lunedì 26 novembre 2012

L'individualismo teorico



Definire l'anarco-individualismo è ben difficile.


«Non è facile trovare due individualisti con le medesime teorie». 
Emile Armand



La nascita di una vera e consapevole corrente individualista avviene all'interno del movimento anarchico nei primi anni del Novecento. In Francia essi si raccolgono attorno al giornale L'Anarchie diretto interamente da Albert Libertad, che propugna lo stirnerismo ormai conosciuto e divulgato; in Italia si possono rintracciare a Milano anch'essi attorno al giornale «Il Grido della folla», a cui collaborarono soprattutto individualisti ed antiorganizzatori come Nella Giacomelli ed Ettore Molinari. Mentre in Italia tale movimento scemerà dopo il periodo giolittiano (nel primo dopoguerra gli individualisti ereditarono «Gli scamiciati» a Genova-Pegli, «L'individualista» a Milano e pochi altri fogli), in Francia esso continuò per opera soprattutto di Emile Armand e di altri individualisti di tendenza pacifista ed educazionista. Comune a tutti gli individualisti è la volontà di lottare contro ogni forma di autorità perché essa li opprime direttamente e non tanto perché opprime anche tutti gli altri. Da ciò consegue che l'anarchico individualista lotta in prima persona senza curarsi - in linea di principio - della lotta altrui, perché l'unico punto di riferimento giustificativo di tale lotta, l'unica certezza di valore dei suoi scopi, l'unico confronto obiettivo delle sue azioni e della sua strategia, è sempre e soltanto lui stesso e nessun altro, perché ogni diritto, come afferma Stirner, «non sta mai fuori o sopra di me... ma sotto di me».
Queste due proposizioni comportano ora una terza ed ultima definizione teorica che si qualifichi adesso rispetto alla concezione sociale degli individualisti. È Emile Armand a riassumerla esemplarmente: «La società è il prodotto addizionale degli individui». Questa proposizione significa che per gli individualisti la società non rappresenta oggettivamente una forza collettiva (come per esempio per Proudhon) che superi la semplice somma delle forze individuali. Non riconoscendo né sul piano analitico né su quello valutativo questo quid superiore, gli individualisti non possono che approdare ad una concezione atomizzata della società. Essa quindi si prefigura sul piano economico come una struttura di equilibrio che implica un libero ed equo scambio fra i produttori. Nella visione di Benjamin Tucker la proprietà privata non è abolita ma è ripartita fra ogni individuo il quale la rende funzionale al proprio diretto lavoro. Riprendendo l'idea proudhoniana del credito gratuito, egli propone l'abolizione di ogni monopolio, compreso quello dello Stato di battere moneta. Costruendo una banca che «opera senza capitale, col solo mezzo di una carta sociale che registri tutti servizi sociali e produttivi scambiati» si potrà ridurre «al solo costo di lavoro, ossia a meno dell'uno per cento, ogni credito, che potrà quindi essere esteso universalmente a tutti in base al proprio diretto lavoro». Nella fondamentale preoccupazione di mantenere completamente integra l'autonomia individuale, gli individualisti direttamente o indirettamente si facevano paladini della proprietà privata concepita sempre però come una emanazione del lavoro individuale sviluppato in prima persona, senza cioè salariati o dipendenti. In questo senso e con questa visione la proprietà privata finiva addirittura col diventare un presidio irriducibile della libertà e pertanto una lotta contro essa non aveva senso. Non è dunque nel regime del salariato che si trova l'origine dei mali sociali, perché essi sono «dovuti soprattutto alla mentalità difettosa degli uomini presi in blocco». Con questa concezione psicologica comune a quasi tutti gli individualisti, sì può capire il senso delle loro proposte operative che si basano su una radicale rivoluzione di coscienza, l'unica rivoluzione che non comporta ritorni o deviazioni. La rivoluzione individualista è dunque una rivoluzione che parte dalla coscienza per trasformare le cose e non viceversa. Sensibilissimi alla funzione dei rapporti umani, propugnano forse con maggior lucidità di ogni altra corrente anarchica la libertà dei rapporti sessuali considerati, giustamente, fondamentali per la crescita equilibrata ed armonica dell'uomo. Di qui la dimensione educazionista delle loro proposte, di qui l'alternativa stirneriana della rivolta permanente al posto della rivoluzione tesa a trasformare solo l'apparato istituzionale.

La maggior parte degli individualisti distinguono la società dall'Associazione. Quest'ultima viene vista come uno strumento dell'individuo, mentre la prima è uno strumento d'oppressione dello stesso. La società "sacralizzata", in nome di questa "sacralità", opprime gli individui, al contrario, la libera associazione serve gli individui, responsabilizzandoli e di fatto rendendoli effettivamente liberi. Un'associazione di egoisti dunque è pensabile solo se è un modo per soddisfare, unendo le forze, gli interessi individuali. L'associazione quindi, non deve diventare un dovere obbligatorio, permanente e superiore agli interessi degli individui. È molto importante distinguere, in questo, l'individualismo anarchico, da qualsiasi altra forma di individualismo fasullo, per coloro che aderiscono a questo indirizzo di pensiero filosofico. Indipendentemente dalle differenze stilistiche e linguistiche, adottate dai vari esponenti, e da una certa reticenza nell'autoproclamarsi e nel tracciare dei parametri definitivi, esistono, sicuramente, elementi comuni e costanti atti a definire, sul piano teorico e pratico una certa linea. La proprietà privata è da considerarsi come un nemico di tali aggregazioni, ad esempio. Un elemento incompatibile con la libera espressione individuale. Un'entità che aliena le persone, le rende conformiste ed estranee a loro stesse, falsificando ogni rapporto con gli altri. Nell'associazione i lavoratori sono qualcosa di molto simile a dei "liberi artigiani", (nel senso più ampio del termine) che, come autori del proprio operato divengono "padroni" dei loro rapporti di interdipendenza. Si può fare affidamento su tutto ciò che è spontaneo, senza mortificare l'istinto. L'auto-limitarsi crea incomprensione, false necessità e sicurezze inutili. Le reali forze produttive vengono, inoltre, pregiudicate, mistificate, laddove là libertà creativa è osteggiata. L'associazione deve essere piccola, informale, limitata, aperta, possibilmente federata e a tempo determinato.

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