lunedì 9 luglio 2012

LA BANDIERA DELL’ANTICRISTO

LA PIOVRA CATTOLICA

L’amabile dottor Siccardi mi definisce «uno zingaro, un vagabondo, un instabile che si ribella alla civiltà». E aggiunge, in una lettera inviata ad un comune amico, che questo instabile « spreca le sue forze ed il suo ingegno, immeritatamente notevole, nel tentativo, puerile ma mostruoso, di eccitare gli spiriti e di trascinarli all’anarchia, dimostrando l’inesistenza dell’ordine e delle leggi, costanti ed uniformi, che assicurano lo sviluppo della vita universale e permettono all’individuo, all’umanità, alla natura di raggiungere i loro fini e compiere i loro destini. Egli vorrebbe travolgere la realtà nel caos nel quale gli elementi turbinano confusamente. Vorrebbe frantumare la società negli individui sciolti da ogni legame e agenti secondo il caso o il bisogno. E ciò per una impossibilità personale di sopportare ogni disciplina in e fuori di sé.

«Egli si rifugia nel relativismo e attacca Dio, l’assoluto, ogni autorità ed ogni regola, per muoversi a suo capriccio e con la massima volubilità in un mondo sconnesso ed incerto. Appunta, di preferenza, i suoi strali contro la Chiesa Cattolica perché questa, meglio di qualunque altra, mantiene l’unità degli animi e la concordanza degli sforzi diretti verso uno scopo di elevazione generale. Odia il cattolicesimo vedendo in esso l’unico, vero fattore di coesione, di organicità, di progresso. Quello che ha salvato, per venti secoli, gli uomini dalla ricaduta nella violenza bestiale; che ha impedito all’intelligenza umana di spegnersi nelle tenebre del medioevo; che ha conservato la cultura e la civiltà ed ostacola oggi l’esplosione sanguinosa della guerra voluta dal capitalismo e dal bolscevismo».

Cosi parla il dottor Roberto Siccardi. Ed io mi sento sinceramente commosso dalle sue parole. Infatti egli è un bravo borghese, un uomo d’ordine, una persona per bene. Ascolta la messa tutte le domeniche, si confessa e comunica almeno una volta l’anno, è stato iscritto al partito fascista e possiede un latifondo in Sicilia. Della vita ha la concezione appresa nel collegio di preti dove la sua adolescenza è trascorsa. Ha il culto della famiglia, della gerarchia, della regola, dello Stato, dell’autorità saggia e provvidenziale. Ama, per temperamento e per convinzione, la stabilità che si svolge in modo composto, educato, moderato, circoscritto, diretto: ossia la stabilità che rimane ossequiente alla disciplina stabilita da Dio e dai governi e dalle classi sociali che lo rappresentano sulla terra. E’ contento della sua condizione che gli assicura la ricchezza in questo mondo e il paradiso nell’altro. Gode nel ricevere gl’inchini del suo portiere e nell’inchinarsi, a sua volta, dinanzi al ministro o al generale, al vescovo o alla gran dama. Condanna, con tutta l’anima, ogni rivolta, ogni scatto, ogni innovazione che turba l’andamento normale delle cose e la monotona sequenza dei fatti concatenati. Quindi il suo sdegno per un vagabondo come me è pienamente giustificato ed io penso che, se fossi un tantino meno perverso, dovrei vergognarmi di fronte a un cotanto uomo e recitare, come Papini, l’atto di contrizione.

«Ogni vagabondaggio dispiace al borghese — scrive Stirner — ed esistono dei vagabondi dello spirito che, soffocati sotto il tetto che rigirava i loro padri vanno a cercare lontano più aria e più spazio. Invece di restare in un angolo del focolare domestico a rimuovere le ceneri di una opinione moderata, invece di ritenere per delle verità indiscutibili ciò che ha consolato e placato tante generazioni prima di loro, essi frangono la barriera che chiude il campo paterno, e se ne vanno, per i cammini della critica, ove li mena la loro indomabile curiosità di dubitare. Questi stravaganti vagabondi rientrano anch’ essi nella classe delle genti inquiete, instabili e senza riposo che sono i proletari, e quando essi lasciano sospettare la loro mancanza di domicilio morale, lì si chiama confusionari, teste calde ed esaltati ».

Però per quanto «vagabondo» ed «instabile», per quanto meritevole dello sdegno e dei rimproveri del colendissimo dottor Siccardi, io credo che, alla fin fine, non è poi tutto pazzesco e mostruoso quello che dico e scrivo. Io dubito della discutibile verità che il dottore accetta come dogma, e cioè dell’esistenza «dell’ordine e delle leggi, costanti ed uniformi, che assicurano lo sviluppo della vita universale e permettono all’individuo, all’umanità, alla natura di raggiungere i loro fini e compiere i loro destini».

In natura v’è l’ordine? Sì, ma v’è anche il disordine. Vi sono leggi, costanti e uniformi, che assicurano lo sviluppo della vita universale? Hume ha sostenuto che la natura potrà cambiare nell’avvenire. L’individuo, l’umanità, la natura hanno i loro fini? I meccanicisti lo negano. Possono l’individuo, l’umanità, la natura compiere i loro destini? Nessuno sa se ha o non ha un destino, e se lo può raggiungere nel caso che lo abbia.
Giuseppe Ferrari nella «Filosofia della Rivoluzione» ha scritto: «Più circospetti, e non più avveduti, taluni si restringono ad annunziarci che le leggi dell’universo sono costanti, uniformi; che la costanza l’uniformità delle leggi mondiali viene assicurata dallo spazio dal tempo, dalla sostanza, dalla causa, dall’essere che dominano gli oggetti e che non cambiano. Ma l’unità dell’essere, le forze della sostanza, della causa, dello spazio, del tempo, stanno ugualmente con l’ordine e con il disordine, col progresso e col regresso dell’universo; sono condizioni di quanto esiste, e non sono nulla; contengono tutto, e non impongono ad alcun essere di restare quello che è. La terra che abitiamo non sorge da queste entità generiche, il globo non è figlio dell’essere più di quello che le acque siano figlie dell’acqua. Il governo poi della terra spetta alle anime; esse ordinano le pietre, i fiori, gli animali; esse dominano la materia, da cui non sono separate, perché la forza non si separa mai dal corpo. Ma anche le anime nella loro corsa attraverso l’eternità, uscendo le une dalle altre col progresso e col fato della guerra, non sono ancora se non la natura, sono ancora cieche e ignoranti del destino che le spinge, della sorte che le attende. Non si pensi che ogni essere debba compiere il suo destino: intorno ad ogni albero hannovi miriadi di semi e di germi sacrificati per nutrirlo; intorno ad ogni animale mille e mille esseri periscono perché viva; nella natura l’essere che compie il suo destino gode di un fortunatissimo privilegio. A che adunque tante declamazioni sul destino dell’umanità, quando ignoriamo i dati, l’ordine, lo scopo, in una parola il bilancio dello spaventevole sacrificio che si attua di continuo nel vasto oceano della creazione? Lo stesso concetto del destino è travisato se lo prendiamo a nostro profitto; il destino si compie in due sensi opposti, servendo a sé, servendo ad altri, godendo e soffrendo. Spiegate qual’é il destino dell’agnello, vi spiegherò qual sia il vostro, e vedrete forse uscire dall’esterminio dell’umanità immolata il progresso della terra concessa ad una razza migliore. Finalmente, a che si riducono l’uniformità e la costanza delle leggi in mezzo alla metamorfosi della natura? Alla nostra ignoranza; quanto più ci illuminiamo, tanto più la costanza delle leggi mondiali è scossa, e scorgiamo che un fluido alterato può cambiare la faccia dell’universo. Accettiamo l’uniformità e la costanza quali dunque si rivelano, né cerchiamo nei generi una fatalità che le corrobori, poiché non havvi equazione tra la sostanza e la costanza dell’universo: i due termini esprimono solo la necessità del contenente e del contenuto, e per una nuova rivelazione potrebbe sparire questa stessa necessità. Che se per tremare il mondo attuale si allega la prova della nostra convinzione istintiva della fede naturale, dell’aspettativa ingenita e invincibile, che s’attende a veder perpetuare nell’avvenire le leggi presenti della materia: si ponga mente alla fede, alla sicurezza con cui vive ogni insetto dell’estate, senza sospettare il disastro che lo distruggerà nel evoluzione dell’inverno. Lasciamo la natura alla natura».

Quindi se non possiamo dimostrare che il processo della natura è retto da leggi, costanti e uniformi che assicurano lo sviluppo della vita universale in modo sempre uguale, tanto meno possiamo affermare che il processo storico della umanità è governato da leggi che lo fanno avanzare sempre sulle medesime rotaie verso una meta obbligata. A dispetto del dottor Siccardi la ragione non riesce ad escludere la possibilità dell’anarchia sia nella natura che nella società. E allora tutto si riduce a questo: che una tale anarchia è, per Siccardi, deprecabile, per me, augurabile.

Come la natura potrebbe cambiare nel futuro, come in essa il disordine potrebbe prendere il sopravvento sull’ordine perché il disordine ha, come l’ordine, l’unità dell’essere e le forze della sostanza, della causa, dello spazio e del tempo; così la società potrebbe frantumarsi negl’individui sciolti da ogni legame e agenti secondo il caso o il bisogno (1)».

Una tale prospettiva fa arricciare il naso dei dottor Siccardi il quale ama la regolarità, la costanza, il miracolo di San Gennaro, che avviene tutti gli anni, e i contadini che gli pagano puntualmente le rendite. Ma io invece mi sento attratto da un simile miraggio proprio per la impossibilità personale di sopportare ogni disciplina in me e fuori di me.

Io vedo che ogni uomo è diverso dagli altri, ma tutti desiderano la libertà nella quale ciascuno può vivere a modo proprio, fare ciò che gli pare, soddisfarsi come gli piace. La società organizzata costringe tutti questi uomini diversi a vivere in un modo unico, a seguire un solo sistema, ad accettare una sola morale, ad ubbidire alla stessa legge. Mediante il conformismo che impone essa cerca soffocare nell’individuo tutto quello ch’egli ha di particolare, di proprio, di personale.

Cerca di annientare nell’uomo il bisogno istintivo della libertà, sostituendolo con l’abitudine servile del ubbidienza ai superiori e dell’esistenza gregaria. Quindi la società organizzata è la causa del dolore, della schiavitù e della degenerazione del maggior numero degl’individui.
Che questo stato di cose rimanga eterno è nei voti dei governanti, dei capi, dei padroni, di tutti coloro che, in nome dell’ordine che mantengono, sottomettono alla loro autorità gli altri e li sfruttano continuamente. Ma non è nei miei voti perché io amo la libertà e mi piace vedere intorno a me uomini che vogliono anch’essi essere liberi.

Ecco perché aspiro all’Anarchia, con iniziale maiuscola, alla distruzione di tutti i ceppi, morali e materiali, che avvincono gl’individui. Quando questi individui saranno sciolti potranno intendersi in tanti modi diversi, potranno anche lottare quando non riusciranno ad accordarsi, ma ciascuno lotterà per sé, per un suo interesse o un suo sentimento e non più per una causa imposta dai capi.

Siccardi dice che mi rifugio nel relativismo e attacco Dio, l’assoluto, ogni autorità ed ogni regola per muovermi a mio capriccio e con la massima volubilità in un mondo sconnesso ed incerto. Certo, sono relativista perché tutto ciò che conosco, tutto; ciò che sento e penso, è limitato e contingente. L’assoluto non riesco mai a trovarlo come non lo trovano gli altri uomini, nemmeno coloro che pretendono di averlo scoperto e che, in suo nome, caricano di catene l’umanità. Ed è proprio contro queste catene che mi scaglio perché voglio essere libero di muovermi a mio piacere, in un mondo, libero e mutevole, come me. E che sarà certamente preferibile al vecchio mondo, massiccio e quadrato, che riposa sulla base della teologia. Siccardi afferma che appunto, di preferenza, i miei strali contro la chiesa cattolica. Però se è vero che ho attaccato questa chiesa con i miei scritti e con numerose conferenze tenute in molte città italiane, è anche vero che non ho risparmiato le critiche alle altre chiese e a quelle scuole e teorie che, pur professandosi agnostiche o atee, cercano sostituire un dogma nuovo all’antico e vogliono mettere un’altra autorità al posto del Dio cristiano.
Per me è necessario distruggere la credenza in ogni entità superiore, in ogni principio in che sovrasta l’individuo e che in esso suscita il timore reverenziale, il sentimento della inferiorità e il dovere della sottomissione. Queste entità metafisiche non hanno una realtà oggettiva, un’esistenza propria, ma sono prodotti del pensiero umano ch’è poi diventato schiavo delle sue stesse creazioni.

Alcuni uomini hanno pensato che c’è un D’io eccelso o pure la Patria o la Coscienza o l’Umanità che, come principio uno e indivisibile, è al di sopra degl’individui umani. Dopo aver pensato questo pensiero l’hanno comunicato agli altri, per fini di dominio terreno o d’illuminazione collettiva, e sono riusciti a convincere o a suggestionare questi altri. Così tutti hanno creduto, tutti si sono inchinati, ed il regno dei fantasmi ha avuto inizio nel mondo.

Ma è da una tale servitù che l’io deve affrancarsi. Se egli riuscirà a comprendere ch’è lui stesso l’unica realtà, pensante ed agente, e che, al di sopra di lui, non v’è nulla, allora diverrà veramente libero. Potrà ancora incontrare degli ostacoli nella resistenza che gli opporranno gli altri uomini e la natura, ma egli non vedrà in questi ostacoli qualche cosa di sacro che sarà tenuto a rispettare, e cercherà travolgerli con la sua forza. Gli altri uomini sono miei uguali, della natura faccio parte anch’io, quindi perché dovrei lasciarmi arrestare dalle barriere con le quali tentano fermare il mio cammino? Alla loro forza rispondo con la mia e se questa non è sufficiente per assicurarmi la vittoria, posso sempre cercare di aumentarla servendomi di qualunque mezzo. Se, alla fine, constato che non riesco, debbo attribuire la colpa a me, alla mia mancanza di potenza; so che la mia libertà finisce dove termina la mia forza e se non giungo a conquistare una certa libertà è perché il mio potere non me l’ha concessa; ma almeno ho la soddisfazione di aver tentato, di non essermi rassegnato alla rinunzia che mi è stata imposta.

Invece se adoro un fantasma sono costretto a rinunziare a tutte le libertà ch’esso mi nega, anche se ho la forza di conquistarle. Debbo rimanere eternamente schiavo, non posso esercitare la mia potenza né farmi valere ma sono obbligato a contentarmi di quel poco che il padrone, nella sua magnanimità, mi concede. Ecco perché io penso, con Stirner che « è col delitto che l’egoista si è sempre affermato e ha rovesciato con mano sacrilega gl’idoli santi dal loro piedistallo. Romperla col sacro o, meglio ancora, rompere il sacro può divenire generale. Non è una nuova rivoluzione che si avvicina, ma possente, orgoglioso, senza rispetto, senza vergogna, senza coscienza, un delitto brontola col tuono all’orizzonte; e non vedi che il cielo, gravido di presentimento, si oscura e tace? ».

Siccardi dice però che io combatto tanto la chiesa cattolica «perché questa, meglio di qualunque altra, mantiene l’unità degli animi e la concordanza degli sforzi diretti verso uno scopo di elevazione generale».
Ma con quali mezzi mantiene la chiesa questa unità e questa concordanza? Col principio di autorità. Il cristianesimo ha sempre insegnato agli uomini l’amore, l’adorazione ed il timore del Signore. Dio è il supremo artefice, il creatore della terra, dell’’uomo, di tutto. Egli ci punisce se non ubbidiamo alla legge che ha dettato; ci premia se invece osserviamo tale legge. Quindi per non incorrere nella collera divina, dobbiamo pensare e agire come Dio vuole. Siamo tenuti a rinunziare a tutte le gioie terrene, a soffocare le brame della carne, lo stimolo degli istinti, l’impulso della natura perché la nostra anima non deve cedere agli allettamenti del corpo che ci trascina al peccato e ci distoglie dalla vera vita ch’è quella dello spirito. Dobbiamo non solo con le azioni, ma anche con i pensieri, conformarci alla volontà di Dio; se io penso di compiere un peccato e mi compiaccio di questo pensiero e non lo scaccio con orrore, sono ugualmente colpevole anche se non compio l’atto proibito dalla divinità. Dobbiamo inoltre noi uomini amarci fraternamente, perdonarci reciprocamente le offese, sopportare con rassegnazione i dolori e le avversità.

Dobbiamo essere umili, docili, sottomessi sempre pronti ad ubbidire non solo alla autorità divina, ma anche alle autorità umane che Dio ha stabilito in questo mondo. « Ogni persona sia sottoposta alle autorità superiori; perché non v’è autorità se non da Dio; e le autorità che esistono sono ordinate da Dio; Talché chi resiste all’autorità si oppone all’ordine di Dio...» (San Paolo, Lettera ai Romani).
Solo nel caso che l’autorità terrena si trovi in conflitto con quella divina e c’imponga compiere atti vietati da Dio, noi dobbiamo resisterle. Ma resistere passivamente, senza ribellioni violente; non ubbidire ma farsi arrestare, torturare, uccidere, sénza difendersi con la forza. In ogni altro caso noi siamo costretti da Dio stesso non solo a servire, ma anche ad amare e ad onorare i padroni.

«Tutti coloro che sono sotto il giogo della servitù reputino i loro padroni come degni d’ogni onore, affinché il nome di Dio e la dottrina non vengano biasimati. E quelli che hanno padroni credenti, non li disprezzino perché sono fratelli, ma tanto più li servano, perché quelli che ricevono il beneficio del loro servizio sono fratelli e diletti» (San Paolo, Prima Lettera a Timoteo).

E ancora:
«Servi, siate soggetti con ogni timore ai vostri padroni, non solo ai buoni e moderati, ma anche a quelli che sono difficili. Poiché questo è accettevole: se alcuno per motivo di coscienza davanti a Dio, sopporta afflizioni, patendo ingiustamente …» (San Pietro, Prima Epistola).
Come è dunque ben chiaro, la rinunzia la rassegnazione, l’amore, l’ubbidienza, cioè tutte le virtù cristiane sono imposte da Dio agli uomini che le accettano per incorrere nell’ira del padreterno, per sfuggire all’inferno e rendersi invece meritevoli del paradiso dove le gioie saranno eterne.

Quindi secondo il cristianesimo, l’unità degli animi e la concordanza degli sforzi sono determinati dalla volontà despotica di un padrone che riesce di un padrone che riesce a farsi ubbidire dai servi, sfruttando la loro viltà, la loro paura del castigo e la loro cupidigia, cioè la sete di ricompensa e di godimento senza fine.
Il Cristiano fa un calcolo: mi sacrifico in questa vita ch’è transitoria per guadagnare la felicità nell’altra vita ch’è immortale. Egli è tanto, egoista quanto il brigante che ruba e ammazza per procurarsi i piaceri della terra. Entrambi calcolano, entrambi scelgono quel mezzo che ad essi sembra migliore. Il fine è unico, la gioia personale alla quale cercano arrivare per vie diverse. Tutti coloro che hanno calcolato nello stesso modo e si sono incamminati per lo stessa strada ,si trovano d’accordo. Ebbene cosa c’e di sublime in ciò? L’unità degli animi e la concordanza degli sforzi non si trovano anche in una banda di fuori legge che attaccano la società costituita e debbono, da soli, difendersi contro tutti?

Ma i cristiani, dice Siccardi, mirano ad uno scopo di elevazione generale. Qual è questo scopo? Per i cristiani primitivi esso fu la conquista del paradiso al quale cercavano arrivare facendosi sbranare dalle belve nel circo, o ritirandosi nel deserto per flagellarsi e digiunare o tagliandosi, come Origene, i testicoli per non incorrere nel peccato carnale. Il cristianesimo dei primi secoli fu fanatismo delirante che tendeva all’annientamento fisico dell’umanità mediante la ricerca del dolore, la pratica della castità, la macerazione del corpo. Ma dopo il Concilio di Nicea, ottenuta la protezione dello Stato, divenuta religione ufficiale, la chiesa cristiana si trasformò in una casta sacerdotale che cercò assicurarsi, con tutti i mezzi, il dominio di questo mondo.

I preti continuarono a predicare ai fedeli la rinunzia dei beni terreni, la povertà e l’umiltà, ma per loro vollero la ricchezza e imposero ai credenti di spogliarsi in favore della chiesa che s’identificava col clero. Seguitarono ancora ad insegnare l’amore evangelico ma aggiunsero, nel contempo, che coloro che non credevano nel papa e non si sottomettevano al suo potere, non erano fratelli in Cristo ma eretici malvagi che meritavano lo sterminio col ferro e col fuoco. Dissero sempre che le autorità terrene erano ordinate da Dio, perché queste autorità li onorarono ed appoggiarono l’organizzazione ecclesiastica, le concessero terre e servi, e la difesero dai suoi nemici. Ma quando qualche re o imperatore non fu ligio al pontefice, questi lo scomunicò, sciolse i sudditi dal dovere dell’ubbidienza e li incitò, in nome della divinità, a sbalzare dal trono l’empio sovrano che non aveva voluto servire gl’interessi della fede. Così Gregorio VII invitò alla rivolta contro Errico IV non solo i sudditi, ma anche il figlio e la moglie del Cesare ribelle.

Al fanatismo si sostituì l’ipocrisia, il dovere di servire Dio e le norme evangeliche fu cambiato con l’obbligo di sottomettersi ciecamente all’autorità del papa e allo sfruttamento della chiesa. La morale ascetica divenne meno rigida, il clero praticò la vendita delle indulgenze e assolse quei peccatori che versavano quattrini e promettevano la loro supina ubbidienza agli ordini degli ecclesiastici. L’ideale che rinnegava la terra, aspirando al cielo, si trasformò nell’ideale che ambiva al dominio della terra, in nome del cielo. I papi divennero autocrati, feroci ed intolleranti, che s’intromettevano nelle questioni, politiche e sociali, e pretendevano comandare i re e i popoli, tosare i greggi e disporre del mondo a piacer loro. E per l’umanità « lo scopo di elevazione » che, durante il cristianesimo primitivo, s’era identificato con la conquista del paradiso condizionata dalla pratica, nella vita attuale, della rinunzia, della castità, della rassegnazione e della non-violenza, si cambiò, sotto il cristianesimo storico, cioè sotto il cattolicesimo, nella conquista del paradiso mediante la sottomissione immediata ai preti, la partecipazione al massacro degli eretici, la corresponsione di denaro alla chiesa e la credenza in tutte le frottole che il papa e i suoi sacerdoti spacciavano.

Quindi, tanto prima che dopo, quello che Siccardi chiama scopo di elevazione generale, non fu per gli uomini che una ingenua aspirazione egoistica ad un luogo celeste di gaudio al quale si poteva pervenire sol servendo un padrone: o Dio e la morale da lui dettata, o la chiesa che poteva anche sciogliere dagli obblighi imposti dalla morale evangelica quando ciò ritornava utile ai suoi fini di dominio terreno.

L’emerito dottor Siccardi dichiara, con la ridicola presunzione di chi non conosce la storia, che «il cattolicesimo, unico, vero fattore di coesione, di organicità, di progresso, è quello che ha salvato gli uomini, per venti secoli, dalla ricaduta nella violenza bestiale».

Benissimo dottore! Lei merita, come padre Lombardi, gli applausi calorosi di tutte le beghine e i sacrestani d’Italia. Però Voltaire, se potesse uscire dal sepolcro, le lancerebbe uno sberleffo...

E mi dica, per favore: ha dimenticato la strage degli ariani ordinata dall’imperatore d’Oriente, Giustino, dietro istigazione del papa che, per tale eccitamento all’assassinio, fu messo in galera da Teodorico? E ha obliato la crociata contro gli Albigesi predicata dal pontefice Innocenzo III e dal Santo Domenico Guzman? Centomila fra uomini, donne e bambini furono scannati senza pietà dalle orde fanatiche di Simone di Montfort. E’ cosi che la nostra specie fu salvata dalla ricaduta nella violenza bestiale?
E delle guerre contro i turchi che ne pensa, dottore?
Cosa ne dice del massacro che i soldati di Goffredo di Buglione fecero a Gerusalemme?
E fu per carità cristiana che i papi fecero trucidare i Valdesi e gli Ussiti?
E fu per amore del prossimo che gl’inquisitori bruciarono vivi, durante quattro secoli, milioni di uomini? E del Te Deum di ringraziamento fatto cantare da Gregorio XIII in S. Pietro quando seppe che gli ugonotti erano stati sterminati a Parigi, ne ha mai sentito parlare?

Via, via, dottore... La storia non è il suo forte. Vediamo allora se è più agguerrito nella logica. E perciò le prepongo lo stesso quesito che proposi al professore Scremin nel contraddittorio che sostenni con lui a Montecatini Terme.

I papi quando hanno incitato i cattolici alla guerra contro gli eretici o i musulmani, per la salvezza della fede o la liberazione del sepolcro di Cristo, hanno sempre detto ch’erano inspirati dallo Spirito Santo. Tanto vero che i crociati si scagliavano all’attacco al grido di «Dio lo vuole».

Ora le ipotesi sono due: o i papi mentivano, erano impostori, e non è vero che lo Spirito Santo abbia parlato e parli con la bocca di un papa; o pure i pontefici dicevano la verità e in questo caso era proprio lo Spirito Santo che incitava a massacrare gl’infedeli. Ma lo Spirito Santo è una persona della trinità divina. Un’altra persona della stessa trinità, Cristo, ha detto agli uomini che non debbono ammazzarsi. E allora? In Dio v’è contraddizione, esiste opposizione fra le persone che lo compongono e che sono fermate con la medesima sostanza ed hanno la stessa volontà e lo stesso pensiero. Una parte di Dio ci dice che non dobbiamo mai uccidere altri uomini ma amare tutti e perdonare ai nemici.

Un’altra parte di Dio c’impone di armarci e scannare gli uomini che seguono Maometto, Mani o Calvino. E noi a chi dobbiamo credere? A chi siamo tenuti ad ubbidire?

Come Stirner, come Nietzsche, come Ibsen, io voglio che l’individuo sia libero e forte. Penso che se considero la mia libertà un diritto, cioè una facoltà che gli altri mi riconoscono, una concessione che la società mi elargisce e mi assicura di rispettare, allora non preparo la difesa della mia libertà, e se la società vuole ritirare il beneficio accordatomi può farlo impunemente. Invece se stimo la mia libertà una mia proprietà, come dice Stirner, ossia qualche cosa che conquisto e conservo mediante la mia potenza personale, cerco sviluppare al massimo le mie forze fisiche, intellettuali, volitive e mi trovo pronto, in ogni istante, a resistere a colui o a coloro che bramano sopraffarmi.

Tutti gl’individui debbono dunque tendere a diventare forti ed anche se l’uguaglianza assoluta fra le forze individuali non è e non sarà mai possibile, si potrà però eliminare l’eccessiva sproporzione fra una potenza e l’altra. Ed io potrò difendermi sia pur contro quello che si rivelerà più forte di me, opponendogli i mezzi che riterrò, volta per volta, più adeguati. O alla superiorità dei suoi muscoli reagirò con gli espedienti suggeriti dal intelligenza e dall’astuzia; o stabilirò un’alleanza, libera e revocabile con altri individui disposti ad aiutarmi; o troverò come resistergli con un modo diverso.

Insomma quando tutti saranno forti, un equilibrio si produrrà spontaneamente fra loro e condurrà sovente ad un accordo anche nei casi in cui a quest’accordo non si sarà potuto giungere per altre vie (simpatia reciproca, bisogno di cooperazione, ecc. (1). Mentre invece se alcuni si rassegneranno a rimanere deboli ed indifesi, i vicini ne profitteranno e li ridurranno in servitù (2).

Il sentimento della potenza personale come solo mezzo di affermazione nella lotta per la vita, è posseduto dall’uomo allo stato di natura e in alcune civiltà, come quella grecoromana che, esaltava l’energia naturale pur considerandola un’arma della quale l’individuo non doveva tanto servirsi a favor suo, quanto per gl’interessi della famiglia e dello Stato.

Però, ad Atene dopo Pericle e a Roma dopo Augusto, le autorità tradizionali s’indebolirono, i vincoli sociali si allentarono, l’individualismo prevalse e ciascuno adoperò le sue forze per sé. Sopravvenuto il cristianesimo, questo condannò la vita terrena e la potenza che ci è utile per affermarci in essa, e vide nella generale debolezza, rassegnazione e rinunzia la condizione necessaria per guadagnarci il premio nell’oltre tomba. Trasformatosi il cristianesimo nella chiesa cattolica questa volle mantenere l’uomo schiavo ed abulico, volle soffocare nel suo animo ogni Indipendenza ed ogni energia per poterlo più facilmente comandare e dirigere nel pensiero, nel sentimento, nell’attività pratica. Ecco perché il cristianesimo fu, fin da principio, il più accanito nemico della civiltà pagana e contribuì efficacemente alla sua distruzione, insieme alle invasioni barbariche e agli sconvolgimenti che queste causarono.

Siccardi dimostra dunque un’ignoranza piramidale quando asserisce che «il cristianesimo ha impedito all’intelligenza umana di spegnersi nelle tenebre del medioevo ed ha conservato la civiltà e la cultura».
Ma come? Se la letteratura e l’arte pagana erano un’apoteosi della vita terrena e delle passioni che la fanno risplendere; se la filosofia e la scienza classica rappresentavano una continua ricerca che mai s’appagava dei risultati raggiunti; il cristianesimo — ultramondano e dogmatico — doveva necessariamente combatterle. E così fece.

Tertulliano affermò decisamente che un cristiano non poteva insegnare il sapere antico e San Girolamo immaginò in una sua visione che, chiamato al giudizio finale, gli fosse rimproverata la colpa d’essere un ciceroniano, mentre si professava cristiano. Lo stesso San Girolamo nella sua lettera a Leta sull’educazione della figlia Paola e nell’altra epistola all’amico Gaudenzio sull’educazione della figlia Pacatula, consigliò che le giovinette mangiassero in modo d’avere sempre, fame e non ascoltassero strumenti musicali per non cadere vittime dell’immaginazione e della sensibilità. E con tali insegnamenti la concezione pedagogica del ascetismo, che mira all’annientamento dell’individuo e dei suoi bisogni, fisici e psichici, nel grembo della chiesa, trovò la sua completa manifestazione.

I monaci di San Cirillo istigarono la plebe d’Alessandria al massacro di Ippazia e dei filosofi neoplatonici, ed i preti sollecitarono l’editto con il quale Giustiniano, nel 529, chiuse la scuola d’Atene e fece cessare la filosofia greca.
Papa Leone I ordinò che fosse appiccato il fuoco alla biblioteca Palatina ed il clero favorì la rinascita dell’ignoranza determinata dalla distruzione della civiltà classica e dalle invasioni e dominazioni barbariche. E quando, verso il settimo secolo, di fronte al risorgente bisogno di cultura, la chiesa dovette adattarsi ai tempi ed aprire le scuole parrocchiali e delle abazie, in esse fece impartire il solo insegnamento religioso. Tanto vero che Carlo Magno nel 789, obbligò i sacerdoti ad istruire tutti i fanciulli, tanto nobili che plebei, e ad insegnare ad essi, oltre che il catechismo e i salmi, anche la grammatica, l’aritmetica, il canto e la musica. E perché si desse vigore a tale provvedimento egli scelse, come collaboratore, il dotto Alcuino di Jork.

Nei conventi, dove monaci zelanti conservavano e trascrivevano le opere antiche scampate alla distruzione, questa fatica era determinata, più che dall’intenzione di giovare alla cultura, dal bisogno d’interpolare le opere per renderle utili ai fini della chiesa. Così fra le tante grossolane interpolazioni vi fu quella con la quale si fece riconoscere a Giuseppe Flavio, nella sua «Storia antica degli ebrei», l’esistenza storica di Gesù e la sua qualità di Messia. Ma se Flavio avesse scritto veramente ciò, non sarebbe stato più ebreo ma cristiano. Invece, fino a tutto il terzo secolo, la chiesa vide nello storico israelita un misconoscitore di Cristo.
Origene diceva di Flavio che «benché non creda in Gesù come Messia, pur s’avvicina qualche volta alla verità». Questo dimostra che l’interpolazione fu compiuta dopo il terzo secolo e, probabilmente, proprio nell’epoca dei monaci eruditi che falsificavano i testi.

Finito il medioevo, che segnò il dominio assoluto del dogma sulle coscienze, i preti non si arresero dinanzi al Rinascimento ma cercarono combatterlo con le sue stesse armi. E sacerdoti, ben istruiti e scaltriti, si servirono della scuola, per mantenere ignoranti gli uomini, e della disciplina, per soffocare la personalità.
I gesuiti cercarono distruggere l’originalità e l’indipendenza dell’io in ogni alunno che trasformato in automa, doveva sentire e pensare, volere ed agire come i maestri suggerivano.

Ignazio di Loyola nei suoi «Esercizi spirituali» aveva scritto: «Per non andare errati dobbiamo tenere per termo che il bianco che io vedo io credo che sia nero, se la chiesa gerarchica così stabilisce». E i seguaci del santo spagnolo applicarono gl’insegnamenti del fondatore del loro ordine, esigendo l’ubbidienza cieca dello scolaro i cui atti venivano sorvegliati non solo dai superiori, ma anche per mezzo dello spionaggio e della denunzia da parte dei compagni. Perfino nei sentimenti si cercava indagare e colui che aveva avuto un naturale, innocente impulso di libertà era condannato e punito, mentre la casistica assolveva l’altro, resosi reo, se però aveva agito con l’intenzione di giovare alla chiesa. I gesuiti lasciarono la plebe nell’ignoranza e le altre classi in quella mezza istruzione ch’è peggiore del ignoranza. I loro alunni sapevano di ogni cosa un po’ ma solo quel tanto spiegato dai maestri e con il giudizio da essi enunciato. Erano, in una parola, dei miserabili schiavi, privi di spirito critico e d’indipendenza di pensiero, incapaci d’iniziativa personale e destinati ad essere sempre diretti, per tutta la vita, dalla volontà del confessore. In tal modo il cattolicesimo ha salvato la cultura. E così cercano potenziarla ancora quegl’intellettuali chiercuti, come il dottor Siccardi, che si affannano tanto per ridare la scuola ai preti e preparare una prossima generazione di spegnimoccoli e di baciapile.

Infine, il serafico dottore Siccardi spara l’ultima bomba. «La chiesa — egli dichiara — ostacola oggi l’esplosione della guerra voluta dal capitalismo e dal bolscevismo».
Spudorata menzogna! Il Vaticano, alleato del capitalismo anglosassone, prepara la guerra contro il bolscevismo russo. Se il papato volesse combattere il pericolo del tanto discusso conflitto fra oriente ed occidente dovrebbe bandire una crociata per la pace. Dovrebbe spingere i suoi sacerdoti, in tutti i paesi aderenti al blocco di Stalin o al blocco di Truman, a predicare contro la guerra, a convincere i cristiani a non scannarsi fra di loro e non presentarsi alle armi quando vi saranno chiamati. Ciò sarebbe veramente evangelico ed anche se i preti fossero esposti a persecuzioni per aver consigliato la resistenza passiva, dovrebbero affrontare, con animo lieto, l’avversità e perseverare nell’azione. Il pontefice potrebbe proibire agli operai cattolici di lavorare nelle fabbriche addette alla produzione bellica. Potrebbe servirsi delle numerose e potenti organizzazioni che dipendono dalla Chiesa, per agitare l’opinione pubblica e disporla contro la guerra. Potrebbe spendere, almeno una parte, delle immense ricchezze che possiede per alimentare la propaganda pacifista e sovvenzionare coloro che sarebbero colpiti per il sabotaggio alla preparazione guerresca. Sarebbe inoltre dovere del Santo Padre interporsi fra i governi nemici, compiere opera di conciliazione, servirsi della sua autorità spirituale e dell’influenza morale che esercita sui popoli per fare pressione sugli uomini che dirigano gli Stati rivali ed indurli ad un accordo.

Questo dovrebbe fare il papa ed anche se i suoi sforzi non riuscissero ad evitare il futuro massacro, rimarrebbero sempre come una prova di coerenza allo spirito del Vangelo ch’egli dice rappresentare.
Ma nulla di ciò fa il pontefice. Invece... Appoggia la politica del governo americano e spinge i governi clericali o borghesi delle nazioni dell’Europa occidentale a schierarsi nel blocco che dovrà fornire a Truman carne da cannone nella guerra contro la Russia. In tutti i paesi del mondo i preti, istruiti dal Vaticano, non predicano la pace ma attaccano il bolscevismo, instillano nei cuori l’odio contro i bolscevichi e preparano l’anima dei fedeli alla santa crociata che, con le bombe atomiche, abbatterà la tirannia di Stalin. Nei paesi cattolici che aderiscono al blocco orientale, come la Polonia e l’Ungheria, il clero sfrutta la fiducia che in esso ripone buona parte del popolo ed aizza i credenti contro il governo, prepara clandestinamente l’insurrezione, ostacola con tutti i mezzi possibili l’opera dei dirigenti comunisti. In Ungheria è stato condannato il cardinal Mindszenty perché accusato di congiurare per la restaurazione degli Absburgo.

Nei paesi di occidente, invece, i preti sorreggono energicamente i governi anticomunisti, appoggiano il rafforzamento degli eserciti e la preparazione bellica, invitano i cittadini a rimanere disciplinati a tutti gli ordini dei loro governanti e a tutti i provvedimenti che questi adotteranno per il bene pubblico.
In Germania, in Francia, in Italia agenti del Vaticano reclutano i relitti del nazismo e del fascismo, i seguaci di Pètain, i fuorusciti ustascia, i ricercati come criminali di guerra, e li organizzano, li sovvenzionano, ne formano dei corpi speciali che, al momento opportuno, serviranno per scannare i bolscevichi nostrani e per sferrare i primi colpi ai russi.

Il papa lavora attivamente per ottenere dagli angloamericani la ricostruzione dell’unità germanica. In cambio, però, i tedeschi creeranno un esercito per combattere il bolscevismo. E quando Stalin sarà travolto e il blocco orientale vinto, il governo cattolico che il papa, avrà fatto nominare a Berlino e che sarà stato l’anima della guerra contro la Russia, rimarrà definitivo appunto perché aureolato dalla luce della vittoria. I tedeschi, nazionalisti impenitenti, sorreggeranno tutti il governo che avrà ridato l’indipendenza alla patria e la rivincita sul bolscevico. E il Vaticano dominerà il popolo teutonico attraverso i suoi capi che riceveranno gli ordini da Roma.

Ugualmente l’Italia, la Francia, il Belgio rimarranno sotto i governi clerico - fascisti che avranno diretto la gente latina nell’attacco agli slavi. Questi governi, installati in un primo tempo con l’aiuto degli angloamericani che vedevano in essi gli strumenti più adatti per condurre gli occidentali al macello, dipenderanno in seguito solo dal papa. Altri governi cattolici s’insedieranno in Ungheria, Polonia, Cecoslovacchia e Romania, perché anche in questi paesi i cattolici, inspirati dal Vaticano, avranno guidato le quinte colonne contro i comunisti. Franco rimarrà inamovibile in Spagna e Salazar nel Portogallo. Così il papa comanderà l’Europa, Così, per mezzo dei governi clericali a lui ligi, potrà imporre ai popoli la cieca ubbidienza alla chiesa. Pio XII realizzerà il sogno teocratico di Gregorio VII e d’Innocenzo III. E gli anglo-sassoni si adatteranno volentieri a tale stato di cose che ad essi garantirà il mantenimento del ordine dall’Atlantico agli Urali. Con questo lieto miraggio, il Vaticano, non solo non ostacola la guerra ma la desidera e la prepara per quanto è possibile. Esso combatte il bolscevismo non perché Stalin è un dittatore e la Russia una caserma nella quale i proletari marciano indrappellati sotto la frusta del compagno-caporale. Di ciò al Vaticano non importa proprio nulla e, come si è sempre accordato con tutti i tiranni, così si accorderebbe anche con Stalin se Stalin accettasse di condividere il potere con il papa. Ma l’ambizioso asiatico vuol comandare da solo e Pio XII si schiera col capitalismo anglosassone che contende al bolscevismo la signoria della terra. I banchieri di Londra e di New York permetteranno al pontefice di governare i popoli europei perché il pontefice permetterà loro di sfruttare economicamente questi popoli. Poi, se anche il papa andrà un po’ più in là e restaurerà i roghi, mastro Titta e la confessione obbligatoria, i puritani d’Inghilterra e i massoni d’America non si scandalizzeranno per tanto poco, ma lasceranno correre, calcolando l’enorme vantaggio che ad essi proverrà dall’ingreggiamento delle masse nell’ovile cattolico dove ogni rivendicazione economica dei proletari e ogni loro rivolta contro il giogo del capitale, saranno soffocate con l’insegnamento della rassegnazione, la promessa del paradiso e i metodi di Torquemada applicati ai riottosi.

Dall’Europa il cattolicesimo conquisterà il resto del mondo. Con l’aiuto del Vaticano Peron dominerà l’intera America del Sud. Negli Stati Uniti i cattolici diverranno sempre più forti. Il Giappone, dove gli agenti papisti lavorano attivamente, si convertirà alfine al culto cristiano. Capitalismo e cattolicesimo, tenacemente alleati, tiranneggeranno l’umanità unificata sotto la loro sferza. D’altro canto Stalin aspira anche lui alla conquista del globo e alla riunione del genere umano nelle pastoie del bolscevismo.
E così, per servire gl’interessi e le ambizioni della cricca del Cremlino o dell’altra cricca rivale plutocratica - clericale, i popoli pecoroni si lasceranno trascinare al macello e si stermineranno a vicenda con la ‘bomba atomica ed il raggio cosmico, con i mezzi batteriologici ed i gas tossici. La nostra specie perirà nei vortici sanguinosi dell’ultima guerra mondiale. Le armi scientifiche la distruggeranno. E morirà perché gli uomini, in luogo di rimanere liberi e sciolti come la natura li aveva creati, hanno voluto organizzarsi, legarsi e dipendere dai capi i quali, profittando della generale sottomissione, dispongono, a piacer loro, della libertà e della vita di tutti.

Siccardi dice che l’Anarchia annienterebbe l’umanità. Invece sarà proprio il gregarismo che la spingerà nella fossa. Però questo potrebb’essere evitato. Io non credo che la storia sia retta da leggi fisse che la spingono fatalmente verso un’ultima meta: l’unità umana nello Stato cosmopolita o la scomparsa del nostro genere attraverso i violenti conflitti provocati dalla rivalità delle nazioni.

La storia procede a caso. Il suo cammino non è rettilineo, ma a zig-zag. Non avanza costantemente verso un unico fine, ma cambia continuamente gli scopi. E ciò avviene perché essa non è determinata da un solo fattore (quello ideale di Hegel o quello economico di Marx), ma da una pluralità di contrastanti fattori, ideale, sentimentale, economico, sessuale, ed anche dall’imponderabile, cioè dalle forze misteriose che promanano dagli oscuri recessi della nostra natura e ci costringono talvolta a compiere certe azioni senza che noi stessi possiamo spiegarne il motivo. Perciò i fatti storici riescono spesso incomprensibili. Vediamo delle situazioni che lasciano prevedere un risultato sicuro, prodotto dalle condizioni già esistenti. Invece il risultato è poi l’opposto dell’atteso. In Italia, nel 1920, tutti aspettavano la rivoluzione socialista. C’erano le condizioni che dovevano determinarla. Avemmo la controrivoluzione fascista.

Nel 1940 tutti credevano nella vittoria della Germania. I tedeschi avevano conquistato l’Europa, l’Inghilterra era isolata, l’America impotente ad aiutarla dato che le occorrevano almeno tre anni per adattare la sua industria alla produzione bellica e prepararsi all’intervento. Hitler s’era assicurato le spalle con il trattato commerciale e d’amicizia stipulato con la Russia. Poteva rivolgere tutte le sue forze contro gl’inglesi, profittare della superiorità della sua flotta aerea per polverizzare le difese nemiche, distruggere le maggiori città dell’isola, e terrorizzare e deprimere il popolo avversario. Poi, al momento buono, fare sbarcare i suoi soldati ed occupare la Gran Bretagna. II governo di re Giorgio avrebbe dovuto implorare la pace ed il nazismo sarebbe uscito vittorioso dalla guerra. Anche se, per una qualunque ragione, lo sbarco in Inghilterra non fosse riuscito, Hitler avrebbe potuto passare con i suoi eserciti attraverso la Spagna che non si sarebbe opposta. Espugnata Gibilterra, occupata l’Africa settentrionale e l’Egitto, sarebbe andato avanti verso le Indie. La Turchia, la Persia, i paesi arabi non avrebbero osato resistergli, ma si sarebbero uniti a lui. Le forze motorizzate tedesche sarebbero giunte al Gange e gl’inglesi, colpiti al cuore nel loro impero, avrebbero dovuto arrendersi. Hitler, invece, ha aggredito la Russia che, in quel memento, non gli dava fastidio e con la quale se mai, avrebbe potuto regolare i conti dopo là vittoria sull’Inghilterra. Ha consumato la sua potenza nel duello all’ultimo sangue con il colosso moscovita, ha dato tempo all’America d’armarsi, agl’inglesi di rafforzarsi ed infine è stato battuto.

Anche ora, nel mondo, la terza guerra annichilitrice appare inevitabile.
Stalin vuole conquistare il globo, ma il capitalismo angloamericano che lo domina attualmente non è disposto a lasciarglielo. Le ideologie servono ancora una volta da maschera agl’interessi più sfrenati e, sotto il pretesto della difesa della civiltà cristiana o del marxismo-leninismo, si nascondono l’ambizione e la cupidigia delle due opposte cricche che aspirano a sfruttare e ad opprimere l’intera umanità. I popoli soli potrebbero impedire, ribellandosi, il tremendo cozzo, ma è presumibile che non lo fa-ranno e si lasceranno trascinare al massacro perché essi sono gregari, servili, abituati ad ubbidire e a bere tutte le frottole che i governanti spacciano.
«Da quando vi sono stati degli uomini — scrive Nietzsche — vi sono stati dei greggi (associazioni di famiglie, di comunità, di popoli, di Stati, di chiese), e sempre molto ubbidienti a paragone del piccolo numero di quelli che comandano. Considerando, dunque, che fino ad oggi l’ubbidienza è stata bene e più lungamente esercitata ed educata fra gli uomini, si può agevolmente supporre che in media ciascuno ne ha ora il bisogno innato, come una specie di coscienza formale la quale ordina: tu devi fare assolutamente una cosa, tu non devi fare assolutamente una cosa, in una parola tu devi. L’uomo cerca soddisfare questo bisogno e dargli un motivo».

E ancora:
«Secondo la forza, l’impazienza, l’energia di questo bisogno, esso accaparra senza scelta, con un grossolano appetito, e accetta tutto ciò che gli soffiano nell’orecchio coloro che gli comandano, siano questi suoi parenti o dei padroni, delle leggi, dei pregiudizi di classe o delle opinioni pubbliche. Ne risulta che oggi, in Europa, l’uomo del gregge si dà l’aria d’essere la sola specie d’uomo autorizzata: egli glorifica le virtù che lo rendono utile al gregge come le sole virtù veramente umane». Però negli uomini esiste anche, soffocato e gemente, il bisogno naturale della libertà ch’è stato poi sopraffatto dal bisogno acquisito dell’ubbidienza.

Quindi, se in ogni paese, pochi audaci, riuscissero, non solo con le parole, ma soprattutto con le azioni, spregiudicate ed eroiche, a scuotere le masse e a risvegliare e a rinvigorire in esse l’istinto della conservazione, l’anelito libertario compresso e l’impulso alla rivolta contro coloro che vogliono portarle al macello, la situazione sarebbe capovolta, la guerra evitata e la vita restituita al suo primitivo (1) splendore. Contro il bolscevismo che esige il sacrificio in nome della felicità universale nell’Eden socialista; contro la piovra cattolica che sugge, da venti secoli, il sangue dell’umanità e vuole ora immolarla in nome di Cristo e della ricompensa ultraterrena; contro il capitalismo che premette la gratitudine della patria a quelli che si faranno ammazzare difendendo le sue casseforti; questi audaci sacrileghi dovrebbero rispondere sventolando la bandiera dell’Anticristo che nega l’inganno dei paradisi in questo o nell’altro mondo e vive, senza illusioni e senza conforti, senza sottomissioni e senza rinunzie, nell’egoistica espansione della propria personalità scevra di ogni ceppo. E la nera, palpitante bandiera sarebbe il simbolo della catarsi che trasformerebbe la pecora destinata allo sgozzatoio nell’uomo, libero e forte, che saprebbe vivere per sé, per la sua libertà, per le mete diverse che fisserebbe alla sua azione.
Tratto da "La bandiera dell'anticristo" di Enzo Martucci

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