Da Henry, Caserio a Lucetti, fino ad Anteo Zamboni; da Bruno Filippi a Renzo Novatore e senza dimenticarci di Aguggini e di Mariani, la falange giovanile dei grandi iconoclasti sembra non voglia estinguersi.
In questi ultimi attimi di vita rivoluzionaria, la gioventù — non meno gli anziani — sta scrivendo nella sua storia indomita, a colpi di maglio, tutte le sue esuberanti virtù eroiche. A poca distanza — gli anni e i mesi nel tempo eterno sono minuti secondi — come una infrangibile catena d'acciaio, essi, i giovani iconoclasti, i grandi generosi dall'animo eroico e dal pugno sodo, dimentichi di sé e del loro avvenire, con una raggiante visione dell'ideale, si sacrificano per l’umana libertà.
E nella loro grande generosità, nel loro grande amore sconfinato, non vedono dinanzi nessuna barriera, nessun inciampo, ma una larga strada spazzata da tutti gli insormontabili ostacoli che il feroce Moloch pone d'intralcio.
Illuminati dalla fede iconoclasta — come novelli argonauti salpanti per ignoti lidi alla conquista del «vello d'oro» — corrono veloci per distruggere le infami barriere, per atterrare il gigante goliesco della tirannide, con la fionda, con il ferro, con il fuoco, con la disperazione.
Non sono essi nel diritto di ricambiare agli aguzzini ciò che questi hanno dato? Non sono nel diritto di contraccambiare, come nel deserto, la legge del taglione? Mille volte sì!
Prima di intraprendere disperatamente la corsa veloce della vendetta, essi furono martiri con uguale eroismo. Mai piegarono negli svolti della loro via crucis, ma salirono impavidi l'erto e pietroso Golgota sociale. Senza un lamento, benché alle volte col respiro sfuggì dalle loro labbra una bestemmia o si sprigionò un urlo maldicente. Se caddero sotto i colpi dei manganellatori o dei pugnalatori del tipo di Maramaldo, ebbero solo il grido selvaggio del leone, ma non implorarono mai mercé dall'aguzzino.
Così, sorbendo l'amarissimo fiele di tutti i divieti, soffrendo tutte le imposizioni dai vincitori, fin quello di lasciare ogni cosa, il paesello natio, la madre, la sposa, i figli, il casolare e tanti ricordi d’infanzia; forzato a subire l’affronto e lo sputo dai rettili, l’insulto dagli sciacalli, il riso schernitore delle iene.
Con uguale valore però essi tutto fecero loro: senza lamenti, senza lacrime, ma con la febbre scottante nel corpo giurarono di non perdonare, giurarono vendetta e ad uno ad una, senza intesa, senza alleanze che quelle del cuore, senza altra meta che quella della libertà intera, senz’altro premio che quello di godere il sacrificio delIa propria vita in cambio di quella del tiranno.
E solo così si assolverà il voto, solo così van realizzandosi gli atti giustizieri che hanno in noi, eterni scamiciati, fortissima eco.
Non lontano dai giorni nostri caddero sotto la dinamite di Ravachol, di Vaillant, di Henry, i satrapi di Parigi mentre gozzovigliavano il ricavato dai balzelli grassati al popolo di Francia; cadde sotto il fuoco di Michele Angiolillo il carnefice di Montjuich, Canovas del Castillo; cadde sotto il pugnale del giovane Sante Caserio il sanguinoso presidente francese Sadi Carnot; cadde anche sotto il piombo di Gaetano Bresci, Umberto Savoia, bieca figura di cornuto e di boia; cadrà anche il carnefice neroteschiato d'Italia… benché non voglia il dio di Roma e i numi del gesuitismo! Verranno altri a raccogliere le rivoltelle cadute alla nobile irlandese e all'adolescente linciato; verranno anche altri a raccogliere la dinamite del Lucetti e a imbrancare il fucile del Zaniboni.
Il linciato di Bologna ha un augurevole nome: Anteo; ed Ercole non l'ha abbattuto tanto facilmente secoli passati. I linciatori nerocamiciati non hanno tanto facilmente sfatato la mitologica leggenda. Anteo avrà novella vita dalla madre terra e si compierà ancora una volta il verdetto di mille e mille vittime.
Oh, no, il tiranno maramaIdesco non avrà più diritto alla vita, il vindice giustiziere che colpì Cesare, Tiberio, Caligola, Nerone, Alboino, e tanti altri potenti, lo colpirà un giorno anche a lui nel cuore! Così avrà il suo corso regolare ancora una volta la storia.
Mai impunemente Maramaldo rinfoderò il suo pugnale; mai la freccia di Guglielmo Tell sbagliò bersaglio; mai Balilla non colpì con la sua pietra!… Ed allora?
Allora ritempriamo gli acciai, raccogliamo l’intrisa camicia di Anteo Zamboni, e dal sangue sgorgante dalle infinite ferite bagniamo di rosso la nostra rossa bandiera di ribellione e agitando il lembo al vento iroso, rinnoviamo le promesse di non smentire il sacrificio dei nostri martiri.
Con vendetta, nella vendetta, per la vendetta!
Severino Di Giovanni
[L’Adunata dei Refrattari, 1926]
Nessun commento:
Posta un commento