mercoledì 19 settembre 2012

UCCIDERE L’ANIMA


UCCIDERE L’ANIMA


IN UN FREDDO e nebbioso giorno di novembre del 1923 incontrai a Parigi, in un caffè di piazza Combat il comunista ungherese Stefano Kolnar mi riconobbe subito e venne verso me con la mano a tesa.

« Sono tre anni che non ci vediamo — osservò mentre sedeva al mio fianco. — Ricordi che siamo stati insieme a Genova? Come ci trattavano bene i poliziotti allora e com’era confortante la guardina del Palazzo Ducale. Le mie ossa sono ancora indolenzite dal tavolaccio.....» Sorrisi rammentando l’oscura e fetida cella della Torre dove io e l’ungherese, conosciuto a Milano a casa di Malatesta e ritrovato nella Superba eravamo stati rinchiusi. Egli era fuggito dalla sua patria dove la caduta di Bela Kun e temeva che il governo italiano lo consegnasse ad Horthy. Invece me lo vedevo dinanzi, libero e sano, a Parigi.

« Ho piacere che non t’abbiano mandato in Ungheria — dissi. — Quando io e gli altri fummo rilasciati ci occupammo di te, ma all’avvocato che venne, per nostro incarico, in questura a sollecitare la tua liberazione, le autorità risposero che saresti stato espulso dall’Italia ma non dato al tuo paese. Io però temevo che non mantenessero la promessa».
«La mantennero — rispose Kolnar. — Dopo tre mesi di permanenza a Marassi due angeli custodi mi accompagnarono alla frontiera svizzera e li mi lasciarono nelle mani dei gendarmi d’oltre confine. Poi nemmeno la terra di Guglielmo Teli mi volle e andai a Vienna. Ma che vita, amico mio, e quante lotte in questi anni... »

Cominciò a narrarmi le peripezie della sua burrascosa esistenza d’agitatore internazionale, quando una bella fanciulla, dagli occhi languidi ed affascinanti, si avvicinò al nostro tavolo e rivolse la parola a Stefano in una lingua sconosciuta. La guardai, colpito dalla sua eleganza, dalla perfezione statuaria del suo corpo, dallo sguardo voluttuoso che turbava i miei sensi di giovane ardente. Intorno a noi, nel piccolo e fumoso caffè, non v’erano che proletari dagli abiti logori e dalle cravatte alla Lavalliére, con femmine sciupate e poveramente vestile. Quella madamoiselle che sembrava una cocotte d’alto bordo o una damina aristocratica, contrastava con l’ambiente e non si capiva come fosse capitata li, fra i fuorusciti italiani e spagnoli.

«Ti piace? — chiese Stefano mentre la ragazza gli sedeva accanto. — E’ Vanda, la mia amante, una figlia di borghesi che conobbi a Budapest quando frequentavo l’università. Poi dovetti fuggire e i suoi la costrinsero a sposare un industriale. L’anno scorso ci siamo ritrovati a Vienna e lei ha lasciato il marito ed è venuta con me. Mi ha pure aiutato finanziariamente e debbo ai suoi soldi se sono riuscito a sottrarmi alle grinfie degli sbirri austriaci. Mi duole non poterla presentare perché non parla l’italiano e bestemmia in francese ».

Io guardavo la ragazza che mi sorrideva.
« Deve volerti molto bene — osservai — se per te ha abbandonato la famiglia e gli agi e condivide la tua vita agitata e pericolosa ».

« Si, mi ama — rispose Stefano. Queste sciocche donne non sanno fare altro che amare. Specialmente poi le donne della sua classe. Non s’interessano di politica, non si occupano della condizione del proletariato e non pensano che all’uomo col quale vanno a letto. Questa qui, però, mi è stata molto utile. E più utile ancora mi sarà nell’avvenire. Ha appena vent’anni, è bella, scaltra, e ubbidisce a tutto ciò che comando. Per me, vedi, questa ipersessuale malata si getterebbe nel fuoco. Ed io mi servo di lei a favore delle mie idee. Fra qualche giorno la manderò in Ungheria a portare materiale ai compagni ».

« Come? — scattai indignato. — Vuoi esporre a un pericolo tanto grave la donna che ti ama e che per te si è rovinata ? Ma non pensi che la polizia ungherese sa certamente ch’ella è la tua amica e l’arresterà non appena rimetterà piede in patria? Se le troveranno il materiale si buscherà parecchi anni di galera. E tu vuoi farle correre questo rischio ? ».

Stefano si stizzì.
« E come vuoi che faccia allora? Mi chiese bruscamente. — Io non posso ritornare perché sono troppo conosciuto. Altre persone fidate, per il momento, non ho. Ai compagni occorre subito ciò che Vanda deve consegnare. Perciò è necessario che vada lei.

« No — replicai accalorandomi non devi mandarla perché sarebbe un’infamia spingere in carcere una povera ragazza che già ti ha dato tante prove del suo affetto. Poi lei non è comunista, tu stesso l’hai detto. E’ una donna che vive solo per l’amore e se si precipita nell’abisso è per compiacere te. Come puoi pretendere che s’immoli per un’idea che non sente ? Come puoi accettare un sacrificio tanto mostruoso? »

« Ma l’idea la sento io e profitto dell’amore che questa donna mi porta per farle servire la mia causa. Ogni mezzo è buono purché permetta raggiungere il fine ».

« Lascia stare questo machiavellismo di cattiva lega e rispondi piuttosto ad una mia domanda: se è proprio necessario che il materiale sia consegnato perché non tenti tu la sorte e rientri clandestinamente in patria invece d’esporre Vanda ? »
Perché probabilmente mi arresterebbero ed io sono più utile fuori che dentro ».

« Ecco il solito pretesto dei comunisti, degli eroi dell’armiamoci e partite. Evitate sempre d’affrontare le responsabilità e le scaricate sulle spalle delle donne, dei giovani, degl’incoscienti, di quelli che suggestionate per usarli come ciechi strumenti. Ma fatevi un po’ avanti voi invece di spingere gli altri ».
Gli occhi dell’ungherese lampeggiarono. La ragazza, che ascoltava senza comprendere il nostro discorso che si svolgeva in italiano, girava lo sguardo incuriosito da Stefano a me.

« Io — ruggì il bolscevico — non mi sono mai tirato indietro e mai mi tirerò. Ho votato la mia vita alla rivoluzione sociale e sono pronto a morire per essa. Ma oggi è necessario che mi risparmi nelle scaramucce onde preparare la grande e definitiva battaglia nella quale cadrò vedendo la vittoria del proletariato ».

« Intanto lasci che nelle scaramucce cadano gli altri. E chi sacrifichi: una donna: la tua amante. Come potrai reggere al pensiero che, mentre tu girerai per le strade, questa ragazza che ti ha amato, che ti ha inebriato con le sue carezze e ti ha stretto fra le sue braccia, gemerà per te, per colpa tua, nella cella di un penitenziario ? Ah! Stefano, sei proprio privo di sentimenti ...»

« Certo non sono un sentimentale come voialtri anarchici. Il vostro carattere è ridicolmente romantico; il mio, quello di noi comunisti, è scientifico e razionalista. La mia intelligenza m’indica la meta da raggiungere e i mezzi da impiegare. Ed io me ne servo, con fredda logica inesorabile, senza conoscere le debolezze che tu vorresti che avessi ».

« Ma tu non hai anima » gli gridai sul viso.
Il bolscevico abbozzò un sorrisetto di superiorità.

« Si, hai ragione — rispose — io non ho anima: noi comunisti non l’abbiamo. E la faremo perdere anche a voi. Il nostro fine è infatti uccidere l’anima.


Tratto da "La setta rossa"

Enzo Martucci

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