IL TEMPERAMENTO ANARCHICO NEL VORTICE DELLA STORIA
(da «Il Libertario», La Spezia, a. XVI1I, n. 793, 8 dicembre 1920)
Nell’anarchismo - in fatto di vita praticamente e materialmente vissuta
- vi sono, al disopra dei due diversi concetti filosofici, comunistico e
individualistico, che lo dividono nel campo teorico, due istinti
spirituali e fisici i quali servono a distinguere due temperamenti di
proprietà comune a tutte e due le tendenze teoriche e filosofiche.
Pur figli entrambi della stessa sofferenza sociale, abbiamo due istinti diversi che ci danno due diverse sofferenze di origine edonistica.
Vi sono quelli che soffrono - direbbe il Nietzsche - per esuberanza di vita (comunisti e individualisti) e vi sono quelli che soffrono d’impoverimento della vita. A questi ultimi appartengono quei comunisti e quegli individualisti amanti della quiete e della pace, del silenzio e della solitudine. Ai primi appartengono quei comunisti e quegli individualisti che sentono l’io interiore come un possente fremito dionisiaco traboccante di potenza, e la vita come una manifestazione eroica di forza e di volontà. Sono coloro che hanno il bisogno istintivo ed irresistibile di gettare la fiamma del loro “io” contro le muraglie del mondo esteriore per scardinare e vivere la tragedia.
Noi siamo di questi!
Nell’anarchismo ci siamo - prima di tutto - per istinto di origine e per passionalità sentimentale. Le nostre idee altro non sono che ardimentose e luminose creature nate dal monistico amplesso primitivo con la teorica ragione negatrice.
Oggi la storia dell’umanità è giunta a uno - forse il più grandioso - di quei suoi tanti vortici ove l’anima dell’uomo è chiamata a rinnovarsi radicalmente sulle rovine magnificamente orrende del fuoco e del sangue, della catastrofe e della distruzione, o cristallizzarsi vigliaccamente nel decrepito e cadaverico concetto di vita che ci ha dettato e imposto l’anacronistica società borghese.
Se un forte pugno di ribelli, di superiori e di eroi, saprà balzare fuori dalle due correnti dell’anarchismo sofferente di esuberanza vitale per stringersi intorno al nero labaro della rivolta, appiccando il fuoco al cuore di tutte le nazioni d’Europa, il vecchio mondo cadrà perché intorno all’Eroe tutto deve fatalmente tramutarsi in tragedia; e solo nella tragedia nascono gli spiriti rinnovatori che sanno sentire, più nobilmente e più altamente, la canzone festante della loro libera vita.
Se questo pugno di audaci non balzerà fuori dall’ombra per gettare sulla laida faccia della società borghese il nero guanto di sfida e di rivolta, i rettili della demagogia politicantesca e tutti i saltimbanchi speculatori ed ipocriti dell’umano dolore rimarranno essi i padroni del campo e sul tragico sole rosso che cerca illuminare l’oscuro vortice della cupa storia che passa, getteranno l’oscena maschera di biacca portata sul libero orizzonte dell’umano pensiero da quel debosciato arlecchino che nomasi “Marx” e tutto finirà in una commedia turpe e grottesca innanzi alla quale ogni anarchico dovrebbe suicidarsi per dignità e per vergogna.
Per quella parte di anarchici italiani che soffrono di esuberanza vitale; per quella parte di anarchici italiani - individualisti e comunisti - per i quali la lotta, il pericolo e la tragedia è un loro bisogno di spirito e di materia, è giunta l’ora!
L’ora d’imporsi e di dominare. La vera libertà e il vero diritto dell’uomo stanno soltanto nella sua capacità di VOLERE!
Il diritto e la libertà sono la Forza!
Ciò che per gli altri è doloroso sacrificio per noi deve essere dono e gioioso olocausto.
Bisogna gettarsi sull’onda del tempo passato, calcare la groppa dei secoli, risalire virilmente la Storia per ribere alle vergini sorgenti dalle quali sgorga ancora, caldo e fumante, il sangue dei primi e liberi sacrifici umani.
Bisogna rientrare, nudi e scalzi, fra le vive pietre della mitica selva leggendaria e nutrirsi, come i nostri padri lontani, di midolle leonine e di selvaggia natura.
Solo così - al pari di Maria Vesta - potremo dire al primo Eroe che seppe stoicamente e serenamente offrire le sue carni alle fiamme rosse d’un lugubre e crepitante rogo nemico: Ora anche noi, come te, possiamo cantare nei supplizî.
La Vita che la società ci offre non è una vita piena, libera e festante. È una vita stroncata, mutilata e umiliante.
Noi dobbiamo rifiutarla.
Se non abbiamo la forza e la capacità di strappare violentemente dalle sue mani quella vita alta e rigogliosa da noi possentemente sentita, gettiamo questa larva sul tragico altare del sacrificio e della rinunzia finale.
Almeno potremo mettere una corona eroica di bellezza sul volto sanguinante dell’arte che illumina e crea.
Meglio salire sulle fiamme di un rogo e cadere con il cranio spezzato sotto la raffica di un incosciente picchetto di esecuzione che accettare questa larva d’ironica vita, che della vita non è altro che bieca parodia.
Basta o amici con la viltà. Basta o compagni con la ingenua illusione dell’“atto generoso delle folle”. Basta.
La folla è strame che il socialismo ha messo a marcire nella stalla della borghesia.
Errico Malatesta, Pasquale Binazzi, Dante Carnesecchi e le altre migliaia di oscuri che marciscono in quelle bolgie miasmitiche e micidiali che sono le carceri della monarchia dei Savoia e che i medagliettati del P.S.I. (Partito socialista italiano) hanno domandato al porcile di Montecitorio il mezzo per costruirne ancora delle altre più vaste, dovrebbero essere per noi tanti spettrali rimorsi, camminanti sotto forme paurose, fra i meandri incerti della dubbiosa anima nostra; dovrebbero essere tante calde vampate di sangue che ci fugge dal cuore per salirci vertiginosamente sopra le linee del volto e coprircelo di fosca vergogna.
Io so, noi sappiamo, che cento UOMINI - degni di questo nome - potrebbero fare quello che cinquecentomila “organizzati” incoscienti non sono e non saranno mai capaci di fare. Non vedete voi, o amici, l’ombra di Bruno Filippi che sogghigna e ci guarda?
Che non ci siano più dunque CENTO ANARCHICI in Italia degni di questo nome? Non ci sono più cento “IO” capaci di camminare con piedi di fiamma sul culmine vorticoso delle nostre idee? Errico Malatesta e tutte le altre migliaia di caduti fra le mani del nemico nei primi preludi di questa tempesta sociale, attendono con nobile e febbrile ansia la folgore che schianta il crollante edificio, che rischiara la storia, che rialza i valori della vita, che illumina il cammino dell’uomo...
Ma la folgore luminosa e fatale non può irrompere dal cuore delle masse.
Le masse che sembravano le adoratrici di Malatesta sono vili e impotenti.
Il governo e la borghesia lo sanno... Lo sanno e sogghignano.
Pensano: “Il P.S.I. è con noi. È la pedina indispensabile per la bieca riuscita del nostro giuoco malvagio. È l’Abracadabra che trova forma nella voce Abracas ed Abra della nostra magica e millenaria stregoneria. Le masse imbelli sono le sue schiave ed Errico Malatesta è vecchio ed ammalato. Lo faremo morire nel segreto buio di una umida cella e poscia ne getteremo il cadavere sulla faccia dei suoi compagni anarchici...”.
Sì, così pensano governo e borghesia nel segreto della loro anima idiota e malvagia. Vorremo noi sopportare con indifferenza questa ignobile sfida? Vorremo noi sopportare in silenzio questo insulto sanguinoso e brutale?
Saremo noi tanto vili?
Io mi auguro che questi miei tre giganteschi punti interrogativi, così solenni e terribili, trovino nelle file dell’anarchismo una virile risposta che dica: NO! con un terribile rimbombo più terribile ancora...
È dalle cime in fiamme del luminoso vertice che devono scaturire le folgori liberatrici.
Il forte VEGLIARDO attende. Eroici compagni: A NOI!
Il cadavere d’un vecchio agitatore costa sempre più della vita di mille malvagi imbecilli.
Fratelli ricordatelo.
Facciamo che non cada su di noi la più profonda di tutte le umane vergogne.
Pur figli entrambi della stessa sofferenza sociale, abbiamo due istinti diversi che ci danno due diverse sofferenze di origine edonistica.
Vi sono quelli che soffrono - direbbe il Nietzsche - per esuberanza di vita (comunisti e individualisti) e vi sono quelli che soffrono d’impoverimento della vita. A questi ultimi appartengono quei comunisti e quegli individualisti amanti della quiete e della pace, del silenzio e della solitudine. Ai primi appartengono quei comunisti e quegli individualisti che sentono l’io interiore come un possente fremito dionisiaco traboccante di potenza, e la vita come una manifestazione eroica di forza e di volontà. Sono coloro che hanno il bisogno istintivo ed irresistibile di gettare la fiamma del loro “io” contro le muraglie del mondo esteriore per scardinare e vivere la tragedia.
Noi siamo di questi!
Nell’anarchismo ci siamo - prima di tutto - per istinto di origine e per passionalità sentimentale. Le nostre idee altro non sono che ardimentose e luminose creature nate dal monistico amplesso primitivo con la teorica ragione negatrice.
Oggi la storia dell’umanità è giunta a uno - forse il più grandioso - di quei suoi tanti vortici ove l’anima dell’uomo è chiamata a rinnovarsi radicalmente sulle rovine magnificamente orrende del fuoco e del sangue, della catastrofe e della distruzione, o cristallizzarsi vigliaccamente nel decrepito e cadaverico concetto di vita che ci ha dettato e imposto l’anacronistica società borghese.
Se un forte pugno di ribelli, di superiori e di eroi, saprà balzare fuori dalle due correnti dell’anarchismo sofferente di esuberanza vitale per stringersi intorno al nero labaro della rivolta, appiccando il fuoco al cuore di tutte le nazioni d’Europa, il vecchio mondo cadrà perché intorno all’Eroe tutto deve fatalmente tramutarsi in tragedia; e solo nella tragedia nascono gli spiriti rinnovatori che sanno sentire, più nobilmente e più altamente, la canzone festante della loro libera vita.
Se questo pugno di audaci non balzerà fuori dall’ombra per gettare sulla laida faccia della società borghese il nero guanto di sfida e di rivolta, i rettili della demagogia politicantesca e tutti i saltimbanchi speculatori ed ipocriti dell’umano dolore rimarranno essi i padroni del campo e sul tragico sole rosso che cerca illuminare l’oscuro vortice della cupa storia che passa, getteranno l’oscena maschera di biacca portata sul libero orizzonte dell’umano pensiero da quel debosciato arlecchino che nomasi “Marx” e tutto finirà in una commedia turpe e grottesca innanzi alla quale ogni anarchico dovrebbe suicidarsi per dignità e per vergogna.
Per quella parte di anarchici italiani che soffrono di esuberanza vitale; per quella parte di anarchici italiani - individualisti e comunisti - per i quali la lotta, il pericolo e la tragedia è un loro bisogno di spirito e di materia, è giunta l’ora!
L’ora d’imporsi e di dominare. La vera libertà e il vero diritto dell’uomo stanno soltanto nella sua capacità di VOLERE!
Il diritto e la libertà sono la Forza!
Ciò che per gli altri è doloroso sacrificio per noi deve essere dono e gioioso olocausto.
Bisogna gettarsi sull’onda del tempo passato, calcare la groppa dei secoli, risalire virilmente la Storia per ribere alle vergini sorgenti dalle quali sgorga ancora, caldo e fumante, il sangue dei primi e liberi sacrifici umani.
Bisogna rientrare, nudi e scalzi, fra le vive pietre della mitica selva leggendaria e nutrirsi, come i nostri padri lontani, di midolle leonine e di selvaggia natura.
Solo così - al pari di Maria Vesta - potremo dire al primo Eroe che seppe stoicamente e serenamente offrire le sue carni alle fiamme rosse d’un lugubre e crepitante rogo nemico: Ora anche noi, come te, possiamo cantare nei supplizî.
La Vita che la società ci offre non è una vita piena, libera e festante. È una vita stroncata, mutilata e umiliante.
Noi dobbiamo rifiutarla.
Se non abbiamo la forza e la capacità di strappare violentemente dalle sue mani quella vita alta e rigogliosa da noi possentemente sentita, gettiamo questa larva sul tragico altare del sacrificio e della rinunzia finale.
Almeno potremo mettere una corona eroica di bellezza sul volto sanguinante dell’arte che illumina e crea.
Meglio salire sulle fiamme di un rogo e cadere con il cranio spezzato sotto la raffica di un incosciente picchetto di esecuzione che accettare questa larva d’ironica vita, che della vita non è altro che bieca parodia.
Basta o amici con la viltà. Basta o compagni con la ingenua illusione dell’“atto generoso delle folle”. Basta.
La folla è strame che il socialismo ha messo a marcire nella stalla della borghesia.
Errico Malatesta, Pasquale Binazzi, Dante Carnesecchi e le altre migliaia di oscuri che marciscono in quelle bolgie miasmitiche e micidiali che sono le carceri della monarchia dei Savoia e che i medagliettati del P.S.I. (Partito socialista italiano) hanno domandato al porcile di Montecitorio il mezzo per costruirne ancora delle altre più vaste, dovrebbero essere per noi tanti spettrali rimorsi, camminanti sotto forme paurose, fra i meandri incerti della dubbiosa anima nostra; dovrebbero essere tante calde vampate di sangue che ci fugge dal cuore per salirci vertiginosamente sopra le linee del volto e coprircelo di fosca vergogna.
Io so, noi sappiamo, che cento UOMINI - degni di questo nome - potrebbero fare quello che cinquecentomila “organizzati” incoscienti non sono e non saranno mai capaci di fare. Non vedete voi, o amici, l’ombra di Bruno Filippi che sogghigna e ci guarda?
Che non ci siano più dunque CENTO ANARCHICI in Italia degni di questo nome? Non ci sono più cento “IO” capaci di camminare con piedi di fiamma sul culmine vorticoso delle nostre idee? Errico Malatesta e tutte le altre migliaia di caduti fra le mani del nemico nei primi preludi di questa tempesta sociale, attendono con nobile e febbrile ansia la folgore che schianta il crollante edificio, che rischiara la storia, che rialza i valori della vita, che illumina il cammino dell’uomo...
Ma la folgore luminosa e fatale non può irrompere dal cuore delle masse.
Le masse che sembravano le adoratrici di Malatesta sono vili e impotenti.
Il governo e la borghesia lo sanno... Lo sanno e sogghignano.
Pensano: “Il P.S.I. è con noi. È la pedina indispensabile per la bieca riuscita del nostro giuoco malvagio. È l’Abracadabra che trova forma nella voce Abracas ed Abra della nostra magica e millenaria stregoneria. Le masse imbelli sono le sue schiave ed Errico Malatesta è vecchio ed ammalato. Lo faremo morire nel segreto buio di una umida cella e poscia ne getteremo il cadavere sulla faccia dei suoi compagni anarchici...”.
Sì, così pensano governo e borghesia nel segreto della loro anima idiota e malvagia. Vorremo noi sopportare con indifferenza questa ignobile sfida? Vorremo noi sopportare in silenzio questo insulto sanguinoso e brutale?
Saremo noi tanto vili?
Io mi auguro che questi miei tre giganteschi punti interrogativi, così solenni e terribili, trovino nelle file dell’anarchismo una virile risposta che dica: NO! con un terribile rimbombo più terribile ancora...
È dalle cime in fiamme del luminoso vertice che devono scaturire le folgori liberatrici.
Il forte VEGLIARDO attende. Eroici compagni: A NOI!
Il cadavere d’un vecchio agitatore costa sempre più della vita di mille malvagi imbecilli.
Fratelli ricordatelo.
Facciamo che non cada su di noi la più profonda di tutte le umane vergogne.
Renzo Novatore
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