giovedì 31 maggio 2012

UNA SERA...






Una sera, in casa sua, discutevo con un ingegnere e dicevo che, per l’individualista, non esistono che due concezioni logiche della vita: l’anarchia o l’imperialismo. Il dottore protestò; io spiegai il mio pensiero.
«La libertà dell’individuo non finisce dove comincia quella degli altri. Essa termina solo dove si arresta la sua forza. Per soddisfare le mie passioni o per fare trionfare le mie idee, io debbo necessariamente combattere e vincere chi ha passioni o idee contrarie alle mie. Se gli altri mi resistono, se sono individualisti come me e non vogliono riconoscere nessuna autorità, allora fra le libere forze guerreggianti si produce spontaneamente un equilibrio che oscilla. Ora un piatto della bilancia pende da un lato, ora l’altro piatto pende dal lato opposto. Ciascuno sviluppa il massimo della potenza per contenere l’avversario e non possono più verificarsi sovrapposizioni definitive, stabili comandi ed ubbidienze rassegnate. Questa è l’anarchia. Ma se invece gli altri cedono all’attacco, se il loro gregarismo li spinge a curvarsi dinnanzi all’uomo superiore, è naturale che questi eserciti sulla massa amorfa il suo imperio e della massa si serva come materiale per la costruzione del capolavoro della sua grandezza. Tal’è l’imperialismo. Contro ogni despota insorgono, nel generale servaggio, i pochi uomini che non intendono adattarsi alla schiavitù; ma il despota ed il ribelle sono manifestazioni equivalenti della vita intensa, tropicale, esuberante che non tollera freni e limitazioni. Perciò l’anarchia e l’imperialismo si avvicinano più di quanto si creda».
« Ma la tua è la morale della forza », osservò, scandalizzato, l’ingegnere socialista.
« E non é l’anarchia — protestò il vecchio leader — l’anarchia è amore, fratellanza, libero accordo fra gli uomini in una società perfetta ed egualitaria ».
«Si, l’anarchia dei frati, di Sant’Errico Malatesta e del principe Kropotkine. Perché fosse realizzabile occorrerebbe che nell’uomo esistessero solo le passioni che la morale ha convenuto chiamare buone. Ma dal fondo oscuro della nostra natura, da quello che Dostoevskij definisce il fondo sotterraneo e Nietzsche il fondo dionisiaco dell’io, erompono, ad ogni istante, impulsi diversi che ci spingono all’amore o all’odio, alla generosità o alla crudeltà, all’accordo o alla lotta. L’io è una realtà complessa e tenebrosa non un essere semplice, facilmente conoscibile e classificabile tra gli animali socievoli. Se mi ricordate, con Aristotele, che l’antropos est politicon, io vi rispondo citandovi la « Favola delle api » di Mandeville. L’uomo è sociale ed antisociale a seconda dei momenti, delle circostanze, delle passioni. L’io, che vuole soggiogare il non io, si palesa talvolta sotto sembianze angeliche, tal’altra sotto il ceffo di Satana.
Per questo il vostro sogno idilliaco è una utopia. L’impulso all’unità, quell’impulso biologico, fondamentale, di cui parla Bakunin, manca nel genere umano ».

Enzo Martucci

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