebbe più la fatale realtà dell’avvenire.

(1) Karl Marx, Opere
(2) Dostoevskij, Lo spirito sotterraneo.
(1) E. Réclus, Evoluzione e Rivoluzione

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