lunedì 2 settembre 2013

«HO RIPOSTO LA MIA CAUSA NEL NULLA»








Max Stirner (al secolo J. C. Schmidt) appartiene a quel tipo di pensatore convinto che per fondare qualcosa che si spera duraturo, bisogna innanzitutto bonificare il terreno dai fantasmi sacri che lo infestano, affinché sia possibile gettare senza fallo le fondamenta di un pensiero che si vuole libero da ogni contaminazione glorificata dalla tradizione e rivestita di abitudine. Per questo il suo è un pensiero negativo; nel senso che viene a occupare qualcosa annientato dalla critica, che cresce sulle macerie della devastazione che lui stesso ha prodotto, che propone l'egoismo come unica soluzione coerente all'inconsistenza di ciò che si dovuto distruggere. Si tratta davvero di riporre la propria causa sul nulla, quel nulla che si è liberamente creato. Ma andiamo più nello specifico. Contra religionem, ovvero contro il religioso. È questo il primo bersaglio polemico di Stirner. Dio risponde a un'esigenza storica dell'uomo, che nel suo progredire si è lentamente emancipato dal mondo e dalla materialità in cui esso riposa. Seguendo un percorso lungo secoli, l'uomo Antico è divenuto Moderno, ha sostituito alla sensualità la spiritualità. 
In questo è riuscito il Cristianesimo: ad annientare il mondo, là dove gli Antichi lo avevano soltanto respinto. Ma qual è dunque la cifra del Cristianesimo? È la sua spiritualità. Dio è innanzitutto Spirito, che in quanto altro dal mondo, non può che autocrearsi: prima dello spirito non vi è che spirito, è esso stesso il creatore del mondo spirituale; e quando io creo qualcosa (un'opera d'arte ad esempio) proprio perché creo, partecipo a quella dimensione spirituale, entrando nel mondo degli spiriti, ossia dei fantasmi. 
Dio è quindi ciò che occupa lo spazio lasciato libero dal mondo; così come il mondo è (era) pura materialità, Dio rappresenta l'assoluto dello spirito. E l'Uomo? L'uomo è in parte spirito: il Cristiane-simo ha invalidato l'idea che il nostro vero io sia quello spirituale, relegando il corpo ad un "vuoto involucro" dell'anima, destinato all'abbandono col sopraggiungere di un'altra vita. Ecco svelata la fenomenologia di Dio, vagliata dal Cristianesimo: l'uomo percepisce in sé uno spirito, che non coincide con tutto il se stesso, ma poiché egli è comunque in grado di immaginare il puro spirito (e questo non è in lui) allora esso deve essere qualcosa "all'infuori di me", un Altro che io chiamo Dio. E poiché nessun uomo realizza in pieno lo spirito puro, poiché egli, che è anche materia, concepisce questa sua materialità, non come il suo essere qualcosa "di più" che spirito ma qualcosa "di meno", questo spirito senza residui sensibili non sarà umano ma ultraumano, non terrestre ma celeste. 
Ammettere Dio in quanto sublimazione e perfezione in atto di quello spirito che rintracciamo in noi come parziale e in potenza è dunque una pura tautologia: l'equazione Dio=Spirito non è nulla di diverso da quella altrettanto vera ma vuota di Spirito=Spirito. Contra atheismum. Il negare l'alterità di Dio non significa per Stirner abbracciare la causa dell'ateismo. La sua critica a chi pretende di liberarsi di Dio (e quindi dei fantasmi spirituali che fanno un tutt'uno con esso) negandone razionalmente l'esistenza, è forse ancora più radicale di quella mossa agli apostoli della religione; l'ateo, nel suo rifiuto divino, non fa che riproporre un argomento inficiato da ciò che vuole distruggere: quello che Stirner cercherà di dimostrare è che l'ateismo non è che una forma, più sottile e subdola, di teologia. L'ateo non crede a Dio considerato come essere superiore fuori di sé; ma rinunciando all'idea di Dio non nega insieme la nozione di essere superiore, che rimane pur sempre in quanto riferita all'Uomo nella sua umanità, nell'uomo in cui abita qualcosa che gli è ulteriore, che supera i confini dell'umano. E questa è pur sempre religione: c'è ancora un fantasma, uno spirito che proietta altrove. Stirner procede oltre, giungendo ad affermare che questa alterità è ancora più spirituale di quella di Dio, poiché non può nemmeno essere mediata dalla corporeità di Cristo, non potendo così che essere identificata come quel qualcosa (non meglio definibile) che appartiene a "tutta l'Umanità." L'ateismo si scioglie nella teologia, individuando come membro comune il carattere religioso che appartiene a entrambi: poiché la religione consiste nel "non conoscere e non riconoscere che le essenze: […] il suo regno è un regno delle essenze, dei fantasmi, degli spettri." E così cadono tutte le frontiere erette tanto orgogliosamente dall'ateismo. Contra mores, ossia contro i buoni costumi, la Morale. Anche qui lo stesso risultato. I moralisti non fanno che trasfigurare il vecchio spacciandolo per nuovo: la moralità tanto esaltata non è altro che il tentativo di guidare la condottaumana riferendola ad un essere supremo che viene alloggiato con tutti gli onori nel cuore umano, ma rimane pur sempre un fantasma fatto d'essenza, un Altro che non riusciamo considerare come pienamente declinato in ciò che chiamo io. Il successo della Morale si spiega nel suo essere apparentemente depurata da ogni implicazione religiosa: ma non è che la medesima maschera indossata con maggior scaltrezza. Contra sacra, il sacro. È il vero bersaglio polemico di Stirner, il nemico più odiato, che sottende a tutti gli altri. Ma cos'è il sacro? È l'idea fissa, qualunque essa sia, da cui gli uomini sono posseduti e in nome della quale vivono; è il proprio credo (religioso, politico, morale), sono quelle certezze accettate e venerate come dogmi, che regolano in maniera improrogabile la nostra vita e che non siamo disposti in alcun modo a mettere in discussione. Perché l'idea fissa è qualcosa che ci possiede: "Vi dispiace la parola 'possessione'? dite ossessione; anzi, poiché è lo Spirito che vi possiede e vi suggerisce tutto, dite ispirazione, entusiasmo. Io aggiungo che l'entusiasmo perfetto […] si chiama fanatismo." E il fanatismo non è che "un interesse fanatico per ciò che è sacro (sacrum)" Ecco fatto: il cerchio si chiude; credersi lo Spirito Santo, l'Imperatore del Giappone o un Uomo Virtuoso è esattamente la stessa cosa: è il fanatismo di chi è ossessionato da un'idea fissa, dal sacrosanto. Religione, ateismo, morale: implicano tutti la sacralità di un Essere supremo, sia essa identificata in Dio o nell'Uomo; e tutti presentano il medesimo schema, volto a ricercare altrove la chiave della salvezza. 
Pro sibi placens. Non c'è ora spazio per analizzare adeguatamente la pars costruens proposta da Stirner; basti qui ricordare che essa si riassume in un meditato egoismo, che consiste nel non riconoscere altra causa al di fuori o al di là della mia, nella consapevolezza che "non v'è nulla al di sopra di me." 
Essere egoisti significa essere egoisti di se stessi, indifferenti a ciò che non è mio: la maestà, la patria, la morale, Dio: essere contro "il letamaio della storia." E soprattutto andare oltre le cose del mondo (antico) e lo spirito (moderno): essere egoisti significa riconoscere le menzogne della tradizione e del pensiero e il non sacrificarsi per esse; significa miscredere l'Ideale, la scissione gerarchica fra due io interna all'uomo; significa ancora rifiutare tutte le etichette sociali, di cristiano, di ateo, di uomo virtuoso. E significa soprattutto distruggere il sacro, l'intoccabile, l'indiscutibile. Con questo non si esaurisce il pensiero di Stirner, che prosegue a lungo accogliendo nuovi spunti e introducendo nuovi termini di polemica, che complicano e corroborano la sua critica, che intensificano e raffinano la sua soluzione. Ma tuttavia crediamo di aver brevemente analizzato quelle tematiche che a parer nostro (e dunque egoisticamente) ci sono parse le più 
fondamentali. 

Pilgrim 

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