LA SOLIDARIETA’ INDIVIDUALISTA
Gli individualisti anarchici sono degli
esseri che vogliono vivere, isolati od associati, la loro vita al di fuori di ogni ingerenza o intervento legale,
governativo, amministrativo, regolamentare od altro qualunque esteriore ad
essi, considerati come individui. Le società umane nelle quali essi evolvono
sono basate, fondate sulla coercizione governativa, sulla dominazione e lo
sfruttamento dell’uomo per opera dell’uomo o dell’ambiente, o viceversa. Donde
conflitto incessante fra gli individualisti ed i <<societari>>.
Il cameratismo è una specie di associazione volontariamente consentita ed
accettata da tutti gli individualisti al fine di garantirli, soccorrerli,
confortarli – ciascuno operando secondo i propri mezzi – allorché si scatenano
contro di essi le violenze, le usurpazioni, gli attacchi, le persecuzioni degli
aggruppamenti sociali in mezzo ai quali sono costretti a vivere. Sarebbe
inspiegabile che i membri di una specie umana che si trova costantemente e
necessariamente in stato di legittima difesa verso l’ambiente sociale che la
circonda si facessero o si lasciassero soffrire fra di loro. Il cameratismo è,
tutto sommato, un’associazione di egoisti
i cui componenti hanno concluso un accordo tacito al fine di risparmiarsi
mutuamente ogni sorta di sofferenza evitabile. Ma esso non è soltanto ciò: esso
implica partecipazione al dolore che le istituzioni e i componenti
dell’ambiente autoritario possono infliggere a coloro che fanno parte
dell’associazione. Io non dico che sia necessario trovarsi sempre in condizioni
di partecipare od intervenire in maniera attiva, ma sostengo che non si è un
compagno se almeno, nel proprio intimo, non ci si sente commosso, toccato,
dalla pena di cui soffre il proprio co-associato. No, dentro di sé, per lo
meno, non si può rimanere neutrale, indifferente, non si può astenersi dal
prendere partito per l’anarchico che è molestato, tormentato dall’archista.
Indifferenza, in tal caso, equivale a tradimento.
In ogni compagno colpito od ucciso da una
istituzione autoritaria, da ogni membro d’una società autoritaria vi è un altro
<<IO>>, un altro <<egoista>> che soffre.
A furia di trovarsi fra simpatizzanti di una
stessa idea, fra partigiani di opinioni affini, di incontrarsi nelle riunioni,
nelle piccole discussioni di gruppo, alle passeggiate all’aria aperta nei
dintorni della città, di trovarsi accanto nei buoni e cattivi giorni, nei
momenti tristi e nelle ore d’allegrezza, un’affezione di un genere tutto
speciale finisce per legarvi gli uni agli altri. Un’affezione, senza dubbio,
che non comporta né obbligazioni né regole, ma che fa sì che vi sentiate pronto
a rendere a coloro che si incontrano in tali circostanze tutti i servizi che vi
sia possibile di rendere. Un’affezione che vi fa naturalmente provare della
gioia allorché vedete raggiare di soddisfazione il loro viso, e sentire della
tristezza quando ne scorgete la faccia disfatta ed abbattuta. Un’affezione che
vi fa deplorare la loro assenza, che vi fa rimpiangere di non vederli, soffrire
di saperli impediti di essere in vostra compagnia. E’ questa forma speciale
dell’amicizia basata sulla comunione delle idee che si può chiamare <<
cameratismo >>.
E’ evidente che gli individualisti fanno
delle concessioni all’ambiente. Talune sono evitabili e volontarie, altre
inevitabili. Vi sono delle concessioni inevitabili come quella di andare a
lavorare in officina, al laboratorio, in ufficio – perché se non vi si
consentisse si correrebbe il rischio di morire di fame. Il far ciò, tuttavia,
contribuisce a mantenere non solo il regime capitalista, ma altresì il
principio dello sfruttamento dell’uomo per opera dell’uomo. Lavorare <<per sé>> non muta per nulla il problema: mercante girovago, foraneo,
piccolo bottegaio, si è sempre sfruttato o sfruttatore; qualsiasi articolo si
venda, anche dei più insignificanti, è stato prodotto grazie al metodo
capitalista; il grossista guadagna su di voi, voi guadagnate sull’avventore;
non cambia nulla insomma, e voi siete talvolta soggetti ai capricci del cliente
più di quanto non lo sareste ai voleri di un padrone. Il compagno <<illegalista>> non sfugge maggiormente alle difficoltà che lo circondano
e che vorrebbe eludere; gli oggetti ch’egli consuma sono dei prodotti passati
attraverso la trafila capitalista ed i rischi ch’egli corre non sono neppure
confrontabili alla noia delle ore di presenza in bottega o passate <<a
fare>> la piazza.
Lavorare per lo Stato-padrone non è una
concessione maggiore di quella di lavorare per il capitalista-padrone. Per
conto mio, preferisco un cantoniere, un impiegato delle ferrovie, un postino,
un professore che insegna mettendo in ciò tutta la sua anima, a ben altri
produttori – per conto dell’industria privata – di oggetti nocivi, sgradevoli,
antiestetici.
Vi sono delle concessioni evitabili che pure
degli individualisti consentono all’ambiente. Perché? Perché tali concessioni
che ad altri, a voi, a me, sembrano perfettamente evitabili, ad essi sembrano
invece indispensabili; vi sono dei compagni che acconsentono a compiere questa
o quella formalità legale per evitare di mettere altrui, una compagna per
esempio, in una situazione economica sfavorevole; per non pregiudicare la
posizione dei figli per il resto della loro vita, ecc.; occorre dunque non
emettere dei giudizi troppo sommari [a condizione d’ammettere che un <<anarchico>> possa <<giudicare>> il suo compagno] su quelle
concessioni delle quali non conosciamo i motivi ultimi e profondi. In un altro
ordine di idee, io ho conosciuto un compagno che si è sposato legalmente con
una <<straniera>> per evitarle di essere espulsa quando la sua
esistenza dipendeva forse dal suo soggiorno in Francia; ne ho conosciuto un
altro che non aveva famiglia alcuna e che sovente finiva in prigione: solo il
matrimonio legale poteva permettergli delle relazioni col mondo esterno durante
le sue villeggiature penitenziarie. Ne ho conosciuto un terzo che non ha potuto
praticare la pluralità amorosa che accettando l’unione legale con la sua
compagna abituale; in mancanza di che questa avrebbe immancabilmente perduto la
sua posizione ed il compagno di cui si tratta non era in grado di procurargliene
un’altra. Io conosco parecchi compagni che si sono valsi di disposizioni di
legge allorché sono rimaste vittime d’infortuni sul lavoro, ecc. Chi
rimprovererà all’anarchico investito e ferito da un’automobile di ricorrere
alla legge onde ottenere la legittima riparazione che gli è dovuta? Si
potrebbero moltiplicare gli esempi: in Francia un giornale anarchico non può
uscire senza un responsabile e senza effettuare un deposito legale; dei
compagni per lavorare in comune adottano la forma cooperativa o di associazioni
aventi statuti redatti conformemente alle leggi vigenti in materia, ecc. I casi
sono numerosi in cui gli individualisti non soltanto non possono fare a meno
del capitalismo, ma sono altresì obbligati a fare delle concessioni alla legalità.
Di questa non è possibile fare completamente a meno se non nei rapporti coi
compagni di idee e di lotta oppure in un ambiente composto di individui
abbastanza coscienti per non aver bisogno di autorità o di regolamenti, per
definire i loro accordi o per risolvere i loro disaccordi, o altresì abbastanza
compresi della loro responsabilità per riparare ai torti che essi possono aver
causato ai <<loro>>. E’ evidente che le concessioni sono
espedienti di cui non conviene compiacersi e che bisogna individualmente
sforzarsi di ridurre sempre più. Tuttavia, senza tali concessioni, noi non
potremmo esistere o sopravvivere. Ma appunto perché le nostre nature sono
divergenti noi non operiamo alla stessa maniera riguardo alle concessioni che
noi siamo chiamati a consentire all’ambiente sociale. Spetta a ciascuno di
determinare fino a qual punto è possibile discendere in fatto di <<concessioni>> per non perdere la propria potenza di reazione contro
l’usurpazione dell’autorità, contro l’influenza dei modi di pensare e di agire
altrui. Ciò è abbastanza difficile e occorre molto accorgimento e tatto per non
lasciarsi scivolare sulla china. Ma conviene lasciar fare in questo campo, come
in tutti gli altri, a ciascun secondo le proprie esperienze. Ed io non capisco
che si usi di ciò che si può aver appreso a proposito di concessioni che un
compagno può consentire all’ambiente, per segnalarlo a nome e sforzarsi di
nuocergli presso i suoi compagni di lotta anti-autoritaria.
Ben inteso, queste concessioni che essi fanno
all’ambiente borghese, alla società capitalista, alla legalità troppo sovente,
gli individualisti non le prospettano come degli atti << di realizzazione
anarchica >>; essi le danno per quello che sono: degli espedienti individuali,
dei meno peggio. Essi non le prendono mai sul serio. Poco importa che il
compagno anarchico abbia acconsentito a lavorare per un padrone, a contrarre un
matrimonio legale, a scrivere in un giornale, che effettui un deposito legale:
egli lotta senza tregua contro il regime capitalista, pratica ostensibilmente
il libero amore; scrive tutto ciò che pensa. Egli non tiene alcun conto di
queste concessioni nella sua propaganda.
Una concessione fatta all’ambiente sociale
impegna l’individualista verso l’ambiente sociale stesso, tanto quanto può
impegnare nei riguardi dell’accaparramento edilizio la firma di un contratto di
locazione, o, nei riguardi delle frontiere fra i vari i vari Stati, il fatto di
sottomettersi ad un controllo doganale.
Dunque io non mi riconosco il diritto di intervenire
in talune concessioni individuali rispetto all’ambiente, rese necessarie da
un’indipendenza economica apprezzabile; io considero quindi come compagno
l’insegnante o l’impiegato delle ferrovie dello Stato che, per essere tale, non
affievolisce l’odio per l’autorità. L’espediente economico al quale ha dovuto
sottomettersi non lo porta a togliere la libertà a chicchessia o a mantenere
qualcuno in prigione … Io non mi separerei da essi se non quando l’insegnante,
l’impiegato delle ferrovie e il compagno ammogliato facessero propaganda a
favore dell’eccellenza o della utilità delle formalità legali.
Emile Armand
vivere la propria vita non significa vivere in funzione del NEMICO ... Abbattere le barriere che limitano il proprio IO, abbattere gli ostacoli che si frappongono sul proprio camino è il percorso dell'individualista ... Tutto il resto è soltanto estetismo da scribacchino virtuale e/o filosofico
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