I VAGABONDI DELLO SPIRITO
(tratto da «Cronaca Libertaria», Milano, 1917)
(tratto da «Cronaca Libertaria», Milano, 1917)
Sotto il nome di vagabondi - dice lo Stirner - si potrebbero riunire
tutti coloro che il buon borghese considera per sospetti, ostili, e
“pericolosi”. Qualunque vagabondaggio, d’altronde, spiace alla
borghesia; ed esistono pure i vagabondi dello spirito i quali,
sentendosi soffocare sotto il tetto che accoglieva i loro padri
,
vanno a cercare più lontano maggior spazio e più luce. Invece di
rimanere rincantucciati nell’antro familiare a smuovere le ceneri d’una
opinione moderata, invece di accettare per verità indiscutibili ciò che
ha cercato sollievo e conforto a tante generazioni, essi sorpassano la
barriera che chiude il campo paterno e, per il cammino della critica,
vanno ove li conduce la loro indomabile curiosità del dubbio. Questi
vagabondi stravaganti appartengono essi pure alla classe degli
irrequieti volubili, instabili, formata dal proletariato; e quando
lasciano supporre la loro mancanza di domicilio morale, vengono chiamati
“turbolenti”, “teste calde”, “esaltati”...
Oh, i vagabondi dello
Spirito! I pallidi sovvertitori impenitenti! Coloro che galoppano senza
posa attraverso le sterminate regioni della loro capricciosa fantasia
creatrice di nuove cose! Disse un giorno Zarathustra, parlando a
costoro: “Ancora la terra è libera per le anime grandi. Ci sono molti
porti ancora per le anime solitarie e le gemelle, intorno alle quali
aleggia il profumo dei mari tranquilli: Ancora libera è la vita: libera
per le anime libere”.
Poi proseguì: “Solo là dove lo Stato cessa di
esistere incomincia l’uomo non inutile: di là incomincia l’inno del
necessario, il ritornello non uniforme. Là dove lo Stato cessa di
esistere... ma guardate un po’, o miei fratelli: non vedete laggiù
l’arcobaleno e i ponti del superuomo?”.
Ma prima di dire a loro
tutto ciò, parlando delle scimmie e dei pazzi che si prostano a piè del
“nuovo idolo” - lo Stato - disse ancora: “O miei fratelli, vorreste
essere forse soffocati dall’alito delle loro putride bocche e delle loro
malsane bramosie? Piuttosto spezzate i vetri alle finestre e salvatevi
all’aria pura!”. Ed essi - i vagabondi dello Spirito - spezzarono i
vetri alle finestre e si lanciarono avidamente attraverso la libertà
profanatrice dei campi, ove la festante natura intreccia canzoni di
vita; là dove le messi d’oro biondeggiano danzanti nel vento, baciate
dal sole. Essi - i sovvertitori - da quel giorno si proclamarono
banditi...
Avvinti dal seducente fascino della libertà conquistata
stavano quasi per giacere a terra e prendere riposo, quando il simbolico
mormorîo uscente dalle fronde verdeggianti della montagna li chiamò
ancora, più lontano... più in alto...
Si guardarono negli occhi a
vicenda. Il fuoco d’amore lampeggiava nelle pupille di ognuno come
vulcanica lava. Compresero allora ciò che gli disse il Maestro e,
riconoscendosi “anime gemelle”, partirono tutti verso il culmine della
verde montagna che doveva rivelare loro la nuova vita. Quando il loro
piede sacrilego e profanatore si posò sulle alte vette, il sole era già
calato al tramonto non lasciando di sé che enormi striscie rosse
somiglianti a grandiose lingue di fuoco. Attraverso l’animo di tutti
passò, in quel momento, una triste visione. A tutti parve di vedere
l’ombra del Maestro naufragare in quelle vampe rosse. Ma in quel
primitivo e desolante silenzio parve pure di udire la sua voce che
diceva loro: “Non temete. Io risorgerò col Sole. Anche per voi ora
s’appresta il tramonto, ma pure voi risorgerete con i primi raggi
dell’Aurora”. Ma, ahimè, ritornando a guardarsi a vicenda sentirono come
un brivido di terrore avvolgente tutti in un manto di desolazione,
giacché nelle loro pupille più non colava il fuoco d’amore come
vulcanica lava. L’ala nera della malinconia batté con violenza alla
porta dei loro cuori colmandoli di tristezza e di sonno. Quando l’alba
venne a frugare, con le sue pagliuzze d’argento, le pupille dei liberi
dormienti, per annunziarvi la nascita del giorno novello, essi balzarono
in piedi con negli occhi una fiamma ancora più ardente. Cantarono un
inno alla vita e fissarono lo sguardo intensamente lontano...
Pochi
istanti passarono quando un urlo di dionisiaca gioia scaturì da tutti
quei petti pulsanti. L’arcobaleno e il ponte del superuomo a cui il
Maestro aveva loro parlato, ora si ergevano maestosamente, luminosamente
d’in fra le fiamme fosche delle nebbie cristiane.
Man mano che il sole rischiarava l’orizzonte essi si accorsero che quei luoghi erano già abitati da altre Creature.
Oh, essi conobbero pure questi abitanti ... Essi videro, in tutta la
loro tragica bellezza, le creature di Enrico Ibsen che, con negli occhi
il vulcanico fuoco della passione, distruggevano terribilmente le
cancrenose piaghe tese all’“io” da secolari pregiudizi sociali.
Ed attraverso a tutti quei distruttori simboli Ibseniani parve a loro di scorgere la nascita del superuomo.
Essi guardarono, con il cuore in fiamme e l’anima muta, Rubek e Irene
risorgere dal sepolcro per incamminarsi ove li attendeva la bianca
valanga che, satura di morte, sprizzava luce eterna di vita. [...]
Ma essi guardarono ancora... Guardarono e videro! Videro sbucar fuori il
“Pescatore” che abita la Casa dei Melograni eretta da Oscar Wilde in
mezzo ai vapori di luce emananti dall’arcobaleno che si erge ai fianchi
del Superuomo, e lanciandosi - con chiusa nel cuore la sua grande e
indiscutibile passione - verso la casa del prete, verso la piazza del
Mercato, verso la roccia abitata da una giovane e paurosa Mayulda e
sulla montagna satura d’artefizî malefici, ove questa lo sospinge per
poterlo sedurre in una diabolica danza di streghe, presieduta da Colui
che tutto aveva potuto prima dell’apparire del Pescatore.
Ma il PESCATORE tutto sfida, tutto vince, tanto è imperiosa la volontà folle e tenace della propria passione.
Egli doveva liberarsi dell’anima sua, unico ostacolo ormai fra lui e il
proprio cuore giacché solo dopo questa liberazione avrebbe potuto
tuffarsi liberamente nei gorghi spaventosi del mare per raggiungere la
sua Sirena che ne abitava gli abissi. E che sola poteva dargli le
gioiose ebrezze dell’amore. [...]
Oh, quante cose avrebbero ancora
veduto rilucere tra l’“arcobaleno” e i ponti del “superuomo” questi
Vagabondi dello Spirito se l’urlo rozzo e bestiale del volgo che vegeta
già nelle acque stagnanti e che invecchia senza mai rinnovarsi ai piedi
della pietrosa montagna, non gli avesse brutalmente scossi chiamandoli
“maniaci” e “pazzi”. [...]
Avevano ancora increspato sulle labbra un
sorriso di scherno e d’amara ironia, quando una rossa automobile
attraversò sinistramente una delle più grandi città moderne e, terribile
come la folgore, propagò una nuova forma di vita.
Ma ora io mi
accorgo di aver divagato. E, quel che è peggio, che, divagando, mi sono
messo in brutta compagnia... Stirner e Nietzsche, Enrico Ibsen e Oscar
Wilde.
Vi è pure una automobile grigia?!
“Pazzi”, “degenerati”, “delinquenti”, tutti costoro. Oh, numi, salvatemi voi dai fulmini della gente per bene...
E salvatemi pure anche da quelli che invece di occuparsi di
distruggere, nella battaglia di tutti i giorni, un brano di questa
società che ci opprime e che ci schiaccia, perdono il loro tempo a voler
insegnare, ad imporre sistemi di lotta e di pensiero a coloro che hanno
voluto imparare a lottare e a pensare da sé.
E quando il loro tempo
non è consumato a compiere tutto ciò, viene impiegato a guardare in
quale misura dovranno essere costruiti i manicomi che dovranno
rinchiudere i nuovi ribelli della futura società.
Io, per mio conto,
mi trovo bene in compagnia di questi “pazzi” e, insieme a uno di loro,
forse il migliore, grido: “Spezzateli, spezzateli i buoni e i giusti
giacché essi furono sempre il principio della fine”.
Oh, come io vivo bene in compagnia di questi “Pazzi”!
Come la trovo grande la loro “pazzia di distruzione”!
Giuro che amo di più, immensamente di più, la pazzia distruttrice che la conservatrice saggezza.
Sì, sì, lasciatemi ai miei “pazzi” giacché vi prometto che se la
prossima rivoluzione Europea ci negherà la gioia di cadere avvolti in un
delirio di DISTRUZIONE, in tempi migliori io ritornerò a parlare di
Essi, e se qualche cosa ci sarà da rimproverare - forse la loro poca
“pazzia”?! - lo faremo e senza alcun riserbo.
Renzo Novatore
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