lunedì 5 agosto 2013

PARTE PRIMA L'UOMO - Max Stirner

« Per l'uomo l'Ente Supremo è l'uomo »
dice FEUERBACH.

« L'uomo ora soltanto è trovato »
dice BRUNO BAUER.

Ebbene, osserviamo un po' più da vicino cotesto Ente Supremo e questo uomo nuovamente ritrovato.


I.
Una vita umana.

L'uomo, dall'istante che aprì gli occhi alla luce, nella confusione strana che lo circonda, cerca di ritrovare se stesso, di conquistare se stesso.
Ma tutto ciò cui il bambino tende le mani, si schermisce dai tentativi quand'è minacciato e afferma la propria indipendenza. E poiché ogni cosa vuol conservarsi qual'è e contrasta ad un tempo a tutto ciò che le dissomiglia, la lotta per l'autonomia diviene inevitabile.
Vincere o soccombere, — tale la vicenda di questa lotta. Il vincitore diviene il padrone, il soccombente lo schiavo; quegli esercita l'imperio, il "diritto sovrano", questi adempie umile e riverente i "doveri di suddito".
Ma essi continuano ad esser nemici e sempre si guatano sospettosi l'un l'altro: spiano le debolezze reciproche, i figli quelle dei genitori, i genitori quelle dei figli (per esempio il loro timore): e chi non percuote è percosso.
Nell' infanzia noi riusciamo a liberarci col cercare la ragione delle cose e ciò che in esse si nasconde (nel che i fanciulli son guidati da un sicuro istinto); e perciò noi ci dilettiamo a rompere i nostri balocchi, a esplorare i cantucci più reconditi, e ci sentiamo spinti da curiosità verso tutto ciò ch'è misterioso ed appartato e su tutto vogliamo provar le nostre forze.
Quando abbiamo scoperto il segreto, l'intima essenza d'una cosa, ci sentiamo sicuri; cosi, per esempio, quando ci siamo accorti che la verga è troppo più debole della nostra caparbietà, essa non c'incute più timore, noi ci sentiamo ad essa superiori.
Dietro la verga si ergono, più potenti di essa, la nostra ostinazione e il nostro coraggio orgoglioso. A poco a poco noi riusciamo a trionfare di tutto ciò che un tempo ci appariva sinistro e pauroso; della temuta potenza della verga, dello sguardo severo del padre, ecc., e dietro a tutto ciò noi ritroviamo la nostra atarassia, vale a dire l'irremovibilità, l'intrepidezza, la nostra resistenza, la nostra oltre possanza, l'invincibilità. Ciò che prima ci incuteva timore e rispetto ora ci inspira coraggio; dietro ad ogni cosa si drizza il nostro ardire, la nostra superiorità; al brusco comando dei superiori e dei genitori noi contrapponiamo il nostro audace egoismo, o gli artifici della nostra astuzia. E quanto più sentiamo d'esser noi, tanto più meschino ci appare ciò che prima stimavano impossibile a superarsi.
E che cos’è la nostra astuzia, la nostra accortezza, il nostro coraggio, la nostra ostinazione?
Che cosa, se non spirito?
Per gran tempo ci è risparmiata una lotta, che più tardi non ci darà tregua, quella contro la ragione. Passano i più bei giorni dell'infanzia, senza che siamo costretti a contender con la ragione. Noi non ci curiamo affatto di lei, non accettiamo di contrastar con essa, non ce ne vogliamo impacciare. Con la persuasione da noi nulla si ottiene, noi restiamo sordi a tutte le massime, ecc.; per contro resistiamo difficilmente alle carezze ed alle punizioni.
L'ardua lotta con la ragione ha principio solo più tardi e dà inizio ad un periodo nuovo: nella fanciullezza noi procediamo senza tanti rompicapi.
Spirito chiamasi il primo aspetto nel quale ci riveliamo a noi stessi e umanizziamo il divin,
cioè il fantastico, il sinistro mistero delle potenze superiori.
Nulla più contrasta il sentimento della nostra fresca giovinezza e della fede in noi stessi: il mondo si ha da noi in dispregio, giacche noi siamo superiori ad esso, siamo spirito.
Ora soltanto ci accorgiamo di non aver finora osservato il mondo con lo spirito, ma solamente con gli occhi del corpo.
Colle forze naturali noi misuriamo le nostre prime forze. I genitori s'impongono quale una
forza elementare; più tardi il detto suona; bisogna abbandonare padre e madre, considerare infranta ogni forza naturale. Essi sono superati. Per l'uomo ragionevole, vale a dire per l' "uomo spirituale", la famiglia non rappresenta più una forza naturale: ne segue la rinunzia dei genitori, dei fratelli, ecc. Se questi "rinascono" quali forze spirituali, ragionevoli, non saranno per nulla quelli che erano prima,
E non soltanto i genitori, ma gli uomini in generale vengono superati dal giovane; essi non sono più un ostacolo per lui, ed egli non ne tiene più alcun conto giacché gli si dice allora: bisogna obbedire più a Dio, che agli uomini.
Tutto ciò che è "terrestre" da quest'altezza s'arretra in una dispregievole distanza; poiché il nuovo aspetto è il — celeste.
La condotta del giovane è ora opposta a quella del fanciullo. Essa è divenuta spirituale, mentre il fanciullo non sentendosi finora "spirito" crebbe imparando meccanicamente. Il giovane non cerca più d'appropriarsi le cose, come, ad esempio, di cacciarsi nella memoria delle date storiche, ma indaga invece i pensieri che si nascondano nelle cose, come, ad esempio, lo spirito della storia; mentre, fanciullo, egli comprendeva i nessi, ma non già le idee, lo spirito, quindi imparava tutto ciò che gli veniva fatto di apprendere senza alcun procedimento aprioristico e teorico, cioè senza ricercare le idee.
Se nell'infanzia s'ebbe a superare la resistenza delle leggi universali, più tardi, in tutto ciò che ci proponiamo di fare, ci abbattiamo a qualche obbiezione dello spirito, della ragione, della nostra coscienza, "Ciò è irragionevole, anticristiano, antipatriottico", ci grida la coscienza e ci trattiene dal fare, quella data cosa. Noi non temiamo già la possanza delle Eumenidi, la collera di Poseidone, non il Dio, che vede le cose più recondite, non la ferula del padre — bensì la nostra coscienza.
Ora noi seguiamo i nostri pensieri, e noi obbediamo alle loro leggi, proprio come sino allora noi avevamo ubbidito a precetti dei genitori o dei superiori. Le nostre azioni si informano ormai al nostro pensare (alle nostre idee, alle nostre rappresentazioni, alla nostra fede) come nella fanciullezza si lasciarono dirigere dai comandi dei genitori.
Tuttavia anche da fanciulli noi abbiamo pensato; ma i nostri pensieri non erano incorporei, astratti, assoluti, cioè puri pensieri (un cielo per sé stesso, un mondo puramente ideale), non erano infine dei pensieri logici.
Ben al contrario, erano unicamente pensieri che noi ci formavamo sul modo d'essere di una cosa determinata: noi pensavamo che la cosa potesse essere in tale o in tal altro modo. Cosi noi pensavamo: il mondo che noi vediamo è l'opera di Dio: ma non pensavamo (cioè non ci curavamo d' "investigare") le "profondità della divinità stessa". Noi pensavamo: "questo v'ha di vero in tale cosa" ma non sapevamo immaginare il vero o la verità per sé stessa, ed eravamo incapaci di pervenire alle tesi "Dio è la verità ". Le profondità della divinità, "che è la verità", noi non le toccavamo. Su cotale questione puramente logica, vale a dire teologica: "che cosa sia la verità". Pilato non si sofferma, quantunque nel singolo caso concreto non esiti a investigare quanto ci sia di vero in una data cosa — cioè se la cosa sia vera.
Ogni pensiero congiunto ad una cosa determinata non è ancora un pensiero per sé stesso, un pensiero assoluto.
Nello scoprire il pensiero puro, o per lo meno nel farlo proprio, è riposto il godimento dell'età giovanile; tutte le forme luminose del mondo delle idee, la verità, la libertà, l'umanesimo, l'essere umano, illuminano ed esaltano l'anima dell'adolescente.
Ma riconosciuto lo spirito per la cosa essenziale, permane ancora la differenza tra uno spirito povero ed uno ricco, e perciò noi ci adoperiamo a diventare ricchi di spirito; lo spirito chiede d'espandersi, di fondare un regno proprio, un regno che non è di questo mondo, di recente superato. In tal guisa egli si argomenta di divenire il tutto nel tutto. Ciò vuol dire che sebbene l'Io sia spirito, non è ancora per questo uno spirito perfetto e deve cercare d'attingere tale perfezione.
Con ciò Io, che ero giunto a ritrovare me stesso, quale spirito, perdo nuovamente e subitamente me stesso, inchinandomi dinanzi allo spirito perfetto, che non è in me, ma è fuori di me e sentendo così la mia pochezza.
Si tratta (non è così forse?) sempre dello spirito, ma può dirsi d'ogni spirito ch'egli sia il vero ?
Lo spirito vero e genuino è l'ideale dello spirito, lo "spirito santo". Esso non è il tuo o il mio spirito, bensì per l'appunto lo spirito ideale, superiore, Dio insomma. "Dio è lo spirito". E questo "Padre celeste" che dimora nell'infinito, concede lo spirito perfetto a coloro che lo pregano [(1) LUCA, 11, 13..)].
L'uomo adulto si distingue dall' adolescente perciò che egli prende il mondo così com'è senza vedere di ogni cosa soltanto il lato peggiore e senza l'ambizione di riformarlo, cioè di rimodellarlo secondo il suo ideale. In lui prende radice l'opinione che nel mondo si debba agire secondo il proprio interesse e non già secondo i propri ideali.
Sino a tanto che l'uomo non vede in sé stesso che lo spirito e ripone ogni suo pregio nell'essere "spirito" e al giovane riesce cosa facile il dare la sua vita, la vita "materiale" per un nonnulla per la più sciocca offesa del suo amor proprio e della sua vanità, egli non ha che dei pensieri delle idee che spera d'attuare in progresso di tempo non possiede che ideali, cioè idee non tradotte in effetti, pensieri che attendono d'essere convertiti in azione.
Solo quando avremo incominciato ad amare il nostro "corpo" e noi stessi così come siamo — il che avviene soltanto nell'età matura — potremo provare un interesse personale ed egoistico, vale a dire un interesse che non si restringerà al solo nostro spirito, ma abbraccerà tutto l'essere, l'organismo intero. Confrontate un uomo adulto con un adolescente, e il primo v'apparirà tosto più duro, più ingeneroso, più egoista. Forse è più cattivo perciò? Voi direte che no; soltanto egli è divenuto più caratteristico, o, come voi preferite chiamarlo, più "pratico". L'essenziale è che egli è andato facendo di sé stesso sempre più il centro d'ogni cosa, mentre il giovane s'esalta per tante altre cose, per Iddio, per la patria, ecc. Perciò l'uomo adulto segna il punto in cui l'uomo ritrova se stesso, per la seconda volta. Il giovane ritrovò sé stesso quale spinto, e si perde nuovamente nello spirito universale, nello spirito perfetto, "santa", nell'uomo come tale, nell'umanità, in breve in tutti gli ideali, l'uomo adulto ritrova sé stesso quale uno spirito "reale e corporeo".
I fanciulli non conobbero che interessi indipendenti dallo spirito, vale a dire da idee e da pensieri, il giovane non conobbe altri interassi all'infuori di quelli spirituali; l'uomo adulto ha degli interessi reali, personali, egoistici.
Il fanciullo s'annoia se non ha qualche oggetto con cui possa trastullarsi; giacché egli non sa ancora occuparsi di sé stesso. Il giovane all'incontro respinge da sé gli oggetti perchè essi hanno fatto sorgere in lui dei pensieri: egli si trastulla coi suoi pensieri, coi suoi sogni che l'occupano spiritualmente; il suo "spirito è occupato".
Tutto ciò che non concerne lo spirito è da lui tenuto in conto di futile. E se non di meno talora egli s'apprende a frivolezze (quali, ad esempio, le cerimonie e le formalità in uso tra gli studenti), ciò avviene soltanto per lo "spirito" ch'egli v'ha scoperto, per i simboli che in esse gli si sono rivelati.
Io mi ritrovai, spirito, dietro alle cose; or mi ritrovo dietro ai pensieri, lor creatore e lor signore. Al tempo delle visioni i pensieri crebbero sopraffacendo il cervello, che pur gli aveva generati; essi aleggiarono intorno a me quali fantasie febbrili, e mi scossero con orribile forza. I pensieri presero un corpo proprio, divennero fantasmi, e si chiamarono Dio, il re, il papa, la patria, ecc. Col distruggere le loro incarnazioni io li faccio rientrare in mio potere e dico; Io solo sono reale. Ed allora prendo il mondo per quello che rappresenta per me, vale a dire quale il mio mondo, di cui io sono il padrone; e riferisco a me ogni cosa.
Se nei momenti di profondo disprezzo pel mondo io, quale spirito, lo respinsi da me lontano, ora respingo nel nulla gli spiriti e le idee di cui io sono il possessore. Essi non hanno più alcuna forza su di me, nello stesso modo che sullo spirito non può prevalere alcuna potenza della terra.
Il fanciullo era realista, assorto nelle cose di questo mondo, e tale rimase sino a che gli venne fatto di scoprire a poco a poco l'essenza occulta delle cose: il giovane fu idealista, caldo dell'entusiasmo dei suoi pensieri, fino a che con grave stento riuscì all'egoismo dell'uomo adulto, che dispone a suo piacere delle cose e delle idee e pone sovra ad ogni altra cosa il proprio interesse. Ma e il vecchio? Se potrò diventare tale ne discorreremo a nostro agio.

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II
Uomini del tempo antico e del moderno.

Come si sviluppò ciascuno di noi? che cosa desiderò e raggiunse? in che fallì? quali disegni e quali desideri ebbe cari il suo cuore, quali cambiamenti subirono le sue idee, quali scosse i suoi principi? in una parola, come ciascun di noi divenne quel ch'è oggi, cioè un essere dissimile da quel di ieri o d'un tempo ? A queste domande ognuno può più o men facilmente rispondere ricorrendo ai propri ricordi, ma con maggior vivacità avvertirà i cambiamenti che in lui avvennero chi assista allo svolgersi della vita d'un altro.
Gettiamo adunque uno sguardo sul sistema di vita che sedusse i nostri progenitori.

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