Il me faut vivre ma vie
 
 Bruno Filippi
 
  
 Io non credo al diritto. La vita, che è tutta una manifestazione di 
forze incoerenti, inconosciute e inconoscibili, nega l’artificiosità 
umana del diritto. Il diritto nacque quando ci fu tolto infatti in 
origine l’umanità non aveva nessun diritto. Viveva, ecco tutto. Oggi 
invece di diritti ve ne sono migliaia; si può dire senza errare che 
tutto ciò che ci manca si chiama diritto.
 
 Io so che vivo e che voglio vivere.
 È molto difficile mettere in azione questo voglio. Siamo circondati da 
un’umanità che vuole quello che vogliono gli altri. La mia affermazione 
isolata è delitto de’ più gravi.
 Legge e morale, a gara, m’intimoriscono e persuadono.
 Il “biondo rabbi” ha trionfato.
 Si prega, s’implora, si bestemmia, ma non si osa.
 La vigliaccheria, carezzata dal cristianesimo, crea la morale, e questa giustifica la viltà e genera la rinuncia.
 Ma questo desiderio di vivere, questa volontà, vuole pure svolgersi. Il
 cristiano si guarda bene in giro, osserva se nessuno lo guarda, e 
tremando compie il peccato. Così la vita è peccato; il desiderio: 
peccato; l’amore: peccato. Ecco l’inversione.
 «Sgualdrina, femmina 
da tutti, non vergognarti del mondo. Tu sei franca e leale. Offri ciò 
che è tuo a chi compra, non dai né togli illusioni.
 La società, 
invece, onesta e pulita nel viso, e incancrenita orrendamente nel corpo,
 m’eccita il vomito, l’orrore, mi fa schifo, m’uccide …».
 Io invidio i selvaggi. E potessi gridare loro a gran voce: «Salvatevi, arriva la civiltà!»
 Sicuro: la nostra cara civiltà di cui andiamo tanto alteri! Abbiamo 
abbandonato la libera e felice vita delle selve per questa orrenda 
schiavitù morale e materiale. E siamo maniaci, nevrastenici e suicidi.
 Che m’importa che la civiltà abbia dato le ali all’uomo per bombardare 
le città, che m’importa di sapere le stelle del cielo e i fiumi della 
terra?
 Ieri non c’erano i codici, è vero, e a quanto pare si faceva giustizia sommaria.
 Barbari tempi! Oggi invece si accoppa la gente con la sedia elettrica, a
 meno che la filantropia di Beccaria non la torturi per tutta la vita 
entro un ergastolo.
 Ma io ve la lascio la vostra sapienza e i vostri
 420, vi lascio Sottomarini e Caproni. Ma ridatemi la bella libertà, la 
mia ignoranza, la mia vigoria. Ieri il cielo era bello da guardare; lo 
mirava lo sguardo dell’inconscio.
 Oggi la volta stellata è un velo plumbeo che ci sforziamo invano di passare, oggi non si ignora più, si dubita.
 Tutti questi filosofi, questi scienziati, che fanno?
 Che delitti meditano ancora verso l’umanità? Io me ne frego del loro progresso, io voglio vivere e godere!
 «Scimmia delle foreste bornesi, Darwin ti ha calunniato!»
 Intanto tutto il mio essere mi urla: «Voglio vivere!»
 Mi strappo dalla fronte le spine della rinuncia cristiana e bevo il profumo delle rose.
 Sto bene ora. Sono lieto di vivere!
 Fischiano le sirene e la folla beata va allo scannatoio.
 E tu pure o ribelle sali il tuo calvario, tu pure sei bacato!
 Come invidio il grande Bonnot!
 «Il me faut vivre ma vie!»
 È inutile, sono bacato. La società mi ha vinto. E odio. Odio 
forsennatamente questa umanità bruta che mi ha ucciso, che ha fatto di 
me una scorza d’uomo.
 
 Vorrei potermi mutare in lupo, per affondare denti e artigli, in un'orgia di distruzione, nel ventre putrido della società.
 
   [da Iconoclasta!, n. 4 del 2 luglio 1919]
 

 
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