sabato 28 dicembre 2013

La prima volta che ho visto i fascisti


''Carne da macello per assetati di potere''



“I fascisti? Facciamo presto: erano i più idioti del paese”. 
Con questa frase si aprivano spesso i racconti dei vecchi che interpellavo da piccolo quando volevo qualche racconto di guerra, oppure quando si guardavano vecchie foto di quegli anni. 
Ad un certo punto ho anche creduto ad una forma di demonizzazione che ex partigiani e comunisti affibbiavano senza condizioni ai loro naturali nemici. Perché si sa, non si può fare di tutti gli idioti un Fascio… 
E invece sbagliavo. In questo caso è tutto vero. 
Fascista era uno che quando andò a militare e quando l'ufficiale gli chiese cosa rappresentasse la bandiera tricolore, egli rispose con orgoglio “la Maria Josè”. 
Fascisti erano le camicie nere che in piazza a Suzzara (Mantova) guardavano l'esibizione di un musicista di strada che cantava “Vincerem, vincerem…” e intanto camminava all'indietro. I gendarmi fascisti ridevano del musicista, la gente rideva dei fascisti.
Ci sarebbero molti altri episodi, ma basta dire che quei tizi si erano persuasi che gli italiani fossero un popolo guerriero destinato a grandi conquiste su scala planetaria. 
Poi c'erano le storie di guerra che confermavano il detto secondo cui “un idiota è pericoloso, un idiota in divisa [specialmente nera, N.d.A.] lo è doppiamente”. Mi rendevo anche conto che le semplici ed istintive emozioni ed impulsi di un idiota potevano essere facilmente manipolati e scatenate a piacimento da un furbo qualsiasi. Sul fronte jugoslavo alcuni futuri partigiani avevano sentito nel campo base le urla dei combattenti di Tito seviziati in una casupola, avevano visto civili disposti sul bordo di una fossa comune e mitragliati direttamente dentro, avevano ritrovato cadaveri di camicie nere cadute in mano nemica nudi, con le mani legate e un paletto di legno nel culo. 
Nei primi anni '90 del secolo scorso, raggiunti i 12 anni, mi ero fatto la convinzione che i fascisti fossero definitivamente sprofondati all'inferno, divorati dallo stesso demone che idolatravano ed agitavano come uno spauracchio. Quelli che erano rimasti passavano una vecchiaia piena di fantasmi rinchiusi in belle villette a schiera insieme ai loro figli destrorsi moderati. 
Questa era più o meno la mia idea. 
Poi il primo giorno sul pullman che portava alle scuole medie, mi vedo tre o quattro corpulenti pluribocciati con peluria in faccia che molestavano i “piccoli” (e quello me lo aspettavo) e che allietano il viaggio con cori da stadio sugli ebrei, saluti romani, “sieg heil”, disquisizioni sulle gesta del Duce e del Fuhrer, sketch esilaranti sul tipo: “se avrò due figli maschi li chiamo Benito e Adolfo” ecc. Ecco, questo me lo aspettavo meno. 
Non ero sotto shock o spaventato o qualcosa di simile. Ero perplesso. Possibile che a quegli elementi non fosse giunta la notizia di cosa avevano combinato fascisti e nazisti cinquant'anni prima? Nessuno gliel'aveva detto, com'era successo nel mio caso? In verità conoscevo il background di qualcuno di loro e sapevo che i loro genitori non erano affatto fascisti e nemmeno di destra, forse addirittura comunisti. Allora perché quelle scenate? Perché erano ignoranti, non sapevano niente di niente, si portavano dietro lacune culturali pazzesche persino per dei ragazzini. In più arrivai a stabilire che il fascismo è l'ideologia perfetta per chi cerca sicurezza e certezze assolute, coraggio ed orgoglio, senso d'appartenenza a qualcosa di solido come la roccia che è possibile concretizzare in un leader da venerare, in una bandiera da sventolare, in un a terra da proteggere o conquistare. Ti seducono con i riti, i gesti, le frasi forti, i dogmi pratici ed immediati; ti offrono uno sfogo giustificabile sbrigativamente per tutta la tua carica di violenza ed aggressività. 
Quella gente, mi dissi, non erano i veri fascisti. Era un fascismo imbastardito con le pratiche ultras-calcistiche e il bullismo di periferia. Quei ragazzi usavano l'ideologia più intollerabile come si mangiano certi piatti cinesi: dalla pentola ribollente piena d'ingredienti di cui non riesci mai capire il nome prendi solo ciò che ti piace e ti attira in quel momento. 
L'anno successivo cominciai a coltivare l'interesse per la storia militare che avevo sin da piccolo. Scoprii che mentre a tutti, nella classe, non fregava una beneamata fava di quell'argomento c'era invece un ragazzo, M.A., che ne parlava volentieri, anche se alla teoria preferiva la pratica. Nel senso che prese confidenza e cominciò a portarmi a scuola, nascosti nello zaino, un sacco di oggetti che riteneva complementari alle mie letture: pistole soft-air, coltelli, distintivi e fregi del battaglione paracadutisti, pubblicazioni con i trucchi del perfetto mercenario, munizioni (vere) calibro .357 Magnum. Cominciai ad insospettirmi. Come mai uno di 13 anni possedeva tutte quelle cose? Erano di suo padre? Mio padre non ce li aveva mica tutti quegli aggeggi. 
Poi un giorno un altro ragazzo, parlando di cazzate varie, mi fa: “Lo sai? Sono stato a casa di M.A. e nell'ingresso c'ha un busto di bronzo di…come si chiama…dai, quello pelato: Mussolini!. 
Cazzo, M.A. era un fascista vero, non come quelli del pullman. Avrei dovuto sospettarlo. Eppure lui sembrava una persona fondamentalmente buona, era meno violento di tanti altri. Allora, forse, la sua famiglia era fascista ma lui no, possibile che esistessero situazioni simili? Condussi una piccola indagine, arrivando ad ottenere i seguenti dati. 
Il padre di M.A. era infatti un noto militante di estrema destra, fascista convinto e “praticante”. Guardia giurata di mestiere, possedeva una ricca collezione di fucili, pistole e coltelli. Si era reso noto alle autorità per una serie di aggressioni e pestaggi ai danni di zingari ed extracomunitari. Custodiva nel comodino una videocassetta porno dove una donna se la faceva con un cavallo. 
La dottrina fascista era stata trasmessa a M.A. dal padre. Il ragazzo era una persona fondamentalmente buona, non l'ho mai visto esercitare violenza od arroganza con nessuno in classe o nei corridoi, solo che l'ambiente di odio nel quale cresceva lo stava lentamente contaminando in un processo irreversibile. Non si trattava di odio costruttivo, di quello che ti spinge a lottare, che spezza catene, che abbatte muri. Il fascista più che altro prova una specie di sterile rancore verso qualcosa che nemmeno conosce, perché il fascista è nemico giurato dell'approccio critico alla storia e dello sforzo della comprensione, due fardelli del resto incompatibili col suo freddo mondo di clichés ammuffiti e semplici verità di comodo che trasformano il mondo in una caserma, vale a dire l'infantile paradiso che ogni imbecille apprezza per la sua impeccabile funzionalità regolata dalla più spietata disciplina. 
Dopo aver raggiunto quelle conclusioni, dopo essere uscito dalla fase “racconti di guerra”, ho cominciato ad accorgermi dei fascisti più o meno latenti che sopravvivono nelle pieghe della sgangherata struttura sociale italiana. 
Sono fascisti i consiglieri comunali protettori della cultura bottegaio-forcaiola tipica del nostro Nord, sono fascisti i buttafuori dei locali che umiliano punk, extracomunitari e gay davanti al gregge che osserva a testa bassa, sono fascisti (e qua cito le testimonianze dirette del mio amico Gaspa, di leva nei CC a Gorizia) i carabinieri che tengono la foto del Duce nell'armadietto, che sospirano “Ah, quando c'era lui…”, quelli che di rientro dalla pattuglia notturna lavano il cofano della macchina ed i manganelli coperti di “sangue di negro”. 
Qualche giorno fa, in una notte ancora fredda, ho rivisto M.A. da lontano: anfibi lucenti, jeans stretti, bretelle a penzoloni, bomber del “Fronte Skinheads Italia”. Era di passaggio, con un altro camerata, nel cortile del castello di Carpi, proprio di fianco alle alte steli di cemento coi nomi dei deportati nei campi di sterminio tedeschi. 
Osservavo i due ragazzi e le lapidi e non trovai niente di meglio che pensare ad un'ipotetica fotografia della scena dal titolo “Vittime (volontarie e non) dell'ideologia fascista”.

Jules

1 commento:

  1. I tempi bui sono ciclici, sangue e fame sono la propaganda del decadimento, odio/rabbia e xenofobia il veicolo per il baratro

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