ORA, DATECI TORTO!
Il progresso è un ciclone. Nelle sue spire vertiginose, nei suoi gorghi ululanti trascina , travolge, inghiotte spietato, inesorabile, credenze, programmi ed istituti i quali nella bufera infemal cbe mai non resta perdono la maschera e l'intonaco e l'orpello. L'utopia di avantieri, realtà ieri, è oggi superata, distanziata da aspirazioni, da utopie che saranno domani collo stess
o procedimento sommario, colla stessa vertiginosa rapidità sgretolante, polverizzante, disperse.
Ricordo, ventitre anni fa - e con l'eco pare ieri - le fanfare dei cento comizii in cui la voce tonante di Giovanni Bovio e la parola alata di Felice Cavallotti e l'apostrofe garibaldina di Matteo Renato Imbriani e la magnifica eloquenza di Edoardo Pantano urgevano le plebi delle cento città d'Italia alla conquista di quel suffragio universale da cui dovevano avere indulgente sepoltura di placidi tramonti le vecchie forme politiche, da cui doveva assurgere ai culmini dell'irrequieta ed indocile aspirazione mazziniana, al suo antico apostolato di libertà e di redenzione la terza Italia rinata, per virtù inesausta del suo popolo, dai dolori e dalle onte del suo stesso martirio.
Si scopron le tombe - si levano i morti
i martiri nostri - son tutti risorti
Squillavano fanfare e cori per ogni borgo, nei comizi i ondeggianti che un' interiezione telegrafica di Garibaldi metteva in eruzione rimescolando il sangue in ogni vena plebea, irritando il cannibalismo professionale della polizia regia, scatenando le collere olimpiche della magistratura inamovibile.
Ed era così proprio. Volere, allora il suffragio universale era essere sovversivi, sobillatori dell 'odio di classe, malfattori e canaglia, su per giù, come l'essere oggi anarchici. Gli arresti arbitrarii , i processi per direttissima, i processoni per cospirazione, la vigilanza speciale piovevano allora fitti come la grandine, come ai bei giorni delle sucessive incarnazioni della reazione Pellousiana.
Domandatene ad Amilcare Cipriani pel quale, proprio in quei giorni, a toglierli di presiedere in Roma il Comizio dei Comizii, fu esumata la celebre accusa d'assassinio che - per quanto estinta dalla prescrizione ventennale - lo mandò in quattro e quattr'otto al bagno di Portolongone.
Dalle clamorose insurrezioni popolari per la conquista dell 'elettorato non sono passati cbe ventitre anni, meno che un minuto nella storia incessante dell 'evoluzione, e siamo a questo punto: che del suffragio universale nessuno vuole più.
Lavoratori e proletari avevano dato all 'agitazione tutta la loro energia, la loro attività, la loro fede, non perché avessero penetrato anch'essi l'enigma metafisico della sovranità nazionale o l'alchimia misteriosa e subdola della composizione dei partiti parlamentari - sorridevano in fondo, scetticamente, e dell'una e dell'altra - ma in realtà perché volevano sub- stanziare di speranze meno diafane e ' meno ideali il sentimento di nazionalità che in essi, muratori autentici dell'unità e dell'indipendenza della patria, era la religione superstite dell'ultima rivoluzione italiana: dal suffragio sarebbero venuti il pane, il benessere, la libertà.
Così fu del suffragio elettorale in Italia ed altrove e dovunque.
Il suffragio democratico non fece miglior prova di quello privilegiato e Depretis, Nicotera, Crispi lasciarono in più di un'anima il dubbio se non si stesse meglio quando si stava peggio e se non si dovessero all'epoca delle convenzioni ferroviarie, della Banca Romana, del dazio sul grano e delle leggi eccezionali rimpiangere Minghetti, Serra e Cantelli, il macinato ed i tempi borgiani della Regia. Il suffragio privilegiato aveva anzi sul democratico il vantaggio incontestabile della sincerità. Lo Stato, il governo erano allora senza equivoci, senza attenuazione, lo strumento d'oppressione della minoranza dissanguatrice, erano il palladio impudente, sfrontato del monopolio, erano in tutto il loro orrore manifesto lo Stato, il governo di classe. Col suffragio democratico m.entre in sostanza nulla era mutato (né poteva mutare rimanendo inalterata la costituzione economica del paese), nella forma si veniva giustificando ad ogni sconfitta proletaria la rampogna del savio che ogni popolo ha il governo che si merita.
Non avevamo la scheda? non potevamo fare e disporre a nostro talento? non potevamo colla coalizione delle coscienze proletarie espellere la borghesia dal parlamento e dal governo ed installarci il quarto Stato? Avevamo dunque abdicato ad ogni diritto di dolerci e di ribellarci non ci rimaneva che ubbidire, servire e tacere.
La patria intanto salita alla gloria di grande nazione s'impegnava in alleanze disastrose, profondeva negli armamenti ogni sua risorsa, triplicava le tasse, soffocava col piombo a Conselice, a Gratteri, a Caltavaturo la protesta dell'inedia cenciosa e cresimava ad Adua nel sangue di diecimila proletari la gloria militare dell'Italia libera e una.
Il triste è che mentre noi, forti dell'esperienza storica e dell'invitta nostra costrizione libertaria, anarchica, andavamo pochi, perseguitati e dispersi suscitando tra le folle schiave una cordiale diffidenza contro i nuovi agguati del suffragio, interpreti senza dubbio ortodossi anche della dottrina marxista per cui lo Stato politico non è che l'esponente della struttura economica e non può essere come tale nella società nostra, nella società capitalista, che arma terribile di sfruttamento e di oppressione condannata a sparire il giorno in cui i mezzi di produzione e di scambio oggi fraudolenti e violentemente detenuti da pochi vampiri torneranno alla collettività propietà comune ed indivisibile di tutti, e doversi quindi dare al problema economico la precedenza su quello politico; i sacerdoti del marxismo ufficiale e ravveduto, i rappresentanti del socialismo scientifico ed addomesticato, alla nuova nicchia s'adattarono tutti lieti di lasciare la canaglia piena d'odii inesorabili, piena di cenci, piena d'impeti temerari, lieti di lasciare la piazza piena di responsabilità, di pericoli, di avventure e di trovare in parlamento, nelle argute disquisizioni accademiche uno scampo raffinato contro il tanfo, la volgarità e l'insolenza plebea stemperando quelle meraviglie di leggi sociali che conciliano nell'inganno e nell'equivoco le istituzioni borghesi e le aspirazioni proletarie rinnegano non soltanto la lotta di classe, il marxismo e il socialismo, ma rimodernando, riadattando ai tempi nuovi il regime borghese eternizzano, rinnovandola, la dittatura della classe capitalista sul mansueto gregge degli sfruttati.
Perché a questo è giunto ai giorni nostri - e non da ieri - il partito socialista: che non solo ha subordinato il problema economico a quello politico ma quello relegato tra le reliquie, venerande negli archivi, circoscrive tutta l'opera sua nella sterile lotta elettorale amministrativa e politica con un sacro orrore per tutte le agitazioni, i sussulti, le rivolte operaie che, sia pure pel pane o pel domani, rompono la ragnatela dolorosa delle convenienze, delle transazioni, degli interessi elettorali al medagliettato socialista.
E ' d'uopo soggiungere tuttavia che alla cuccagna rabbiosa accesa tra i partiti del suffragio democratico la grande maggioranza dei lavoratori guardò con indifferenza costante, talvolta con sdegno manifesto. Le statistiche periodicamente erette dal Ministero dell'Interno constatano che in Italia non vota mai più che il terzo degli elettori inscritti (1); che in totale sopra trentadue milioni d'abitanti (due milioni d'elettori in media) non votano mai più che seicentomila elettori. Tenete conto della minoranza parlamentare e verrete a questo meraviglioso risultato, che la famosa rappresentanza nazionale, quella che legifera e ci impone le sue leggi non è ben sicura di rappresentare trecentomila elettori, metà della popolazione di Napoli.
Noi siamo le mille miglia lontani, dal desiderio di vestirci delle penne del pavone e di illuderci che astensione così larga e così costante sia frutto della nostra propaganda antiautoritaria. Tolti i preti che non votano in ossequio al non expedit pontificio, tolti gli anarchici che non votano per coerenza politica e qualche mazziniano superstite che ripudia ogni transazione colla monarchia e la vergogna del giuramento, la maggior parte degli elettori diserta le urne per indifferenza od apatia.
D'accordo; ma l 'indifferenza, ma l'apatia non sono che una forma larvata della diffidenza e del disprezzo. Se invece che ad esercitare una volta ogni quattro anni, per un minuto, ed a patto di lasciar le cose come stanno e come piace al padrone, i cittadini elettori fossero chiamati, magari tutti i giorni, a ritirare alla loro sezione una pagnotta fresca o un buon paio di fangose a doppia suola, le sezioni elettorali rigurgiterebbero da mane a sera.
Si capisce: i cittadini elettori - ma soprattutto affamati e scalzi - ubbidirebbero ad un bisogno, vigilerebbero un interesse. Questo bisogno della sovranità, quest'interesse dell'elettorato i nostri lavoratori non sentono e non tengono nel conto di una pagnotta o di un paio di scarpe.
Può darsi che l'anima e la funzione dello Stato sfuggano alla loro tarda indagine ma essi sentono in ogni spasimo della vita quotidiana e nella tradizione della loro specie che di lì san sempre venuti le catene, la miseria, il saccheggio, la corveé, l'imposta e la coscrizione, che di li non può venir la salute. E non votano, non infondono sangue nelle vene dello Stato, rivelato in tutta la sua mostruosità dalla critica moderna e dalla propaganda libertaria.
Con noi essi anemizzano lo Stato .
Lassù se ne inquietano. Essi pensano fin d 'ora, i furbi, alla miseria vana e fragile del loro scettro e del loro dominio il giorno in cui i comizii deserti e le urne desolate non raccoglieranno più che il verbo dei latifondisti, dei monopolizzatori dell'industria e dei banditi della borsa e il governo apparirà qual'è - meno evidentemente - anche oggi, quale fu, quale sarà sempre, il manutengolo od il gendarme dei grandi ladri in pennacchio, in commenda o in guanti.
Se ne inquietano; inquieta sempre un nemico che operi fuori del piano preveduto, ' fuori dal raggio d'azione da noi scelto e in cui vorremmo costringerlo, lontano dalla nostra vigilanza e dal nostro controllo. A quale terribile arma confiderà la sua causa il proletario disilluso dal suffragio?
Se ne inquietano e corrono ai ripari dell'estrema salute, al voto obbligatorio se è vero quanto telegrafano all' Araldo da Roma in data del 16 Agosto corrente: "Si assicura che tra alcuni ministri sia stata ventilata l'idea di proporre alla Camera (alla sua riapertura) un disegno sul voto obbligatorio.
Però si aggiunge che l'ono Giolitti per diverse ragioni non ritiene opportuno che il governo faccia simile proposta.
Si sarebbe perciò deciso di far presentare il progetto d'iniziativa parlamentare; si vuole anzi che esso porterebbe la firma di molti deputati di parecchie regioni, ma prevalentemente napoletani.
Il Governo se ne rimetterebbe per ora alla Camera".
Vent'anni fa eran l'arresto e la persecuzione politica a chi reclamava un po' vibratamente il diritto di sciegliersi i propri padroni, tra qualche settimana la persecuzione, l'arresto, l'ammenda, l'incapacità civile colpiranno colui che stanco di cambiar basto non voterà più, non vorrà più la responsabilità né la vergogna d'avere da se stesso posto il collo al giogo e le reni alle nerbate.
Il mondo galoppa, nessuna utopia è temeraria, il regno della verità, della giustizia, della liberazione sorride nell'aurora del domani dell'uomo redento dall'esperienza e dalla ragione.
Dirà almeno qualche cosa all'eterno giobbe proletario il proposito ministeriale del voto obbligatorio? avrà forza di strappare dai suoi occhi ostinatamente chiusi alla luce le bende impenetrabili dell'eterno inganno?
Predicavano ieri i cattivi pastori che l'era delle insurrezioni e delle rivolte armate era chiusa per sempre; che è puerile sognare ai nostri giorni per le città rettilinee a questi lumi di Maxim a tiro rapido l'ingenua coreografia di un vespro; proletari che i rivoluzionari del ventunesimo secolo non potevano essere né trogloditi, né bevitori di sangue, né settembrizzatori feroci; che la rivoluzione si fa nella scuola e nel parlamento e l'insurrezione col voto, arma civile di difesa e di liberazione.
L'esperimento ha mostrato che il voto è una burla, che l'opera legislativa degli onorevoli socialisti è un'irrisione a questo ventennio di suffragio democratico ha confermato la verità che da mezzo secolo gli anarchici diffondono tra il popolo; la borghesia monarchica ci ha elargito il voto perché era ben sicura che non avremmo con esso spostato d'una linea il rapporto d'interessi in forza .del quale essa detiene privilegiatamente ogni mezzo di produzione e di scambio, in forza della quale essa impone a noi gli sfruttati, i diseredati, i reietti la sua dittatura parassitaria e assassina. Il suo progetto ministeriale le riconferma la rettitudine ed il valore della nostra critica luminosamente.
Come ci imposero violentemente il contributo del sangue e levarono colla coscrizione tra i senza pane, i senza patria l'esercito che vigila a difesa dei loro monopoli di classe, i capitalisti, i vamp11'1 Cl Impongono oggi colla violenza e colla coercizione di salvare col voto le istituzioni che storia, ragione e cilviltà hanno irrimisibilmente condannato.
Predichino i furbi e credano gli eunuchi che la borghesia ci vuole, emancipare a forza col voto e si facciano eleggere e votino .
Noi che le fonti della nostra miseria e della nostra schiavitù ritroviamo immutate nella propietà individuale e nell'autorità che il suffragio elettorale consolida non distrugge, noi non voteremo per minacci e come per lusinghe, non votammo mai, ma continueremo l'opera nostra ribelle chiamando gli sfruttati alla riscossa, alla rivoluzione sociale che espropriata la borghesia instaurerà sulle rovine del privilegio economico, la società dei liberi e dei felici.
Contro il diritto illuminato la frode obliqua ha dovuto tosto o tardi disarmare.
Il domani è per noi.
1) E' la stessa proporzione media in Francia, in Svizzera, in Spagna.
G. Pimpino
Da CRONACA SOVVERSIVA, a. II, n. 36, 3 settembre 1904, p. 1 e 2.
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