Consiste nel creare in tutti coloro che l’adottano – ed è nostro avviso che occorra una predisposizione speciale
per giungere a ciò – uno spirito di critica permanente ed irriducibile
verso le istituzioni che insegnano, mantengono, preconizzano la
dominazione degli uomini sopra i lori simili. E non soltanto contro le
istituzioni, ma altresì contro gli uomini che queste istituzioni
rappresentano, poiché è per opera di quelli che noi conosciamo queste.
Consiste ancora nel suscitare in coloro che si sono assimilati, - per riflessione o per temperamento – il pensiero individualista, un desiderio imperioso di vivere le fasi della loro vita di tutti i giorni al di fuori di ogni autorità esteriore senza tener conto delle istituzioni che mantengono la dominazione, senza esercitare alcuna influenza coercitiva su quelli dei loro compagni che concepiscono in altra maniera le manifestazioni particolari della vita quotidiana.
Consiste, infine, nel fare di ciascun individuo un propagatore personale, un divulgatore, un veicolo del pensiero individualista.
In linea di massima, gli individualisti non sono rivoluzionari nel senso sistematico e dogmatico della parola. Essi non ritengono che una rivoluzione possa apportare, non più che una guerra, un vero miglioramento nella vita dell’individuo.
Come una guerra, una rivoluzione può essere comparata ad un eccesso di febbre durante il quale il malato si comporta ben diversamente che nel suo stato normale. Passato l’eccesso di febbre, il paziente ritorna al suo stato anteriore. Cosi la storia ci insegna che le rivoluzioni sono sempre state seguite da sbalzi indietro che le han fatte deviare dal loro obiettivo primitivo. E’ dall’individuo che bisogna incominciare. E’ da individuo a individuo che deve anzitutto propagarsi questa nozione: che è un crimine il forzare qualcuno ad agire diversamente da come egli crede utile, o vantaggioso, o gradevole per la propria conservazione, per il proprio sviluppo e per la propria felicità – che questo crimine sia compiuto dallo Stato, o dalle legge, o dalla maggioranza, o da un isolato qualunque. E’ da individuo a individuo che deve comunicarsi l’idea dell’ “individuale” reagente sul “sociale”. Queste concezioni devono essere il frutto della riflessione a la conseguenza di un temperamento costante e meditativo, e non il frutto, e non il risultato di una sovreccitazione passeggera estranea alla natura normale di colui che la professa.
L’individualismo anarchico non presenta alcun progetto regolante, a priori e nei suoi menomi dettagli, un ambiente nel quale avendo l’individuo la precedenza sull’aggregato umano e non volendo essa né servire né asservire, non si conoscerebbe né dominazione del sociale o dell’uomo sull’uomo, né denominazione dell’uomo sull’uomo o sul sociale, - né sfruttamento dell’uomo per opera dell’uomo o del sociale o viceversa – un ambiente, cioè, ove ciascuno vivrebbe senza autorità né leggi, la vita che meglio conviene al proprio temperamento ed alle proprie aspirazioni senza dover rendere conto a chicchessia dei propri atti, conseguentemente alla pratica della reciprocità nei riguardi altrui. Per l’individualista anarchico si tratta di una orientazione nuova nella mentalità, ben più che della costituzione fittizia di un nuovo assetto sociale.
Conclusione: gli individualisti anarchici presentano:
a) Un aspirazione umana e morale ad un tempo: l’individualista anarchico, l’individuo che nega l’autorità ed il suo corollario economico: lo sfruttamento, e si rifiuta di esercitarlo; l’essere la cui vita consiste in una reazione continua contro un ambiente che non può, che non vuole né comprenderlo né approvarlo, in quanto i componenti di questo ambiente sono gli schiavi dell’ignoranza, dell’indifferenza, delle tare ereditarie, del rispetto delle cose stabilite; che tende alla realizzazione d’un tipo nuovo: l’uomo che non sente alcun bisogno di regolamentazione o costrizione esteriore, dappoichè egli possiede sufficiente potenza volitiva per determinare i suoi bisogni personali e per conservare la propria potenza di resistenza individuale;
b) Un’aspirazione morale e sociale insieme: un concetto di ambiente individualista anarchico che implichi specialmente dal punto economico, proprietà dei mezzi di produzione e libera disposizione del prodotto, considerati come garanzia essenziale dell’autonomia della persona. Detto ambiente esistente ed evolvente in seno ad una umanità i cui componenti determinassero la loro vita, nei suoi vari aspetti, intellettuale, etico, economico, per mezzo di un contratto liberamente accettato ed applicato, implicante la libertà di tutti senza nuocere la libertà di alcuno; umanità in cui potrebbero sbocciare ed espandersi di pari passo e simultaneamente tutti i tentativi, tutti i sistemi, tutti i metodi di vita individuale o plurale, tutte le associazioni, possibili ed immaginabili, senza altra restrizione o limite che il contrappeso del loro rispettivo funzionamento;
c) Un’aspirazione individuale e sociale insieme: l’associazione individualista anarchica volontaria, associazione destinata non solamente ad accrescere e portare al “maximum” la libertà, il rendimento, il benessere e la gioia di vivere di ciascuno di coloro che la contraggono, ma altresì a salvaguardare ed a garantire la loro autonomia personale contro tutte le usurpazioni, sopraffazioni, requisiti del “non io”, quali esse siano.
È esatto che gli individualisti considerano con precauzione ed esaminano con la più grande attenzione le manifestazioni rivoluzionarie che si producono in seno agli ambienti umani nei quali essi vivono. È esatto altresì che essi non si lasciano abbagliare né dalla facciata esteriore e dalla bandiera che si sventola, né dagli appelli sonori e sentimentali cui ricorrono i condottieri di folle per farsi seguire dai loro greggi. Essi si dimostrano conseguenti alle loro opinioni allorché desiderano sapere, anzitutto, a profitto di chi o di che si produce o si svolge un dato movimento rivoluzionario.
Inoltre a torto si rimprovera loro di nutrire una non sol’quale ostilità pregiudiziale contro la forza: ad essi che aspirano a rendere forte ciascuna unità umana senza monopolio o privilegio speciale. Per la verità, non è contro la forza, contro l’energia che si erigono gli individualisti; al contrario, è un tratto caratteristico delle loro rivendicazioni il veemente desiderio di vedere l’essere umano affermarsi forte e vigoroso, intellettualmente come moralmente, dal punto di vista fisico come dal punto di vista psichico. Non è contro la forza che essi si pongono, ma bensì contro l’autorità, la coercizione, l’obbligazione, delle quali la violenza è un aspetto, il che è tutto differente.
Gli individualisti sono del parere che una qualunque trasformazione dell’ambiente – sia essa d’ordine intellettuale, etico, economico, politico, od altro – non può o non ha probabilità di prodursi realmente se essa non è preceduta da un’intensa azione di propaganda, destinata a preparare i componenti dell’ambiente in questione alla modificazione o al rivolgimento che sta per aver luogo ed a metterli così in grado di prendere posizione. In altri termini, gli individualisti non concepiscono un’azione rivoluzionaria senza una preliminare educazione e iniziazione dell’ambiente ove essa dovrà svolgersi.
Non v’è individualista antiautoritario, che possa, nella società borghese, cioè in una società basata sulla dominazione e sullo sfruttamento sotto i loro molteplici aspetti, che possa, diciamo, vantarsi di aver realizzato o conquistato una parte, per quanto minima, delle sue rivendicazioni. Dove è il compagno individualista in grado di vantarsi d’aver compiuto la sua rivoluzione? Certamente un individualista può, in molte occasioni, pensare ed agire diversamente dagli esseri umani, vale a dire, nei suoi giudizi, nei suoi apprezzamenti, nei suoi rapporti col suo “entourage” immediato, fare risolutamente “tabula rasa” dei pregiudizi e dei preconcetti che intralciano solitamente l’espansione dell’unità umana. Certo egli può considerare e concepire la vita sotto tutt’altro aspetto di quello dei componenti delle società attuali, egli può determinare e stabilire i suoi rapporti ed i suoi accordi coi suoi compagni sopra tutt’altre basi di quelle prescritte dal contratto sociale quale lo escogitano e lo impongono i privilegiati ed i monopolizzatori. Ma anche quando un concorso di circostanze straordinarie gli avranno permesso di realizzare alcune delle speranze più care agli individualisti, codesto compagno si troverà inevitabilmente arrestato, un giorno o l’altro, dalla barriera della coercizione amministrativa o legale, dal conformismo sociale. Gli bisognerà un giorno o l’altro decidersi per la resistenza o l’adattamento.
Se egli si adatta, se depone le armi, egli avrà cessato di contare tra gli individualisti.
Coloro che vedono nel possesso di una casetta cinta da un giardino o comunque da un pezzo di terreno, nello sfruttamento di un piccolo commercio ambulante o in una modesta bottega, nell’esercizio di un mestiere o di una professione relativamente indipendente – espedienti questi che consentono, a rigore, di vivacchiare né bene né male – coloro che vedono in questi o altri più pericolosi espedienti, il compimento della loro rivoluzione individuale, dimostrano di non aver affatto assimilato il concetto individualista.
Aver compiuta la propria rivoluzione individuale, vuol dire essersi sbarazzati il più e meglio possibile delle influenze che pesavano sul proprio io ed essersi così rivelato a se stesso; vuol dire, una volta liberatosi dal gioco delle influenze ereditarie, dell’educazione e delle tradizioni sociali, o in ogni caso dopo avervi lottato contro, essersi fatta, forgiata, una concezione personale della vita; vuol dire ancora possedere la piena conoscenza delle proprie passioni, dei propri slanci.
tratto da "vivere l'anarchia" di Emile Armand
Consiste ancora nel suscitare in coloro che si sono assimilati, - per riflessione o per temperamento – il pensiero individualista, un desiderio imperioso di vivere le fasi della loro vita di tutti i giorni al di fuori di ogni autorità esteriore senza tener conto delle istituzioni che mantengono la dominazione, senza esercitare alcuna influenza coercitiva su quelli dei loro compagni che concepiscono in altra maniera le manifestazioni particolari della vita quotidiana.
Consiste, infine, nel fare di ciascun individuo un propagatore personale, un divulgatore, un veicolo del pensiero individualista.
In linea di massima, gli individualisti non sono rivoluzionari nel senso sistematico e dogmatico della parola. Essi non ritengono che una rivoluzione possa apportare, non più che una guerra, un vero miglioramento nella vita dell’individuo.
Come una guerra, una rivoluzione può essere comparata ad un eccesso di febbre durante il quale il malato si comporta ben diversamente che nel suo stato normale. Passato l’eccesso di febbre, il paziente ritorna al suo stato anteriore. Cosi la storia ci insegna che le rivoluzioni sono sempre state seguite da sbalzi indietro che le han fatte deviare dal loro obiettivo primitivo. E’ dall’individuo che bisogna incominciare. E’ da individuo a individuo che deve anzitutto propagarsi questa nozione: che è un crimine il forzare qualcuno ad agire diversamente da come egli crede utile, o vantaggioso, o gradevole per la propria conservazione, per il proprio sviluppo e per la propria felicità – che questo crimine sia compiuto dallo Stato, o dalle legge, o dalla maggioranza, o da un isolato qualunque. E’ da individuo a individuo che deve comunicarsi l’idea dell’ “individuale” reagente sul “sociale”. Queste concezioni devono essere il frutto della riflessione a la conseguenza di un temperamento costante e meditativo, e non il frutto, e non il risultato di una sovreccitazione passeggera estranea alla natura normale di colui che la professa.
L’individualismo anarchico non presenta alcun progetto regolante, a priori e nei suoi menomi dettagli, un ambiente nel quale avendo l’individuo la precedenza sull’aggregato umano e non volendo essa né servire né asservire, non si conoscerebbe né dominazione del sociale o dell’uomo sull’uomo, né denominazione dell’uomo sull’uomo o sul sociale, - né sfruttamento dell’uomo per opera dell’uomo o del sociale o viceversa – un ambiente, cioè, ove ciascuno vivrebbe senza autorità né leggi, la vita che meglio conviene al proprio temperamento ed alle proprie aspirazioni senza dover rendere conto a chicchessia dei propri atti, conseguentemente alla pratica della reciprocità nei riguardi altrui. Per l’individualista anarchico si tratta di una orientazione nuova nella mentalità, ben più che della costituzione fittizia di un nuovo assetto sociale.
Conclusione: gli individualisti anarchici presentano:
a) Un aspirazione umana e morale ad un tempo: l’individualista anarchico, l’individuo che nega l’autorità ed il suo corollario economico: lo sfruttamento, e si rifiuta di esercitarlo; l’essere la cui vita consiste in una reazione continua contro un ambiente che non può, che non vuole né comprenderlo né approvarlo, in quanto i componenti di questo ambiente sono gli schiavi dell’ignoranza, dell’indifferenza, delle tare ereditarie, del rispetto delle cose stabilite; che tende alla realizzazione d’un tipo nuovo: l’uomo che non sente alcun bisogno di regolamentazione o costrizione esteriore, dappoichè egli possiede sufficiente potenza volitiva per determinare i suoi bisogni personali e per conservare la propria potenza di resistenza individuale;
b) Un’aspirazione morale e sociale insieme: un concetto di ambiente individualista anarchico che implichi specialmente dal punto economico, proprietà dei mezzi di produzione e libera disposizione del prodotto, considerati come garanzia essenziale dell’autonomia della persona. Detto ambiente esistente ed evolvente in seno ad una umanità i cui componenti determinassero la loro vita, nei suoi vari aspetti, intellettuale, etico, economico, per mezzo di un contratto liberamente accettato ed applicato, implicante la libertà di tutti senza nuocere la libertà di alcuno; umanità in cui potrebbero sbocciare ed espandersi di pari passo e simultaneamente tutti i tentativi, tutti i sistemi, tutti i metodi di vita individuale o plurale, tutte le associazioni, possibili ed immaginabili, senza altra restrizione o limite che il contrappeso del loro rispettivo funzionamento;
c) Un’aspirazione individuale e sociale insieme: l’associazione individualista anarchica volontaria, associazione destinata non solamente ad accrescere e portare al “maximum” la libertà, il rendimento, il benessere e la gioia di vivere di ciascuno di coloro che la contraggono, ma altresì a salvaguardare ed a garantire la loro autonomia personale contro tutte le usurpazioni, sopraffazioni, requisiti del “non io”, quali esse siano.
È esatto che gli individualisti considerano con precauzione ed esaminano con la più grande attenzione le manifestazioni rivoluzionarie che si producono in seno agli ambienti umani nei quali essi vivono. È esatto altresì che essi non si lasciano abbagliare né dalla facciata esteriore e dalla bandiera che si sventola, né dagli appelli sonori e sentimentali cui ricorrono i condottieri di folle per farsi seguire dai loro greggi. Essi si dimostrano conseguenti alle loro opinioni allorché desiderano sapere, anzitutto, a profitto di chi o di che si produce o si svolge un dato movimento rivoluzionario.
Inoltre a torto si rimprovera loro di nutrire una non sol’quale ostilità pregiudiziale contro la forza: ad essi che aspirano a rendere forte ciascuna unità umana senza monopolio o privilegio speciale. Per la verità, non è contro la forza, contro l’energia che si erigono gli individualisti; al contrario, è un tratto caratteristico delle loro rivendicazioni il veemente desiderio di vedere l’essere umano affermarsi forte e vigoroso, intellettualmente come moralmente, dal punto di vista fisico come dal punto di vista psichico. Non è contro la forza che essi si pongono, ma bensì contro l’autorità, la coercizione, l’obbligazione, delle quali la violenza è un aspetto, il che è tutto differente.
Gli individualisti sono del parere che una qualunque trasformazione dell’ambiente – sia essa d’ordine intellettuale, etico, economico, politico, od altro – non può o non ha probabilità di prodursi realmente se essa non è preceduta da un’intensa azione di propaganda, destinata a preparare i componenti dell’ambiente in questione alla modificazione o al rivolgimento che sta per aver luogo ed a metterli così in grado di prendere posizione. In altri termini, gli individualisti non concepiscono un’azione rivoluzionaria senza una preliminare educazione e iniziazione dell’ambiente ove essa dovrà svolgersi.
Non v’è individualista antiautoritario, che possa, nella società borghese, cioè in una società basata sulla dominazione e sullo sfruttamento sotto i loro molteplici aspetti, che possa, diciamo, vantarsi di aver realizzato o conquistato una parte, per quanto minima, delle sue rivendicazioni. Dove è il compagno individualista in grado di vantarsi d’aver compiuto la sua rivoluzione? Certamente un individualista può, in molte occasioni, pensare ed agire diversamente dagli esseri umani, vale a dire, nei suoi giudizi, nei suoi apprezzamenti, nei suoi rapporti col suo “entourage” immediato, fare risolutamente “tabula rasa” dei pregiudizi e dei preconcetti che intralciano solitamente l’espansione dell’unità umana. Certo egli può considerare e concepire la vita sotto tutt’altro aspetto di quello dei componenti delle società attuali, egli può determinare e stabilire i suoi rapporti ed i suoi accordi coi suoi compagni sopra tutt’altre basi di quelle prescritte dal contratto sociale quale lo escogitano e lo impongono i privilegiati ed i monopolizzatori. Ma anche quando un concorso di circostanze straordinarie gli avranno permesso di realizzare alcune delle speranze più care agli individualisti, codesto compagno si troverà inevitabilmente arrestato, un giorno o l’altro, dalla barriera della coercizione amministrativa o legale, dal conformismo sociale. Gli bisognerà un giorno o l’altro decidersi per la resistenza o l’adattamento.
Se egli si adatta, se depone le armi, egli avrà cessato di contare tra gli individualisti.
Coloro che vedono nel possesso di una casetta cinta da un giardino o comunque da un pezzo di terreno, nello sfruttamento di un piccolo commercio ambulante o in una modesta bottega, nell’esercizio di un mestiere o di una professione relativamente indipendente – espedienti questi che consentono, a rigore, di vivacchiare né bene né male – coloro che vedono in questi o altri più pericolosi espedienti, il compimento della loro rivoluzione individuale, dimostrano di non aver affatto assimilato il concetto individualista.
Aver compiuta la propria rivoluzione individuale, vuol dire essersi sbarazzati il più e meglio possibile delle influenze che pesavano sul proprio io ed essersi così rivelato a se stesso; vuol dire, una volta liberatosi dal gioco delle influenze ereditarie, dell’educazione e delle tradizioni sociali, o in ogni caso dopo avervi lottato contro, essersi fatta, forgiata, una concezione personale della vita; vuol dire ancora possedere la piena conoscenza delle proprie passioni, dei propri slanci.
tratto da "vivere l'anarchia" di Emile Armand
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