venerdì 21 settembre 2012

MARXISTI ALLA SBARRA



MARXISTI ALLA SBARRA

tratto da "La setta rossa" di Enzo Martucci
STEFANO KOLNAR diceva la verità. Il comunismo vuole uccidere l’anima.

L’educazione bolscevica soffoca nell’uomo tutti i sentimenti e li sostituisce col cieco fanatismo. L’amore, l’amicizia, la pietà, le passioni, non esistono nel comunista ; egli le ha stroncate, ha distrutto la sua essenza umana, ha fatto il vuoto in sé e lo ha riempito con l’idea mostruosa che domina, sola ed incontrastata. Schiavo di quest’idea pretende imporla anche agli altri e vuole che gli altri l’accettino come lui l’ha accettata: senza discuterla, senza vagliarla, senza sottoporla all’esame critico dell’intelligenza. Dogmatico e settario egli si scaglia contro quelli che non si lasciano convertire. Chi rigetta il vangelo marxista e lo sfiora col dubbio è un empio che va combattuto con gli stessi mezzi che la chiesa impiegava nel medioevo per soffocare l’eresia. Chi non entra nella caserma rossa o non vuole subirne la degradante disciplina è un nemico del proletariato o un traditore. Contro costoro il comunista usa tutte le armi: quando può impugna la sua pistola d’agente della Ghepeù e spara alla nuca ; e quando non può ricorrere alla violenza si serve della calunnia, della menzogna, della viltà eretta a sistema. 

Egli ha appreso da Machiavelli e dai Gesuiti che il fine giustifica i mezzi e non rifugge dagli atti più schifosi e ripugnanti pur di raggiungere il proprio scopo. Fanatizzato dalla causa alla quale dedica completamente se stesso, è spietato verso gli altri e non esita a sacrificarli nell’interesse dell’ideale. Se per servire il partito deve spingere la moglie alla prostituzione o rovinare un amico o mandare in galera un compagno di lotta, lo fa immediatamente senza un attimo d’indecisione. Stalin denunziava alla polizia zarista i suoi amici politici e li faceva arrestare pensando che nelle carceri il loro odio contro lo Stato sarebbe aumentato.
Un comunista toscano che ho conosciuto al confino per corrompere un agente di pubblica sicurezza ed ottenere che trasmettesse clandestinamente le lettere sue e dei suoi capi, gli offriva la giovane ed avvenente sposa.
Il bolscevico non ha cuore, non ha anima, non ha sentimenti, è al di sotto del bruto il quale rifugge istintivamente da certi atti, mentr’egli invece non rifugge da nulla e trascende a qualunque abiezione il vantaggio della setta lo esige.
Piegato da una rigida disciplina rinunzia alla sua libertà personale nelle mani dei superiori ed ubbidisce docilmente a tutti i loro ordini. Non v’è infamia che non farebbe, non v’è umiliazione che non sopporterebbe se i suoi capi gliela comandassero. Zelante gregario ubbidisce senza discutere, ubbidisce premurosamente anche se gli dicono che deve farsi sodomizzare o che deve accompagnare la figlia al bordello.
L’interesse dell’ideale richiede questa passiva sottomissione ed egli curva la schiena e serve con piacere attendendo di rivalersi quando il bolscevismo trionferà e ciascuno dei suoi seguaci potrà sfogare la propria libidine di dominio, tiranneggiando i non comunisti.
Il suo fanatismo, quindi, non è affatto disinteressato perché egli non si consacra ad una idea col solo scopo di fare trionfare la giustizia o l’uguaglianza ; ma si dedica al bolscevismo e non vive che per esso nella speranza che la dittatura proletaria, in un prossimo domani, gli permetterà godere la ricchezza statizzata ed esercitare un’autorità, grande o piccola, nella società, a seconda del suo grado nella gerarchia del partito. Commissario del popolo o guardia rossa, aguzzino nelle carceri o carnefice alla Lubianka, il comunista vuol’essere qualche cosa e schiacciare qualcuno sotto il proprio tallone. Intanto però il tallone dei capi schiaccia il suo petto ed egli lo sopporta, disciplinato e soddisfatto, perché solo così farà trionfare l’idea e potrà mettersi sulla testa un berretto gallonato.
I capi, poi, gli altezzosi generali della rivoluzione mondiale, si allenano al futuro despotismo trattando come schiavi i fedeli soldati e imponendo ad essi ogni sorta di servizi. Uno di questi papaveri, confinato politico nell’isola di Ponza, si sdraiava in una poltrona sulla spiaggia e si faceva sventagliare, per ore ed ore, da due giovani confinate comuniste, le sorelle B.... Posava a sultano nell’harem, in mezzo alle odalische.... E nessuno gli allungava una pedata nel culo a quel disertore della zappa.... Un altro capo che, sistematicamente, si appropriava delle quote che i gregari versavano per il soccorso rosso, pretendeva che i compagni gli mandassero a casa le mogli e le sorelle.
I compagni ubbidivano, onorati dalla degnazione del generale che, dopo la lezione di sessuologia impartita alle donne, dava lezione di storia agli uomini ed insegnava che Zarathustra era stato un condottiero cartaginese venuto in Italia con Annibale ed ucciso dai romani nella battaglia di Zama.
Qualche volta, fra i padre terni comunisti, s’incontra una persona colta come il gobbo Gramsci, il Torquemada del bolscevismo italiano; ma generalmente i capi rossi sono dei poveri di spirito nei quali l’ignoranza è superata solo dalla presunzione. Il professore (di che?) Torelli confondeva il pensiero di Khant con quello di Gentile; e quando io gli dimostravo che l’idealismo critico Khantiano è ben diverso dall’idealismo assoluto gentiliano, perché per il primo, esiste il noumeno, la cosa in sé, che noi non conosciamo che fenomenicamente, mentre per il secondo non v’è che lo spirito umano che pone le cose, egli — il professore di bestialità — rispondeva, con un sorrisetto da superuomo, che io, di filosofia, non me ne intendo.
Il torinese Roveda affermava a Ventottenne che vi sono prove storiche della pratica della promiscuità sessuale nelle società primitive. Io ribattevo che queste prove mancano e che egli prendeva per prove le semplici induzioni di alcuni scrittori i quali hanno creduto che certi usi dei barbari odierni, come l’offerta della moglie all’ospite fra gli esquimesi, e certi costumi storici declinati, come la ierodulia delle babilonesi, l’ius primae noctis, la deflorazione sacra al Cambodge, fossero le sopravvivenze di un’antichissima promiscuità. Roveda allora non sapendo cosa rispondere, voltava le spalle e se ne andava via indignato. In realtà egli non conosceva quello che hanno iscritto gli assertori del comunismo erotico dei primordi i quali hanno usato argomenti ben più seri delle sue sciocche sentenze. Egli non aveva mai letto Bachofen, Me Lennan, Lubbok, Morgan, Giraud-Teulon ed ignorava ciò che hanno contrariamente sostenuto Westermarck,, Darwin, Wundt. Roveda aveva letto solo « L’origine dello Stato, della proprietà e della famiglia », il libro in cui Engels, copiando Morgan, afferma, ai fini del materialismo storico, che nell’umanità primeva esisteva il comune possesso delle femmine e che, sol quando l’uomo si è formato una proprietà, ha voluto una donna unicamente per sé e le ha imposto la fedeltà, onde trasmettere i beni a figli certamente suoi. Però Roveda ignorava quello che altri scrittori hanno contrapposto al suo idolo Engels; quindi, con altezzosa sicurezza, dichiarava che esistono le prove storiche della promiscuità .
Gli stessi maestri del marxismo, i luminari della scienza bolscevica, hanno anch’essi spropositato più di una volta.
Giovanni Gentile nel suo libro «La filosofia di Marx» osserva che Engels ha scambiato l’idea hegeliana immanente nelle cose con l’idea platonica di sua natura trascendente. Engels infatti ha scritto nell’Antidùhring:
«Hegel era idealista, cioè, per lui le idee della sua testa non erano già le immagini più o meno astratte delle cose e degli avvenimenti reali, ma al contrario per lui le cose ed il loro sviluppo erano solo le immagini attuate dell’idea la quale esiste già, prima del mondo, in qualche luogo».
Questo periodo dimostra quanto bene avesse Engels compreso la filosofia di Hegel.
Carlo Marx che ha insegnato ai discepoli l’arte della calunnia, ha scritto contro Stirner un libro intitolato con un motto ironico: «Il Santo Max».
In questo libro il papa comunista presenta l’autore de « L’Unico » come un metafisico senza sapere, un debole imitatore di Hegel, un filosofo della piccola borghesia tedesca, « gradasso sentimentale » in teoria e reazionario in pratica.
In realtà l’intelligenza di Stirner è stata superiore a quella di Marx ed il suo spirito ben più rivoluzionario. Stirner è, nella storia, il vero filosofo anarchico, il solo che meriti questo nome.
Proudhon, Bakunin, Kropotkine, Réclus, non sono che dei semianarchici, i rappresentanti di un compromesso fra l’individualismo e il collettivismo, fra il socialismo e l’anarchia. La loro non è che l’anarchia di Paolo Gille (1), l’anarchia con la disciplina, la libertà limitata dell’individuo che non è più sottoposto allo Stato ma deve subordinarsi alla società per il soddisfacimento dei suoi bisogni completi, e deve sempre trovarsi d’accordo con tutti. In sostanza essi negano lo Stato ma divinizzano la società, come ha notato Palante (2); e propongono, contro chi violerà la futura armonia, le più severe sanzioni che vanno dal disprezzo pubblico e dall’allontanamento generale, consigliato da Kropotkine ne «La conquista del pane» fino all’incarcerazione nella casa di salute preconizzata da Malatesta nel suo opuscolo «L’anarchia».
Stirner, invece, è più logico, come anarchico. Egli crede che l’individuo sia la sola realtà al di sopra della quale non ve n’è nessun’altra. Perciò vuole che l’individuo si realizzi completamente e soddisfi il suo egoismo, liberandosi delle idee che si è formato sulla santità e sulla inviolabilità di ciò che lo limita. Dio, la morale, l’umanità, la società, la nazione, lo Stato non sono che dei fantasmi che opprimono l’io perché questo li ha creati, li rispetta e li serve. Ma quando li abbatterà, quando li farà rientrare nel nulla, allora, reso scevro da ogni ceppo spirituale e materiale, potrà vivere come meglio gli piacerà, cooperando liberamente con i suoi simili o lottando contr’essi, a seconda dei bisogni, dei sentimenti, degli interessi che in lui prevarranno nei momenti diversi. Sarà la bellum omnium contra omnes, temperata da alleanze individuali; ma sarà anche la libertà naturale in cui il singolo potrà tentare di affermarsi con ogni mezzo.
Queste sono le idee di Stirner che si possono accettare o combattere ma non falsare. Si può ritenere con Basch che il filosofo individualista sia stato antisociale e disorganizzatore dei legami che uniscono gli esseri umani, oppure si può vedere in lui il teorico dell’associazione, volontaria e spontanea, che non assorbe l’individuo, non pretende eternizzarsi e non nega i contrasti e le lotte fra gli unici, forti e indipendenti. Ma non si può pretendere che Stirner sia un filosofo borghese, quando la sua filosofia costituisce il più radicale sovvertimento della concezione storica della vita.
Stirner, il precursore di Nietzsche, ha esaltato l’egoismo, ha spinto l’uomo al di là del bene e del male e ha reclamato il diritto di soddisfare tutte le passioni personali, buone e cattive.
I comunisti, invece, vogliono sopprimere le passioni buone e potenziare le cattive: fanatismo, intolleranza, crudeltà, sete di dominio. Il loro amoralismo, quindi, è, nei riguardi dell’amoralismo stirneriano, ciò che è la perfidia ipocrita del serpente rispetto alla leale aggressività del leone.
Stirner è stato un avversario del comunismo.
« Con l’abolire la proprietà personale — ha egli scritto — il comunismo non fa che respingermi sempre più profondamente sotto la dipendenza altrui, chiamandosi altrui ormai la generalità o la comunità. Benché sia sempre in aperta lotta con lo stato, il fine cui tende il comunismo è sempre un nuovo stato, uno status, un ordine di cose destinato a paralizzare la libertà dei miei movimenti, un potere superiore a me, che mi sovrasta; esso si oppone, con ragione, all’oppressione di cui sono vittima da parte degli individui proprietari, ma il potere che conferisce alla comunità è più tirannico ancora (3) ».
Marx avversò Stirner per meglio far valere la sua dottrina e, com’era sua abitudine, ricorse alla calunnia, alla menzogna, allo scherno. Però quant’egli scrisse nel « Santo Max » non vale più della confusione che fa Torelli fra Khant e Gentile e della identificazione, da parte di Engels, della idea hegeliana con quella platonica. E se il maestro, che aveva ingegno e cultura, falsò tante volte, per mala fede, il pensiero altrui, i discepoli, che alla mala fede accoppiano l’ignoranza, debbono necessariamente giungere alla conclusione alla quale arrivava nei suoi discorsi un imbianchino bolscevico, confidente della questura e lenone delle sorelle:
« Nel comunismo è la nostra salvezza. Tutto ciò che non è comunista dev’essere respinto, avversato, denigrato ».



(1) Paolo Gille, Abbozzo di una filosofia della dignità umana.

(2) Georges Palante, La sensibilità individualista.

(3) Max Stirner. L’unico e le sue proprietà

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