lunedì 17 dicembre 2012

CANTO FUNEBRE




«Laggiù è l'isola dei sepolcri, la silente; laggiù è pure il sepolcro della mia giovinezza. Là voglio portare una corona di semprevivi della vita».
Così risolvendo nel cuore, attraversai il mare.
Oh, visioni e imagini della mia giovinezza! Oh, voi tutti sguardi dell'amore, istanti divini! Come presto vi dileguaste! Io ripenso a voi, oggi, come ai miei morti.
Da voi, o morti diletti, mi giunge un dolce profumo, che mi scioglie il cuore e m'induce al pianto. In verità esso scuote e commuove il cuore del solitario navigante.
Ma ancora io sono, tra i ricchi, il più ricco, e il più degno di invidia, io, il più solitario! Poichè io ebbi voi e voi m'aveste ancora: ditemi, per chi, come per me, caddero dall'albero tante melagrane?
Io sono ancor sempre l'erede e il terreno fecondo del vostro amore, fiorente, in vostra memoria di virtù selvaggiamente rigoliose, o amatissimi!
Ah, noi eravamo creati per rimaner vicini l'uno all'altro, o deliziose e strane meraviglie; e voi non veniste incontro a me ed ai miei desideri timidi come timidi uccelli – ma pieni di fede in chi aveva fede!
Sì, creati per la fede e per l'eternità degli affetti, al pari di me: così devo chiamarvi anche dopo la vostra infedeltà, o sguardi e momenti divini: non imparai ancora altro nome.
In verità troppo presto moriste per me, o fuggitivi.
Eppure voi non fuggiste da me, nè io fuggii da voi: entrambi siamo colpevoli d'infedeltà.
Per uccidere me strozzarono voi, uccelli canori delle mie speranze! Sì, contro di voi, o dilettissimi, fu sempre rivolta la freccia della malvagità – per colpire il mio cuore!
Ed essa colpì! Poichè voi foste sempre ciò ch'io ebbi di più caro, ciò che possedevo e da cui ero posseduto per ciò doveste morir giovani e immaturi!
Si puntò la freccia contro quello che in me era più vulnerabile: eravate voi dalle piume morbide e delicate, simili ad un sorriso che un semplice sguardo può far morire!
Ma queste parole dirò ai miei nemici: che cos'è un omicidio, in confronto a ciò che mi faceste!
Cosa assai più rea, faceste a me, che non omicidio; voi mi toglieste ciò che non può ritornare: – così vi dico, o miei nemici!
Uccideste le visioni e i più cari prodigi della mia giovinezza!
Mi toglieste i compagni di gioco, gli spiriti benedetti!
In memoria di loro io depongo questa ghirlanda, e per vostra maledizione.
Questa sia la maledizione contro di voi, o nemici!
Non faceste voi forse fuggevole ciò che in me era eterno, come un suono che si spezzi in una gelida notte? A me ciò non parve durar più d'un divino battere d'occhi, – un istante!
Così disse in un'ora buona la mia purezza: «tutti gli esseri sono per me divini».
Allora m'assaliste con luridi fantasmi; ahimè dove fuggì quell'ora felice!
«Tutt'i giorni debbono essermi sacri» – così disse un giorno la saggezza della mia gioventù: in verità un parlare di saggezza gioconda!
Ma voi, nemici, mi rubaste allora le mie notti e le condannaste alla tormentosa insonnia: ah, dove fuggì mai quella gioconda saggezza?
Desiderai un tempo auspici lieti: voi poneste sul cammino un mostruoso gufo. Ah, dove fuggirono allora i miei teneri desideri?
Giurai un dì di sottrarmi ad ogni fastidio: e voi piagaste di ulceri putride tutti coloro che m'eran vicino. Ah, dove fuggì allora il mio giuramento più nobile?
Come un cieco andai un giorno per strade felici: ma voi gettaste immondizie su la via del cieco: ed ora gli ripugna seguire quel vecchio cammino.
E quando ebbi compiuto ciò che v'è di più faticoso e festeggiai la vittoria d'aver superato me stesso: faceste che coloro che m'amavano gridassero che io recava loro il dolore più grande.
In verità, operaste sempre così: mesceste il vostro fiele nel miele delle mie api più assidue.
Inviaste a la mia compassione i più insolenti mendicanti; circondaste la mia pietà degli esseri più incurabilmente senza vergogna. Feriste così nella loro fede le mie virtù.
E quand'anche avessi offerto in sacrificio la cosa a me più cara: la vostra «pietà» si presentava con doni più grassi: sicchè nel vapore del vostro grasso soffocava ciò che avevo di più sacro.
E volli una volta danzare come mai non avevo danzato: danzare al di là di tutti i cieli. E allora voi corrompeste il mio cantore più diletto.
Ed egli intonò una melodia orribile e tetra: ah, essa risuonava alle mie orecchie come lugubre corno!
Oh, cantore assassino, strumento di malvagità, il più innocente di tutti! Già ero pronto alla danza migliore: tu uccidesti coi tuoi suoni il mio rapimento!
Soltanto nella danza mi sento atto a parlare in similitudini delle cose più eccelse: – ma la più leggiadra delle mie similitudini mi rimase soffocata in gola!
Inespressa e insoddisfatta rimase la mia più alta speranza!
E morirono per me tutte le visioni e tutti i conforti della mia gioventù!
Come potei sopportare tal cosa? Come dimenticai e vinsi tali ferite? Come risorse l'anima mia da un tale sepolcro? Sì, v'è in me qualche cosa che non si può ferire o colpire e spezza anche le rocce: è la mia volontà. Taciturna e immutabile essa incede attraverso gli anni. Vuol camminar coi miei piedi, la mia vecchia volontà; il suo senso è duro e invulnerabile.
Io non sono invulnerabile che nel tallone. Ancora sempre tu vivi e sei rimasta eguale a te stessa, o pazientissima!
Ancor sempre passasti fra tutti i sepolcri!
In te vive ancora ciò che non seppe redimersi nella mia giovinezza; e come vita e giovinezza tu sedesti sperando sui tumuli ingialliti.
Sì, tu sei ancor per me colei che infrange tutti i sepolcri:
Salve o mia volontà! E solo dove sono i sepolcri è possibile la resurrezione.
Così parlò Zarathustra.

F. Nietzsche

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