Donatien-Alphonse François marchese de Sade
Il prete: Arrivato infine all’istante fatale in cui il velo dell’illusione non si apre che per mostrare al peccatore il quadro crudele dei suoi errori e dei suoi vizi, non vorrai pentirti, figlio mio, dei diversi disordini in cui la debolezza e la fragilità umana ti hanno trascinato?
Il moribondo: Certamente, amico mio, mi pento.
Il prete: Approfitta quindi di questi fortunati rimorsi per ottenere dal cielo, negli ultimi istanti della vita, la completa assoluzione dei peccati, pensando però che soltanto attraverso il santissimo sacramento della penitenza ti sarà possibile ottenerla dall’Eterno.
Il moribondo: Non credo di capire più di quanto tu non abbia compreso me.
Il prete: Cosa vuoi dire?
Il moribondo: Ti ho detto che mi pentivo.
Il prete: Questo l’ho sentito.
Il moribondo: Sì, ma senza capire.
Il prete: Ma come dovrei interpretare…?
Il moribondo: Ecco… Creato dalla natura con gusti vivissimi e assai robuste passioni, unicamente venuto al mondo per soddisfarli; ed essendo questi effetti del modo in cui fui creato semplicemente necessità relative ai fini essenziali della natura, o se preferisci, derivazioni essenziali dei progetti della natura sul mio conto, sempre in rapporto alle sue leggi; io non mi pento che dell’uso mediocre che ho fatto delle facoltà (secondo te criminali, semplicissime per me) ch’essa m’aveva dato per servirla. Qualche volta io resistetti ai suoi impulsi: ora me ne pento. Accecato dall’assurdità dei tuoi sistemi mi pento di avere contrastato la violenza dei desideri che un’ispirazione ben più che divina mi forniva, limitandomi a cogliere fiori quando avrei potuto cogliere frutti. Ecco i motivi del mio giusto pentimento, ti prego di stimarmi abbastanza da non attribuirmene altri.
Il prete: Dove mai ti portano i tuoi errori, dove ti conducono i tuoi sofismi! Alla cosa creata attribuisci tutta la potenza del creatore, e queste sciagurate tendenze che ti hanno posto sulla cattiva strada, non ti accorgi che sono solamente gli effetti di quella natura corrotta, alla quale attribuisci l’onnipotenza?
Il moribondo: Amico mio, la tua dialettica mi sembra falsa quanto il tuo spirito. O ti sforzi di ragionare esattamente o mi lasci morire in pace. Che cosa intendi per creatore e che cosa per natura corrotta?
Il prete: Il creatore è il padrone dell’universo, colui che ha fatto tutto, che ha creato tutto, e che tutto conserva per un semplice effetto di onnipotenza.
Il moribondo: Un grand’uomo, in fede mia! Ebbene, dimmi allora perché un uomo simile, così potente, ha fatto, secondo te, una natura corrotta.
Il prete: E quale sarebbe stato il merito degli uomini se Dio non avrebbe lasciato loro il libero arbitrio? e quale premio avrebbero potuto godere se sulla terra non vi fosse stata la possibilità di fare il bene e quella di evitare il male?
Il moribondo: Così il tuo Dio ha voluto fare tutto al contrario, unicamente per tentare o provare la sua creatura; ma non la conosceva dunque, non aveva certezza dunque del risultato?
Il prete: La conosceva indubbiamente, ma ancora una volta voleva lasciarle il merito della scelta.
Il moribondo: Ma perché, dal momento che conosceva a priori la sua scelta, non sarebbe dipeso da lui, visto che lo dici onnipotente, non sarebbe dipeso da lui, dico io, costringerla a scegliere il bene?
Il prete: Chi può comprendere le immense ed infinite vedute di Dio sull’uomo, chi può mai capire tutto quello che vediamo?
Il moribondo: Colui che semplifica le cose, amico mio, specie colui che non moltiplica le cause per meglio imbrogliare gli effetti. Perché ti crei una seconda difficoltà, quando non sei capace di spiegarti la prima? e poiché è possibile che la natura, da sola, abbia fatto tutto ciò che attribuisci al tuo dio, perché vuoi andare a cercarle un padrone? La causa che ti sfugge può essere la più semplice del mondo. Approfondisci la tua fisica, e comprenderai meglio la natura; purifica la tua ragione, elimina i pregiudizi e non avrai più bisogno del tuo dio.
Il prete: Disgraziato! ti credevo semplicemente sociniano, e m’ero preparato a combatterti, mi accorgo che sei ateo visto che il tuo cuore rifiuta l’immensità delle prove autentiche che riceviamo ogni giorno circa l’esistenza del creatore, non ho più nulla da dirti. Non si può restituire la vista ad un cieco.
Il moribondo: Amico mio, ammetti un fatto: il più cieco di noi due è quello che si mette la benda sugli occhi non quello che se la strappa. Tu costruisci, inventi, moltiplichi; io distruggo, semplifico. Tu assommi errori ad errori: io li combatto tutti. Chi di noi due è il cieco?
Il prete: Allora non credi per niente in Dio?
Il moribondo: No. E ciò per una ragione assai semplice: non mi è possibile credere in ciò che non comprendo. Tra la comprensione e la fede debbono esserci rapporti immediati; la comprensione è il primo alimento della fede; dove non agisce la comprensione, la fede è morta, e coloro che, in questo caso, pretendessero di averne, sarebbero degli impostori. Io sfido anche te a credere nel dio che vai predicando, in quanto non sapresti dimostrarmelo, in quanto non lo sai definire, e conseguentemente non lo capisci; e poiché non lo capisci non puoi fornire la benché minima dimostrazione. In una parola tutto ciò che è al di sopra dei limiti dello spirito umano, è o chimerico, o inutile; e poiché il tuo dio non può essere che l’una o l’altra di queste cose, nel primo caso sarei un pazzo a credervi, nel secondo un imbecille.
Amico mio, provami l’inerzia della natura, e ti concederò il creatore; provami che la natura non è autosufficiente, e ti permetterò di supporre un padrone. Fino a quel momento non aspettarti nulla da me, mi arrendo solo all’evidenza e questa non la ricavo solo dai miei sensi; dove questi si arrestano la mia fede perde le sue forze. Credo nel sole perché lo vedo e lo concepisco come il centro di riunione di tutta la materia infiammabile della natura; il suo periodico cammino mi dà gioia ma non mi stupisce. Si tratta di un fenomeno di fisica, forse molto semplice come l’elettricità; ma che non comprendiamo. Che bisogno c’è di andare oltre? Quando avrai innalzato il tuo dio al di sopra di tutto ciò, che vantaggio ne ricaverò, non mi ci vorrà forse per comprendere l’artefice uno sforzo altrettanto grande di quello occorrente a definire l’opera?
Non mi hai reso alcun servizio, quindi, costruendo la tua chimera, hai turbato il mio spirito ma non lo hai illuminato, per cui ti devo solo del rancore in luogo di riconoscenza. Il tuo dio è una macchina che hai fabbricato per servire le tue passioni, e tu la fai muovere secondo le necessità di queste; ma non appena essa disturba le mie, adattati a vederla rovesciare. Nell’istante in cui la mia debole anima ha bisogno di calma e di filosofia, evita di disturbarla con i tuoi sofismi, che incutono paura senza riuscire a convincere, che irritano senza rendere migliore. La mia anima, amico mio, è ciò che la natura ha deciso che fosse, cioè il risultato degli organi forniti da essa in funzione dei suoi scopi e delle sue necessità; e, siccome essa ha parimenti bisogno di vizi e di virtù, quando le è piaciuto spingermi ai primi lo ha fatto, quando ha voluto le seconde, me ne ha ispirato il desiderio, ed io mi sono ugualmente abbandonato. Non cercare che le sue leggi come unica causa dell’incoerenza umana, e non cercare a queste leggi principio differente del suo volere e delle sue necessità.
Il prete: Così nel mondo è tutto necessario?
Il moribondo: Assolutamente.
Il prete: Ma essendo tutto necessario tutto soggiace ad una regola.
Il moribondo: E chi dice il contrario?
Il prete: Ma chi potrebbe regolare tutto in questo modo se non una mano onnipotente e saggia?
Il moribondo: Non è necessario che la polvere prenda fuoco quando si avvicina alla fiamma?
Il prete: Sì.
Il moribondo: E quale saggezza ci trovi?
Il prete: Nessuna.
Il moribondo: È possibile quindi che esistano cose necessarie ma prive di saggezza, e per conseguenza è possibile che tutto derivi da una causa prima senza che in questa vi siano ragione o saggezza.
Il prete: Dove vuoi arrivare?
Il moribondo: A provarti che tutto può essere così com’è e come lo vedi, senza che alcuna causa saggia e ragionevole lo guidi, e che effetti naturali debbono avere cause naturali, senza la necessità di supporre per loro una causa soprannaturale come sarebbe il tuo dio,il quale, come ti ho detto, avrebbe bisogno di spiegazione invece di fornirne; e che per conseguenza non essendo buono a nulla, è perfettamente inutile. Ora essendo assai probabile che ciò che è inutile sia vano e che ciò che è vano sia niente, così, per convincermi che il tuo dio è una chimera, non ho bisogno di ragionamenti diversi da quelli che mi fornisce la certezza della sua inutilità.
Il prete: Su queste basi mi pare superfluo parlarti di religione.
Il moribondo: Perché no? Nulla mi diverte di più della prova degli estremi cui sono giunti il fanatismo e l’imbecillità degli uomini su questo argomento. Si tratta di pervertimenti così straordinari, che la descrizione, secondo me, sebbene terribile, risulta sempre interessante. Rispondi francamente, e soprattutto senza egoismo. Se fossi tanto debole da lasciarmi sorprendere dai tuoi ridicoli sistemi sull’esistenza favolosa dell’essere che rende necessaria la religione, sotto quale forma mi consiglieresti di onorarlo? Vorresti che adottassi le fantasie di Confucio piuttosto che le assurdità di Brama? dovrei adorare il gran serpente dei negri, l’astro dei Peruviani, o il dio degli eserciti di Mosè? a quale setta di Maometto vorresti che mi abbandonassi? o quale eresia cristiana sarebbe secondo te preferibile? Attento alla tua risposta.
Il prete: E puoi avere dei dubbi su questa risposta?
Il moribondo: Ecco allora il tuo egoismo.
Il prete: Assolutamente, è perché ti amo come me stesso che ti consiglio ciò in cui credo.
Il moribondo: Ma il prestare orecchio a simili errori significa amar ben poco tutti e due.
Il prete: Ma chi potrà restare cieco davanti ai miracoli del nostro divino redentore?
Il moribondo: Colui che non vede altro in lui che il più comune dei furbi o il più volgare degli impostori.
Il prete: O dèi, voi lo udite e non tuonate?
Il moribondo: No, amico mio, tutto è in pace, perché il tuo dio, sia per impotenza, sia a ragione, sia tutto quello che vuoi tu, dando per buono quest’essere che accetto per un momento solo per accondiscendenza verso di te, o, se credi meglio, per adattarmi alle tue ristrette vedute, perché questo dio, dicevo, se esiste come tu hai la follia di credere, non può avere scelto per convincerci dei mezzi così ridicoli come quelli che il tuo Gesù suppone.
Il prete: E come, le profezie, i miracoli, i martiri, non sono forse delle prove?
Il moribondo: Come vuoi che in buona logica io possa accettare come prova qualcosa che ha bisogno a sua volta di essere provata? Perché la profezia possa considerarsi come prova occorre anzitutto avere l’assoluta certezza che sia stata fatta. Ora essendo ciò certificato dalla storia, non può avere per me altra validità che quella di tutti gli altri fatti storici, dei quali i tre quarti sono fortemente dubbi. Se a questo aggiungo ancora il sospetto più che ragionevole che questi fatti sono stati tramandati da storici interessati, come vedi sarò bene in diritto di dubitare. D’altra parte chi mi garantirà che quella determinata profezia non sia stata fatta dopo l’avvenimento, che non sia l’effetto di una combinazione di astuzia semplicissima, come quella che prevede un regno felice sotto un re giusto, o un gelo d’inverno? E se tutto sta cosi, come vuoi che la profezia, la quale ha un simile bisogno di essere provata, possa essa stessa diventare una prova?
In merito ai tuoi miracoli, essi non mi convincono di più. Tutti i furbi ne hanno fatti e tutti gli sciocchi li hanno creduti. Per convincermi della verità di un miracolo, dovrei essere sicuro che l’avvenimento che chiamate tale, sia assolutamente contrario alle leggi della natura, in quanto solo ciò che è al di fuori di essa può essere considerato miracolo: ma chi la conosce così profondamente da osare affermare qual è precisamente il punto dove essa si ferma o dove è infranta? Sono sufficienti due sole cose per accreditare un preteso miracolo: un ciarlatano e delle donnette. Va’, non cercare mai altra origine ai tuoi miracoli, tutti i nuovi settari ne hanno fatti, e, cosa più singolare, tutti hanno trovato degli imbecilli che vi hanno posto fede. Il tuo Gesù non ha fatto nulla di più originale di Apollonio di Tiana, eppure nessuno penserebbe di considerare quest’ultimo come un dio. Quanto ai tuoi martiri, essi sono certamente il più debole di tutti i tuoi argomenti. Basta l’entusiasmo e la resistenza per avere dei martiri, e finché la causa contraria ne presenterà quanto la tua, non mi sentirò mai sufficientemente autorizzato a credere l’una migliore dell’altra, ma caso mai spinto a considerarle entrambe discutibili.
Oh, amico mio, se esistesse davvero il dio che predichi, avrebbe bisogno dei miracoli, dei martiri e delle profezie per stabilire il suo regno? E se, come dici, il cuore dell’uomo è opera sua, non sarebbe là il santuario che sceglierebbe per la sua legge? Questa legge, uguale per tutti perché frutto di un dio giusto, sarebbe irresistibilmente impressa in modo identico in tutti, da una punta all’altra dell’universo; così tutti gli uomini accomunati da quest’organo delicato e sensibile, si rassomiglierebbero maggiormente nell’omaggio che renderebbero al dio da cui l’hanno ricevuto; così tutti avrebbero soltanto un modo di adorarlo e di servirlo, e sarebbe per loro impossibile misconoscerlo come pure resistere alla intima attrazione del culto. Invece che cosa vediamo nell’universo? Tante divinità per quanti sono i paesi, tanti modi di servire questi dèi per quanti sono le teste e le immaginazioni. E questa molteplicità d’opinioni, nella quale è materialmente impossibile orientarsi, sarebbe, secondo te, l’opera di un dio giusto?
Va’, predicatore, tu oltraggi il tuo dio presentandomelo in questo modo; lasciamelo negare del tutto, in quanto se esiste lo oltraggio meno io con la mia incredulità che tu con le tue bestemmie. Torna alla ragione, predicatore, il tuo Gesù non vale di più di Maometto, Maometto non vale di più di Mosè, e tutti e tre non valgono di più di Confucio, il quale in ogni caso riuscì a dettare qualche buona massima mentre gli altri farneticavano. In generale si tratta di tutta una genia di impostori, di cui il filosofo si burla, in cui la canaglia ha fede e che la giustizia avrebbe dovuto impiccare.
Il prete: Purtroppo è quello che la giustizia fece con uno dei quattro.
Il moribondo: Era quello che lo meritava di più: sedizioso, turbolento, calunniatore, furfante, libertino, grossolano, buffone e pericoloso mentitore, possedeva l’arte di imporsi al popolo, e conseguentemente diventava passibile di pena in un regno nelle condizioni in cui si trovava allora quello della Gerusalemme dell’epoca. Hanno fatto bene quindi a liberarsene, e questo può essere considerato uno dei rari casi, in cui i miei princìpi, estremamente dolci e tolleranti, ammettono la severità di Temi. Scuso tutti gli errori, eccetto quelli che possono diventare pericolosi per il governo sotto cui si vive; i re e le loro maestà sono le sole cose che mi incutono riverenza, le sole che rispetto: chi non ama il suo paese e il suo re non è degno di vivere.
Il prete: Ma in definitiva ammetterete l’esistenza di qualche cosa dopo questa vita? È impossibile che il vostro spirito non abbia voluto qualche volta penetrare le tenebre della sorte che ci attende; e quale sistema può averlo soddisfatto meglio di quello che prevede una serie di pene per chi è vissuto male e una eternità di ricompense per chi è vissuto bene?
Il moribondo: Quale, amico mio? Quello del nulla. Non mi ha mai spaventato e non vi vedo altro che semplicità e consolazione; tutti gli altri sistemi sono figli dell’orgoglio, questo solo è prodotto dalla ragione. Per altro il nulla non può essere né spaventoso né assoluto. Non ho forse davanti ai miei occhi la perpetua generazione e rigenerazione della natura? Nulla perisce, amico mio, nulla si distrugge nel mondo; oggi uomo, domani verme, dopodomani mosca, non è sempre un esistere? E perché vuoi che venga ricompensato delle virtù che non costituiscono in alcun modo un mio merito o punito dei delitti di cui non ho responsabilità? Puoi accordare la bontà del tuo preteso dio con questo sistema, può avermi creato per prendersi il piacere di punirmi, e ciò solo in conseguenza di una scelta di cui non mi ha fatto padrone?
Il prete: Ma lo siete.
Il moribondo: Naturalmente, lo sono secondo i tuoi pregiudizi, ma la ragione li distrugge; il sistema del libero arbitrio dell’uomo è stato inventato solo allo scopo di costituire il sistema della grazia, che tanto bene favorisce le tue stupidaggini. Qual è l’uomo che commetterebbe il crimine vedendovi accanto il patibolo, se fosse libero di commetterlo? Noi siamo trascinati da una forza irresistibile, mai padroni di noi stessi e soltanto capaci di indirizzarci dove la natura ci spinge. Non esiste una sola virtù che non sia necessaria alla natura, e all’incontro, un solo delitto di cui essa non abbia altrettanto bisogno, nel perfetto equilibrio che riesce a mantenere tra questi estremi consiste tutta la sua abilità. Possiamo quindi essere colpevoli della tendenza che ci inculca? Non di più di quanto lo sia la vespa che viene a trafiggerci con il suo pungiglione nella pelle.
Il prete: In questo modo il più gran delitto non dovrebbe ispirarci alcun orrore?
Il moribondo: Non si tratta di questo; è sufficiente che la legge lo condanni e che la spada della giustizia lo punisca, perché esso debba ispirarci un senso di ripulsa e di terrore; una volta, però, che sfortunatamente sia stato commesso, bisogna sapere prendere una decisione e non abbandonarsi a sterili rimorsi. L’azione del rimorso e vana in quanto non avendoci preservato prima, non può porvi riparo dopo: dunque assurdo avere rimorso, è più assurdo ancora temere la punizione nell’altro mondo, una volta che si è stati tanto fortunati da sfuggire alla punizione in questo mondo. Mi guardo bene però da incoraggiare così il delitto! Bisogna assolutamente evitarlo finché è possibile, ma è con la ragione che dobbiamo sfuggirlo e non tramite falsi timori che non concludono nulla e il cui effetto è tosto svanito in un animo sia pure un poco saldo. La ragione, amico mio, solo la ragione deve avvertirci che nuocere ai nostri simili non potrà mai farci felici, mentre il nostro cuore dovrà avvertirci che il contribuire alla loro felicità è la gioia più grande accordataci dalla natura sulla terra. Tutta la morale umana è racchiusa in questa frase: rendere gli altri tanto felici quanto desideriamo esserlo noi stessi e non fare loro più male di quanto desidereremmo riceverne. Ecco, amico mio, ecco i soli princìpi che dobbiamo seguire, e non c’è bisogno di religione né di dio per apprezzarli e ammetterli: occorre soltanto buon cuore.
Ma mi accorgo di perdere le forze, predicatore; lascia i tuoi pregiudizi, sii uomo, sii buono, senza paura e senza speranza; lascia i tuoi dèi e le tue religioni; tutto ciò non è buono che a mettere la spada in mano agli uomini, e il solo nome di questi orrori ha fatto versare più sangue sulla terra di quanto non abbiano fatto le altre guerre e gli altri flagelli tutti insieme. Rinuncia dunque all’idea d’un altro mondo, esso non esiste, ma non rinunciare al piacere di essere e fare felici in questo. Ecco il solo modo che la natura ti offre di raddoppiare la tua esistenza o di prolungarla… Amico mio, la voluttà fu sempre il più caro dei miei beni, l’ho adorata tutta la vita e ho voluto terminare nelle sue braccia: la mia fine si avvicina, sei donne più belle del giorno sono nello stanzino qui accanto, le serbavo per questo momento; prenditi la tua parte, seguendo il mio esempio cerca di dimenticare sul loro seno tutti i vani sofismi della superstizione e tutti gli sciocchi errori dell’ipocrisia.
Il moribondo suonò, le donne entrarono, e il predicatore divenne tra le loro braccia un uomo corrotto dalla natura, per non aver saputo spiegare che cosa fosse la natura corrotta.