L’anarchie (estratti): Capitolo 1 - L'anarchie è l'ordine
Se mi preoccupassi del senso comunemente attribuito a certi termini, dal momento che un errore volgare ha fatto di anarchia il sinonimo di guerra civile, avrei orrore del titolo posto in testa a questa pubblicazione, poiché ho orrore della guerra civile.
Mi onoro e mi lusingo ad un tempo di non aver mai fatto parte di
un gruppo di cospiratori né di un battaglione rivoluzionario; me ne onoro e me ne vanto, perché questo mi serve per stabilire, da una parte, di essere stato abbastanza onesto da non ingannare il popolo e, dall’altra, di essere stato abbastanza abile da non farmi ingannare dagli ambiziosi. Ho visto passare, non dirò senza emozione, ma perlomeno con grande calma, i fanatici e i ciarlatani, provando pietà per gli uni e disprezzando sovranamente gli altri. E quando, avendo educato il mio entusiasmo a ridestarsi solo nella stringente circospezione di un sillogismo, ho voluto, dopo lotte sanguinose, far la somma del benessere apportatomi da ogni cadavere, ho trovato zero come totale; ora, zero è niente.
Ho orrore del niente; perciò mi fa orrore la guerra civile.
Se ho scritto ANARCHIA sul frontespizio non è, conseguentemente, per lasciare alla parola il significato che le hanno dato, molto a torto, come spiegherò tra poco, le sette governative, ma per restituirle, al contrario, il diritto etimologico concessole dalle democrazie.
L’anarchia è il nulla dei governi. I governi, di cui siamo i pupilli, non hanno naturalmente trovato niente di meglio da fare che crescerci nel timore ed orrore riguardo al principio della loro distruzione. Ma poiché, a sua volta, il governo è il nulla degli individui o del popolo, è ragionevole che il popolo, reso accorto riguardo alle verità essenziali, riporti sul suo proprio niente tutto l’orrore dapprima avvertito per il nulla dei suoi istitutori.
L’anarchia è una vecchia parola, ma questa parola per noi esprime un’idea moderna, o meglio un interesse moderno, perché l’idea è figlia dell’interesse. La storia ha definito anarchico lo stato di un popolo in seno a cui si trovavano diversi governi in competizione, ma una cosa è lo stato di un popolo che, volendo essere governato, manca di governo proprio perché ne ha troppo, e altra cosa lo stato di un popolo che, volendo governarsi da sé, manca di governo proprio perché non ne vuole più. L’anarchia antica è stata effettivamente la guerra civile e questo non perché esprimesse l’assenza, ma piuttosto la pluralità dei governi, la competizione, la lotta delle razze governative.
La nozione moderna della verità sociale assoluta o della democrazia pura ha innescato tutta una serie di conoscenze o d’interessi che rovesciano alla radice i termini dell’equazione tradizionale. Così l’anarchia, che dal punto di vista relativo o monarchico significa guerra civile, non è altro, per la tesi assoluta o democratica, che l’espressione vera dell’ordine sociale.
Infatti:
Chi dice anarchia, dice negazione del governo;
Chi dice negazione del governo, dice affermazione del popolo;
Chi dice affermazione del popolo, dice libertà individuale;
Chi dice libertà individuale, dice sovranità di ciascuno;
Chi dice sovranità di ciascuno, dice eguaglianza;
Chi dice eguaglianza, dice solidarietà o fraternità;
Chi dice fraternità, dice ordine sociale;
Dunque chi dice anarchia, dice ordine sociale.
Al contrario:
Chi dice governo, dice negazione del popolo:
Chi dice negazione del popolo, dice affermazione dell’autorità politica;
Chi dice affermazione dell’autorità politica, dice dipendenza individuale;
Chi dice dipendenza individuale, dice supremazia di casta;
Chi dice supremazia di casta, dice disuguaglianza;
Chi dice disuguaglianza, dice antagonismo;
Chi dice antagonismo, dice guerra civile;
Dunque chi dice governo, dice guerra civile.
Non so se quanto ho appena detto sia nuovo o eccentrico, oppure spaventoso. Non lo so e nemmeno mi preoccupo di saperlo.
Ciò che so è che posso mettere liberamente in gioco i miei argomenti contro tutta la prosa del governativismo bianco e rosso passato, presente e futuro. La verità è che, su questo terreno, quello cioè di un uomo libero, estraneo all’ambizione, accanito nel suo lavoro, sdegnoso di comandare, ribelle alla sottomissione, sfido tutti gli argomenti del funzionalismo, tutti i logici dello stipendio e tutti i gazzettieri dell’imposta monarchica o repubblicana, che si chiami progressiva, proporzionale, fondiaria, capitalista, di rendita o di consumo.
Sì, l’anarchia è l’ordine; perché, il governo è la guerra civile.
Quando il mio intelletto penetra al di là dei miserabili dettagli su cui si basa la polemica quotidiana, scopro che le guerre intestine che, in ogni tempo, hanno decimato l’umanità risalgono a quell’unica causa, vale a dire al rovesciamento o alla conservazione del governo.
Come tesi politica, scannarsi ha sempre significato consacrarsi alla permanenza o all’instaurazione di un governo. Mostratemi un luogo in cui si assassina in massa e apertamente, vi farò vedere un governo alla testa del carnaio. Se cercate di spiegarvi la guerra civile diversamente che con un governo che vuole arrivare ed un governo che non vuole andarsene, perderete il vostro tempo: non troverete niente.
Il motivo è semplice.
Stabilite un governo. Nell’istante stesso in cui è fondato il governo determina le proprie creature e, di conseguenza, i propri seguaci; e nel momento stesso in cui ha dei partigiani esso ha pure degli avversari. Ed il germe della guerra civile è fecondato da questo solo fatto, perché non potete far sì che il governo, investito di onnipotenza, agisca verso i suoi avversari come rispetto ai seguaci. Non potete far sì che i favori di cui dispone siano ripartiti equamente fra amici e nemici. Non potete evitare che quelli siano vezzeggiati e questi perseguitati. Non potete evitare che, da tale disuguaglianza, sorga presto o tardi un conflitto tra il partito dei privilegiati ed il partito degli oppressi. In altri termini, dato un governo, non potete evitare il favore che fonda il privilegio, che provoca la divisione, che crea l’antagonismo, che determina la guerra civile.
Quindi, il governo è la guerra civile.
E se basta essere, da un lato, il sostenitore e, dall’altro, l’avversario del governo per determinare un conflitto tra cittadini; se è dimostrato che, al di fuori dell’amore o dell’odio, rivolti al governo, la guerra civile non ha alcuna ragione d’esistere, ciò significa che occorre, per stabilire la pace, che i cittadini rinuncino, da una parte, ad essere seguaci e, dall’altra, ad essere avversari del governo.
Ma smettere d’attaccare o difendere il governo per rendere impossibile la guerra civile non è nient’altro che non tenerne più conto, metterlo tra gli scarti, sopprimerlo al fine di fondare l’ordine sociale.
Ora, se sopprimere il governo è, da un lato, stabilire l’ordine, dall’altro lato, è fondare l’anarchia; perciò, l’ordine e l’anarchia sono in parallelo.
Quindi, l’anarchia è l’ordine.
Prima di passare agli sviluppi successivi, prego il lettore di premunirsi contro la cattiva impressione che su di lui potrebbe fare la forma personale che ho adottato allo scopo di facilitare il ragionamento e affrettare il pensiero. In questa esposizione, IO significa non tanto lo scrivente quanto il lettore o ascoltatore; IO è l’uomo
La ragione collettiva tradizionale è una finzione
Posta in questi termini, la questione si trova ad avere, al di là del socialismo e del caos inestricabile causatogli dai tanti capiscuola, il merito della chiarezza e della precisione. Io sono anarchico, vale a dire uomo del libero esame, ugonotto politico e sociale, io nego tutto, non affermo che me; perché la sola verità che mi sia dimostrata materialmente e moralmente, con prove sensibili, apprensibili ed intelligibili, l’unica verità vera, sorprendente, non arbitraria e non soggetta ad interpretazione, sono io. Io sono, ecco un fatto positivo; tutto il resto è astratto e cade nel regno dell’X matematico, nell’ignoto: non ho da occuparmene.La società ha tutta la sua ragione d’essere in una vasta combinazione di interessi materiali e privati; l’interesse collettivo o di Stato, in considerazione del quale il dogma, la filosofia e la politica riuniti hanno fino ad oggi reclamato l’abnegazione integrale o parziale degli individui e del loro avere, è una finzione pura, la cui invenzione teocratica ha servito da base alla fortuna di tutti i cleri, da Aronne a Bonaparte. Questo interesse non esiste in quanto legislativamente apprendibile.Non è mai stato vero, non sarà mai vero, non può esser vero che ci sia in terra un interesse superiore al mio, un interesse cui debba il sacrificio, anche parziale, del mio interesse, sulla terra non ci sono che uomini, io sono un uomo, il mio interesse è uguale a quello di chiunque; posso dovere solo ciò che mi è dovuto; non mi si può rendere che in proporzione a quanto io do, ma non devo niente a chi non mi dà niente; dunque, non devo niente alla ragione collettiva, ossia al governo, perché il governo non mi dà niente, e tanto meno può darmi avendo solo quel che mi prende. In ogni caso, il miglior giudice che conosca sull’opportunità dei passi che devo fare e sulla probabilità del loro successo, sono io; non ho, a tal riguardo, nessun consiglio né lezione né, soprattutto, ordine da prendere da nessuno. Questo ragionamento è non soltanto diritto ma anche dovere d’ognuno d’applicarlo o sostenerlo. Ecco il fondamento vero, intuitivo, incontestabile ed indistruttibile del solo interesse umano di cui occorra tener conto: dell’interesse privato, della prerogativa individuale.Voglio con questo negare assolutamente l’interesse collettivo ? No di certo. Solo che, non piacendomi parlare invano, non ne parlo. Dopo aver posto le basi dell’interesse privato, agisco verso l’interesse collettivo come devo agire di fronte alla società una volta introdottovi l’individuo. La società è la conseguenza inevitabile e forzata dell’aggregazione di individui; l’interesse collettivo è, allo stesso titolo, una deduzione provvidenziale e fatale dell’aggregazione di interessi privati. L’interesse collettivo può essere completo solo fintanto che l’interesse privato rimane intero poiché, come si intende per interesse collettivo l’interesse di tutti, basta che, nella società, l’interesse di in solo individuo sia leso perché immediatamente l’interesse collettivo non sia più l’interesse di tutti ed abbia, per conseguenza, smesso d’esistere.E’ così vero che l’interesse collettivo è una deduzione naturale dell’interesse privato nell’ordine fatale delle cose, che la comunità mi prenderà il campo per tracciarvi una strada o mi chiederà la conservazione del bosco per migliorare l’aria solo dandomi un indennizzo. Qui è il mio interesse a governare, è il diritto individuale a pesare sul diritto collettivo; ho lo stesso interesse della comunità ad avere una strada e a respirare l’aria sana, tuttavia abbatterei gli alberi e mi terrei il campo se la comunità non mi indennizzasse, ma poiché è suo interesse indennizzarmi, il mio è di cedere. Così è l’interesse collettivo che risulta dalla natura delle cose. Ve n’è un altro accidentale ed anormale: la guerra, che sfugge alla legge, fa la legge a modo suo; non dobbiamo occuparcene più di quello permanente. Ma quando chiamate interesse collettivo ciò in virtù del quale mi chiudete la fabbrica, mi proibite l’esercizio di un’industria, mi confiscate un giornale o un libro, violate la mia libertà, mi proibite di essere avvocato o medico grazie ai miei studi privati e alla clientela, m’intimate l’ordine di non vendere questo, di non comprare quello; quando infine chiamate interesse collettivo ciò che invocate per impedirmi di guadagnarmi la vita alla luce del sole, nella maniera che preferisco e sotto gli occhi di tutti, io dichiaro di non comprendervi o, meglio, di comprendervi anche troppo.Per salvaguardare l’interesse collettivo, si condanna un uomo che ha guarito un suo simile illegalmente – è male far del bene illegalmente-; col pretesto che non ne ha i gradi, si impedisce ad un uomo di difendere la causa di un cittadino (sovrano) che in lui ha riposto fiducia; si arresta uno scrittore; si rovina uno stampatore; si incarcera un ambulante; si traduce in corte d’assise un uomo che ha lanciato un grido o si è pigliato una scuffia. Che ne ricavo da tutte queste disavventure ? Che ne guadagnate voi ? Corro dai Pirenei alla Mancia e dall’Oceano alle Alpi, e chiedo ad ognuno dei trentasei milioni di Francesi quale profitto abbiano tratto da tante stupide crudeltà esercitate in loro nome su sventurati le cui famiglie gemono, i cui creditori s’inquietano, i cui affari rovinano e che si suicideranno forse per disperazione o diverranno criminali rabbiosi una volta sfuggiti ai rigori che gli si fa subire. E, a questa domanda, nessuno sa ciò che ho voluto dire, ognuno declina la propria responsabilità per quanto avviene; l’infelicità delle vittime non ha fruttato nulla a nessuno: lacrime sono state versate, interessi sono stati lesi in pura perdita. Eh, questa selvaggia mostruosità voi la chiamate interesse collettivo! Affermo, per parte mia, che se questo interesse collettivo non fosse un vergognoso errore, lo chiamerei il più vile dei furti.Ma lasciamo perdere questa furiosa e sanguinosa finzione e diciamo che, poiché il solo modo di curare l’interesse collettivo consiste nel salvaguardare gli interessi privati, resta dimostrato e ampiamente provato che la cosa più importante, in materia sociale ed economica, è di liberare, innanzitutto, l’interesse privato. Dunque ho ragione di dire che la sola verità sociale è la verità naturale, è l’individuo, sono io.
Capitolo 3 - Il dogma individualista è il solo dogma fraterno
Che non mi si parli di rivelazione, di tradizione, di filosofia cinese, fenicia, egiziana, ebraica, greca, romana, tedesca o francese; al di fuori della mia fede o della mia religione di cui non devo dar conto a nessuno, non so che farmene delle divagazioni degli antenati; non ho antenati ! Per me, la creazione del mondo data dal giorno della mia nascita; per me, la fine del mondo si compirà il giorno che restituirò alla massa elementare l’apparato e il respiro che costituiscono la mia individualità. Sono il primo uomo, sarò l’ultimo. La mia storia è il riassunto completo della storia dell’umanità; non ne conosco, non voglio conoscerne altra. Quando soffro, che bene me ne viene dai piaceri degli altri ? Quando godo io, che ricavano dai miei piaceri coloro che soffrono ? Che m’importa di quel che si è fatto prima di me ? In cosa sono toccato da ciò che si farà dopo di me ? Non devo servire né da olocausto in confronto alle generazioni estinte, né da esempio per la posterità. Mi ritiro nel circolo della mia esistenza, ed il solo problema da risolvere è quello del mio benessere. Non ho che una dottrina, questa dottrina ha una sola formula, questa formula non ha che una parola: GODERE !
Giusto chi lo confessa; impostore chi lo nega.
Questo è un individualismo crudo, un egoismo nativo, non lo nego, lo confesso, lo constato, me ne vanto ! Indicatemi, per interrogarlo, chi potrebbe lagnarsene e rimproverarmi. Vi procura qualche danno il mio egoismo ? Se dite no, non avete niente da obiettare, poiché sono libero in tutto quanto non possa nuocervi. Se dite sì, siete un briccone, perché essendo il mio egoismo solo una semplice appropriazione di me ad opera di me stesso, un appello alla mia identità, un’affermazione come individuo, una protesta contro ogni supremazia, se vi sentite leso dall’atto consistente nella mia propria presa di possesso, dalla conservazione da me operata sulla mia persona, vale a dire dalla meno contestabile delle mie proprietà, voi confessate che io vi appartengo o perlomeno che avete delle mire su di me; siete un proprietario d’uomini affermato o in via di affermazione, un accaparratore, un agognatore dell’altrui bene, un furbetto.
Non c’è via di mezzo: o è l’egoismo ad essere di diritto, oppure c’è furto; o bisogna che io mi appartenga, oppure occorre che io cada in possesso di qualcuno. Non si può dire che rinunci a me stesso a profitto di tutti, poiché dovendo tutti rinunciare come me, nessuno vincerebbe, in questo gioco stupido, nient’altro che il già perduto, e rimarrebbe di conseguenza in pari, vale a dire senza profitto, il che renderebbe tale rinuncia assurda. Dal momento dunque che l’abnegazione di tutti non può essere di vantaggio per tutti, deve necessariamente profittare ad alcuni; questi pochi sono allora i possessori di tutti, e sono probabilmente quelli che si lamenteranno del mio egoismo.
Ebbene, incassino allora i valori che ho sottoscritto in loro onore.
Ogni uomo è un egoista; chiunque smetta di esserlo è una cosa. Chi pretenda che non bisogna esserlo è un baro.Ah sì, capisco. Il termine non suona bene; l’avete fino ad ora applicato a chi non si contentava del suo proprio bene, a chi attirava a sé il bene altrui; ma queste persone sono nell’ordine umano, siete voi a non esserci. Lamentandovi della loro rapacità, sapete quel che fate ? Constatate la vostra imbecillità. Fin ad oggi avete creduto che ci fossero dei tiranni ! Bene, vi siete ingannati, non ci sono che schiavi: laddove nessuno obbedisce, nessuno comanda.Ascoltate bene: il dogma della rassegnazione, dell’abnegazione, della rinuncia di sé è stato predicato alle popolazioni. Che ne è risultato ?Il papato e la regalità per grazia di Dio, e quindi le caste episcopali e monacali, principesche e nobiliari.Oh ! il popolo si è rassegnato, si è annichilito, da lungo tempo ha rinunciato ha sé stesso.Era un bene ?Che ve ne sembra ?Certo, il maggior piacere che possiate fare ai vescovi un po’ sconcertati, alle assemblee che hanno sostituito i re, ai ministri che hanno rimpiazzato i principi, ai prefetti che hanno dato il cambio ai duchi gran vassalli, ai sottoprefetti che hanno surrogato i baroni piccoli vassalli, e a tutta la sequela dei funzionari subalterni che fanno le veci di cavalieri, vicedomini e nobilucci della feudalità; il più gran piacere, dicevo, che possiate fare a tutta questa nobiltà budgetaria, è di ritornare al più presto al dogma tradizionale della rassegnazione, dell’abnegazione e della rinuncia a voi stessi. Vi troverete un bel po’ di protettori che vi consiglieranno il disprezzo delle ricchezze a rischio di sbarazzarvene; troverete parecchi devoti che, per salvarvi l’anima, vi predicheranno la continenza, salvo trarre dall’imbarazzo le vostre donne, figlie o sorelle. Non ci mancano, grazie a Dio, amici devoti che per noi si dannerebbero se ci decidessimo ad ottenere il cielo seguendo il vecchio cammino della beatitudine, da cui cortesemente si allontanano al fine, senza dubbio, di non sbarrarci il passaggio. Perché tutti questi continuatori dell’antica ipocrisia non si sentono più a loro agio sui trespoli preparati dai predecessori? Perché? Perché l’abnegazione dilegua e l’individualismo cresce; perché l’uomo si scopre abbastanza bello da osar gettare la maschera e mostrarsi com’è. L’abnegazione è schiavitù, avvilimento, abiezione; è il re, è il governo, è la tirannia, è la lotta, è la guerra civile.
L’individualismo, al contrario, è l’affrancamento, la grandezza, la nobiltà; è l’uomo, è il popolo, è la libertà, è la fraternità, è l’ordine. (…)
Anselme Bellegarrigue
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